Una cattiva cultura

baudelaireIn questo articolo intendo esporre brevemente i temi contenuti ne I fiori del male di Charles Baudelaire, il che mi darà occasione di svolgere delle polemiche concernenti il modo in cui attualmente, soprattutto in Italia, viene intesa la cultura.

Alla base della poetica di Baudelaire ritengo vi sia un modo esclusivamente fisico di considerare le cose. A fondamento di essa vi sarebbero cioè considerazioni di tipo prettamente biologico.

Per il poeta francese sarebbe esistita una sorta di età aurea popolata da un uomo fisiologicamente sano e forte. In tale mondo delle origini armonia e lacerazione erano, per così dire, congiunte. L’uomo originario sarebbe stato un barbaro privo di coscienza e perciò antiutilitarista. Traeva cioè esclusivamente da sé i mezzi per mantenersi in vita. Sesso, dissolutezza e delitto (quest’ultimo non viene troppo esplicitamente preso in considerazione ne I fiori del male), non costituivano ancora dei problemi.

Per un corpo resistente una sessualità sfrenata non è usurante. Ma essa è anche un potente fattore di disgregazione sociale. L’uomo originario non aveva tuttavia bisogno di vivere in società, di cooperare con i suoi simili.

Per un corpo resistente il vizio (ad esempio del bere), non deturpa, non apporta malattie, ma neanche snervamento e malori. Un tale corpo si manterrà inoltre giovane e vigoroso, contrastando tenacemente gli effetti deleteri della vecchiaia.

Infine, qualora si disponga di una forza e di una destrezza tali da imporsi su ogni avversario (sto parlando ovviamente di una situazione ideale), l’azione delittuosa non risulterà sconveniente, né, dunque, nel suo esercizio attuale, né per ciò che potrà eventualmente comportare in futuro. Per chi dispone delle suddette qualità il delitto non potrà rappresentare un male.

Ma allora, nel mondo delle origini, per Baudelaire, il male ancora non esisteva (sarà l’uomo debole, per il poeta, a crearlo con il suo avvento). E se il male non esisteva al mondo si offriva solo bellezza. In ciò consisterebbe il tema della bellezza del male (del suo fascino), nel poeta francese. Tutto, del creato, celebrava e decantava l’uomo originario. A ciò, mi sembra, sia riconducibile il motivo baudelairiano delle ‘corrispondenze’.

Baudelaire è un poeta maledetto. Da debole uomo moderno, per costui non vengono tuttavia meno le sfrenate tendenze alla dissolutezza e alla trasgressione (ma ciò vale in fondo, sia pure in misura diversa, per ogni uomo). Ma la coscienza della contro-utilità di tale irrimediabile indole lo condanna al rimorso. Quest’ultimo non ha in Baudelaire nulla di morale o di religioso, consistendo nell’amara consapevolezza (del tutto scientifica, o più generalmente conoscitiva), del danno o del disagio esclusivamente materiali che una condotta licenziosa, a breve o a lungo termine, andrà a determinare.

La mentalità poetica riesce tuttavia a produrre e a godere di momenti di liberazione, che l’uso delle droghe e dell’alcol favoriscono nel loro prodursi. Tali sostanze, lungi dal tramortire la coscienza, la espandono. Dei momenti di estasi e di ditirambo dissolvono ogni rigida e opprimente gerarchia sociale. Ma anche la fatica e le durezze dell’esistenza (da coloro che sono sottoposti anche a tali tipi di disagi) verranno temporaneamente dimenticate.

In tali estasi, più che di recupero di dignità, si tratta di imporre quasi prepotentemente la propria personalità, di farsi valere al di là di tutto (anche al di là del bene e del male). Si tratta di acquisire un valore che non ha nulla di solenne, riguardando piuttosto la sfera sessuale. L’antica armonia è, in quegli attimi, ricomposta. Ciò che ci circonda, come il sorriso sensuale e compiacente di una donna di cui si è attirato lo sguardo, quasi accompagna musicalmente l’ebbro modo d’essere che ho appena concluso di descrivere.

