Fu “Resistenza” o crimine?

attentatoQuando, dopo Stalingrado, dall’inetto microcosmo dei congiurati antinazisti emerse la figura di von Stauffenberg, cominciarono i dispetti e le invidie. I vecchi cospiratori professionali, il cui capo era Goerdeler, non lo ebbero mai in simpatia. Dissero che era «bruciato dall’ambizione», che manifestava una «arrogante leggerezza», che era una «testa balzana». Lo accusavano pure di essere “di sinistra”, per via delle sue simpatie per il “socialismo nazionale” e per la sua idea di cercare una pace di compromesso con Stalin. Stauffenberg voleva soppiantare i generali irresoluti (del tipo di Beck e Halder), che da anni parlavano di colpo di Stato ma poi, davanti a Hitler, da cui avevano volentieri accettato onori e potere, non battevano ciglio. Il giovane colonnello ricambiava con disprezzo la pessima opinione che i suoi colleghi congiurati avevano di lui. Li definiva dei «posatappeti» e li liquidava come moralmente deficitari e incapaci di azione, succubi com’erano della loro codardia. Anche nei riguardi del “Circolo di Kreisau” – un ristretto salotto di frondisti intellettuali, mezzi “di sinistra” e mezzi nazionalisti -, Stauffenberg ebbe profonda disistima, definendolo un «crocchio di pettegoli». Dietro le quinte, tra le magre file dei congiurati, si svolgeva una lotta sorda tra quanti intendevano assicurarsi la leadership del complotto, e non mancarono i colpi bassi. Erano tutte persone che, man mano che la sconfitta si avvicinava, si misero a elaborare un dilettantesco piano di rivolta dietro l’altro. Erano spinti soprattutto dalla temuta prospettiva di essere travolti dal disastro e di perdere, così, quanto rimaneva delle posizioni di potere di una casta al tramonto.

obiettivo-hitlerSecondo quanto afferma Joachim Fest in Obiettivo Hitler. La resistenza al nazismo e l’attentato del 20 luglio, anche quei pochi che si unirono alla congiura per ideali religiosi, davano l’impressione che «pensassero sì alla salvezza del loro paese… ma forse anche di più a quella delle loro anime». All’indomani del 20 luglio, lo stesso Churchill definì il clima della “resistenza” tedesca come «una sanguinosa rissa per il potere », mentre persino il fuoriuscito Rudolf Herrnstadt, da radio Mosca, si disse soddisfatto che Hitler avesse spazzato via «questa congrega di aristocratici reazionari». Pochi giorni prima dell’attentato alla “Tana del lupo”, Stauffenberg fu messo di fronte al pericolo che l’intero castello dell’organizzazione clandestina stesse per crollare. Tra l’altro, seppe che al suo collaboratore Ludwig Gehre, un capitano del controspionaggio, erano saltati i nervi e andava in giro a dire che, se la Gestapo lo avesse preso, avrebbe «scoperchiato tutte le pentole», facendo nomi e cognomi dei congiurati della Bendlerstrasse, il Comando della Riserva di Berlino che era il cuore della sedizione. Fu per questo che Stauffenberg decise di affrettare l’azione, così che di lì a pochi giorni mise a segno il disastroso attentato del 20 luglio. Questa la temperatura morale della “resistenza” tedesca.

