La crociera della nave corsara Kormoran, del capitano di corvetta Detmers, è stata, insieme a quella del Pinguin, la più gloriosa e la più drammatica fra quelle di tutte le sue consorelle, terminando con la distruzione e l’affondamento, ma anche con la distruzione e l’affondamento dell’incrociatore australiano che ne provocò la fine.
Questo combattimento all’ultimo sangue, dal quale entrambe le navi in lotta escono annientate, illumina di un bagliore corrusco l’intera vicenda del Kormoran, e getta una luce particolare sul comandante e sull’equipaggio, che hanno saputo conquistati il rispetto del nemico andando incontro al sacrificio di sé.
Altri capitani, come il capitano Rogge dell’Atlantis, avrebbero preferito – forse – abbandonare la propria nave, pur senza ammainare la bandiera, e consegnarsi al destino a bordo delle scialuppe di salvataggio. Detmers era fatto di un’altra pasta, e lo dimostrò con la superba coerenza del suo ultimo cimento (cfr. i nostri precedenti articoli La crociera della nave corsara «Pinguin», 22 giugno 1940 – 9 maggio 1941, e La crociera della nave corsara «Atlantis», 11 marzo 1940 – 22 novembre 1941).
L’esito della battaglia che pose fine alla carriera del Kormoran, ma che vide anche la distruzione dell’incrociatore Sydney (omonimo di quello che, il 9 novembre 1914, aveva posto fine alla crociera del tedesco Emden presso le Isole Cocos: v. Francesco Lamendola, La crociera dell’incrociatore Emden e la battaglia delle isole Cocos), lasciò di stucco gli esperti di cose navali: perché, oltre ad avere un armamento di gran lunga superiore, la nave australiana era potentemente corazzata: si trattava, infatti, di un incrociatore pesante e non di un incrociatore leggero, come quello che trentasette anni prima, aveva troncato la brillante carriera di corsaro del comandante von Müller; e le sue piastre di metallo avrebbero dovuto reggere meglio alle bordate da 105 mm. del suo avversario.
Ha osservato, infatti, Giorgio Giorgerini, nella sua monumentale opera Storia della Marina (Fratelli Fabbri Editori, Milano, 1978, vol. IV, p. 1.o78):
Il Kormoran, che aveva potuto navigare per 352 giorni ottenendo 11 successi, era stato intercettato il 19 novembre 1941, circa 200 miglia a ponente dell’Australia, dall’incrociatore Sydney. Il duello, apparentemente del tutto impari, ebbe un esito inatteso: la distruzione di entrambe le navi, nonostante la corazza da 102 mm. che avrebbe dovuto proteggere l’incrociatore australiano.
Il Kormoran, la più grande delle navi corsare tedesche nella seconda guerra mondiale, con una stazza lorda di poco inferiore alle 10.000 tonnellate, era stata varata in tempo di pace, il 18 aprile 1939, con il nome originario di Steirmark e destinata a svolgere le pacifiche funzioni di una nave mercantile sulle rotte dell’Asia orientale.
Ma, scoppiata la guerra pochi mesi dopo, l’Ammiragliato di Berlino decise di requisirla e di trasformarla in incrociatore ausiliario, iscrivendola nei ruoli della Marina da guerra con il nome in codice di Schiff 41, la Nave 41.
Anche un corsaro tedesco della prima guerra mondiale aveva navigato con il nome di Cormoran (con la C iniziale, però, invece della K) e aveva fatto parte, per un breve periodo, alla squadra degli incrociatori dell’Estremo Oriente dell’Ammiraglio Spee, prima di venire distaccato, in funzione diversiva, nelle acque dell’Australia, mentre il grosso della squadra puntava, attraverso il Pacifico, in direzione della costa occidentale del Sud America.
Il Kormoran del capitano Detmers dislocava 9.400 tonnellate ed era lungo 164 metri, largo venti e aveva un pescaggio di otto metri e mezzo. Era stato dotato, nel corso dei lavori di trasformazione in incrociatore ausiliario, di un armamento 6 cannoni da 155 mm., alcuni pezzi di minor calibro, 6 tubi lanciasiluri e una catapulta per due aerei (come il Pinguin). Trasportava inoltre un carico di 360 mine, che avrebbe dovuto depositare davanti ai punti strategici sulle rotte più frequentate dal naviglio mercantile alleato.
La velocità massima poteva essere portata, in caso di necessità, fino a 18 nodi: cosa piuttosto rara per una nave di quella classe e di quella stazza; mentre il combustibile imbarcato le garantiva una autonomia di ben 70.000 miglia.
L’equipaggio era formato da 420 marinai e 15 ufficiali, tutto personale scelto e fortemente motivato.
