Le origini dei Latini

Fin dal secolo scorso la linguistica comparata è giunta al concetto della unità indoeuropea, ossia alla scoperta che le lingue germaniche, italiche, elleniche, celtiche appartengono ad un unico gruppo linguistico di cui fan parte anche l’antico indiano e l’antico persiano.

Un esame più attento delle lingue indoeuropee permette di rinvenire termini comuni che designano l’orso, il lupo, il castoro, la quercia, la betulla, il gelo, l’inverno, la neve, – ci rimanda cioè ad originarie sedi settentrionali. La presenza del nome del faggio – albero che non cresce ad Est della linea Konigsberg-Odessa – e del salmone, pesce che vive nel Baltico e nel Mare del Nord, ma non nel Mar Caspio o nel Mar Nero, ci permettono di collocare l’antica patria indoeuropea in un territorio compreso tra il Weser e la Vistola, esteso a Nord fino alla Svezia meridionale e a Sud fino alla Selva Boema e ai Carpazi. Effettivamente, da questo territorio si irradiano, a partire dal 2500 a.C., una serie di culture preistoriche che dilagano dapprima nelle valli del Danubio e del Dnjeper, e di qui raggiungono l’Italia, la Grecia, la Persia, l’India.

Di qui l’origine nordica delle civiltà indiana, persiana, greca, ma anche quella di quei prischi Latini che si stanziarono sui Monti Albani e fondarono Roma. Poiché gli Italici – e tra essi i Latini – in Italia ci sono venuti, presumibilmente, in diverse ondate, mentre l’antica popolazione mediterranea veniva lentamente sommersa da queste invasioni finché ne emergevano, come isole staccate, Liguri, Etruschi, Piceni, Sicani.

Le affinità europee della lingua latina

La parentela delle lingue indoeuropee è un fatto acquisito. Più complesso è il problema del legame dei singoli linguaggi tra loro. Esistono dei criteri generali di raggruppamento sui quali più nessuno discute: ad esempio una distinzione tra un gruppo occidentale kentum (del quale fanno parte il greco, il latino e il germanico ma anche l’ittita) ed un gruppo orientale satem, o anche l’unità originaria del sanscrito e del persiano in una comunità “aria” che si può ricercare archeologicamente fino a Nord del Caucaso. Spesso tuttavia i contatti tra le varie lingue sono così diversi e molteplici da rendere impossibile un preciso raggruppamento per gradi di parentela. Tutto ciò rispecchia uno stadio originario in cui i territori dei vari popoli erano incerti e i loro rapporti intrecciati da flussi e riflussi di ondate migratorie.

Il latino è stato dapprima collocato in una supposta unità italo-celtico-germanica, ossia si è immaginato che gli antenati dei Celti, dei Germani e dei Latini abbiano formato una unità particolare in seno alla grande famiglia indoeuropea. E’ dubbio però se una tale unità sia esistita o se non si debba cercare una unità ancora più larga comprendente anche il veneto e l’illirico, con caratteristiche affinità col baltico. Questo ci introdurrebbe al problema della vera natura del “veneto”, e dell'”illirico”, e a quello della lingua dei popoli dei campi d’urne.

In effetti, tutte queste lingue possiedono dei termini sicuramente indoeuropei – ma che non si ritrovano in sanscrito o in greco. Esempi di questo “indoeuropeo occidentale” sono il gallico mori, latino mare, antico tedesco meri, lituano mares, antico slavo morje; l’antico irlandese tuath “popolo”, osco touto, antico tedesco diota e antico nordico thiod (“deutsch“), lituano tautà e illirico teutana (“regina”). Comuni a questi popoli sono poi una serie di nomi per i corsi d’acqua che nell’Europa Centrale rappresentano il più antico strato toponomastico analizzabile, mentre in Spagna e in Italia furono importati. Valga come esempio Ala in Norvegia, Aller in Germania, Alento in Italia, Alantà in Lituania – spiegabili col lettone aluots = fonte; Aube in Francia, Alba in Spagna, Elba in Germania, Albula nell’antico Lazio, illuminabili con l’antico nordico elfr fiume e l’antico tedesco elve “letto fluviale”. Questa unità linguistica – per la quale il Krahe ha creato la definizione di alteuropaisch, “europeo antico” – sarebbe quella dello indogermanisches Restvolk, ossia di quegli Indoeuropei rimasti più a lungo nelle antiche sedi.

