Lo statuto di grande classico della filosofia che connota l’opera di Platone giustifica la lotta delle interpretazioni scatenatasi intorno ad essa sin da subito, specialmente in relazione al suo ‘lato’ politico. Ce ne dava conferma una decina di anni fa il bel libro di Mario Vegetti, “Un paradigma in cielo”. Platone politico da Aristotele al Novecento. Oggi, per la stessa casa editrice (la Carocci) è uscito, a cura di Mauro Bonazzi e Raffaella Colombo, un altro importante volume sul tema, intitolato Sotto il segno di Platone. Il conflitto delle interpretazioni nella Germania del Novecento. Com’è facilmente desumibile dal sottotitolo, la ricerca è più circoscritta, ma non per questo meno significativa, andando dal Platone dei neokantiani sino a quello della Arendt, e passando per le interpretazioni di Heidegger, Gadamer, Kelsen, Strauss, Voegelin e Popper. Oltre questi nomi, però, ce ne sono altri, tutti racchiusi nel secondo capitolo del libro, sui quali è il caso di dire qualcosa.
Il capitolo in questione, che si deve a Mauro Bonazzi, ha per titolo “In cerca di un nuovo Platone: da Wilamowitz al Terzo Reich”. Nuovo Platone perché il filologo von Wilamowitz-Moellendorf, dando alle stampe il suo Platon, inaugurava, in diretta polemica con l’interpretazione neokantiana di Platone, una nuova immagine del grande ateniese tutta centrata sulla politica; in breve, riprendendo un giudizio di Isnardi Parente, riportato da Bonazzi, l’opera di Wilamowitz costituiva “la consacrazione ufficiale di questo nuovo Platone aner politikos del secolo XX” (p. 46). Con ciò era aperta la strada ad una rinnovata centralità del Platone pensatore politico, testimoniata ad esempio dalla successiva opera di Werner Jaeger, il cui fulcro era il Platone politico in quanto educatore di cittadini resi in tal modo consapevoli di far parte di uno Stato organico imperniato sulla superiorità della comunità e dell’intero sul singolo individuo e sulla parte. In estrema sintesi, politica e paideia.
Anche nel circolo di Stefan George la presenza di Platone è decisiva. Gli studiosi infatti “contano almeno 26 libri sul filosofo ateniese pubblicati da membri del circolo” (p. 51), tra i quali spicca per originalità e forza argomentativa l’opera maggiore di Kurt Hildebrandt, Platone: la lotta dello spirito per la potenza. Da qui, e da altri lavori di autori nazionalsocialisti come Hans Bogner e Joachim Bannes, vien fuori, a discapito dello stesso Nietzsche, l’immagine di Platone come il vero “filosofo ufficiale del Terzo Reich” (è la definizione che ne dà Johann Chapoutot nel suo Il nazismo e l’antichità).
E’ in questo contesto che Hans Friedrich Karl Günther pubblica nel 1928 un libro destinato a enorme fortuna (almeno venti ristampe e più di 130.000 copie vendute), ovvero Platone custode della vita, tradotto anche in italiano dalle Edizioni di Ar (ultima edizione 2007). Di questo testo Bonazzi dice cose assai interessanti, insistendo sulla sua originalità, visto che in esso “accanto alla componente prettamente biologica si aggiunge – in posizione preminente – una dimensione per così dire spirituale: non darwiniana ma platonica” (p. 55). E ancora: “il discorso prende una direzione nuova, in cui quello che conta non è soltanto il corpo ma l’unione spirituale tra anima e corpo – o la forma dell’intero […], appropriandosi di termini (la forma, Gestalt) che tanta importanza avevano avuto all’interno del circolo di George” (p. 55). Per finire, in nota Bonazzi su queste tematiche rinvia ai lavori, a suo dire “fondamentali” (p. 60), di Simona Forti e Alan Kim, usciti rispettivamente nel 2003 e nel 2018.
Ora, si dà il caso che le Edizioni di Ar abbiano stampato separatamente altri due testi di Günther, cioè Religiosità indoeuropea e Humanitas, poi ripubblicati nel 2011 in un unico volume, con l’accompagnamento di una “Notizia biobibliografica” redatta da Adriano Romualdi e risalente all’epoca delle prime edizioni dei due scritti, ossia al 1970. Leggendo questa “Notizia” ci s’imbatte , nel seguente passaggio (p. 78) che anticipa di decenni le analisi “fondamentali” riprese da Bonazzi, a riprova della vitalità e della validità della cultura non-conformista, pur se misconosciuta negli ambienti ‘accademici’: “nonostante le premesse naturalistiche, la filosofia della razza di Günther va quasi a sfociare in una metafisica della forma, della Gestalt […]. Con ciò, essa trascende sé stessa, oltrepassa il suo darwinismo e dal piano del divenire s’affaccia a quello dell’essere. Razza non è solo un dato biologico. E’ un archetipo, un’idea, nel senso che Platone dava a questa parola. Essa è meno un criterio zoologico collettivo cui il singolo deve conformarsi, che una norma di perfezione umana”. E questo è quanto…
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