Theodor Detmers, benché giovane (era il più giovane comandante di incrociatori della Marina tedesca) possedeva una considerevole esperienza; aveva partecipato alla campagna di Norvegia, restandovi ferito, ed era stato comandante di un cacciatorpediniere, prima di venire distaccato ad Amburgo e Kiel per seguire i lavori della sua nuova unità, il Kormoran.
Salpata il 3 dicembre 1940 dal porto di Gotenhafen presso Danzica (in polacco, Gdynia), la nave corsara riuscì a sgusciare, col favore del cattivo tempo invernale, attraverso le maglie del blocco navale britannico nel Mare del Nord; e, imboccata la via più lunga e resa più pericolosa dagli icebergs, ma molto più sicura, del Canale di Danimarca, si portò nelle acque dell’aperto Oceano Atlantico, il 13 dicembre.
Mascherata da nave russa, la Viaceslav Molotov, percorse buona parte dell’Atlantico senza tradire la sua presenza, e attese fino al 3 gennaio 1941 per fare la sua prima preda, il piroscafo greco Antonis; poi, il 18 gennaio, la petroliera British Union, che tentò di resistere e che dovette essere affondata a cannonate; e poi ancora l’Eurylochus, l’Agnita e la Canadolite, quest’ultima di ben 10.300 tonnellate.
Non possiamo ricordare tutte le catture del Kormoran. Diremo soltanto che, in totale, esso affondò 12 navi alleate, delle quali 8 nell’Oceano Atlantico e 4 nell’Oceano Indiano, per un totale di quasi 75.000 tonnellate. Si spinse in tutti e tre gli oceani del globo, depose campi di mine davanti alle coste del Sud Africa, a quelle dell’India (presso Madras) e a quelle dell’Australia, navigando per 352 giorni, senza mai lasciarsi individuare e costringendo numerose navi da guerra nemiche a distogliersi dai loro compiti per dargli la caccia.
Va rilevato che Detmers si dimostrò un ottimo comandante anche dal punto di vista umano, perché sua costante preoccupazione fu quella di mantenere alto il morale del suo equipaggio, organizzando – nei momenti di pausa – spettacoli e intrattenimenti a bordo della nave, in modo da combattere la monotonia e la stanchezza di una così lunga permanenza in mare, senza mai poter fare scalo in un porto amico né avere alcun contatto diretto con il mondo esterno, se non attraverso gli equipaggi fatti prigionieri.
Giungiamo, così, a quel drammatico 19 novembre 1941, l’ultimo della crociera del Kormoran, in cui la sua rotta si incrociò, alle ore 16,00, con quella del Sydney del capitano Burnett; mentre, alle 17,30 le due navi ingaggiarono il loro ultimo combattimento. Un poeta antico avrebbe osservato che un lotta così epica avrebbe meritato un vasto pubblico, mentre nessun testimone vide i prodigi di valore e la tragica fine dei due vascelli avversari.
Ciò avvenne in mare aperto, in un punto dell’Oceano Indiano occidentale non lontano dall’Australia: dunque, significativa coincidenza, a non troppa distanza da dove un altro Sydney, nella prima guerra mondiale, aveva sorpreso e distrutto l’Emden, che era finito incagliato su un banco corallino delle Isole Cocos.
Così descrive la tragica fine del Kormoran il saggista italiano Massimo Picollo nel suo bel volume Gli incrociatori corsari tedeschi. Le navi del tradimento (Giovanni De Vecchi Editore, Milano, 1971, pp. 54-57):
Da oltre quattordici mesi il corsaro tedesco è lontano da porti amici. Ha accumulato un attivo di 75.000 tonnellate di naviglio nemico colato a picco. Ha percorso le acque di due oceani per decine di migliaia di miglia. Non è mai venuto meno alle regole della guerra cavalleresca e ai principi di umanità che ispirano la Convenzione di Ginevra. Più volte ha messo a repentaglio la propria sicurezza, piuttosto che abbandonare alla loro sorte di naufraghi gli equipaggi nemici.
Per l’ultima volta si reca all’appuntamento con la sua nave rifornitrice; per l’ultima volta sbarca i prigionieri e imbarca viveri, combustibile e munizioni. Per l’ultima volta vede sorgere all’orizzonte il sole. È il sole che inonda di luce il 19 novembre 1941 e fa scintillare lontano le corazzature di una nave da guerra. Si tratta del Sydney, incrociatore pesante australiano di 7.000 tonnellate della classe Perth, armato con otto cannoni da 152, che il suo comandante, capitano J. Burnett, da settimane conduceva alla ricerca di un fantomatico corsaro che da troppo tempo terrorizzava quelle acque.
È ormai troppo tardi per evitare un combattimento che si annuncia impari. Troppo veloce e troppo ben armato, il Sydney. A Detmers non resta che giocare d’astuzia il più a lungo possibile onde guadagnare tempo per portarsi a gettata utile dei suoi cannoni assai meno potenti di quelli dell’incrociatore australiano.