operazione-walkiriaDa non molto, è uscito in Italia un piccolo libro di celebrazione della congiura del 20 luglio. Si tratta di Operazione Walkiria. Hitler deve morire di Luciano Garibaldi (Edizioni Ares), che ne esalta il carattere democratico e cristiano. Nonostante che l’autore sia conosciuto per aver firmato diversi lavori storici di alta qualità, dobbiamo dire che in questo caso si tratta di un malposto atto di omaggio a un ambiente che – fatto salvo il rispetto che deve essere reso a chi pagò di persona – non registra in generale l’apprezzamento degli storici. Qua e là compaiono anche contraddizioni non da poco. Come, ad esempio, quando si afferma che il regime di Hitler «restò al potere soprattutto col terrore, come è tipico di una forza politica collettivistica e di sinistra quale esso fu…». Di sinistra o di destra, fatto sta che qualche pagina prima lo stesso autore scrive che Hitler era «l’uomo che tutta la Germania osannava». Bisognerebbe decidersi. Che i tedeschi stessero dalla parte del regime, e non da quella dei congiurati, sono i maggiori storici ad affermarlo. Basti per tutti quanto scritto da Ian Kershaw nella sua monumentale biografia di Hitler: «Il fallito attentato ravvivò il sostegno hitleriano non solo in Germania, ma anche tra i soldati del fronte. Tra i prigionieri di guerra caduti in mano alleata in Normandia si registrava ad esempio, alla fine di luglio, un’impennata di espressioni di fedeltà al Führer…». Luciano Garibaldi ci tiene a sottolineare che la “resistenza” tedesca fu “democratica”. Ma che dire dei suoi programmi autoritari e imperialisti? E del progettato Stato post-hitleriano, una dittatura militare corporativa e nazionalista?

il-terzo-reichQuanto a Stauffenberg, è sempre Kershaw a descrivere questi suoi ideali “democratici”: «…inviato in Polonia, non nascondeva il proprio disprezzo per i polacchi, approvava la colonizzazione del paese e grande fu il suo entusiasmo per la vittoria tedesca… ancor più esultante lo trovava il sensazionale trionfo della campagna occidentale…». Una così accentuata sensibilità per i valori democratici si manifestò anche quando, nel 1941, Stauffenberg fu tra i fautori della costituzione di armate autoctone di azeri e caucasici da integrare nei ranghi della Wehrmacht nella guerra di conquista contro la Russia. Oppure quando disse di voler riscattare i lavoratori dei propri feudi, facendoli partecipare agli utili, secondo i principi della “società organica” socialista-nazionale, ma con un accentuato tono paternalista, tipicamente vetero-Junker. Membro in gioventù del George Kreis, il circolo esoterico riunito attorno al grande poeta Stefan George – dove, notoriamente, non si coltivavano per nulla ideali “democratici” ma, al contrario, miti aristocratico-superomistici di intonazione pangermanica, e del quale fecero parte alcuni intellettuali poi divenuti punte di diamante della cultura nazista – il conte Claus von Stauffenberg non brillò mai per chiarezza ideologica. Tanto che, come riporta Michael Burleigh nel suo Il Terzo Reich, la moglie ne fece il seguente ritratto: «i conservatori lo scambiavano per un nazista arrabbiato, e i nazisti arrabbiati per un inguaribile conservatore…».

morire-in-piediSempre Garibaldi afferma che, non trovando tra gli alti ufficiali nessuno di prestigio (Kluge nicchiava, Fromm faceva il doppio gioco, Halder e Canaris avevano paura, Tresckhow faceva un passo avanti e due indietro…), Stauffenberg avrebbe guadagnato… «alla causa democratica» il feldmaresciallo Rommel. Senonché, come è a tutti noto, Rommel (che fu ostile alla congiura, come documentò Montanelli in Morire in piedi), non solo non fu guadagnato ad alcuna causa “democratica”, ma, pur essendo l’unico militare che ebbe il coraggio di avvertire per lettera Hitler del prossimo crollo del fronte occidentale, messo di fronte al dilemma se essere accusato di disfattismo oppure passare alla storia come condottiero militare del Terzo Reich, scelse senza indugi questa seconda opzione, accettando di suicidarsi a patto di ricevere post mortem onori di Stato e aver garantito il nome dall’onta del tradimento. La storia dunque non si fa con superficiale retorica, specialmente se nuda di prove. I fatti analizzati dagli studiosi dimostrano che il colpo del 20 luglio rivelò un’inettitudine rara, ancor più sorprendente in uomini dediti per mestiere all’uso delle armi.

