Un mondo nuovo

[…] Non per caso Faust chiude la sua esistenza con la visione della operosità umana. La storia cambia pagina e il mondo della tecnica conquista il suo spazio.

Dirne bene, o male, ciò non esaurisce il problema: v’è nella realtà della età tecnica una ignoranza d’ogni altra prospettiva, ma anche uno spirito di razionalità e di padronanza che s’inquadra nel contesto d’una tradizione europea.

Poichè le radici della matematica sono apollinee, anche se le applicazioni sembrano venire incontro a Marsia.

V’è nella scienza e nella tecnica una aderenza allo stile interiore dell’uomo bianco che non si può disconoscere. Uno stile ormai ottuso, una vocazione decaduta ad abitudine meccanica, ma dominata da una volontà di chiarezza che ci rende comprensibile la finale benedizione goethiana dell’operosità. Infine, l’operosità non è stata che l’ultima, tardiva incarnazione della spiritualità europea, come l’imperialisrno e lo stoicismo lo eran stati di quella classica.

Possiamo noi rinnegare semplicemente una così importante corrente spirituale? O meglio: possiamo semplicemente disfarci del gravoso fardello della civiltà bianca? La vocazione apollinea dell’uomo bianco esclude una tale abdicazione. Egli non può cessar di ascoltare il suo interiore comando che è quello di creare e di sostenere l’ordine. Midgard — il paese di mezzo, il paese dell’uomo — va continuamente difeso contro Utgard, contro le forze del caos urgenti dal «paese esterno ». Midgard è uno dei più profondi concetti simbolici espressi dalle stirpi ariane e germaniche, è il simbolo «della collaborazione di tutte le forze umane e divine».

Si è parlato, a proposito della crisi dell’arte, di una «perdita del centro», d’una «morte della luce». Questo centro è il canone classico, e la luce quella della tradizione europea. Così come l’eclisse della luce nell’arte incomincia col distacco da quei valori plastici sentiti come «normali» dall’umanità bianca, così è dallo stesso offuscarsi dell’ideale dell’uomo bianco che oggi si irradia il caos. La critica della concezione «eurocentrica», sia da parte dei propagandisti della rivoluzione mondiale, sia di certi torbidi spiritualismi, è un aspetto di questa «perdita del centro».

Certo, noi siamo oggi assai critici sull’opera dell’uomo bianco negli ultimi cento anni. Spazi sono stati invasi, limiti rimossi, la cui esistenza era sacra non per gli altri, ma per noi. L’apartheid è vitale per ognuna delle parti in causa. La profanazione fin delle ultime aree lasciate a modelli culturali diversi ha inutilmente infettato il nostro modello, impoverendo la ricchezza spirituale del mondo. Una paurosa desolazione dell’intero pianeta ne è la conseguenza, una devastazione che oggi ci minaccia anche nei suoi riflessi ecologici.

Ma così come la guarigione è patrimonio esclusivo del malato, così il risanamento della nostra civiltà è un nostro compito interno. L’ordine dell’uomo bianco può aver prodotto molti colpevoli effetti, ma è una macchina troppo delicata perchè altri possa pensare a ripararla. Il fardello dell’uomo bianco — la responsabilità per le razze impure, senili o superstiziose — insieme con l’ingratitudine degli assistiti e l’incomprensione dei chierici traditori — non ci è ancora risparmiato:

Take up the White Man’s burden
Send forth the best ye breed —
Go bind yours sons to exile
To serve yours captive’s need,
To wait in heavy harness,
On fluttered folk, and wild —
Your new-caught, sullen peoples,
Half-devil and half-child

Take up the White Man’s burden
The savage wars of peace —
Fill full the mouth of Famine
And bid the sickness cease;
And when your goal is nearest
The end for others sought,
Watch Sloth and heathen Folly,
Bring all your hope to nought.
Take up the White Man’s burden,
And reap his old reward —
The blame of those ye better,
The hate of those ye guard…

Il fardello dell’uomo bianco rimane — in senso più profondo di quello di ieri — la parola della fedeltà a noi stessi.

Che proprio contro di esso si gonfino le bestemmie della sovversione, non è un caso. Perchè il centro vada completamente perduto, e la luce spenta, occorre che l’immagine dell’homo europaeus sia prima estinta. Sotto questo aspetto, l’esaltazione del negro come simbolo di tutto ciò che è notturno e libidinosamente ribelle, insieme con l’ostilità al tipo psichico e persino fisico del germano e dell’anglosassone, non sono solo fenomeni di costume, ma mosse sottili d’una partita a scacchi della notte contro la luce.

* * *

Tratto da Sul problema di una tradizione europea, ed. di Vie della Tradizione, Palermo 1996(2), pp. 48-51.

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