Il Sydney inizia a segnalare intimazioni di fermo. Il Kormoran, che al momento indossa la vesti del piroscafo olandese Straat Malacca tarda a rispondere fin quando possibile, poi richiede a sua volta il nominativo all’incrociatore.
Trasmette lentamente, con studiata lentezza, usando le bandiere invece che i riflettori, ed intanto si dispone in rotta convergente con il Sydney e stringe le distanze. Il nemico intima di nuovo l’alt, perentoriamente e chiaramente per l’ultima volta.
Ma lo Schiff 41 è ormai a 800 metri dal bordo dell’incrociatore. Dal corsaro si vedono tutti i particolari: gli uomini ai posti di combattimento, il frenetico movimento sul ponte, l’aereo pronto a levarsi in volo dalla catapulta.
Finalmente Detmers comunica di essere disposto a ricevere a bordo una squadra d’ispezione, ed il Sydney si avvicina decisamente. La distanza tra le due navi non supera ora i cento metri. Il gioco è riuscito.
La bandiera olandese sparisce improvvisamente dal pennone e al suo posto appare la bandiera di combattimento della Kriegsmarine. Contemporaneamente cadono le finte fiancate, si levano le volute dei pezzi da 150 e appaiono i tubi lanciasiluri.
Solo sei secondi… ed ecco che esplode la prima bordata del Kormoran. Un’altra la segue e poi una terza. Le salve squarciano le fiancate esposte del Sydney. La prima torre prodiera giace riversa dai cardini con i pezzi da 152 che pietosamente puntano il cielo. L’aereo, scaraventato dai suoi supporti, galleggia semidistrutto in acqua. Tutta la nave è avvolta in una nube di fumo denso e acre, rotto solo dalle lingue di fuoco che s’innalzano dai boccaporti e dalla fiancata lacerata.
Tre minuti di panico a bordo dell’incrociatore e anche gli australiani aprono il fuoco. Dapprima con tiri sporadici ed imprecisi, perché anche la centrale di tiro è stata colpita. Ma la distanza è troppo breve. I primi colpi incominciano a cadere sul Kormoran e a seminare la morte. Detmers riesce a evitare un lancio di siluri, ma anche i suoi cannoni non sono ormai che ferraglie contorte. I tre pezzi di dritta, però, sono ancora efficienti. Lo Schiff 41 vira lentamente di 180° e si presenta al Sydney con la fiancata intatta. I suoi pezzi iniziano a vomitare ferro e fuoco, che inesorabilmente martellano il Sydney. Ma ormai le fiamme che divampano a bordo del corsaro hanno raggiunto la sala macchine. Un’enorme esplosione nel cuore della nave ed il Kormoran sussulta come squassato da un gigantesco maglio. La nave è ormai definitivamente ferma, perduta.
Ma anche il Sydney non è in condizioni migliori. Imbarcato di 35° si allontana lentamente, sprigionando cortine di fumo e vomitando nafta.
Sul Kormoran, in sala macchine, nessuno risponde. La nave è devastata da poppa a prua. Niente la può ormai salvare.
Detmers ordina di calare le poche scialuppe utilizzabili e le zattere di sughero. Trecentoventi uomini si aggrappano a questi fragili gusci, fissando attoniti la loro nave che inesorabilmente sprofonda finché sulla imperturbabile superficie dell’oceano non restano che i naufraghi con le loro scialuppe, i loro relitti e una grande stretta nell’intimo.
Lontano, nella direzione presa dal Sydney un bagliore enorme squarcia le tenebre che ormai erano scese. Alle ore 21 del 19 novembre 1941 l’incrociatore pesante Sydney, orgoglio della marina australiana, salta in aria con i suoi 644 uomini e scompare con tutto l’equipaggio tra i flutti. I superstiti del Kormoran verranno raccolti il giorno seguente da navi pattuglia nemiche e termineranno la loro guerra internati in un campo di prigionia sulla costa settentrionale dell’Australia.
Impossibilitato a domare gli incendi scoppiati a bordo, Detmers era stato costretto a ordinare ai suoi marinai di abbandonare la nave.
A causa della scarsezza delle scialuppe, molte delle quali erano andate distrutte nel combattimento, parecchi uomini finirono in mare; e la loro ricerca, nell’oscurità della notte, fu angosciosa e difficile. Alla fine, ben 80 uomini risultarono mancanti all’appello: gran parte di loro erano periti nell’affondamento di uno dei canotti.
La raccolta dei naufraghi ebbe termine solo verso l’una di notte, e solo allora il comandante si decise ad abbandonare la nave per salire, a sua volta, su di una scialuppa. Soltanto venti minuti dopo, il Kormoran esplose, allorché le fiamme raggiunsero i locali dove erano collocate le mine non ancora depositate in mare; e la bella nave colò a picco nella notte, con la bandiera di guerra che garriva al vento.
