Simbologia nordico-aria nelle monete del tiranno Agatocle di Siracusa

Agatocle nacque nel 361 a.C. a Thermai (Termini Imerese) da una famiglia umile ed essendosi distinto prima combattendo gli Agrigentini e poi contro il partito oligarchico riuscì ad impadronirsi del potere a Siracusa nel 317 a.C.

La sua vita mostra il carattere avventuroso ed eroico di un uomo che voleva dimostrarsi un emulo del grande Dionisio I (406-367 a.C.), il tiranno che seppe attuare una politica imperiale per Siracusa e che fu nemico implacabile dei Cartaginesi. In tante peripezie tenace ed impetuoso fu il suo ardimento, ferrea la sua volontà, lucida la sua mente: Agatocle alla sua Patria di adozione volle e seppe dare la potenza, quella potenza che Siracusa aveva goduto sotto i Dinomenidi, sotto Dionisio il Grande e che più non raggiunse dopo le sue imprese [1].

Egli mirò dapprima a rafforzare in Sicilia il potere di Siracusa raggiungendo l’egemonia sulle città greche dell’isola per poi eliminare le ingerenze puniche negli affari sicelioti volgendosi impavidamente anche contro la stessa Cartagine. Puntava infine a raggiungere il predominio anche in Magna Grecia.

Agatocle, paladino dell’ellenismo, rappresentava un ostacolo alla politica di Cartagine. Nel 312-311 a.C. il tiranno siracusano dopo aver sottomesso Messina e Taormina, città appoggiate dai Cartaginesi, si volse contro Agrigento e occupò la piazzaforte punica di Gela; di conseguenza la flotta cartaginese pose un blocco navale a Siracusa. Con un ardito colpo di genio, Agatocle il 15 agosto del 310 a.C. salpò con 60 navi e 14.000 uomini portando la guerra in Africa per recidere la potenza punica alle sue radici, precorrendo l’impresa di Scipione l’Africano.

In Africa Agatocle rimase per quattro anni ottenendo notevoli successi, riuscendo a conquistare circa duecento località tra cui Tunes (Tunisi), quasi alle porte di Cartagine.

Nel 307 si vide costretto a tornare in Sicilia per intervenire contro gli assedianti di Siracusa piombando inaspettatamente, come un fulmine di guerra, sulle città puniche dell’isola e battendo in una grande battaglia gli Agrigentini. Tornò in Africa ma le cose ormai si mettevano male; l’esercito stanco per la lunga guerra, indegno di un comandante tanto valoroso, si ribellò per poi passare con il nemico. Alla fine si concluse una pace tra Cartagine e Siracusa che dovette cedere le conquiste nella Sicilia punica in cambio di un ingente compenso (306-305 a.C.).

Agatocle, che si era dimostrato il signore e il campione della Sicilia greca, nel 307 o 306 a.C. assunse il titolo di re (basileus) sul modello dei sovrani Diadochi che si spartirono l’impero di Alessandro Magno.

Mirò anche ad estendere la sua influenza in Italia meridionale intervenendo contro i Lucani e i Bruzi, e impadronendosi di Crotone e di Hipponion (Vibo Valentia).

Agatocle morì nel 289 a.C. mentre preparava una nuova spedizione contro Cartagine, la sua eterna nemica [2].

In questa breve disamina ci siamo riproposti di dimostrare come i significati dei simboli che si celano nelle monete di Agatocle – campione della luce dell’ellenismo contro il mondo punico-asiatico – siano quasi tutti coerenti, concordanti e riconducibili alla spiritualità e a alla visione del mondo tradizionale, segnatamente nordico-aria, olimpica e virile, declinando nella luce della solarità mediterranea la lotta contro le forze oscure e demoniache della terra e del mondo infero incarnate dalla civiltà asiatico-mediterranea di Cartagine appartenente al ciclo materno e afroditico-lunare.

Secondo l’antropologo tedesco Hans Friedrich Karl Günther (1891-1968) si potrebbe descrivere la storia della cultura ellenica come un confronto fra lo spirito nordico e quello non-nordico [3].

Per citare le parole di Luigi Adriano Milani (1854-1914), un iniziatore dello studio della simbologia monetale, così hanno da intendersi ed interpretarsi i tipi monetali del più bel periodo dell’arte greca, l’uno a riscontro dell’altro, come espressioni simboliche dei culti locali, come quadri viventi della religione; e collegati fra di loro da un filo conduttore ben più resistente di quel che si possa credere [4].

Le singole parti, i singoli simboli e le singole raffigurazioni, che in apparenza sono monadi slegate le une dalle altre, acquistano significato e risorgono a nuova vita solamente se vengono letti coerentemente con i criteri del pensiero tradizionale.

Non possiamo non ricordare che René Guénon, uno dei maestri della Tradizione, osservava che nelle le civiltà tradizionali le monete erano coperte da simboli decisi dalle autorità spirituali. La moneta, là dove esisteva, non poteva di per sé essere la cosa profana che più tardi è divenutaCome si potrebbe capire che diverse tradizioni considerino la moneta un oggetto veramente colmo di una «influenza spirituale», la cui azione poteva effettivamente esercitarsi in virtù dei simboli che ne costituivano il normale «supporto» ? [5].

Il primo periodo (317-310 a.C.) della monetazione di Agatocle è caratterizzato dalla presenza della triskeles nei rovesci [6].

Questo simbolo, che compare per la prima volta nella monetazione dell’isola, è il motivo-firma personale di Agatocle e viene a simboleggiare la supremazia siracusana e il dominio del tiranno sull’intera Sicilia.

In esso è possibile rintracciare significati più profondi e spirituali che si intrecciano con l’identità ancestrale degli abitatori della Sicilia. Agatocle, adottando per sé un tale simbolo identitario, intendeva mandare un messaggio molto chiaro e facilmente decodificabile.

Il motivo, che comunemente e materialisticamente è ritenuto essere solamente una allusione alla forma tricuspide dell’isola (Trinakria), viene fatto derivare dal noto disegno delle tre spirali unite in un punto centrale (triskell), un antichissimo simbolo del Sole e del cielo cosmico, della rinascita e dell’eternità, proprio dell’Europa del Nord, dell’area baltica e scandinava, che si reputa simboleggi Odino e il Sole che si riteneva che procedesse su tre gambe (l’alba, il mezzogiorno e il tramonto) [7].

Questo forse venne portato in Sicilia dai Siculi, un popolo ario che abbandonò la sede originaria settentrionale, posta tra i fiumi Elba (od Oder) e Vistola, tra l’attuale Germania nord-orientale e la Polonia nord-occidentale, a partire almeno dall’8.000 a.C. per divenire il padrone di gran parte dell’isola a partire dalla metà del XIII secolo a.C. cambiandone il nome da Sikania in Sikelia [8]. Essi infatti portarono con sé, assieme a tradizioni, riti e culti del primitivo popolo originario, anche un ricco corredo di simboli solari come la ruota solare (croce inscritta in un cerchio), la spirale, lo swastika sia nel significato radiante solare sia in quello polare [9].

La triskeles siciliana, per le tre gambe rincorrenti, rappresenta il movimento di rotazione, la manifestazione, la rotazione attorno ad un punto centrale (polo) che inequivocabilmente è il Centro, l’ordinatore, “il motore immobile” di Aristotele attorno al quale tutto ruota ma esso non partecipa al momento come il mozzo della ruota che imprime il movimento restando immobile, raffigurando così il “Centro del Mondo”, l’“Asse del Mondo” (con un significato è analogo a quello dello swastika) [10].

Agatocle, quindi, adottando questo simbolo tradizionale voleva presentarsi come il “Re del Mondo” con la sua funzione regolatrice e ordinatrice, l’immagine del Legislatore primordiale, come “colui che fa girare la ruota” (chakravarti). La sua capitale, Siracusa, simbolicamente diventava il “Centro del mondo”, un centro “polare”, l’asse fisso intorno al quale si compie la rivoluzione di tutte le cose, identificandola come un centro secondario emanazione diretta del Centro primordiale (la Thule iperborea); un Centro spirituale e tradizionale immagine del Centro supremo originario [11].

