L’ascia bipenne iperborea nelle monete antiche

Uno dei principali simboli dell’antico retaggio nordico-ario o iperboreo, vale a dire rimontante alla civiltà nordica primordiale che fornì la forza generatrice all’Ellade e a Roma antica, è senza dubbio quello dell’ascia [1].

L’Ascia è uno dei simboli più caratteristici della tradizione iperborea primordiale. Le sue tracce ci riportano alla più alta preistoria, secondo alcuni, all’ultima epoca glaciale, secondo altri, almeno al periodo paleolitico [2].

Il tipo più antico è quello delle cosiddette “asce siderali”, cioè fatte di metallo meteorico, di una sostanza caduta “dal cielo”, che avevano un utilizzo soprattutto rituale e sacrale. Queste erano simbolicamente legate alle “pietre divine”, alle “pietre scese dal cielo”, che tanta importanza ebbero ovunque nell’antichità si formò un centro tradizionale come l’omphalos nel santuario dell’Apollo iperboreo a Delfi, il centro del mondo antico.

L’ascia siderea preistorica, oltre al significato sacro, assomma in sé anche quello eroico venendo a simboleggiare la folgore e la forza celeste folgorante che frange e spezza.

La figura di Zeus Labraundos, vale a dire Zeus con l’ascia bipenne, riporta alla relazione tra l’ascia e la folgore, l’arma caratteristica di questo dio olimpico che rappresenta la forza con la quale Zeus abbatté i Titani e i Giganti che tentarono di impadronirsi delle sedi olimpiche; tali miti riflettono la “guerra metafisica perenne” caratteristica della spiritualità nordico-aria poi trasmessa all’Ellade antica e a Roma [3]. Questo Zeus compare al rovescio di tetradrammi d’argento battuti dal satrapo Mausolus in Caria tra il 377 e il 353 a.C., e dai sui successori, che al dritto recano significativamente l’effigie frontale di Apollo laureato (B.M.C. Caria, pp. 181 ss. nn. 1 ss.) (fig. 1).

Fig. 1

L’ascia come arma andò a riassumere in sé tutti questi significati e fu propria delle genti nordico-arie fin dai primordi iperborei. Essa giunse in Italia assieme ad altri simboli solari al seguito della cosiddetta “migrazione dorica” (Franz Altheim) che culminò con la creazione di Roma e della gemella Sparta. La guerra in queste tradizioni nordico-arie assumeva l’aspetto di una lotta metafisica diventando lo specchio della lotta tra le potenze olimpiche e solari, celesti e della luce, contro le forze telluriche della materia e del caos, contro cioè l’oscuramento del divino.

Il nordico Thor, guerriero divino, combatte le forze elementari che tentano di impadronirsi dei poteri celesti con il martello che per la sua forma viene a confondersi con la doppia ascia o bipenne simboleggiante la potenza della folgore. Nella tradizione indo-aria, l’eroe divino Rama dell’Ascia combatte, servendosi della doppia ascia iperborea, contro figure simili ai Titani come esponenti di una casta guerriera degradata [4].

L’effigie laureata dell’Apollo iperboreo, la divinità nordico-aria concepita come il dio solare dell’età aurea primordiale, il dio che raggiungeva la terra degli Iperborei volando su un cocchio trainato da candidi cigni per trascorrere tra di essi i mesi invernali [5] assentandosi anche dal suo celebre santuario a Delfi, si abbina alla doppia ascia in monete di bronzo battute ad Abbaitis nel II sec. a.C. (B.M.C. Phrygia, p. 2 nn. 9-10) (fig. 2), a Thyatira datate a prima del 190 a.C. (B.M.C. Lydia, p. 292 nn. 4-7), e in aurei coniati da Pixodaros satrapo di Caria tra il 340 e il 334 a.C. (B.M.C. Caria, p. 184 n. 4) (fig. 3).

Fig. 2
Fig. 3

La doppia ascia posta in una corona di alloro, la pianta sacra ad Apollo, corrisponde al capo dell’uranico Zeus in bronzi degli inizi del II sec. a.C. battuti a Euromus (B.M.C. Caria, p. 99 nn. 1-2) (fig. 4) e si abbina all’effigie dello stesso dio anche in bronzi emessi a Cranium in Grecia al tempo di Augusto (B.M.C. Peloponnesus, p. 83 nn. 66-68) (fig. 5).

