La fioritura di studi sull’organizzazione dello Stato fascista, che negli ultimi anni ha prodotto documenti di grande qualità scientifica, ci parla in modo chiaro del fatto che il Fascismo, lungi dall’essere morta reliquia del passato, è al contrario ben presente nella memoria storica. Esso è al centro della ricerca, sollecita analisi e indagini anche minute, ricostruzioni che investono l’ideologia, il funzionamento, lo sviluppo e il senso ultimo di quell’edificio politico, che si presentava come il tentativo epocale di superare lo Stato liberale costruendo un sistema alternativo, di nuovo conio, rivoluzionario in senso pieno. Limitandoci alla sola editoria italiana e restringendo la visuale alla sola struttura statale, ricordiamo che, negli ultimi anni, sull’esperienza fascista si sono succeduti libri di gran pregio, che in poco tempo hanno coperto la distanza dal primo lavoro specifico, rimasto a lungo isolato, quello di Acquarone sull’organizzazione dello Stato totalitario, risalente agli anni Sessanta. Per registrare solo alcuni di questi casi, si va da Lo Sato fascista curato da Marco Palla nel 2001, a Lo Stato fascista e la sua classe politica di Didier Musiedlak (2003), da Lo Stato negli anni Trenta a cura di Guido Melis del 2008, a Nel cantiere dello Stato fascista (2008) e Lo Stato-Partito del fascismo (2009), entrambi di Loreto Di Nucci, e fino al recente Lo Stato fascista di Sabino Cassese (2010). Ad essi si unisce adesso Lo Stato fascista. Le basi sindacali e corporative (Le Lettere) di Francesco Perfetti, che raccoglie anche studi precedenti sul tema, inquadrando tutto il fenomeno fascista nei suoi legami strutturali con il sindacalismo rivoluzionario.
Già da molti anni studioso di questi temi insieme a Parlato (ricordiamo i loro importanti studi pubblicati negli anni Ottanta da Bonacci), sull’onda lunga dell’insegnamento defeliciano, Perfetti svolge un’indagine a tutto campo, seguendo l’intero arco dell’evoluzione storica dell’edificio fascista: dalla fase “liberale” del regime (1922-25), a quella autoritaria, gestita per lo più da Rocco negli anni 1925-29, allo Stato corporativo degli anni Trenta, che accompagnerà l’evoluzione storica fino al caso atipico della Repubblica Sociale, da Perfetti confermata essenzialmente nella sua struttura di Stato “di fatto” nato entro circostanze straordinarie, ma pur sempre in grado di «portare sotto il suo controllo, sia pure parziale, attività, industrie e amministrazione di beni nazionali». Noi aggiungiamo che, se il crisma di legittimità viene dato a uno Stato dalle tre essenziali funzioni – capacità decisionale di un Governo che disponga di una sua burocrazia; libertà di battere moneta; disponibilità di un esercito -, allora la RSI, pur Stato “di fatto” avente una Costituzione in pectore, poiché rimandata alla fine della guerra, si presenta con titoli di legittimazione maggiori che non lo Stato “del Sud”, dove i tre elementi vennero a mancare, ma che, ciò nonostante, viene riconosciuto avere una sua legittimità sovrana.
Ma i fattori di maggiore interesse del libro di Perfetti riguardano la sua analisi dei rapporti fra sindacalismo rivoluzionario e Fascismo. La galassia sindacalista, di antica ascendenza soreliana, era e rimase l’anima di quella corrente “di sinistra” del Fascismo che non venne mai meno, che rimase attiva e presente anche nei periodi di maggiore capacità condizionante degli ambienti liberali e fiancheggiatori. Essa, saldandosi alla figura carismatica del Duce e al rinato senso di socialità e solidarismo nazionale, fu alla base di quel consenso a lungo negato dagli storici settari dell’antifascismo, che invece Perfetti, confermando le più recenti acquisizioni, e godendo in questo di una maggiore indipendenza di giudizio rispetto all’infelice passato, non ha problemi a giudicare nel suo valore reale, scrivendo che «non è facilmente contestabile la dimensione di un successo che, come fu subito rilevato dagli osservatori stranieri, suonava come approvazione, soprattutto da parte di quei giovani che non avevano avuto l’opportunità di conoscere un altro regime, del Fascismo e della sua politica sì, ma soprattutto di Mussolini, in un momento in cui i primi contraccolpi della crisi economica internazionale stavano raggiungendo anche l’Italia». Per l’appunto: nel bel mezzo della crisi economica, si ebbe proprio l’impennata di consenso specialmente da parte dei giovani, che pungolavano in continuazione il regime verso l’attuazione della rivoluzione sociale promessa, e che in tal modo intrecciarono la loro volontà innovatrice alle antiche istanze del sindacalismo rivoluzionario.