Vediamo ben evidente la triskeles, ad esempio, nei rovesci dei tetradrammi d’argento (fig. 1) che sono la chiara riproposizione agatoclea degli splendidi decadrammi firmati dall’incisore Euainetos che un tempo erano attribuiti al tiranno Dionisio I ma che in realtà sono di poco precedenti al regno di quest’ultimo.

Figura 1

Queste bellissime monete raffigurano al dritto il volto della ninfa Aretusa (un tempo ritenuta Persefone), una delle ninfe del corteggio della lunare Artemide, che per sfuggire al fiume Alfeo si trasformò in una fonte che sgorga ad Ortigia (presso Siracusa). La ninfa, spirito ctonio della vita naturale, panteistica e comunistica, ha i capelli elegantemente acconciati e intrecciati a foglie di canna o di altra pianta palustre.

È noto che la vegetazione palustre rappresenti la generazione selvaggia e disordinata della Madre Terra, il grado più basso della materialità [12].

Attorno al capo trovano posto tre delfini nuotanti sinuosamente in direzioni opposte, animali che nella “vita segreta del circo” [13] avevano un significato legato alle uova che indicavano il numero di giri delle quadrighe nel circo (queste infatti sono raffigurate nell’altra faccia della moneta) e che erano simbolicamente connessi alle acque generatrici.

La quadriga in corsa veloce presente al rovescio simboleggia il moto perenne della vita tellurica, il movimento senza sosta della creazione visibile e della morte del mondo naturale. Sotto la linea dell’esergo è scritto l’etnico al genitivo, ΣΥΡΑΚΟΣΙΩΝ, Syrakosion, vale a dire “dei Siracusani”, caratteristico di tutta la serie siracusana.

Nelle quadrighe in corsa viste tendenzialmente di scorcio e firmate dai maestri della fine V-inizi IV secolo a.C. i cavalli e l’auriga sono raffigurati proprio nell’atto di girare attorno all’elemento verticale della meta che talora è anche visibile e che è espressione della forza generatrice della natura che compenetra la materia terrestre.

Si ritrae quindi una quadriga in corsa nel circo, il circuito circolare del quale – percorso dai carri che in corsa sfrenata tornano sempre al punto di partenza aggirando la meta – rappresenta il compimento e la ciclicità della vita tellurica. Nel vorticoso movimento delle ruote si vuole vedere l’immagine delle acque che sole hanno una velocità senza arresto in mezzo ad una natura immobile [14].

Il nome stesso di Siracusa parrebbe derivare dalla radice syr-, cioè “corrente”, “il fluire”, per esprimere il concetto dell’essere “in balia delle correnti” [15].

Il decadramma firmato da Euainetos, poi imitato nei tetradrammi di Agatocle, per la sua impareggiabile bellezza ed eleganza è ritenuto essere la moneta più ammirata di qualunque altra sia nei tempi antichi sia nei tempi moderni (B.V. Head, Historia Numorum, p. 177) ma la Tradizione ci insegna che le raffinatezze esteriori, la ricercatezza formale propria dell’erudizione e dell’incivilimento, quasi sempre sono il preludio della decadenza [16].

Questa moneta dal palese significato tellurico-poseidonico, nelle imitazioni di Agatocle viene in qualche modo nobilitata spiritualmente dalla triskeles solare posta al di sopra del cavallo delle acque generatrici sovrastandolo, dominandolo simbolicamente ed elevandolo a una natura superiore uranica e solare.

Ricordiamo che dritti ispirati a quelli di Euainetos, gli stessi delle riproposizioni agatoclee, comparvero anche in tetradrammi d’argento siculo-punici coniati forse a Panormos (Palermo) dal 406 a.C. circa [17] nei quali vennero abbinati a rovesci raffiguranti il cavallo poseidonico, simbolo delle acque superficiali e generatrici [18], unitamente alla palma da datteri, l’albero della vita riconducibile al culto della dea della terra e della fertilità Astarte-Tanit in Egitto e in Palestina [19]. Una simile moneta punica si palesa con evidenza come un monumento di ispirazione tellurico-asiatica e decisamente anti-aria e solare.

La triskeles solare e polare trasforma, depurandola, l’immagine monetale dai significati tellurici; con essa, alla luce del simbolo solare e polare degli Iperborei, la quadriga tellurica rinasce a nuova vita.

La triskeles con la testa di Gorgone al centro e con i talari alati ai piedi compare non con come elemento secondario ma come figura principale al rovescio di monete d’argento agatoclee che recano al dritto la testa laureata di Apollo (fig. 2) (interpretata dubitativamente anche come un giovane Eracle), ribadendo in questo modo il significato nordico-iperboreo e solare del simbolo siciliano.

Figura 2

Apollo è, ricordiamolo, la pura divinità della luce, è l’uccisore del serpente Pitone – vale a dire del mostro appartenente alle oscurità della terra – e il suo culto, che è caratteristico del ciclo eroico-solare che si diffuse dal Nord verso il Sud, è strettamente legato alla terra degli Iperborei, la regione originaria delle razze nordico-arie primordiali.

Il dio iperboreo è il dio solare dell’età aurea e sarà associato significativamente alla grandezza dell’Imperium di Roma. Egli rappresenta la natura superiore della luce, la spiritualità olimpica e la virilità immateriale vittoriosa sulle civiltà ginecocratiche e sulle forze legate alla terra e alla materialità [20].

Vengono adesso attribuite ad Agatocle monete di elettro (una lega di oro e argento diffusa in Asia Minore fin dalle origini della monetazione e introdotta solo ora in Occidente, contemporaneamente alle emissioni cartaginesi) nelle quali l’effigie di Apollo si abbina nei rovesci all’immagine di un tripode e di una lira.

Il tripode (fig. 3) che mostra in modo evidente la ruota solare, cioè un ornamento, un’applique, in forma di “rotella” o talora di significativo cerchio crociato, vale a dire uno dei più significativi simboli nordico-ari del culto solare, nel suo insieme rimanda al culto dell’Apollo iperboreo.

Figura 3

Il tripode era simbolo di Apollo, dell’Apollo Pizio, così chiamato per aver ucciso il serpente Pitone (che rappresenta simbolicamente le stirpi appartenenti al precedente ciclo tellurico, volte al culto della terra e della fecondità) e che stabilì il suo culto a Delfi. Là Apollo, il dio iperboreo della luce dopo aver ucciso il mostro-serpente Pitone strappò l’oracolo alla Madre Terra, alla quale apparteneva in precedenza, e i sacerdoti iperborei Pagaso e Aguieo vi stabilirono il suo culto [21].

Il mito rappresenta la lotta della spiritualità uranica dei culti delle divinità olimpiche della luce splendente contro ciò che è volto alla terra, infero e tellurico, e celebra la superiorità dell’elemento eroico e solare che caratterizza le stirpi di origine iperborea.

Il santuario di Apollo a Delfi, sede del famoso oracolo, era considerato il centro del mondo antico, infatti esso custodiva l’omphalos (una pietra sacra di forma conica che rappresentava tradizionalmente il “Centro del Mondo”, il simbolo polare dell’”Asse del Mondo”, del centro spirituale originario che rimanda alla Thule iperborea) [22].

Nel santuario la Pizia, la sacerdotessa e portavoce di Apollo, emetteva le sue profezie assisa su un tripode per nove mesi all’anno perché nei mesi invernali Apollo soggiornava nell’estremo nord presso gli Iperborei e quindi non risiedeva nel suo tempio delfico [23].

Siracusa aveva costruito a Delfi un tesoro in onore del dio Apollo fino dalla metà del VI secolo a.C. e là, ad esempio, il tiranno Gelone celebrò significativamente il suo potere e le sue vittorie militari contro i nemici del mondo greco a ovest (i Cartaginesi) erigendo un’alta colonna e un tripode accanto ai monumenti in onore delle vittorie di Salamina e di Platea, ponendole quindi sullo stesso piano delle grandi vittorie greche contro i Persiani a est [24].