Fig. 4
Fig. 5

La bipenne talora viene associata a grappoli d’uva o al tralcio di vite come in bronzi coniati a Maroneia dai re di Tracia Amadokos e Teres II o III nel 400 a.C. circa (B.M.C. Thrace, p. 202 n. 1 e 1) (fig. 6) e a Mostene nell’età di Adriano (B.M.C. Lydia, p. 162 n.10). In più monete sia di bronzo sia d’argento di Tenedos nella Troade a partire dalla metà del V sec. a.C. si accompagna contemporaneamente sia al grappolo d’uva dionisiaco sia alla lira apollinea (B.M.C. Troas, pp. 92-94 nn. 11-13, 19, 27) (fig. 7).

Fig. 6
Fig. 7

Il grappolo d’uva è l’ovvio simbolo di Dioniso, il dio dell’ebrezza, che talora veniva a confondersi con Apollo scambiandosi i rispettivi attributi ed epiteti in quanto anche l’alloro apollineo, come il vino, poteva produrre stati alterati di coscienza. La Pizia, la sacerdotessa di Apollo a Delfi, emetteva i suoi vaticini in uno stato di incoscienza raggiunto grazie ai fumi dell’alloro così come il viaggiatore iperboreo Aristea di Proconneso, un invasato di Febo, considerato il maestro di Omero, in uno stato di trance raggiungeva i luoghi più lontani tra i quali anche l’Iperborea [6].

La città di Tenedos (B.M.C. Troas, pp. 91 ss. nn. 2 ss.) fin dalle sue prime emissioni argentee nella metà del VI secolo a.C. in uno stile arcaico abbinava alla bipenne un dritto con un ritratto gianiforme, metà maschile e metà femminile [7] (fig. 8).

Fig. 8

Gli attributi dello scettro e della chiave definiscono Giano come unico reggitore sia del potere regale sia di quello sacerdotale, riuniti assieme dal monarca tradizionale, esemplati anche dal volto maschile e di quello femminile [8].

La doppia ascia o bipenne è posta in stretta connessione con il significato segreto di Giano che schiude le vie della vita e della morte [9].

Giano è il simbolo che raffigura l’unione dell’ordine divino e di quello umano, innestati sulla stessa radice, benché continuino ad essere distinti dalla bifrontalità.

Egli era l’antichissimo re italico che accolse Saturno aprendo le porte al re dell’età dell’Oro. Venerato dalle stirpi patrizie come l’avo originario del loro ceppo era il “signore del cominciamento”, un dio dell’anno come manifestazione di una forza divina e solare. Come nell’antica concezione nordica il sole è “la luce degli uomini” e la “vita”, che nell’anno ha il suo ciclo, morendo e risorgendo, così l’antico culto romano di Giano avrebbe adombrato gli stessi significati, la ben nota duplicità di questo dio (Giano bifronte) avrebbe corrisposto alla duplicità della fase ascendente e discendente del sole [10].

A Pherai in Tessaglia in oboli d’argento battuti dal tiranno Alessandro tra il 369 e il 357 a.C. (D. Sear, Greek Coins, vol. I, p. 210 n. 2211) (fig. 9), e in Italia, in Etruria, in serie fuse di bronzo datate al III secolo a.C. (B.M.C. Italy, p. 19 nn. 5-11) (fig. 10), la bipenne si accompagna all’immagine di una ruota e la ruota fin dall’età più remota è il simbolo del disco del sole, un antichissimo simbolo solare della stirpe primordiale dell’estremo Settentrione diffuso dalla migrazione iperborea. La ruota è l’immagine del “Centro del Mondo” che è il principio divino, e della sua manifestazione rappresentata dai raggi che si dipartono dal mozzo simboleggiante il centro immutabile che crea il movimento senza parteciparvi come il motore immobile di aristotelica memoria [11].

Fig. 9
Fig. 10

La ruota solare proveniente dall’estremo Nord, dall’area scandinava, si ritrova, per esempio, nelle incisioni del monte Bego in Liguria, la terra dell’antico re Cicno, il candido cigno iperboreo, datate dal III millennio a.C. [12], e nei rilievi dei Siculi che ebbero la loro patria originaria settentrionale nella regione posta tra i fiumi Elba (od Oder) e Vistola, e che dalla metà del XIII secolo a.C. divennero i padroni della Sicilia [13].

