Un filosofo contemporaneo, Augusto Del Noce, ha parlato d’una “non santa allenza” tra gli Stati Uniti d’America e la Russia per mantenere lo status quo europeo. La definizione è appropriata: la prima Santa Alleanza creata dai governi d’Austria, Russia e Prussia nel 1815 e la “non santa alleanza” russo-americana ci appaiono entrambe rivolte contro il mutamento dell’ordine stabilito e una presa di coscienza politica degli Europei. Allora si parlava di religione e di legittimità, oggi di “distensione” e di “sicurezza internazionale”, ma il contenuto sostanzialmente immobilistico è lo stesso.
Tuttavia, bisogna riconoscere alla prima alleanza – quella “Santa” – una eleganza diplomatica, una nobiltà di concezione, un senso di responsabilità verso l’ordine spirituale dell’Europa, che la “non santa alleanza” non può minimamente vantare. E il principe di Metternich, per poco simpatico che egli possa apparire a molti italiani, non ha meritato d’essere accostato a Gromyko, anche perché la paternalistica moderazione dei suoi sistemi polizieschi non può neppure essere paragonata al meccanismo di oppressione e terrore instaurato dalla Russia nei Paesi satelliti.
Queste considerazioni ce le suggerisce quella grossa farsa internazionale che è stata la “Conferenza per la sicurezza europea”. Una Conferenza in cui l’agnellino – e cioè gli Stati europei – sedevano ad uno stesso tavolo con il lupo – ossia con la Russia sovietica – per garantirsi la “reciproca sicurezza”. E’ un vero peccato che oggi non vi sia favoliere della stoffa di Esopo per illustrarci degnamente la scena. Ricordate: “Superior stabat lupus…“.
Ed è un vero peccato che il vincitore morale della seconda guerra mondiale, Stalin, non abbia potuto godersi la scena, ma talvolta par quasi di sentire la sua risata stridere fuori dalla bara come quei cigolii e quello sferragliare che si odono nelle case abitate dai fantasmi.
Abbaimo scritto che Stalin è il vero vincitore morale della seconda guerra mondiale. Ciò forse richiede un chiarimento.
Poiché forse vi sono ancora dei valentuomini che credono che dopo la seconda guerra mondiale il mondo sia stato riorganizzato sulla base del diritto internazionale e della libertà dei popoli di disporre di sé stessi. Se esistessero, le solenni dichiarazioni ripetute durante la confernza di Helsinki in merito alla “inviolabilità dei confini” e alla “non ingerenza reciproca” dovrebbero bastar ad aprire loro gli occhi.
Poiché la “inviolabilità” dei confini significa soltanto che è inviolabile la cortina di ferro, il muro di Berlino e inviolabili i confini di rapina imposti alla Germania con la espulsione di 14 milioni di Tedeschi dalla Polonia e dalla Cecoslovacchia. E la “non ingerenza reciproca” significa soltanto che gli occidentali devono disinteressarsi dei metodi con cui, nei Paesi dell’Est, una minoranza di funzionari comunisti asservisce i propri connazionali. Che la “non ingerenza” possa significare qualche altra cosa è stato escluso dallo stesso rappresentante sovietico, il quale ha candidamente dichiarato che essa non riguarda l’intervento sovietico in Cecoslovacchia – tutt’altro.
Altro che Carta Atlantica, che diritti dell’ONU! A vent’anni dalla data della sua morte Stalin è più vivo che mai. La sua politica di sopraffazione portata avanti con successo tra il 1945 e il 1949 trionfa in una solenne assise internazionale in cui la usurpazione si maschera da diritto e la garanzia sulla refurtiva “sicurezza europea”. La “sicurezza” alla quale si è intitolata la Conferenza altro non è che la sicurezza della Russia, la sicurezza dello status quo stabilito nel 1945 con la cortina di ferro. Questa è la vittoria morale di Stalin, la vittoria del diritto di preda del barbaro asiatico sul magniloquente e farisaico umanitarismo delle democrazie anglosassoni.
Che ciò avvenga in nome dei grandi princìpi, della “inviolabilità” e della “non ingerenza è naturalmente una beffa. Ma non fu già una beffa l’atto che resta il fondamento morale del mondo politico contemporaneo, il suggello morale della “non santa alleanza” tra Russia e America, e cioè il processo di Norimberga? Una beffa, si guardi bene, non tanto perché vi si giudicò in base a un diritto delle genti mai codificato in nessun luogo, ma perché a giudicare dei “crimini” nazisti sedettero i rappresentanti di uno dei regimi più “criminali” della storia.