Anche Crotone, assai legata all’oracolo delfico, aveva eretto un enorme tripode sulla terrazza del tempio raffigurandolo sulle proprie monete, ritraendo così Delfi stessa [25].

A tutti questi significati allude il tripode sulle monete agatoclee abbinato al ritratto apollineo del dritto.

Altre monete di elettro raffigurano una simile testa di Apollo al dritto e al rovescio una lira (fig. 4), l’attributo e l’oggetto identificativo del dio. Nell’angustia del tondello di queste piccole monete le corde della lira sono quattro ma la lira apollinea aveva sette corde. Sette infatti era il numero sacro ad Apollo, il dio della luce; sette erano i raggi del sole; il Sole era “il dio dai sette raggi” (heptáktis). Il sette quindi è il numero solare, il numero magico della manifestazione divina, della sua realizzazione. Sette sono le regioni dello spazio che portano a compimento dell’universo: il centro, il cuore dell’universo, da cui si dipartono le sei direzioni dello spazio cioè l’alto, il basso, la destra, la sinistra, l’avanti, l’indietro [26]. Le quattro corde della lira raffigurata devono essere ritenute una sineddoche, una parte che rappresenta il tutto, una riduzione simbolica delle sette corde che compongono significativamente la lira apollinea.

Figura 4

Alla stessa serie in elettro attribuita ad Agatocle compare il rovescio raffigurante il polpo (fig. 5) abbinato alla testa della ninfa Aretusa.

Figura 5

Il significato simbolico di questo animale è analogo a quello della spirale ed è uno dei simboli del centro e della creazione nel suo svolgimento [27]. È quindi ricollegabile (come anche la triskeles) alla ruota come immagine della manifestazione universale, dell’emanazione dal centro “polare”.

Il polpo è presente nella monetazione siracusana fin dai tempi del tiranno Gelone (485-478 a.C.) quando nei rovesci delle frazioni d’argento si accompagnava significativamente all’immagine, appunto, della ruota a quattro raggi che, come abbiamo già detto, è un antichissimo simbolo solare assai noto che però cela significati più profondi. I quattro raggi simboleggiano le quattro direzioni dello spazio (punti cardinali) e per la rotazione che le è propria la ruota è immagine del continuo cambiamento a cui sono sottoposte tutte le cose manifestate [28] assegnando, in questo caso, come abbiamo detto, a Siracusa e al suo tiranno una funzione “polare”.

L’effigie di Apollo si trova anche in un bronzo di Agatocle che raffigura al rovescio un cane accovacciato con il capo volto all’indietro (fig. 6).

Figura 6

Il cane è un tipo comune nella monetazione della Sicilia e ha un carattere indigeno nei culti e nei miti dell’isola.

Esso è un animale che tradizionalmente viene associato a Dioniso e che viene visto come immagine della forza femminile, della generazione e della Luna, quindi come appartenente ad una civiltà contrapposta a quella della virilità apollinea [29]; qui il fatto di essere abbinato alla testa di Apollo del dritto non lascia dubbi, invece, sulla natura uranica e solare dell’animale raffigurato.

Il cane lungo tutta l’età antica fu considerato il simbolo della fedeltà e del valore.

Basti qui ricordare il celebre Argo, il cane di Ulisse, ormai vecchio e stanco, che sdraiato rizzò il muso e le orecchie riconoscendo dopo tanti anni il suo padrone al quale era rimasto sempre fedele (Odyssea, XVII, 291 ss), in un atteggiamento che pare quasi descrivere quello ritratto nella moneta.

Ancora nel VII secolo d.C. Isidoro di Siviglia, nella sua opera che è un riassunto delle conoscenze del mondo antico, riconobbe al cane la virtù della fedeltà al proprio padrone (dominus), infatti esso ne difende la casa e si espone alla morte per lui (Etymologiae, XII, 2, 26).

Il cane è caratterizzato anche dalla forza o dalla velocità (aut fortitudo, aut velocitas), virtù che indubbiamente, unite alla fedeltà e al fare una vigile guardia, dovevano ovviamente essere anche quelle dei buoni soldati e di un esercito esposto in una guerra di enorme portata come quella in cui era impegnato Agatocle.

La fedeltà per l’uomo tradizionale era una virtù imprescindibile. Ricordiamo che Omero (Odyssea, XIV, 48) definisce “divino” (dios) il porcaro Eumeo (una cosa impensabile nella nostra società materialistica, quantitativa e conformista) per il semplice fatto di essere rimasto fedele suo signore, ormai creduto morto da tanti anni. Il suo agire nel compimento del dovere, senza calcoli di personale profitto, rende quest’umile porcaio degno di appartenere alla più gloriosa e antica tradizione aria: fare ciò che è giusto fare incurante di vittoria o sconfitta [30].

Etica aria, un’etica guerriera. Fedeltà e lealtà, con l’etica dell’onore a cui danno luogo, dovranno perciò considerarsi come le vere basi di ogni comunità. Secondo un’antica legislazione indogermanica, l’uccidere non appariva una colpa così grave, quanto il tradire od anche soltanto il mentire [31].

Nella Roma della virilità spirituale eroica e dominatrice, la virtù dell’onore e della fides, vale a dire della lealtà, del mantenere fede alla parola data e dell’adempiere agli impegni assunti, era sentita a tal punto da ritenere che fosse questa a distinguere il popolo romano dai barbari e in particolare dalla fides punica (Sallustius Crispus, Bellum Iugurthinum, 108), un’antinomia per indicare la mala fede come caratteristica propria dei Cartaginesi [32] che erano anche i nemici giurati di Agatocle.

Questo per evidenziare quale valore simbolico ed etico possa nascondersi dietro all’immagine del cane.

In Sicilia si aggiungevano significati religiosi. Ad Adrano, nel tempio del dio Adranos, cani notevoli per bellezza e dimensioni, scortavano a casa gli ubriachi dal passo incerto e aggredivano i ladri e i sacrileghi (Claudius Aelianus, De Natura Animalium, XI, 20). Similmente in Daunia, nel tempio di Atena Iliaca, i cani per virtù divina erano in grado di distinguere gli uomini ellenici dai barbari, accogliendo benevolmente i primi e abbaiando ai secondi (De Natura Animalium, XI, 4).

Il cane era l’animale sacro al dio Adranos, un nume indigete dei Siculi, dio uranico del fuoco, della folgore, della luce e della guerra, che partecipava della stessa natura di Zeus e di Ares. Egli era identificato dagli stessi attributi di Ares: la lancia come simbolo della potenza guerriera e i cani erano animali sacri ad entrambi. Lo stesso carattere guerresco, in accordo con il carattere del nume, viene assunto dai cani del tempio della guerriera Atena [33].

Va notato che anche il Marte delle popolazioni italiche, che poi è stato identificato con il greco Ares, era in qualche modo sovrapponibile ad Apollo. Il Marte italico era un dio del sole e della luce, in particolare era il dio dell’anno e più precisamente simboleggiava il sole che guidava i mesi attraverso l’anno. Se Apollo veniva venerato come Lykeios Marte lo era come Leucetius (epiteti contenenti il nome della luce) ed entrambi gli dei avevano gli stessi attributi sacri [34].

A Siracusa probabilmente il cane era considerato anche come il tutore del signore stando a quanto testimonia l’episodio che vede questo animale vigilare sul sonno del tiranno Gelone (De Natura Animalium, VI, 62) quasi a significare che i tiranni di Siracusa erano posti sotto la diretta protezione del dio luminoso e guerriero dei Siculi.

Agatocle era un acerrimo nemico dei Siculi in quanto essi erano di ostacolo alla politica imperiare di Siracusa e al suo disegno estendere il controllo sull’intera isola; essi infatti scompaiono dalla storiografia proprio dall’età di Agatocle essendo ormai assorbiti dall’elemento ellenico-siceliota [35] che evidentemente aveva assimilato alcuni degli aspetti dei loro culti confacenti alla magnificazione della regalità siracusana in forme comprensibili ad entrambe le etnie di origine nordico-arie.