Trascorsero parecchi giorni, prima che una unità australiana raccogliesse quegli uomini alla deriva. Lo spazio era così angusto sulle zattere, che i superstiti erano stati costretti a riposare a turno, mentre i loro compagni si tenevano ritti in piedi.
Il trattamento nei campi di prigionia fu corretto; ma solo dopo la fine della guerra, circa cinque anni dopo, Detmers e gli altri scampati alla morte poterono pare ritorno in patria e raccontare a parenti ed amici – quelli che erano sopravvissuti all’immane catastrofe – le loro imprese a bordo della più grande nave corsara dei tempi moderni.
Quanto al Sydney, esso era atteso nel porto di Freemantle nel pomeriggio del 20 novembre. Poiché era sotto silenzio radio, non ci si preoccupò del suo mancato arrivo, fino a che gli venne ordinato di rompere tale silenzio e di segnalare la sua posizione; ma non ci fu risposta alcuna.
Scattarono allora le ricerche, sia con le navi che con gli aerei; e fu allora che i 315 uomini del Kormoran vennero scoperti e tratti in salvo. Del Sydney, invece, non venne trovata alcuna traccia, nemmeno una macchia di nafta o un cadavere galleggiante. Il mare aveva inghiottito anche il più piccolo resto dello sfortunato incrociatore australiano che, per l’ingenuità o l’imprudenza del suo comandante, si era avvicinato oltre ogni margine di sicurezza alla nave corsara, esponendosi a una inattesa e totale distruzione.
Le ricerche vennero definitivamente sospese il 29 novembre e la nave dichiarata ufficialmente dispersa, con un comunicato ufficiale, il 1° dicembre.
Solo una cintura di salvataggio e un battello pneumatico erano stati trovati, crivellati di colpi, che andavano alla deriva; e, più tardi, un corpo umano, che però non fu possibile identificare e non è detto che appartenesse all’equipaggio dell’incrociatore australiano.
Del Sydney, da allora, non si è mai più saputo nulla.
È diventato un mistero irrisolto del mare; uno dei tanti.
Per un ulteriore approfondimento, si rinvia alla lettura del libro di Gabriele Zaffiri, Le navi corsare del Terzo Reich, Nicola Calabria Editore, Patti (Messina), 2005.
Filippo ZACCARI
Quale e' stata la imprudenza del comandante del "Sydney" ?
Da quello che ho letto vedo il "Sydney" con 8 cannoni da 152mm e il "Kormoran" con 6 da 155mm dovevano essere ad una distanza utile uguale per ingaggiare un combattimento. Ovviamente l'incrociatore australiano aveva la corazzatura che il corsaro tedesco non aveva.
Pero' il "Sydney" non era il "Devonshire" che con i suoi 203 mm ha potuto mantere a distanza i 155mm dell'"Atlantis" e affondarlo.
FZ
marko
L'incrociatore Sidney, incrociatore leggero Classe Leander faceva solamente 32 nodi contro i 18 scarsi del Kormoran quindi era molto più veloce e poteva giocar al gatto col topo. Il Sidney come armamento principale aveva 8 pezzi da 152/50 in 4 torrette binate,contro 6 da 150 del Kormoran sparsi per la coperta, quindi aveva una maggior bordata in più aveva 8 pezzi da 102/45 in 4 torri binate,oltre a 12 mitragliatrici da 12,7, mentre il corsaro tedesco aveva 2 cannoncini da 37 mm e 5 da 20 mm .Pure come tubi lanciasiluri eran superiori gli australiani 8 a 6. L'errore essersi avvicinato così tanto al Kormoran. Rammento che il Devonshire riuscì ad affondare l'Atlantis non solo per la sua superiorità dei pezzi da 203 contro i 150, ma pure per la velocità utilizzata.L'Atlantis fermo stava rifornendo l'U 126 e che quindi essendosi immerso subito avrebbe potuto silurare l'incrociatore pesante inglese, invece non ci riuscirono per l'alta velocità in cui impegnò il combattimento ed il frequente ricorso a manovre a zig zag che non permisero mai d'aver una accettabile soluzione di lancio, pena dopo il sicuro affondamento del corsaro pure il loro. Lo riconosce il comandante in seconda Ulrich Mohr dell'Atlantis che non gli riuscì nel giochino del Kormoran per questo motivo.Gli australiani pensavano d'aver a che fare con un cargo olandese gli inglesi non si fecero ingannare per niente e controllarono via radio.
marko
mi permetto di segnalare l'indirizzo per interessante ritrovamento del sidney
http://www.adventuresub.it/Uploads/Files/PDF%20AR…
Nicola Fortuna
Una fine romantica come alcuni comandanti tedeschi andavano cercando..
Sturm und drang..
Nicola Fortuna
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