Una genealogia dell’origine. Brevissime note su Aldilà di Bene e Male

“L’idea del discontinuum è il fondamento

della vera tradizione”

(Walter Benjamin)

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Aldilà di Bene e Male (Edizioni di Ar 2014, con testo originale a fronte) è un’opera dalle mille facce sin dal titolo. Sembra rimandare a un aldilà, a una trascendenza, a un oltre, mentre invece àncora nell’aldiquà, proprio attraverso il tramonto dell’endiadi bene/male come sanzione ultraterrena e ‘norma’ divina. Ma insieme libera da un aldiquà dominato dalla morale, dalla necessità della legge, dalla obbligatorietà del bene/male. Il suo ‘spazio’ è dunque inafferrabile, né qui, né là. Un ‘dove’ che resta ancora da cercare (presumendo di poterlo mai trovare…), e ‘per natura’ irraggiungibile da tutti gli abbagliati, convinti di essere i prescelti di Nietzsche, i soli (pur essendo in realtà legioni…) autentici destinatari della sua ‘parola’.

aldila-di-bene-e-maleIl titolo allude a un che di enorme, di portata immensa. Eppure, il sottotitolo dice: aldilà di bene e male altro non è che un mero preludio, un prologo a ciò che è davvero decisivo: una filosofia del futuro. Non la, ma una. Nietzsche qui non inganna. Non c’è un’unica e sola filosofia del futuro. Tra le tante possibili, quella nietzscheana si apre su un indeterminato, inafferrabile ‘domani del domani’. Filosofia dell’Übermorgen.

Che cos’è il futuro cui accenna il sottotitolo di Aldilà di Bene e Male? La domanda non è semplicemente mal posta, ma fuorviante. Perché vorrebbe irrigidire in un’essenza quel che le sfugge, in un vertiginoso sottrarsi alla logica del definire. Pertanto, ogni ipostatizzazione del futuro, inteso come l’indubitabile luogo mitico/messianico della felicità negata nell’oggi, oppure il necessitato compimento di un fine già intravisto e descritto, meta ultima di un processo infermabile, è radicalmente esclusa da Nietzsche. Il futuro rimane a custodia della pluralità dei possibili, in quanto ‘domani del domani’, Übermorgen.

La volontà di potenza si affaccia anche in Aldilà di Bene e Male, quale inestricabile intreccio di potentia e potestas, dunque possibilità/potenzialità, e potere, quindi forza, capacità. La potenza è sia il possibile (che può realizzarsi o può non realizzarsi), sia il potere (di fare, imporre, dominare). Pena l’essiccarsi della vita e il venir meno del divenire, è potentia, ossia ‘riserva’ inesauribile di possibili che sempre eccede ogni passaggio all’atto. Al contempo, in quanto creatrice di vita è potestas. La potenza, erma bifronte, appartiene in pieno all’enigma Nietzsche.

Contro la relazione meccanicista di causa/effetto, Nietzsche innanzitutto riguadagna la potenza come possibile. Il meccanicismo del Seicento aveva infatti sostituito la coppia potenza/atto con quella di causa/effetto, dando vita così a un ordine rigidamente deterministico che escludeva ogni eccedenza della potenza rispetto all’atto, in qualche modo riproponendo, pur nelle scontate differenze storico-culturali, le tesi, di stampo quasi eleatico, della scuola megarica (“non è possibile ciò che non è o non sarà”, come ne riassumeva l’argomento dominante Epitteto nelle sue Diatribe II, 19, 1) già confutate da Aristotele in una fondamentale pagina della sua Metafisica (1046b 29-1047a 25).

In Aldilà di Bene e Male ricorre un termine, Herkunft (pp. 188, 290, 330), dalla chiara ‘tonalità’ genealogica. Scrive Foucault: “Herkunft è la stirpe, la provenienza; è la vecchia appartenenza ad un gruppo – quello del sangue, quello della tradizione […]. Herkunft mette in gioco la razza o il tipo sociale” (Microfisica del potere, Torino 1978, p. 34). Non a caso, l’aristocratico per Nietzsche appartiene a una specie (Art), di cui non si può far parte per mero capriccio individuale o per narcisistica autoproclamazione.

Ma Herkunft viene utilizzato da Nietzsche anche come sinonimo di Ursprung, origine. In tal modo si salda il sapere genealogico con la potenza (nel duplice senso di potentia/potestas) dell’origine. Questo perché l’origine non è qualcosa di statico e di astorico, costitutivamente chiusa in una inviolabile dimensione metafisica. Perciò si dà (si può dare) una genealogia dell’origine, dagli esiti mai lineari e rassicuranti, sempre in bilico, sempre esposta al rischio della peripéteia, cioè di un brusco rovesciamento delle sue sorti.

Potentia dell’origine significa che quest’ultima non è mai data una volta per tutte, ma può conoscere nuove aurore, può assumere nuovi ‘volti’ nello scorrere della storia; così come può rimanere nel puramente possibile, alterità che non passa in atto, non si realizza. Laddove invece la potestas è l’‘attivazione’ della potentia, non governata però da necessità, pena l’inevitabile realizzarsi della stessa potentia e quindi il suo fatale ‘snaturamento’.

Una filosofia del futuro potrà essere allora (nessuna teleologia, quindi, ché il futuro, come si è detto, è ‘appeso’ alla libertà del possibile) un nuovo possibile inizio dell’origine. Origine e futuro, lungi dall’escludersi a vicenda, possono così incontrarsi, quasi anticipando l’epigrafe krausiana scelta da Walter Benjamin per la sua quattordicesima tesi sul concetto di storia: “origine è la meta”.

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