Anche in omaggio a questa volontà di portare il popolo siculo nell’orbita siracusana probabilmente devono essere letti il fatto che vede il tiranno siracusano Dionisio I ordinare la rifondazione di Adranon, dedicata al dio Adranos, assieme alla costruzione del tempio del dio, e l’episodio miracoloso che vuole che le porte del tempio del dio Adranos si siano aperte senza intervento umano all’arrivo di Timoleonte con il simulacro del dio che sembrava quasi animarsi [36].

Quindi il cane, sacro al dio della luce e della guerra, era un animale che ben poteva addirsi ad Agatocle per l’esercizio della virtù aria virile che espresse in tutta la sua vita spesa tenacemente nella guerra, con l’aspetto anche di lotta mistica, volta a cacciare il barbaro punico, la forza materialista anti aria, femminea e passivo-lunare, dalla Sicilia sbarcando anche in quella che fu la terra della regina Didone fondatrice di Cartagine.

Un’altra divinità, assieme ad Apollo, presente fin dagli inizi nella serie monetale di Agatocle è Eracle.

Eracle è considerato l’eroe simbolico delle stirpi arie dorico-achee [37].

Egli è l’eroe spirituale solare, il fondatore del patriarcato spirituale della potenza celeste della luce che con il proprio sforzo supera la morte e che resta sempre fedele alla sua vocazione di combattere contro tutte le forze demoniache scatenate. È uno degli eroi animati da più alto spirito, è tra coloro che instaurarono una esistenza spirituale e incorruttibile come lo è la natura del Sole, superiore a quella corporea e corruttibile, innalzandosi fino al superiore e immortale principio luminoso liberando l’umanità dal dominio della materia in cui era decaduta [38].

In monete d’oro coniate da Agatocle, e ispirate alle celebri emissioni auree di Filippo II di Macedonia, l’effigie laureata di Eracle (interpretato anche come Apollo) si accompagna all’immagine di una biga in corsa sovrastante la triskeles del primo periodo (fig. 7) in un significato non dissimile a quello della quadriga nei tetradrammi d’argento con la ninfa Aretusa al dritto sui quali ci siamo già soffermati. Ricordiamo però anche il fatto che il carro da combattimento è indoeuropeo. Una tendenza all’espansione, che vede improvvisamente nel carro la possibilità di essere un’armaCon il carro da combattimento comincia la tattica del combattere come arte, la “battaglia” al poso del massacro senza regole [39].

Figura 7

Nei bronzi agatoclei Eracle viene invece abbinato a rovesci con l’immagine del leone sormontato dall’attributo erculeo della clava (fig. 8) che avviciniamo simbolicamente a quelli con il toro che corrispondono al dritto con il capo della ninfa Aretusa in monete di bronzo e d’oro (fig. 9).

Figura 8
Figura 9

Sia il toro sia il leone sono caratterizzati dal fatto di possedere tre diverse nature: una ctonia e lunare, e l’altra solare.

Il toro, che rappresenta la forza generativa della natura, in Magna Grecia si presenta come il toro solare passando qui allo stadio di potenza celeste solare tanto da venir definito claro caeli lumen, astro splendente del cielo [40]. Gli indoeuropei Siculi e Italici nella loro espansione in Italia da nord si appropriarono del culto del dio-toro che era distintivo delle popolazioni mediterranee prearie che essi trovarono sul proprio cammino, identificandolo con Marte e con la sua forza virile, e parte di loro finì con il prendere da esso il nome [41].

Il toro è immagine dell’Eracle spirituale e solare come lo è il leone, l’animale ucciso dallo stesso eroe nello speco di Nemea [42].

Il leone rappresenta la forza del sole canicolare, esso è il simbolo zodiacale dell’estate (zenit), mentre il toro è il simbolo zodiacale della primavera; entrambi rappresentano la forza generativa del sole in dette stagioni [43].

La natura maschile del leone, visto come la forza fecondativa del sole canicolare, assurge a simbolo della forza suprema di Zeus, così come il toro cornupeta è il simbolo animale di Zeus stesso [44].

L’Eracle solare era concepito come l’emanazione celeste di Zeus e al pari dello Zeus Ideo era il trionfatore del toro e del leone [45].

L’immagine antropomorfa dello Zeus del monte Ida – suprema divinità siderale, pluvia e tonante – lo raffigurava in lotta con le forze della natura rese simbolicamente dal leone e dal toro, e come loro grande vincitore [46].

L’Eracle cretese in particolare, come è attestato dalla tradizione mitologica, iconografica e numismatica, aveva liberato l’isola di Creta dalle fiere e dagli altri animali selvatici.

Eracle, il dio che aveva assunto le fattezze umane per dominare e incivilire il mondo con gli atti della sua forza e del suo valore, sarebbe in sostanza lo stesso Zeus Ideo, parificato all’Ercole dorico [47].

Allo stesso modo le monete attestano la volontà di Agatocle di assumere in sé i simboli solari di Ercole e di Zeus nell’impresa di liberare l’isola di Sicilia dalle fiere demoniache e anti solari puniche che la infestavano.

Ritorna in più monete coniate da Agatocle, in tutti e tre i metalli, l’immagine della dea guerriera Atena.

Atena assieme ad Apollo fa trionfare una legge nuova, quella della paternità in senso superiore connessa alla luce celeste. Essa rappresenta il sorgere di una nuova civiltà, quella apollinea, in netta opposizione con quella precedente. Al carattere divino della madre proprio delle civiltà asiatiche e pelasgiche subentra quello attribuito al padre, si passa dalla sovranità della Notte quella del Giorno luminoso.

Propizia nei riguardi di tutto ciò che è virile, pronta ad aiutare tutti gli eroi del diritto solare paterno è Atena, la dea vergine, nella quale l’amazzonismo guerriero dei tempi antichi riappare spiritualmente trasfigurato [48].

Atena fa parte di quelle divinità femminili di derivazione nordico-aria (come Freyja, Sigfrida, le Walkyrie germaniche, le Fravashi iraniche) che guidano gli eroi nelle loro imprese e simboleggiano il destino e la vittoria, essendo esse l’anima stessa della vittoria, la forza mistica che eleva e trasfigura il guerriero portandolo a partecipare all’immortalità olimpica attraverso la lotta volta a ristabilire l’ordine cosmico. Per l’antico uomo tradizionale (Greco, Romano, Iranico) tra il mondo fisico e quello metafisico vi era una corrispondenza reale; contemporaneamente alla vittoria materiale si compiva, nello stesso momento, la realizzazione spirituale e la mistica rinascita del guerriero che veniva trasfigurato portandosi al di là della condizione umana [49].

Un unico esemplare di statere d’oro, coniato dopo il 310 a.C. ritrae al rovescio Pallade Atena alata, elmata e armata di scudo e di lancia, volta a destra e con ai suoi piedi una civetta; attorno il genitivo del nome del tiranno ΑΓΑΘΟΚΛΕΟΣ, Agathokleos, “di Agatocle” (fig. 10). Questo tipo sembra poter alludere alla vittoria ottenuta da Agatocle in Africa sui Cartaginesi quando egli fece liberare alcune civette, uccelli sacri ad Atena, che andarono a posarsi sugli scudi e sugli elmi infondendo coraggio ai suoi soldati, episodio testimoniato da Diodoro Siculo (Bibliotheca Historica, XX, 3). Al dritto questa moneta d’oro raffigura una testa giovanile, probabilmente l’immagine idealizzata del tiranno stesso seguendo la moda dei sovrani ellenistici, coperta dalla pelle di una testa di elefante, ostentando cioè come un trofeo quello che è l’attributo più distintivo della personificazione dell’Africa e riconoscendo per immagini al tiranno vittorioso quello che sarà l’attributo di Africanus che onorerà il successo dell’impresa di Publio Cornelio Scipione.

Figura 10

I tipi di questa moneta d’oro sono assai simili a quelli dei contemporanei tetradrammi di Tolomeo I Soter, il macedone generale di Alessandro Magno che si proclamò sovrano d’Egitto e quindi dell’Africa settentrionale, con al dritto il volto di Alessandro e al rovescio Athena Alkidemos.