In genere, si deve pensare che mentre alcune stirpi indoeuropee, spintesi precocemente nell’area della civiltà egea e medio-orientale, già nel secondo millennio possedevano una lingua ben definita, le altre stirpi, rimaste nella patria originaria, parlavano dialetti appena differenziati l’uno dall’altro. Dai documenti di Pilo e di Hattusas noi sappiamo che intorno al 1400 a.C. nel Peloponneso si parlava già una lingua greca e che nell’alta Mesopotamia lo stato di Mitanni scriveva i suoi documenti in una specie di sanscrito. Ma è presumibile che nella stessa epoca gli antenati dei Latini e dei Germani storici parlassero dei dialetti allo stato fluido e, per così dire, sfumanti l’uno nell’altro.

Il vocabolario settentrionale del latino

Molte forme latine si lasciano agevolmente confrontare con forme celtiche, altre con forme celtiche e germaniche. Al latino piscis corrisponde il gotico fisks (tedesco moderno Fisch) e l’irlandese iask. Il latino salix trova riscontro nell’antico alto tedesco salaha e nell’antico irlandese sailech. Oltre alla parentela genealogica c’è un tipo di affinità linguistica che potremmo definire ambientale. Il latino, oltre ad essere stretto parente del germanico e del celtico ha tutto un vocabolario di termini che hanno riscontro non solo in queste lingue ma anche nel baltico e nello slavo. E’ il nome del vento del Nord: in latino carus, in gotico skura, in lituano sziaurè, “Nord” e “vento del Nord”, nell’antico slavo severu, “Nord”. Ecco una serie di parole che designano il freddo: antico alto tedesco kalt e kuoli; lituano galmenis freddo intenso; antico slavo goloti, ghiaccio e zledica; latino gelu e glacies. Questo vocabolario ci parla di un’epoca in cui gli antenati dei Latini e dei Germani e degli Slavi vivevano in un ambiente gelido e settentrionale. Ancora più interessante è un altro termine geografico. Il gotico marei, il lituano mares, l’antico slavo morje, il gallico mori, il latino mare designano di volta in volta il mare, ma anche lagune e bacini chiusi e paludosi. Il tedesco moderno Moor, come il latino muria non indicano il mare, ma la palude. Anche qui si postula una condizione ambientale presente nell’Europa settentrionale preistorica: un paesaggio di acquitrini, di stagni e di lagune disteso intorno ad un mare semichiuso qual’è il Baltico.

Se si vuol collocare nel tempo questa stretta comunità celtico-germanica-italica-illirica-baltica, bisogna risalire alla età del bronzo – ossia al secondo millennio a.C. – epoca nella quale i Celti non avevano ancora passato il Reno, né gli Italici le Alpi, né gli Illiro-Veneti il Danubio mentre i Germani vivevano nelle loro sedi scandinave e tedesco-settentrionali. In quanto ai popoli baltici, essi occupavano ancora la Prussia Orientale e confinavano coi Veneti alla foce della Vistola (sinus Veneticum). La partecipazione dello slavo a questa comunità linguistica è forse solo apparente, e sorge dal fatto che lo slavo dovette assimilare in Polonia gran parte del vocabolario venetico. E’ solo all’alba dell’età del ferro che i Celti invadono la Gallia, gli Italici l’Italia, e gli Illiri la penisola balcanica. Ciò porterà ad una graduale espansione dei Germani in tutto il territorio tra il Reno e la Vistola.

Latino e germanico

In questa unità indoeuropea nord-occidentale, si lasciano isolare numerosi vocaboli comuni soltanto al latino e al germanico. Si pensi a termini designanti parti del corpo come collus (poi collum) e Hals; lingua (antico dingua) e inglese tongue, tedesco Zunge; caput e Haupt. Vi sono poi termini indicanti oggetti della natura come latino limus e tedesco Lehm; gramen (da grasmen) e Gras; acer e Ahorn; saxum e antico alto tedesco sahs “coltello”; far e antico nordico barr “grano”.