Questo, all’interno e con il regime, funzionò molto spesso da spinta al cambiamento. Anche dopo che i sindacati di Rossoni vennero inquadrati nel sistema autoritario, il dinamismo ideologico rimase sulla linea del sindacalismo, intesa, come disse Rossoni sin da 1922, a rinsaldare «l’analogia del principio sindacalista e del principio nazionale». Il cuore della concezione sindacalista rivoluzionaria era l’inserimento del lavoro nello Stato, era il voler far premio alle capacità dell’individuo (la “meritocrazia” venne valutata in Italia con un anticipo di novant’anni sugli attuali ripensamenti del liberalismo giacobino), era la consegna alla politica del primato sull’economia. Che le organizzazioni economiche dovessero dipendere dal Partito era appunto il segnale di questa tendenza. Perfetti rimarca che queste impostazioni – presenti ad es. in Costamagna – avrebbero fatto sì che «le corporazioni nazionali e i gruppi di competenza avrebbero dovuto essere strumenti del partito per affermare il “realismo fascista” contro il “nominalismo liberale” e portare così alla realizzazione del regime della cosiddetta “rappresentanza qualificata”».
Ognuno noterà all’istante che questi temi, a tutt’oggi dibattuti da ciò che resta della deteriorata politologia italiana, negli anni Venti e Trenta erano materia corrente, impegnante alcune fra le menti politiche e costituzionaliste più talentuose del Novecento italiano, dallo stesso Costamagna a Panunzio, a Olivetti. Uomini innovativi, personaggi che indicavano strade nuove, mai prima battute da altri. Ma queste opzioni teoriche – differenza sostanziale dal presente regime liberale – non rimasero chiacchiere. Divennero la realtà di uno Stato nuovo.
Ad esempio allorquando, grazie al dinamismo di Bottai – un politico la cui statura di realizzatore di sostanziali riforme non sarà mai abbastanza studiata – vennero creati istituti come il Consiglio Nazionale delle Corporazioni e lo stesso Ministero corporativo, che abbatterono di fatto lo Stato individualista e oligarchico precedente, realizzando nei fatti l’incontro fra efficientismo moderno e interesse di categoria, armonizzando il lavoro con il funzionalismo economico nazionale, e inquadrando il tutto nell’ambito di una concezione essenzialmente politica: «Bottai esprimeva – precisa Perfetti – un’idea funzionale anche alle necessità di preparare una risposta alle prime avvisaglie della grande crisi economica, una risposta che, nel quadro di un programma di potenziamento e razionalizzazione della economia nazionale, concepiva il ministero delle Corporazioni, su base dirigistica, come un vero e proprio ministero della programmazione economica».
È un fatto storico noto che, grazie a queste iniziative, l’Italia soffrì molto meno degli Stati liberali della crisi.
È un fatto storico noto che gli Stati Uniti, col “New Deal” di Roosevelt, operarono un ricopiatura dei metodi italiani di fronteggiare la recessione.
È un fatto storico noto che il “boom economico” italiano degli anni Sessanta dipese in linea retta dalle basi strutturali gettate dal Fascismo – si pensi solo alla creazione dell’IRI e al dirigismo menegeriale di un Beneduce, che lavorava sulla traccia datagli dal potere politico e non in base agli interessi dei capitalisti – e dal sistema di protezione sociale da esso realizzato. Il fervore ideologico che batteva in situazioni come quella del Convegno corporativo di Ferrara – sui cui a lungo si intrattiene Perfetti – non era fatto di parole. Al dibattito sulle idee solevano seguire fatti concreti.
Chi si azzarderebbe, oggi, a negare che il potere è nelle mani di inetti di provata incapacità a “destra” come a “sinistra”, oggi che il Parlamento è popolato da un’oligarchia di infimo ordine morale e politico, chi si azzarderebbe a paragonare lo storico efficientismo dello Stato fascista allo storico inefficientismo del presente Stato liberale?
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Tratto da Linea del 12 febbraio 2011.
alessandro vailati
solamente bravi
Marco
Straordinario come sempre! A Luca Lionello Rimbotti va un sentito ringraziamento per i suoi pregevolissimi articoli.