Alla vittoria africana si riferiscono anche i tetradrammi d’argento con al dritto la testa di Core (Persefone) con lunghi capelli fluenti e al rovescio una Nike nell’atto di erigere un trofeo d’armi (fig. 11); nel campo trova posto la triskeles. La legenda è l’aggettivo ΑΓΑΘΟΚΛΕΙΟΣ, Agathokleios, e celebra la vittoria come un attributo personale del tiranno.

Figura 11

Entrambe le monete appartengono al secondo periodo della serie agatoclea (310-307 a.C.) e si collocano al tempo della guerra in Africa.

Al dritto di diverse monete di Agatocle, sia in bronzo sia in argento, compare l’effigie galeata di Atena.

La dea guerriera calza un pesante elmo corinzio. L’elmo, allo stesso modo della testa, è il luogo dove dimorano i pensieri elevati, e ciò che è posto sull’elmo (come ad es. il cimiero) si riferisce chiaramente al pensiero e simboleggia “l’idea dominante” che guida le azioni di chi lo indossa, il leitmotiv del guerriero che lo porta [50].

Sulla calotta dell’elmo di Atena viene raffigurato un grifone un animale che simboleggia la positiva vigilanza del guardiano delle soglie, custos ianuarum, ma anche un animale che si riteneva che nascesse sui monti Iperborei, grypesHoc genus ferarum in Hyperboreis nascitur montibus (Isidorus, Etymologiae, XII, II, 17). Ricordiamo che monete di bronzo (emissioni con legenda kainon) [51] attribuite ai tempi di Dionisio II (367-357 a.C.) raffiguravano al dritto l’immagine piena di un grifone balzante e al rovescio un cavallo libero, animale che dall’antico uomo indoeuropeo di derivazione nordica veniva considerato non come uno schiavo bastonato, non come mezzo di sussistenza, ma come compagno d’armi, camerata [52]. In monete di Abdera in Tracia, ad esempio, il grifone si accompagna al ritratto di Atena elmata (seconda metà del V sec. a.C.) o a quello di Apollo laureato (prima metà del IV sec. a.C.) [53].

Le azioni dell’Atena raffigurata da Agatocle, quindi, erano mosse da un’idea che riportava alle origini iperboree delle stirpi arie, alla mistica dell’azione, e in questo modo si ostentava che era essa stessa a guidare l’operato del tiranno siracusano.

Nelle monete di Agatocle l’effigie elmata della dea guerriera al dritto è abbinata alla raffigurazione di Pegaso, di un cavaliere calzante un elmo frigio, e della folgore nei rovesci.

All’immagine di Atena in monete d’argento e di bronzo corrisponde al rovescio quella di Pegaso in volo (fig. 12).

Figura 12

Pegaso è il simbolo caratteristico della monetazione corinzia. Bellerofonte alla guida del cavallo alato, e con l’aiuto di Atena, aveva combattuto e vinto le Amazzoni volendo così annientare assieme alla degenerazione dell’amazzonismo anche ogni ginecocrazia e instaurare il principio virile e solare contro quello materiale delle civiltà matriarcali.

Se egli però non riuscì a raggiungere le pure altezze luminose perché fu scagliato sulla terra dall’ira di Zeus, il suo destriero alato potè raggiungere la regione solare, la meta del viaggio celeste.

Pegaso, il cavallo celeste, ha superato la sua iniziale forma inferiore poseidonica (Bellerofonte, il suo domatore, era figlio di Poseidone) e grazie alle ali è stato in grado di elevarsi fino al cielo dove può annunciare ogni mattina, guidato da Aurora con redini auree, l’avvicinarsi dello sfolgorante dio solare. Esso però non è lo stesso che il Sole, è però il suo messo [54].

Non possiamo non ricordare che ancora l’imperatore Gallieno (253-268 d.C.) conierà antoniniani, ormai degenerati nella forma e nel metallo, con al rovescio un grifone e dedica Apollini Conservatori Augusti e altri con Pegaso spiccante il volo dedicato Soli Conservatori Augusti [55], indicando quindi chiaramente questi due animali mitologici come i custodi dell’idea nordico-aria e apollineo-solare dell’impero di Roma.

L’effigie di Atena in una moneta di bronzo appartenente al secondo periodo delle coniazioni di Agatocle (310-307 a.C.) sia abbina all’immagine di cavaliere su di un cavallo al galoppo verso destra, vestito di corazza e clamide con in capo un elmo (o un berretto) frigio, e nell’atto di reggere una lancia nella mano destra (fig. 13).

Figura 13

Il berretto frigio ci riporta ai culti solari asiatici. Veniva calzato da Attis, sposo della Magna Mater Cibele (che tra i due occupava però il posto principale) e identificato con il Sole, come il pastore degli astri scintillanti, sia pure svirilizzato a testimonianza di una civiltà riconducibile al ciclo asiatico-matriarcale preario che escludiamo possa ispirare il rovescio del bronzo agatocleo. Il berretto frigio lo indossava anche, e soprattutto, il dio solare Mitra, il Sol Invictus (termine che poi sarà proprio della titolatura imperiale romana), un antico genio iranico della luce e dio virile garante della parola data che assicurava il portare a termine gli impegni presi, virtù che lo definivano un culto di soldati che giuravano obbedienza e devozione al sovrano vedendo in esso esaltato il valore della lealtà e il senso dell’onore [56]. Mitra è l’eroe solare, visto come la luce che rinascendo ogni mattina è sempre trionfante sulle tenebre, è la forza luminosa uranica su cui non prevarranno mai quelle della notte e della buia terra, un culto solare della tradizione religiosa ario-iranica in una formulazione particolarmente adatta a una mentalità virile e guerriera e che nella Roma imperiale sarà venerato quale fautor imperii [57].

Il berretto frigio veniva indossato anche dai Coribanti, che nella mitologia greca erano i sacerdoti di Cibele, e che erano considerati figli di Apollo, il dio della stirpe dorica, per il quale, armati di asta e scudo, intrecciavano danze durante la festa del solstizio d’inverno [58]. Ricordiamo che il solstizio d’inverno ha un significato estremamente importante in quanto esso celebra il rinascere del Sole, dio invitto, e rimanda a una tradizione assai remota di origine nordico-aria. Esso segnava un momento critico delle stirpi arie che non avevano ancora lasciato le regioni nordiche originarie nelle quali era sopravvenuto il clima artico e l’incubo di una lunga notte. In tali condizioni il solstizio d’inverno – il punto più basso dell’eclittica – rappresentava il momento in cui la luce della vita sembrava estinguersi e sprofondare nella terra gelata o nelle cupe selve settentrionali per poi subito risorgere a nuova vita e risplendere di nuovo chiarore [59].

I Coribanti religiosamente si confondevano con i Cureti figli di Rea (identificata con Cibele) che armati avevano fatto la guardia alla culla di Zeus bambino per proteggerlo da Crono ed essi formavano la guardia del corpo del re sacro e battendo le armi l’una contro l’altra dovevano scacciare gli spiriti maligni durante le cerimonie rituali [60]. Coribanti e Cureti si confondevano anche con i Cabiri (sacerdoti di Persefone) che salvavano i marinai dai naufragi [61]. In monete di bronzo battute nel IV sec. a.C. a Birytis nella Troade si raffigura un Cabiro (o un Dioscuro) con il capo coperto da un berretto conico (il pileo) che è abbinato al rovescio raffigurante una triskeles o a una clava [62].

Come Cibele si confondeva con Era e Rea e questa con Demetra-Core così i Coribanti, Cureti e Cabiri si confondono e si identificano, portando gli stessi epiteti, anche con i Dioscuri, cavalieri e protettori dei naviganti, raffigurati armati e con il capo coperto dal pileo [63].

Questi ultimi erano i gemelli divini figli dell’uranico Zeus, che li concepì avendo assunto l’aspetto di un cigno, e di Leda moglie di Tindareo re di Sparta. Il cigno era l’animale sacro ad Apollo, il dio della luce, ed era esso che trainava il carro dorato del dio verso la terra degli Iperborei collocata nel mitico nord, la patria originaria delle stirpi arie, olimpiche e solari secondo la dottrina della tradizione primordiale.