Ancora di più pesano particolarità grammaticali che solo latino e germanico hanno in comune. Entrambi creano avverbi numerali e distributivi con un suffisso no: latino bini (da *duisno) e nordico tvennr (germanico *twizna), “doppio”. Entrambi rispondono alla domanda “dove”? con avverbi di luogo terminanti in ne: gotico utana (“da fuori”, “von aussen“) e latino superne, (“da sopra”). Entrambi formano sostantivi astratti con un suffisso tu: latino iuventus, “gioventù”, e tedesco Altertum, “antichità“. Queste particolarità, e altre che sarebbe lungo citare, han fatto affermare al Krahe che latino e germanico sono stati parlati un tempo da due popoli strettamente confinanti: “In quella fase arcaica che si rispecchia nelle affinità linguistiche qui elencate, gli antenati degli “Italici” han vissuto tra i Celti e i Germani in modo da tener separati questi due popoli. Perciò la comunità linguistica italogermanica è più antica di quella celtico-germanica. La prima risale all’età del bronzo, poiché la parola per bronzo (latino aes-aeris, gotico aiz, antico nordico eir, antico alto tedesco er, da cui il nostro ehern “bronzeo”) è comune solo al germanico e all’italico. Solo dopo che gli “Italici” migrarono al Sud, i Celti giunsero a diretto contatto con i Germani e condividono appunto con loro la parola per “ferro”: gallico isarno, irlandese iarnn e gotico eisarn” (Hans Krahe, Germanische Sprachwissenschaft, Berlin 1969). Ma, ancora più interessante, il latino presenta una serie di parole che han riscontro solo nello scandinavo, cioè nell’antico nordico. Al latino os corrisponde il nordico oss “bocca di fiume”; al latino sanctus il nordico sattr; al latino longaevus il nordico longaer; e altri esempi si potrebbero addurre. Rudolf Much, che ha sottolineato questo fatto, ha messo in rilievo come il latino auster e il norvegese austr indichino entrambi il Sud, e non l’Est, come nelle altre lingue indoeuropee, il che in Norvegia si spiega col particolare orientamento delle valli. Egli ha ricordato come tra gli Eruli di Odoacre fossero anche dei Rugii originari della Norvegia – e si è chiesto se nella preistoria non si sia verificato alcunché dì simile. D’altronde, gli stessi Goti erano originari della Svezia.

La cultura dei campi d’urne e lo indogermanisches Restvolk

Le affinità europee della lingua latina e il suo vocabolario settentrionale si lasciano spiegare col cosiddetto “indoeuropeo nord-occidentale” del Devoto, ossia con quella caratteristica affinità che si rinviene tra italico, celtico, germanico, illirico ma anche baltico e slavo. Questa affinità, secondo il Krahe è quella dell’indogermanisches Restvolk, ossia di quegli Indoeuropei rimasti nelle antiche sedi centro e nordeuropee. Non è qui il caso di ripercorrere tutte le complesse vicende della formazione dell’ethnos indoeuropeo e della sua progressiva dispersione. Mi limito a rimandare alla mia Introduzione a Religiosità indoeuropea di Hans F. K. Guenther, dove, chi lo volesse, potrà trovare un’ampia discussione del problema indoeuropeo.

Basterà accennare che l’espansione indoeuropea è legata a due grandi movimenti migratorii. Il primo è quello della ceramica cordata e delle asce di combattimento strettamente intrecciato con quello delle anfore globulari che raggiunge sia la Grecia che l’Anatolia, sia il Volga che il Caucaso. A questo primo movimento, databile tra il 2300 e il 2000 a.C., si deve il distacco dal ceppo comune di Greci e Ittiti, Traci e Arii. Il secondo, più recente, si colloca intorno al 1250-850 a.C.. E’ quello dei cosiddetti campi d’urne (Urnenfelder). Il focolare della Urnenfelderkultur è la Lusazia, e, in genere, il paese tra l’Elba e l’Oder. Verso il 1400 a.C. la cultura lusaziana si trasforma nella cultura dei campi d’urne, che prende il nome dai sepolcreti a fior di terra dove le urne si allineano le une accanto alle altre. L’usanza di bruciare i morti ha antiche radici nell’Europa centrale, ma solo ora assume un carattere organico e totalitario. E’ una nuova espressione di quel culto del cielo e del fuoco che sta all’origine della religiosità indoeuropea.