Altra tematica caratterizzante la raccolta poetica in questione è quella della caducità delle cose, e in particolare della caducità umana. In un mondo che, a differenza di quello delle origini, è lontano dal ricordare la stabilità dell’Idea, le cose sono assai soggette agli acciacchi e alle usure del tempo. Sono cioè accentuatamente soggette al divenire. Ciò produce, per il poeta, amarezza. Ma tale caducità può anche trasmettere il senso della bellezza poiché, in generale, un male, e dunque un ‘brutto’, per Baudelaire, come si è detto, non esistono.

Anche chi ha la fortuna di vivere negli agi non può sfuggire alla noia. Essa, che quando assale per il poeta non concede sbocchi, ci condanna a sprecare del tempo prezioso, a non vivere pienamente e felicemente la vita.

A proposito della morte, essa sembra avere in Baudelaire relazione con la gioia estatica di cui si è detto sopra. Per l’uomo delle origini vita e morte, quantomeno, tendevano a coincidere. Lo sventurato uomo delle età successive al suo pensiero si consola, in quanto da un lato relativizza la sua più o meno decorosa condizione esistenziale (con riferimento ad esempio a questioni di onorabilità), dall’altro pone fine alle asprezze della vita, concedendo quiete e riposo.

La scienza, infine, è il mezzo tramite il quale, in modo molto terreno, l’uomo può riconvergere verso l’origine (ad esempio e in primo luogo, prevenendo e curando quelle malattie che la sua inclinazione è destinata a procurargli). Nella sua poesia dedicata a Satana, Baudelaire associa la scienza a tale personaggio in quanto giunge in soccorso di chiunque, non discriminando tra buoni e cattivi.

Il poeta francese, post-romantico, recupera – per giunta radicalizzandola – la mentalità illuministica e artisticamente anticipa la lezione delle avanguardie storiche, rompendo l’unità estetica, morale e ontologica caratterizzante l’arte tradizionale.

Al giorno d’oggi assistiamo, a mio parere, agli effetti di una vera e propria regressione ad una fase che definirei di ‘bella eticità’, del tutto dimentichi del fatto che l’occidente abbia conosciuto, ad esempio, i due fenomeni culturali sopramenzionati (Chiesa e politici sono fra l’altro d’accordo nell’avallare tale mentalità oggi prevalente nella società).

L’ingenuità nel credere che la realtà sia tale quale la vediamo si accompagna all’ipocrisia dell’attribuire nobiltà a ciò che non ha nulla di nobile e, infine, ad un tedioso gusto per ciò che è sentimentale. Un incremento del superficiale sentimentalismo (comunque molto diffuso nelle società attuali), a discapito dell’umanismo imperante, realizzerebbe a mio parere un po’ di progresso.

Dunque, un’unità del buono, del vero e del bello degno della più deteriore scolastica torna oggi ad imporsi e con esso un’idea di ‘classico’ altrettanto deteriore. L’attuale concetto di cultura auspica che un manicheismo puerile, bonario e inflessibile raddrizzi le società. Ma non credo che lo scopo dell’arte sia favorire il raggiungimento della pace mondiale. L’arte deve a mio parere tendere alla dissoluzione della realtà e dell’io.

Concludendo, tra gli scopi di questo articolo (il cui titolo può essere inteso in doppio senso), vi era quello di far emergere la contrapposizione tra un esempio di ‘cultura cattiva’ e ciò che è a mio parere una cattiva cultura.

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Umberto Petrongari è nato a Rieti nel 1978. Laureatosi in filosofia presso l’Università degli Studi dell'Aquila, ha pubblicato per la casa editrice Aracne due saggi dal titolo: Il pensiero negativo di Julius Evola e il suo oltrepassamento (2013); Excalibur e la tradizione ermetico-alchemica (2014).

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