Così come è facile vedere nel cigno l’animale iperboreo è altrettanto facile vedere in Sparta, città della migrazione dorica, la sorella di Roma futura signora del mondo, la città polare della manifestazione, il caput mundi, infatti non a caso i Dioscuri con il capo coperto dal pileo e la lancia in resta, su cavalli lanciati al galoppo, compaiono significativamente al rovescio dei primi denarii romani coniati quinque annis ante primum Punicum bellum (Plinius Secundus, Naturalis Historia, XXXIII, 13, 44), cinque anni prima della prima guerra punica, anche se la questione è ancora oggetto di discussione.

Ricordiamo inoltre che il pileo (come il berretto frigio dal quale alle volte non si distingue) è simbolo di libertà; esso viene tenuto in mano dalla personificazione della Libertas in innumerevoli rovesci di monete imperiali romane.

A questo punto si comprende appieno il significato superiore che poteva avere per Agatocle l’immagine del cavaliere con il berretto frigio, o pileo, raffigurato nelle monete di bronzo, mente era impegnato nello sconto fatale con il mondo anti-uranico dell’Asia mediterranea, nell’impresa che vide le forze elleniche celesti e solari battersi per la libertà dalla cupezza della natura tellurica e demonica dell’Africa cartaginese.

L’effigie di Atena in monete bronzee e auree di Agatocle è abbinata alla folgore (fig. 14).

Figura 14

La divinità per eccellenza delle stirpi arie era il dio del cielo splendente, del sole e del fulmine, unitamente al culto di dei guerrieri adorni di armi splendenti, in opposizione alle divinità della fertilità e della terra, del mondo sotterraneo infero e demonico proprie del mondo mediterraneo tellurico e preario [64].

L’ascia è uno dei simboli più caratteristici della tradizione iperborea primordiale; in particolare l’ascia cosiddetta “siderale”, fatta cioè di metallo meteorico, cioè caduto dal cielo, era considerata divina e aveva un particolare significato sacrale e rituale. Questo simbolismo dell’ascia era strettamente legato a una tradizione di tipo eroico, oltreché sacro, infatti le pietre degli aeroliti simboleggiavano anche la “folgore”, la forza celeste folgorante, che frange e spezza. Tali significati passarono all’ascia come arma d’uso che quindi venne vista come “celeste” nelle tradizioni nordico-arie, dai primordi iperborei fino a Roma e ai Vichinghi (culto di Thor) [65].

Nel ciclo Mediterraneo Zeus è il signore che scaglia la folgore e significativa è la figura dello Zeus Labrandeus, il reggitore dell’ascia bicuspide, che rende palese l’equivalenza tra l’ascia e la folgore.

La folgore è la forza con la quale Zeus abbatte i Titani e i Giganti figli della Terra che tentavano di impadronirsi delle sedi olimpiche riflettendo in questo mito la “guerra metafisica perenne” che ricorda lo scontro fra varie razze nell’Ellade più antica e che è una caratteristica della spiritualità eroica aria infatti, in ogni lotta o conquista l’antico Ario vedeva il riflesso di una lotta metafisica, dell’eterno conflitto fra le potenze olimpiche e celesti della luce e le potenze oscure e selvagge della materia e del caos [66].

In emidracme di bronzo siracusane battute nell’età di Timoleonte (344-336 a.C.) il rovescio con la folgore si abbinava al dritto con un uno splendido ritratto di Zeus Eleutherios (lo Zeus Liberatore) [67].

Quindi l’immagine della folgore impressa in più monete di Agatocle ben si addiceva al tiranno di Siracusa che impegnava e guidava le stirpi elleniche della Sicilia in una lotta vittoriosa contro le genti cartaginesi fino in Africa, una lotta che era quella del superiore principio etico dell’umanità euro-occidentale, nordica e aria, sul basso materialismo asiatico-mediterraneo.

Ricordiamo che la folgore rappresentava anche la lancia (vale a dire il fuoco proveniente dal cielo) di Adranos, dio siculo uranico e guerriero già citato [68].

Ben si comprende, inoltre, come proprio nei tipi con la folgore il tiranno (nella terza serie delle sue emissioni, 307-289 a.C.) esibisca il suo nome al genitivo accompagnato dal titolo regale di basileus assunto nel 307 o 306 a.C., ΑΓΑΘΟΚΛΕΟΣ ΒΑΣΙΛΕΟΣ, sostituendolo all’etnico Syrakosion (forse ispirandosi Antigono Monoftalmo che nello stesso anno adottò il titolo di Re d’Asia e che venne subito imitato dagli altri Diadochi), indicando se stesso come il reggitore, il detentore, della folgore, dell’arma simbolica del dio del cielo luminoso, quasi fosse una incarnazione terrena di Zeus, oppure che fosse lo stesso dio olimpico ad agire attraverso le sue azioni. In questo modo si faceva quasi intendere che il suo regno fosse lo specchio terreno dell’ordine celeste appalesando in tal modo il carattere nordico-ario della sua monarchia che, quindi, veniva a riassumere sia il potere regale sia quello sacerdotale qualificandolo come monarca universale, o “Re del Mondo”, depositario cioè di una tradizione sacra e primordiale.

Nelle monete di Agatocle la folgore è abbinata anche all’effigie di Artemide con la faretra sulla spalla definita come, ΣΩΤΕΙΡΑ, Soteira, cioè “Salvatrice” (fig. 15). Questo è il tipo più comune e più caratteristico della serie monetale del tiranno siracusano.

Figura 15

Artemide è una divinità dalla natura marcatamente lunare (il suo arco d’argento è il simbolo della luna nuova) e amazzonica. Essa come signora della selvaggina e dei boschi incarnava un aspetto della Madre primordiale materiale e della generazione spontanea della natura.

La dea, come sorella di Apollo, manteneva una forma di derivazione iperborea, evidentemente offuscata dal sostrato asiatico mediterraneo o pelasgico, infatti Medea giunta alle porte di Iolco con un suo simulacro ordinò alle sentinelle di lasciarla passare perché Artemide era giunta dalla nebbiosa terra degli Iperborei su un cocchio trainato da serpenti alati per portare la buona fortuna in città (Diodorus Siculus, Bibliotheca Historica, IV, 51, 1-2) [69].

I due divini fratelli iperborei sono significativamente accomunati in una bella moneta di elettro attribuita anch’essa ad Agatocle recante al dritto l’effigie di Apollo e al rovescio quella di Artemide Soteira, ΣΩΤΕΙΡΑ (fig. 16).

Figura 16

Va notato che anche la Diana italica, fatta corrispondere alla Artemide greca, era una divinità della luce, dell’improvviso chiarore che si presenta nelle radure dei boschi dove filtra la luce del giorno, ed era anche la divinità elargitrice di regalità e di sovranità come viene dimostrato dall’enigmatico legame che la univa al Rex Nemorensis, il re-sacerdote nei boschi del lago di Nemi, nella regione dell’antico regno di Saturno anticamente abitata dai Siculi che forse portarono con sé nella marcia verso la Sicilia il culto di Diana Nemorense e l’idea della regalità primordiale propria dell’Età dell’Oro [70].

L’Artemide ritratta nelle monete è definita “Salvatrice”, un epiteto che la identifica senza possibilità di equivoci con un aspetto ben preciso della stessa dea. Un tempio ad Artemide Salvatrice era stato eretto a Trezene da Teseo [71]. Costui era il mitico re di Atene, colui che liberò l’Attica dai mostri e uccise il Minotauro, uomo mezzo animale dalla evidente natura inferiore.

Teseo, assieme ad Eracle e a Perseo, era uno degli eroi animati dal più alto spirito, che li elevava al mondo superiore, solare, e dinanzi ai quali la forza della materialità vinta non poteva che inchinarsi. Essi s’innalzarono fino al superiore, immortale principio luminoso, divenendo per l’intera umanità dei liberatori di quella materialità, in cui essa era prima decaduta, i fondatori di una esistenza spirituale, superiore a quella corporea, incorruttibile come il Sole stesso donde discesero: gli eroi di una civiltà contrassegnata da una calma e da una aspirazione superiore non solo, ma anche da un diritto affatto nuovo [72].