uccidere-hitlerRoger Moorhouse, nel suo Uccidere Hitler. La storia di tutti gli attentati, ha scritto che i congiurati volevano eliminare Hitler, ma… «preservando al tempo stesso molti dei risultati positivi che il loro bersaglio aveva realizzato». E Anthony Read, in Alla corte del Führer, ha fatto della congiura la seguente sintesi: «gli ufficiali si rivelarono il più inetto e debole manipolo di rivoluzionari immaginabile; non avevano intrapreso neppure i passi più elementari necessari per impadronirsi del potere, come assumere il controllo delle stazioni radio e della rete delle comunicazioni». Il solo Goebbels, insieme al maggiore Otto Remer, bastò a mettere fine alla farsa dei golpisti nel giro di un paio d’ore, senza nemmeno bisogno di uscire da casa sua. Quanto alla consistenza numerica, Wolfgang Venhor, in L’identità tedesca e il caso Stauffenberg, conta centosettanta congiurati. Burleigh dice invece che i giustiziati furono duecento. Altri, come Fest, contano fino a cinquemila «presunti coinvolti»… per la maggior parte vecchi esponenti politici dei partiti pre-nazisti oppure vittime di regolamenti di conti che non avevano nulla a che fare con la “resistenza”. Read parla di settemila arresti… ma quasi tutti sulla base di delazioni estranee al complotto. Tra l’altro, in questa “resistenza” definita “democratica” figurarono anche un elemento ai vertici delle SA, l’Obergruppenführer Wolf Helldorff (del quale si può solo immaginare il tasso di democraticità), oppure un rinomato reazionario a tutta prova come Hjalmar Schacht. Secondo Fest, infine, «lo stesso concetto di “resistenza” è un’invenzione linguistica successiva… ».

Stando a quanto scritto anni fa da Andreas Hillgruber, invece, tutto questo, non solo fu un tradimento del proprio paese in guerra da parte di dilettanti ambiziosi, ma fu un vero e proprio atto criminale. Una malaugurata riuscita dell’attentato a Hitler, infatti, a giudizio di questo che è tra i maggiori esperti in materia di nazismo, avrebbe prodotto le più spaventose conseguenze per il popolo tedesco. Un’improvvisa morte di Hitler, oltre a un’immediata guerra civile, avrebbe provocato il tracollo del fronte orientale. E questo, ha scritto Hillgruber in Il duplice tramonto, «tanto per i soldati che per le popolazioni consegnate in tal mondo alla mercé dell’Armata Rossa, avrebbe avuto conseguenze ancor più terribili di quella ritirata graduale che invece permise la fuga verso ovest di un gran numero di convogli di profughi». Fu solo grazie ai draconiani ordini di Hitler di tener duro a oriente che, continua lo storico, «l’esercito dell’est difese gli uomini di queste province minacciati da un destino spaventoso, nel caso in cui la loro patria fosse stata travolta dall’Armata Rossa». Un destino ben noto agli storici, ma ancora attentamente sottaciuto dalla divulgazione mass-mediale: due milioni di morti tra i civili tedeschi dell’est e dodici milioni di profughi, in quello che fu il più grande esodo di massa della storia europea. Compiuto nell’inverno 1944-45 sotto la minaccia di un massacro generale.

Alcuni congiurati ebbero l’accortezza di immaginare per tempo questi scenari facilmente prevedibili, che sarebbero stati ben più gravi se alla popolazione fosse venuto a mancare lo scudo della Wehrmacht fin dal luglio 1944. E opportunamente, come ad esempio il colonnello Friedrich Hossbach, all’ultimo minuto si tirarono indietro. Pochi altri, invece, pur di tacitare la propria coscienza ed entrare nei libri di storia, vollero andare fino in fondo con il loro mal concepito tentativo di colpo di Stato.

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Tratto da Linea del 7 novembre 2008.

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