Il simbolismo della Urnenfelderkultur si tocca con quello delle incisioni rupestri scandinave. Verso il 1250 la cultura dei campi d’urne – estesa ormai a tutto il territorio tra Reno, Vistola e Alpi – esplode violentemente. Tutta una serie di armi di foggia centroeuropea, i sepolcreti d’urne, monili, fogge, utensili di fabbricazione austriaca, tedesca, boema, ungherese, si diffondono rapidamente verso il Sud. Ma anche all’Ovest è lo stesso. I campi d’urne dilagano nella regione francese, nelle isole britanniche, fino in Catalogna. La migrazione dei campi d’urne porta alla dispersione dell’indogermanisches Restvolk: Celti ad Ovest, Italici verso Sud, Illiri verso Sud-Est. In Grecia, le città micenee crollano sotto l’urto della Emigrazione dorica”.

I campi d’urne in Italia

In Italia, l’incinerazione fa la sua comparsa poco prima del 1300 a.C. nel comasco, nel milanese e sul Garda. I bronzi connessi con queste tombe sono spiccatamente mitteleuropei. Che l’incinerazione fosse presente già in questa epoca nelle terramare – le stazioni su pali dell’Emilia – è probabile. Certo, i modelli ceramici richiamano da vicino esemplari lusaziani. Ma è dopo il 1250 che il fiotto dei campi d’urne trabocca nella penisola appenninica. Dapprima, abbiamo caratteristiche manifestazioni nella pianura Padana e solo avanguardie nell’Italia Centrale (Forlì-Poggio Berni, Lamoncello in val di Fiora). Poi i sepolcreti di Pianello del Genga (Fabriano), delle acciaierie di Terni, di Palombara Sabina, Tolfa e Allumiere forniscono l’evidenza d’una penetrazione delle genti incineratrici lungo la valle del Tevere. Queste manifestazioni vengono comunemente attribuite ad un’epoca intorno al 1050-1000 a.C.. Di poco posteriori sono i sepolcreti ad incinerazione che popolano fittamente i Colli Albani. Nel Veneto, sui Colli Berici, compare la cultura atestina. Tra il Veneto e il Lazio, nel bolognese, a Tarquinia, Vetulonia, e in tutta l’Etruria, fiorisce la cultura detta – dal nome d’una località presso Bologna – “villanoviana”.

Ma gli incineratori non si sono fermati nel Lazio. Noto da quasi un secolo è il sepolcreto di Timmari, presso Matera. E tuttavia solo dopo l’ultima guerra si son messi in luce nuovi sepolcreti a incinerazione a Torre Castelluccia (Taranto), a Pontecagnano (Salerno), a Torre dei Galli (Pizzo Calabro), a Milazzo. Essi sono destinati a mutare molte delle idee correnti sulle origini dei popoli italici.

