Premessa. Alle spalle di quanto si racconterà ci sono due fatti. In positivo, la pubblicazione del volume collettaneo The Study of Religion under the Impact of Fascism (Brill, 2007), sovente iper-fazioso ma molto documentato. In negativo, il convegno che si svolse nel novembre 2014 “L’eredità di Evola”, che vide dieci docenti universitari che affrontarono altrettanti ambiti del pensiero evoliano e la loro ricaduta culturale diretta e indiretta, convegno che provocò una reazione pre-ventiva e pre-giudiziale all’iniziativa in sé, senza prendersi la bega di ascoltare le relazioni in programma, concretatasi in una sorta di scombiccherata lettera-manifesto in rete firmata da uno storico contemporaneista e sette esponenti della storia delle religioni di via via minore importanza sino allo zero, che metteva in guardia dal diffondersi del “virus Evola” (goliardata indegna di seri studiosi) e si denunciava il tentativo di una “rivalutazione scientifica” del pensatore tradizionalista. Posizione quanto mai democratica, come ben si vede.
Il convegno o seminario “Relazioni pericolose. La storia delle religioni italiana e il fascismo” tenutosi il 3-4 dicembre 2015 all’Università La Sapienza di Roma è stato – guarda caso – organizzato e presenziato dalla “banda degli otto” di cui sopra. Per la verità si dovrebbe dire che le “relazioni pericolose” sembrano esservi tra alcuni dei relatori e l’argomento del seminario stesso, infatti di questo rapporto fra la storia delle religioni italiana e il fascismo storico in quanto tale se n’è vista poca traccia negli interventi su argomenti generali (ebraismo e razzismo, cattolicesimo e Concordato) che sono apparsi vaghi, poco documentati, parziali e pure fuori tema (i riferimenti erano a Hitler e Rosenberg), oppure su escatologia, agape e guerra in cui una italianista con toni vagamente isterici ha tacciato Pascoli di “protofascismo” e si è anche qui assai democraticamente lanciata in invettive ideologiche contro le Edizioni all’Insegna del Veltro e la rivista Eurasia.
Lo stesso si è constatato nelle relazioni dedicate a personalità che si sono volute inserire quasi a forza e per pura polemica, come quella di un “ricercatore indipendente” (sic) su Mircea Eliade contestata per le sue esagerazioni e provocazioni (imbarazzanti per gli stessi organizzatori), in cui sulla base di vecchie tesi di matrice francese si è creduto di demolire la sua fenomenologia religiosa; oppure in un’altra su Furio Jesi che è apparsa una pura esposizione agiografica, ancorché assai poco approfondita (che vuol dire “macchina mitologica”? chi furono i suoi referenti culturali?), un autore, Jesi, di cui l’unico “merito” sembra essere stato la demonizzazione della “cultura di destra”, titolo del suo criminalizzante pamphlet del 1979.
Gli interventi dedicati in esclusiva o quasi a specifici studiosi tra i più significativi della storia delle religioni italiana (diversi i dimenticati, da Macchioro a Brelich) sono stati di maggior interesse, con un approccio fra il neutrale e il fazioso, nel senso che ci hanno rivelato aspetti inediti di questi studiosi che pure sono alle spalle di tutti quelli attuali. Ed ecco così Raffaele Pettazzoni e Giuseppe Tucci, due colonne, organici al fascismo ma per convenienza, veri funzionari del regime solo per finanziare i propri studi e ricerche. Vero è che di Tucci si tralascia quasi tutto a cominciare dai suoi fondamentali rapporti con il Tibet e dalla sua funzione politica in Giappone (en passant è stato definito organico anche Pio Filippani-Ronconi: evidentemente si ignora che è nato nel… 1920!). Scopriamo poi che la “religione civile” di Ernesto De Martino prima fascistissima divenne quindi liberal-azionista e infine comunista, accompagnandolo nel suo personale tragitto politico, senza scandalo veruno. Last but non least veniamo a sapere che Dario Sabbatucci, ex RSI (non se n’è mai vergognato, come sa chi lo frequentò) fu fascista sino alle midolla sia con la sua rivista Occidentale, cui collaborarono ex fascisti e giovani neofascisti, ma anche nella sua interpretazione della storia delle religioni, che peraltro era fuori del tempo e non aveva capito nulla di quanto accadeva nel mondo, tanto che la “scuola romana” iniziata con Angelo Brelich e proseguita da Sabbatucci e altri dopo di lui, sarebbe miseramente fallita, senza lasciare tracce. Come dire: meno male che adesso ci siano noi…
Il seminario è stato deludente, non è paragonabile al volume inglese di riferimento perché sconclusionato e dispersivo eccetto che per il comune denominatore del livore e faziosità strumentale, alcune volte al limite dell’isteria. L’intento, come è stato detto esplicitamente nella introduzione degli organizzatori, era invero quello di approfondire il tema soprattutto fra gli specialisti “suscitando una reazione”, e invece paradossalmente è stato poi affermato: “Constato che mancano fra il pubblico i rappresentanti di storia delle religioni” (sic). A parte il fatto che diversi relatori non erano in alcun modo storici delle religioni!
Per la questione in negativo non si capisce in che modo si volesse “rispondere” al convegno evoliano di un anno prima, tenuto presente che queste erano le intenzioni dette o non dette: nell’introduzione al seminario si è infatti affermato che “durante la seduta di una riunione, qualche mese fa, è emersa la questione se Evola potesse essere incluso tra gli storici delle religioni e da qui è nata l’idea di questo convegno…”. Che, però, del casus belli Julius Evola non ha parlato affatto, a parte un paio di minimi accenni occasionali sparsi qua e là. Forse si voleva dimostrare che nell’ambito della storia delle religioni nostrana l’atmosfera è cambiata e che ormai si condanna senza se e senza ma il fascismo dei Maestri conclamati e dei discepoli più recenti? Mah! Misteri dell’italica Accademia sempre più acchiappanuvole, ossessionata dal fascismo di ieri e soprattutto interessata a conservare i posti di potere. Una banalissima operazione freudiana, quella di uccidere i “padri” reali e spirituali… Uno psicodramma ala “Sapienza”, in altri termini. Dispiace che ne sia rimasto coinvolto qualche serio studioso e docente. Insomma, una operazione fallita, modesta e quasi isterica allo stesso tempo. Importante solo per il ristretto gruppo dei promotori che hanno manifestato di esistere. Se quel che riesce a mettere in campo l’Accademia “antifascista” è culturalmente questo, non è il caso di preoccuparsi per il futuro. Questi personaggi sembrano solo interessati a mantenere le posizioni che occupano stabilmente asserragliati nel loro bunker e, manovrando i concorsi a cattedre, di impedire l’accesso ad altri giovani studiosi, questi sì, anticonformisti. Ma ognuno si difende come può… Ma non lo potrà fare in eterno.
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