La rivoluzione russa è qualcosa di più di uno sconvolgimento politico, avvenuto, anni fa, in un paese straniero. Essa è una minaccia costante, una risoluta volontà di distruzione padrone di un paese strapotente, organizzato per la conquista del mondo. Alle sue origini sono diversi motivi, alcuni profondamente radicati nella storia russa, altri, meno visibili ma non meno efficaci, presenti da secoli in tutta Europa. La Russia del XIX secolo era un Impero sconfinato e potente, ma formidabili trasformazioni erano in corso ed altre ancor più paurose se ne preparavano. Questo grande paese per secoli era rimasto estraneo all’Europa, poi aveva accordato i suoi pigri movimenti al ritmo della storia occidentale. Di qui uno squilibrio tra la Russia vera e propria, rappresentata dai nobili e i contadini, e la borghesia, frettolosamente costituitasi ed imbevuta di idee confusamente “moderne”. Il popolo, quello vero, rimase sempre estraneo a tutte le congiure che si facevano in suo nome, profondamente fedele al suo “Piccolo Padre” che venerava come una santa icona. Quando nel 1886 uno studente, certo Karakazov, tentò di uccidere lo Czar, fu proprio un mugiko a sventare l’attentato; questo fatto ci da simbolicamente l’esatta misura della situazione: da una parte la borghesia, abbruttita dalla superstizione progressista, che contrappone le esperienze da laboratorio alla Religione e le chiacchiere demagogiche alla necessità di una classe dirigente selezionata dal tempo, dall’altra un popolo pio e leale che serba fede all’Imperatore e alla Nobiltà. Ma in alto si fece poco o nulla, mentre i sovversivi si facevano sempre più risoluti e consapevoli. A quelli delle prime generazioni “liberali”, gonfi di stucchevoli chimere umanitarie e di un caramelloso ottimismo democratico, ne erano succeduti altri, significativamente chiamati Nichilisti. Il loro gelido utopismo, inasprito dalle persecuzioni che seguirono l’assassinio di Alessandro II nel 1881, era un alto potenziale esplosivo; ma le molte organizzazioni serrarono le fila solamente verso il principio del secolo sotto le insegne del comunismo marxista che diede loro la mistica e la tecnica rivoluzionaria che aspettavano da tempo.
La dottrina comunista infatti nella sua aberrazione è, sia detto una volta per tutte, completa, e rigorosamente concatenata. Essa rappresenta il punto d’arrivo cui l’Europa tende da quando ha imboccato la strada della regressione delle caste. Quando si volle sostituire ai valori religiosi ed eroici, incarnati dal Clero e dall’Aristocrazia, il laicismo bottegaio del Terzo Stato, già si preparava l’avvento del Quarto, con la sua animalità soddisfatta. Quando i sovrani europei, ribelli all’Imperatore, trasformarono lo Stato feudale articolato in caste, ordini, corporazioni legate da vincoli di fedeltà in una congerie disanimata tenuta insieme a forza, già si preannunciava l’informe e livellato stato moderno. Quando l’individualismo e il giusnaturalismo, vollero gli uomini “liberi e uguali” ne fecero tanti atomi privi di significato personale, pronti per essere gettati in quel vortice di granelli di sabbia che è la società marxista. La logica della storia non conosce deviazioni, tutt’al più soste: pur promettendo fin da ora ai comunisti tanta corda al collo quanta se ne meritano, ne riconosciamo la chiaroveggenza distruttrice che manca a quelle scialbe caricature che sono i democratici “bianchi”.
I comunisti intuirono fulmineamente la situazione: fare insorgere il popolo era un’idea romantica ed assurda, bisognava giocare tutto sulle minoranze operaie ed intellettuali delle grandi città.
Un primo tentativo insurrezionale avvenne nel 1905, dopo la sconfitta russa nella guerra contro il Giappone e fallì. La reazione fu violenta. Si distinsero nella repressione le cosiddette “Centurie Nere”, gruppi reazionari guidati dal fior fiore dell’Aristocrazia; alla mistica egualitaria bolscevica essi contrapponevano una mistica nazionale che rivendicava di fronte all’Europa in preda alla demagogia plebea e al materialismo i valori della Santa Russia degli Czar. All’azione risposero con l’azione; agli attentati nichilisti massacrando gli ebrei, estranei ed ostili al popolo russo. Se lo Czar avesse affidato il governo ai propri energici e fedeli difensori, le necessarie trasformazioni si sarebbero compiute nel segno dell’ordine.
Accordò invece una costituzione, ignorando che la plebe a chi le offre una mano afferra il braccio; se i moderati fecero buon viso, i bolscevichi, più astuti, si irrigidirono; quella benevolenza infatti poteva corrodere la ferrea intransigenza necessaria a chi mira alla conquista di uno stato.
Tennero duro fino al 1917 quando, dopo la catastrofe russa della prima guerra mondiale, lo Czar abdicò. Il governo socialdemocratico del vanitoso Kerenski traballò per alcuni mesi, poi fu schiantato da Trotzkj e da Lenin; mentre i loro avversari si gingillavano con i proclami al popolo, i bolscevichi poco numerosi ma saldamente organizzati, si impossessarono dei punti chiave di Pietroburgo e poi di Mosca, inaugurando la tecnica rivoluzionaria del XX secolo.
Le marionette “democratiche” abbandonarono precipitosamente la scena, mentre a difendere l’Aquila e la Croce della Santa Russia contro il cencio rosso della plebe non rimanevano che i Cosacchi di Wrangel e le Centurie Nere. Il 16 luglio 1918, la famiglia imperiale venne trucidata e i bolscevichi formarono il loro primo governo di cui basta dire che dei suoi 264 membri 221 erano ebrei. Ed ora qualche conclusione.
Questa storia recente ci insegna molte cose: che per una infallibile logica degli avvenimenti, ogni posizione di compromesso è instabile; che nello stato moderno fortemente accentrato la conquista del potere è opera di minoranze organizzate; che per frenare la rivoluzione che sale dal basso, le si deve opporre quella dall’Alto. Bisogna trovare il coraggio di scegliere per antitesi; o lo Stato gerarchico, organico, culminante nel Principio d’autorità, proteso dal basso verso l’alto nel tentativo di stabilire un contatto con forze trascendenti, o il formicaio umano rigurgitante di larve senza rango, senza volto, senza sesso, assorte in una bruta fatica fine a se stessa. Tutto il resto non è che viltà, obliquità, confusione.
Tratto da “Le corna del diavolo. Mensile polemico studentesco” – Anno II n. 2, febbraio 1958, pp.6-7.
Lorenzo
L’articolo di Adriano Romualdi è attualissimo. Infatti l’ora presente vede il trionfo del Bolscevismo più puro, del “formicaio umano rigurgitante di larve senza rango”. Dopo più di duemila anni di accanito lavoro, coloro che hanno “per padre il diavolo” sono riusciti a realizzare il loro antico sogno.
Rosa Rita La Marca
Vorrei tanto sapere di più sulla Sua figura, per cui ho subito subito un fascino dal primo momento che ebbi a conoscere il Suo nome.
Riverisco con grande rispetto alla Sua memoria.