Quando si permise a Stalin – che aveva edificato il potere sovietico su venti milioni di morti – di mandare i suoi giudici a Norimberga a condannare quei nazisti coi quali si era alleato nel 1939, ogni nozione del diritto internazionale affogò nella farsa. È in nome di questa logica beffarda che i sovietici, dopo aver represso nel sangue ogni moto di libertà nell’Europa orientale, discettano seriosamente – ieri a Helsinki, domani a Ginevra – di “sicurezza” e di “inviolabilità”. D’altronde, la Russia è maestra nell’arte di unire la prepotenza alla beffa.
Un talento in cui la ferocia un poco sorniona dell’Asia si mescola al sottile, crudele formalismo bizantino e al terrorismo gesuitico comunista. Si ricorderà che la Russia chiese – ed ottenne – di occupare un seggio per l’Ucraina nel consesso dell’ONU. Non le era bastato di aver represso nel sangue il nazionalismo ucraìno; scuoiata la vittima, volle anche indossarne la pelle.
Quale senso ha che le nazioni europee siedano allo stesso tavolo con i rappresentanti di una potenza che calpesta la libertà di nove popoli europei? E che senso ha che esse si facciano garantire la loro sicurezza da quelli stessi che la minacciano? Ma la diplomazia segreta americana e la logica della “non santa alleanza” spingevano all’incontro di Helsinki, un incontro che continuerà a Ginevra in settembre nel solito clima di beffa e di equivoco. La Conferenza per la “sicurezza europea” non serve né alla libertà né alla dignità dell’Europa ma ribadisce – contro gli interessi storici europei – la volontà delle due superpotenze di mantenere lo status quo del 1945.
È abbastanza singolare che l’unica voce coraggiosa che si sia levata contro la Conferenza sia quella dell’Albania, la quale, senza mezzi termini, ha denunciato le mene della Russia. L’Albania parlava evidentemente a nome della Cina. Ora, è doloroso, e nello stesso tempo pericoloso, che i cinesi si prendano a cuore l’indipendenza e la dignità dell’Europa più degli stessi governi europei. È pericoloso, perché nel vuoto morale e politico che regna nel nostro continente, potrebbe portare delle conseguenze.
Si pensi ad esempio a cosa potrebbe accadere se il partito cinese in Europa – oggi ancora rappresentato da sparute avanguardie di extraparlamentari – diventasse domani l’unica voce libera nei confronti delle due superpotenze, al prestigio che guadagnerebbe presso le nuove generazioni, alla risonanza tra i giovani.
Intanto, la Russia continua a cogliere successo dietro successo. Nel 1944-45, col consenso degli Alleati occupò tutta l’Europa orientale e centrale. Tra il 1945 e il 1949 con una serie di colpi di mano le riuscì di trasformare questa occupazione in una dominazione perpetua. Tra il 1949 e il 1968, stroncando le rivolte di Berlino, Budapest, Poznan e Praga ha soffocato ogni moto d’autonomia nelle nazioni occupate. Oggi, con la Conferenza europea essa compie un altro passo avanti legittimando la sua usurpazione nel nome della “inviolabilità dei confini” e della “non ingerenza”.
Cosa essa si prefigga domani è ormai chiaro a tutti. È l’Europa “finlandese”, l’Europa smilitarizzata che godrebbe di una relativa autonomia in cambio della rinuncia a ogni pregiudiziale anticomunista e alla libertà di parola nei problemi riguardanti l’Est europeo. Questa Europa addomesticata, definitivamente emarginata come forza politica, rappresenterebbe un utile complemento della sua economia aiutandola a colmare le deficienze del suo sviluppo economico. Così gli Europei aiuterebbero il regime sovietico a superare le proprie contraddizioni economiche facilitandine lo sviluppo militare e ribadendo le catene della Europa orientale.
Questo è il volto dell’avvenire, dietro la maschera della distensione e della sicurezza europea. Un avvenimento che forse porterà con sé la “pace” – la sottomissione è anch’essa una forma di pace – ma non certo la libertà.
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Tratto da Il Giornale d’Italia del 31 luglio 1973.
R. Martini
Mi riferisco soltanto al paragrafo che riguarda l’Albania e al cosiddetto coraggio del suo dittatore Enver Hoxha nel denunciare “le mene della Russia” – (anche se nel 1973 era più esatto parlare di Unione Sovietica).
La contrapposizione dell’Albania non aveva nulla a che fare con i principi del marxismo, ma soltanto con la paura del dittatore Hoxha di essere scacciato dal potere dai sovietici. Il suo “no” a Mosca era dettato dallo spirito stalinista che si opponeva alla politica revisionista del Cremlino.
Tant’è vero che nel 1978 quando i cinesi cominciarono ad aprirsi agli Stati Uniti d’America e a consigliare Tirana a rinunciare all’isolamento, il regime di Hoxha ruppe i rapporti anche con Pechino.