Teseo è l’eroe apollineo iniziatore di un nuovo ciclo. Avendo ucciso il Minotauro, come un secondo Eracle, vince i mostri di un’umanità inferiore, fonda il patriarcato spirituale della potenza celeste della luce e sancisce la superiorità del diritto solare paterno su quello materiale del matriarcato [73].

A questo punto risulta chiaro quali fossero i principi eroici e solari che ispiravano la basileia di Agatocle (simboleggiata dalla folgore celeste) posta sotto la protezione di Artemide Soteira, la stessa divinità onorata dall’eroe apollineo Teseo.

In questa disamina dei tipi monetali della serie agatoclea non possiamo tacere che i tetradrammi d’argento con la Nike che erige un trofeo, celebranti le vittorie africane del tiranno siracusano, già citati più sopra (fig. 11), al dritto recano l’effigie di Core, cioè “la Fanciulla”, che era il nome di Persefone, figlia di Demetra. Essi recano la legenda ΚΟΡΑΣ, Koras, cioè “di Core”, che va a prendere il posto del genitivo dell’etnico Syrakosion, “dei Siracusani”.

In passato anche la ninfa Aretusa al dritto dei tetradrammi con la quadriga e dei bronzi con il toro veniva interpretata come Persefone.

Demetra era la madre primordiale tellurica e Core, la figlia divina, – entrambe ebbero il nome di Grandi Madri – appartengono a uno stadio di civiltà preellenica dominato dalla ginecocrazia e dal mistero femminile in un’età precedente ai culti delle divinità maschili di tipo solare [74]. Le due dee simboleggiavano la fecondità della terra e Persefone, come le altre divinità infere, non può che personificare ciò che è più opposto agli ideali olimpici ed apollinei [75] a testimonianza di un substrato preario o pelasgico, cioè frutto dell’involuzione di stirpi arie già penetrate nel Mediterraneo in epoche antichissime che poi si fecero sopraffare dalle influenze spirituali dello stadio più antico [76].

I coloni greci affermarono infatti che la Sicilia era stata dedicata a Persefone, ossia Core, dai loro predecessori, dai Sicani e dagli autoctoni [77].

La civiltà ellenica degli Achei e dei Dori, definiti dal puro diritto paterno e guidati da un’etica spartana e guerriera, poté esprimersi solamente quando riuscì a soggiogare o a distruggere le razze del più antico ceppo mediterraneo preellenico caratterizzato dai culti volti alle forze della terra, del mare e del fuoco sotterraneo e dai simboli della Gran Madre della Vita (Demetra, Poseidone, Ecate, Gea) [78].

A Core poi si affiancò Apollo unendo alla dea tellurica la figura virile della potenza urania della luce e quest’ultima andò ad incarnare l’idea mistica della salvazione, della Soteria, della rinascita superando la concezione del semplice rinnovamento terreno. In questo modo la splendente figura apollinea finì con oscurare quella di Core così come i fenomeni uranici sovrastano in dignità quelli tellurici [79].

In questa effigie monetale appare evidente come Agatocle ebbe quasi un timore ad abbandonare totalmente i simboli degli antichi culti ctonio-tellurici e lunari, a recidere nettamente i legami con i culti preellenici che vedevano in Core e in Demetra le dee protettrici della Sicilia (Diodorus Siculus, Bibliotheca Historica, XX, 7) non riuscendo quindi ad emanciparsi totalmente dalla religione asiatico mediterranea della Grande Madre.

Se nell’Ellade con la civiltà dell’Apollo delfico si accese la luce della spiritualità eroico-olimpica contro le forme più antiche del culto tellurico-materno questa si rivelò insufficiente. Si dovrà ancora attendere per assistere alla vittoria del principio virile dell’Imperium. Che possono significare le lotte di Agatocle contro Cartagine di fronte a quelle intraprese dai Romani? [80].

Sarà solo con Roma e con la sua monarchia universale che si affermerà la superiore idea dell’Occidente contro le idee orientali dando origine a qualcosa di assolutamente nuovo nel mondo. Giungendo a coronamento di un processo durato millenni con Scipione si avrà l’emancipazione politica e spirituale dell’Occidente dall’Oriente. La distruzione di Cartagine – la città devota alla Dea (Astarte-Tanit) e fondata dalla donna regale (Didone) che aveva tentato di sedurre il leggendario capostipite della Nobiltà romana – sarà il grande punto di svolta nella storia dell’umanità. Allora Roma si adeguerà consapevolmente alla sua missione storica, e con il trionfo del superiore principio etico dell’umanità euro-occidentale uranica e virile contro il mondo tellurico, materialista, delle madri, e in opposizione al basso sensualismo asiatico, raggiungerà l’apice della sua esperienza spirituale [81].

——————–  NOTE

[1] P. Ducati, L’Italia antica. Dalle prime civiltà alla morte di Cesare (44 a.C.), Milano 1936, pp. 308-312.

[2] Ivi, pp. 309-311.

[3] H.F.K. Günther, Storia razziale dei popoli ellenico e romano, Genova 2018, p. 37.

[4] L.A. Milani, Nota esegetica sulla stele di Amrit e sul principal rilievo rupestre di Iasili-Kaïa (saggio di teogonia hethea), in Studi e materiali di archeologia e numismatica, vol. I, Firenze 1899-1901, p. 46.

[5] R. Guénon, Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi, Milano 2006, pp. 107-108.

[6] Per la monetazione dell’età di Agatocle abbiamo fatto riferimento ai seguenti testi: B.V. Head, On the Chronological Sequence of the Coins of Syracuse, in «The Numismatic Chronicle» (N.C.), 14, 1874, pp. 40-52; Catalogue of Greek Coins in the British Museum (B.M.C.), vol. 2, Sicily, Londra 1876, pp. 191-199, nn. 336-425; G.F. Hill, Coins of Ancient Sicily, Westminster 1903, pp. 152-159; A. Holm, Storia della moneta siciliana, Torino 1906, pp. 185-193, nn. 414-434; A. Stazio, Monetazione ed economia monetaria, in Sikanie. Storia e civiltà della Sicilia greca, Milano 1985, pp. 113-115.

[7] S. Blady, K. Kello, F. Vinci, Il meteorite iperboreo, contiene la traduzione del libro di Karl Kello Il Faraone del Nord, Bologna 2016, pp. 42-44, 130-132.

[8] A. Bonfanti, Siculi: popolo Ario venuto dal Nord. La grande migrazione dei Siculi in Sicilia dall’Italia peninsulare (XIII-XI sec. a.C.), ed. Centro Studi Antica Europa – La ruota del Sole, 2001, pp. 11-12, 136, 138.

[9] Ivi, pp. 5, 16, 199, 201, 214, 215, 217, 218, 249, 250, ecc.

[10] R. Guénon, Simboli della Scienza Sacra, Milano 1997, pp. 63 ss., 68.

[11] R. Guénon, Il Re del Mondo, Milano 2003, pp. 17 ss., 23, 86-87, 95 ss., 101 ss.

[12] J.J. Bachofen, Le Madri e la virilità olimpica. Studi sulla storia segreta dell’antico mondo mediterraneo, a c. di J. Evola, Padova 2009, pp. 49, 51.

[13] Ivi, pp. 167 ss.

[14] Ivi, pp. 173 ss.

[15] Bonfanti, Siculi: popolo Ario venuto dal Nord, cit., pp. 48, 49.

[16] J. Evola, La tradizione di Roma, Padova 1977, p. 52.

[17] A.J. Evans, Syracusan “Medallions” and Their Engravers in the Light of Recent Finds, Londra 1892, pp. 103 ss., 107 ss., tav. VII, nn. 1, 6, 7; Stazio, Monetazione ed economia monetaria, cit., pp. 109-110, figg. 94, 96.