In monete del II sec. a. C. e di età imperiale battute a Mylasa alla doppia ascia corrisponde nell’altro lato un cavallo libero (B.M.C. Caria, p. 128-129 nn. 7, 17-18) (fig. 11). Questo nobile animale per gli antichi uomini indoeuropei di derivazione nordica, per le antiche genti del carro da combattimento libere, energiche e dominatrici, simboleggiava l’infinito e la rapidità del movimento espansivo [14]. Il cavallo in età antica poteva raffigurare la personificazione del vento di Borea, il vento del Nord, che stando alla testimonianza di Omero (Iliade, XX, 223-224) poteva assumere le sembianze di un cavallo dalla criniera nera.

Fig. 11

Per Guido De Giorgio, il miglior discepolo italiano di René Guénon, la scure bipenne è uno dei simboli più antichi della sovranità sacra che è la vera potenza che si sprigiona fulguralmente colla virtù dell’ala visibilmente espressa dal taglio bicipite, il quale rappresenta anche il rigore della giustizia intesa non più su un piano strettamente morale e giuridico ma metafisicamente come parificazione delle esigenze umane nel diritto di Dio [15].

L’ascia bipenne è il simbolo della potenza legittima, rappresenta l’unione del potere spirituale con quello temporale innestate sul tronco unico che simboleggia l’unità del reggimento tradizionale. I due tagli sono le due espansioni opposte, i due punti di arrivo che sono rispettivamente il Paradiso Celeste e il Paradiso Terrestre. Raffigura nella maniera più pura la realizzazione dell’unificazione suprema, la perfetta congiunzione del cielo e della terra, del divino con l’umano, divenendo il veicolo della rivelazione divina [16].

Dal punto radiante dell’asta dell’ascia si dipartono bilateralmente i due tagli che vanno ad aprirsi come raggi da un faro luminoso. Quel punto è il centro dal quale procedono i due mondi, quello visibile e quello invisibile.

Dall’Etruria, e dalla città di Vetulonia in particolare, derivò a Roma il fascio littorio come attesta il rinvenimento di un fascio bipenne in ferro datato alla seconda metà del VII sec. a.C. e conservato al Museo Archeologico di Firenze [17] (fig. 12).

Fig. 12

Roma avendo adottato l’ascia, simbolo già etrusco, nell’insegna littoria del proprio potere, realizzò la purificazione di quegli elementi della tradizione aria primordiale che si erano mescolati a elementi spurii, pelasgici, facendo brillare di nuova luce i simboli sacri degli Iperborei ponendoli al centro della propria grandezza [18].

Roma infatti assumendo l’ascia bipenne quale simbolo del proprio potere si poneva come centro visibile della manifestazione divina e con l’inserirla tra le dodici verghe del fascio littorio che rappresentano i dodici segni zodiacali, i dodici mesi, quindi l’intero ciclo solare annuale, rendeva simbolicamente manifesto l’ordine cosmico universale attraverso il quale si manifestava il diritto divino del suo dominio terreno [19].

In bronzi di Thyatira (fig. 13) datati all’età neroniana (B.M.C. Lydia, p. 293 nn. 8-11) la doppia ascia si accompagna al ritratto di Eracle, l’eroe simbolico delle stirpi arie dorico-achee [20], l’eroe celeste che con il proprio sforzo supera la morte e combatte contro tutte le forze demoniache del caos innalzandosi fino al superiore principio luminoso liberando l’umanità dal dominio della materia in cui era decaduta [21]. Altre monete emesse dalla stessa città sostituiscono il busto di Eracle con quello di Nerone (B.M.C. Lydia, p. 302 nn. 58-64) (fig. 14), un’equivalenza simbolica che rende evidente quale fosse il compito storico, sia fisico sia metafisico, dell’impero romano. Allo stesso modo bronzi di Aphrodisias abbinano la doppia ascia all’effigie di Augusto (B.M.C. Caria, p. 39 nn. 90-93).

Fig. 13
Fig. 14

L’ascia bipenne viene portata dalle Amazzoni, le donne virili e guerriere che rimandano al mondo mediterraneo pre-ario e pre-ellenico, volendo così raffigurare l’usurpazione tentata da forme femminili di spiritualità contro la tradizione eroica, solare e uranica di origine iperborea. L’ascia, il simbolo iperboreo usurpato, sarà recuperato assieme ad altri trofei da Eracle, l’eroe più rappresentativo delle stirpi dorico-arie, e da altri eroi alleati alle potenze olimpiche che combatterono le Amazzoni fino ad ucciderne la regina [22].

Un’Amazzone in questa foggia è raffigurata in tanti bronzi di Smyrna coniati in età antonina venendo talora abbinata ad un rovescio che reca l’immagine di un grifone, animale che era ritenuto nascere su monti iperborei (Isidoro di Siviglia, Etymologiae, XII, II, 17), nell’atto di reggere una ruota (B.M.C. Ionia, p. 257, n. 184-188) (fig. 15) simboleggiante l’immagine dell’unità primordiale e della sua manifestazione, il centro iperboreo e “polare” dove si concretizza il legame originario tra il cielo e la terra. Il rovescio va in qualche modo a rettificare e a depurare l’immagine del dritto, appartenente a un precedente ciclo di civiltà.

Fig. 15

Roma condusse a termine quella lotta millenaria, che costituisce l’idea fondamentale della storia di Erodoto: non con la Grecia ma con Roma si compie dunque lo spostamento della monarchia universale da Oriente ad Occidente e si conclude il ciclo della storia antica [23]. La Roma di derivazione iperborea, eroica e solare, incarnando, almeno nella sua componente aristocratica, i valori della tradizione primordiale riuscì a trionfare sulla ginecocrazia asiatica e sulla degenerazione dell’amazzonismo che compare in forme più tarde e decadute di civiltà.

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Note

[1] J. Evola, Simboli della tradizione occidentale, Torino 1988, pp. 52-54, 56.

[2] Ivi, p. 51.

[3] Ivi, pp. 51-52, 56.

[4] Ivi, pp. 52-54, 56.

[5] E. Albrile, Iperborea. Il mito polare tra simbologia, estasi e immaginazione, Rimini 2018, pp. 16, 41.

[6] Ivi, pp. 7 ss., 28 ss.

[7] M. Tameanko, Coins depict the use of the double axe as a symbolic implement of power, in «The Celator», 6, n. 10, october 1992, pp. 32-39, in particolare 34-37.

[8] R. Guénon, Simboli della Scienza Sacra, Milano 1997, pp. 117-120.

[9] G. De Giorgio, La Tradizione Romana, Roma 1989, p. 196.

[10] Evola, Simboli della tradizione occidentale, cit., pp. 97 ss.

[11] Guénon, Simboli della Scienza sacra, cit., pp. 64, 65, 67.

[12] R. Del Ponte, I Liguri. Etnogenesi di un popolo dalla preistoria alla conquista romana, Genova 2019, pp. 96-97.

[13] A. Bonfanti, Siculi: popolo Ario venuto dal Nord. La grande migrazione dei Siculi in Sicilia dall’Italia peninsulare (XIII-XI sec. a.C.), ed. Centro Studi Antica Europa – La ruota del Sole, 2001, pp. 5, 214, 215, 218, 249, 250, ecc.

[14] O. Spengler, Albori della storia mondiale. Frammenti dal lascito manoscritto, Padova 1999, vol II, pp. 108-110.

[15] De Giorgio, La Tradizione Romana, cit., p. 195.

[16] Ivi, pp. 197-199, 202.

[17] P. Ducati, L’Italia antica. Dalle prime civiltà alla morte di Cesare (44 a.C.), Milano 1936, pp. 201-202.

[18] Evola, Simboli della tradizione occidentale, cit., p. 58.

[19] De Giorgio, La Tradizione Romana, cit., pp. 195-196.

[20] J. Evola, La tradizione di Roma, Padova 1977, p. 37; Evola, Simboli della tradizione occidentale, cit., p. 56.

[21] J.J. Bachofen, Le Madri e la virilità olimpica. Studi sulla storia segreta dell’antico mondo mediterraneo, a c. di J. Evola, Padova 2009, pp. 92, 149-150, 152, 163, 164, 243.

[22] Evola, Simboli della tradizione occidentale, cit., p.58.

[23] Bachofen, Le Madri e la virilità olimpica. Studi sulla storia segreta dell’antico mondo mediterraneo, cit., p. 123.

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  1. pietro sereno
    | Rispondi

    ma questa antica civiltà iperborea era tecnologicamente avanzata?

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