[18] Bachofen, Le Madri e la virilità olimpica. Studi sulla storia segreta dell’antico mondo mediterraneo, cit., pp. 174-176.

[19] L.A. Milani, I bronzi dell’antro Ideo cretese primi monumenti della religione e dell’arte ellenica, in Studi e materiali di archeologia e numismatica, vol. I, Firenze 1899-1901, pp. 11, 12; Milani, Nota esegetica sulla stele di Amrit e sul principal rilievo rupestre di Iasili-Kaïa, cit., p. 38; R. Graves, I miti greci, Milano 1985, mito 14, 1, p. 47.

[20] Evola, La tradizione di Roma, cit., pp. 37, 40, 75; Bachofen, Le Madri e la virilità olimpica. Studi sulla storia segreta dell’antico mondo mediterraneo, cit., pp. 10-12, 74, 87, 194.

[21] Graves, I miti greci, cit., mito 21, 1-3, pp. 69-70; mito 51, b, p. 160.

[22] Guénon, Il Re del Mondo, cit., pp. 85 ss., 95 ss.; M. Scott, Delfi. Il centro del mondo antico, Bari-Roma 2017, pp. 17, 35.

[23] Scott, Delfi. Il centro del mondo antico, cit., pp. 14, 17, 19.

[24] Ivi, pp. 81, 110, 111.

[25] Ivi, p. 111.

[26] Guénon, Simboli della Scienza Sacra, cit., p. 300; Guénon, Il Re del Mondo, cit., p. 73 nota 11.

[27] J. E. Cirlot, Dizionario dei simboli, Milano 1986, alla voce polpo, p. 389.

[28] Guénon, Simboli della Scienza Sacra, cit., pp. 63 ss.

[29] Bachofen, Le Madri e la virilità olimpica. Studi sulla storia segreta dell’antico mondo mediterraneo, cit., p. 185.

[30] M. Polia, Luce dell’Ellade. Commento di versi scelti dai poemi omerici. «Documenti per il Fronte della Tradizione», fascicolo, 45, Roma 2016, pp. 44 ss.

[31] J. Evola, Etica Aria. Orizzonte tradizionale, a c. di R. Del Ponte, Genova 2018, p. 46.

[32] Evola, La tradizione di Roma, cit., p. 104; P. De Francisci, Spirito della Civiltà Romana. Ne ignorent semina matrem, Bari 2019, p. 93.

[33] G. Pansa, L’influsso della colonizzazione siculo-illirica nella monetazione pesante dell’Umbria e del Piceno, in «Rivista Italiana di Numismatica» (R.I.N.), XXVII, 1914, pp. 332-340; Bonfanti, Siculi: popolo Ario venuto dal Nord, cit., pp. 32, 233 ss.

[34] G.A. Colonna di Cesarò, Il “mistero” delle origini di Roma. Miti e tradizioni, Milano 1938, pp. 330-331, 465-467.

[35] Bonfanti, Siculi: popolo Ario venuto dal Nord, cit., pp. 144, 147, 149, 150.

[36] Ivi, pp. 233, 250.

[37] Evola, La tradizione di Roma, cit., p. 37; J. Evola, Simboli della tradizione occidentale, Torino 1988, p. 56.

[38] Bachofen, Le Madri e la virilità olimpica. Studi sulla storia segreta dell’antico mondo mediterraneo, cit., pp. 92, 149-150, 152, 163, 164, 243.

[39] Ivi, pp. 109, 111

[40] Ivi, pp. 147-149.

[41] F. Altheim, Storia della religione romana, Roma 1996, pp. 22-23, 35.

[42] Bachofen, Le Madri e la virilità olimpica. Studi sulla storia segreta dell’antico mondo mediterraneo, cit., pp. 149, 243.

[43] Milani, I bronzi dell’antro Ideo cretese primi monumenti della religione e dell’arte ellenica, cit., p. 4 nota 9.

[44] Ivi, pp. 11, 24.

[45] Milani, I bronzi dell’antro Ideo cretese primi monumenti della religione e dell’arte ellenica, cit., p. 25.

[46] Ivi, pp. 17, 19, 20.

[47] Ivi, p. 22.

[48] Bachofen, Le Madri e la virilità olimpica. Studi sulla storia segreta dell’antico mondo mediterraneo, cit., pp. 67-68.

[49] Evola, La tradizione di Roma, cit., pp. 127-128, 161-162; Evola, Etica Aria. Orizzonte tradizionale, cit., pp. 5 ss., 10 ss.

[50] Cirlot, Dizionario dei simboli, cit., alle voci cimiero, p. 151; elmo, p. 208; testa, pp. 490, 491.

[51] B.M.C. Sicily, cit., p. 29, n. 6.

[52] O. Spengler, Albori della storia mondiale. Frammenti dal lascito manoscritto, Padova 1999, vol II, p. 111.

[53] B.M.C., vol. 3, The Tauric Chersonese, Sarmatia, Dacia, Moesia, Thrace, & c., Londra 1877, p. 68, n. 27; pp. 72 ss., nn. 53 ss.

[54] Bachofen, Le Madri e la virilità olimpica. Studi sulla storia segreta dell’antico mondo mediterraneo, cit., pp. 85-87, 201-202.

[55] The Roman Imperial Coinage (R.I.C.), vol. V, parte I, Londra 1927, p. 145, n. 165; p. 155, n. 282.

[56] F. Cumont, Le religioni orientali nel paganesimo romano. I misteri che travolsero gli dei del Pantheon, Milano s.d., pp. 55, 66, 123, 129.

[57] Evola, La tradizione di Roma, cit., pp. 142, 143, 150.

[58] Graves, I miti greci, cit., mito 21, 5, p. 70.

[59] Evola, La tradizione di Roma, cit., pp. 138, 140.

[60] Graves, I miti greci, cit., mito 7, c, 4, pp. 32, 34-35.

[61] Ivi, mito 149, d, 2, p. 544.

[62] B.M.C., vol. 17, Troas, Aeolis, and Lesbos, Londra 1894, pp. 40-41, nn. 1-9.

[63] Milani, I bronzi dell’antro Ideo cretese primi monumenti della religione e dell’arte ellenica, cit., p. 17; L.A. Milani, Medaglione commodiano dell’asiarca L. Aurelio (La religione di stato al tempo di Commodo), in Studi e materiali di archeologia e numismatica, vol. I, Firenze 1899-1901, pp. 53, 55.

[64] M. Gimbutas, Kurgan. Le origini della cultura europea, Milano 2010, pp. 135 ss., 152.

[65] Evola, Simboli della tradizione occidentale, cit., pp. 49 ss.

[66] Ivi, pp. 52, 53, 56.

[67] B.M.C. Sicily, cit., p. 189, n. 311.

[68] Bonfanti, Siculi: popolo Ario venuto dal Nord, cit., p. 234.

[69] Graves, I miti greci, cit., mito 155, d, 9, p. 567.

[70] R. Del Ponte, Dei e Miti Italici. Archetipi e forme della sacralità romano-italica, Genova 1998, 176 ss., 182 ss., 186.

[71] Graves, I miti greci, cit., mito 98, x, p. 313.

[72] Bachofen, Le Madri e la virilità olimpica. Studi sulla storia segreta dell’antico mondo mediterraneo, cit., pp. 149-150.

[73] Ivi, pp. 86, 152.

[74] Ivi, pp. 42-44, 197-198.

[75] Evola, La tradizione di Roma, cit., p. 69.

[76] Ivi, pp. 17-18.

[77] Bonfanti, Siculi: popolo Ario venuto dal Nord, cit., p. 82.

[78] Evola, La tradizione di Roma, cit., p. 47.

[79] Bachofen, Le Madri e la virilità olimpica. Studi sulla storia segreta dell’antico mondo mediterraneo, cit., p. 197.

[80] Ivi, p. 123.

[81] Evola, La tradizione di Roma, cit., pp. 113-114; Bachofen, Le Madri e la virilità olimpica. Studi sulla storia segreta dell’antico mondo mediterraneo, cit., pp. 11, 122-127.

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