Gli incineratori trovano l’Italia Centrale occupata dalla cosiddetta “cultura appenninica”, le cui origini si lasciano ricercare fin verso il 1800 a.C. Substrato mediterraneo e superstrato mitteleuropeo si mescolano e si condizionano l’un l’altro. Sui Colli Albani, dove l’appenninico non esiste, possiamo attenderci di cogliere con maggiore purezza il superstrato nordico. Altrove, dove il substrato è ricco e tenace, l’elemento protoitalico è assorbito. Questo è appunto il caso dell’Etruria. La moderna archeologia ha fatto giustizia della favola erodotèa d’una provenienza del popolo etrusco dalla Lidia. V’è, sì, in epoca già tarda, una “moda orientalizzante”, ma non dei precisi ritrovamenti che possano provare un’origine dall’Asia Minore. Il popolo etrusco, e la lingua etrusca, sono indigeni. Ciò significa però che la cultura appenninica dell’età del bronzo non può essere indoeuropea. Quegli elementi della cultura delle asce di combattimento penetrati fino in Toscana (Rinaldone), fino in Campania (Gaudo), non possono essere stati niente dì più che avvisaglie d’indoeuropeismo. Poiché – se la cultura appenninica fosse già italica – donde sortirebbero l’etrusco, il piceno di Novillara, e tutti gli altri tenaci residui mediterranei testimoniati fin in epoca recente? L’origine dell'”italico”, o almeno del latino, non può non essere ricollegata ai campi d’urne. La nascita dell’ethnos latino dalla cultura incineratrice dei Colli Albani è lì a dimostrarcelo.

I Colli Albani e Roma

Quattro sono le principalì culture incineratrici nella prima età del ferro (1000-650 a.C.). La prima è quella atestina, sui Colli Euganei, matrice della nazionalità veneta. La seconda è quella di Golasecca, nella Lombardia Occidentale e nel Canton Ticino. La sua identificazione etnica è incerta. Sulla base di alcune iscrizioni, si può parlare d’una parziale indoeuropeizzazione dei Liguri. Ancora più complesso è il caso della cultura villanoviana, estesa dal bolognese alla Maremma attraverso l’Umbria, e sul cui impianto si sviluppa la fiorente civiltà etrusca. Per la zona toscana si può pensare ad un assorbimento delle correnti italiche da parte del ricco substrato appenninico. L’etrusco ne conserva tracce nel vocabolario: etrusco usil, “sole”, si riconnette ad un indoeuropeo *sauwel, italico auselo, (nel nome della gens Aurelia “a sole dicta”). Etrusco aisar si riconnette al veneto aisus e ai germanici Asen. Per la zona umbra bisognerà credere che correnti transadriatiche – attraverso le Marche meridionali – abbiano sommerso un’area protovillanoviana affine a quella veneta e a quella latina. Le differenze e le affinità tra umbro e latino verrebbero spiegate da questa ipotesi.

Nel Lazio a Sud del Tevere, gli incineratori trovano un paese pressoché deserto. I Colli Albani – coperti di foreste -, le bassure del Tevere, le paludi Pontine non sembrano avere attratto coloni dell’età del bronzo. Gli insediamenti degli incineratori si depositano particolarmente fitti sui Monti Albani: intorno, è la bassura paludosa. I sepolcreti di Marino, Albano, Grottaferrata, Frascati, Rocca di Papa, Castel Gandolfo, Lanuvio, Velletri, Ardea, Anzio ci forniscono un quadro esauriente della più antica cultura latina. Il rito è quello mitteleuropeo dell’incinerazione. Fibule, rasoi, armi, rimandano agli esemplari austriaci e tedeschi. L’urna a capanna è stata spesso spiegata con influenze indigene. Ma le urne a capanna dello Harz e della bassa Vìstola, il nome stesso del Lat-ium, identico a quello della Lettonia (Lat-via), e lo stesso nome Roma, così frequente nella Prussia Orientale per designare un “luogo sacro” (Rom-uva, Rom-inten), ci rimandano ad un area “venetica” non troppo lontana dal golfo di Danzica (“sinus Veneticum“). Niente meno che Giacomo Devoto ha calcato l’accento sulla menzione di Venetulani nell’elenco pliniano degli antichi popoli del Lazio, e ha spiegato il nome Rutuli come “i biondi”.

* * *

Passi tratti dal libro Gli Indoeuropei. Origini e migrazioni.

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23 Responses

  1. Gina Latini
    | Rispondi

    Potresti inviarmi informazione sul mio cognome Latini, voglio sapere

    mi puoi aiutare Grazie…

  2. Aldo Boano
    | Rispondi

    Ma se gli etruschi sono autocnoni e non indoeuropei come si spiega che i villanoviani che sono sottesi agli etruschi incenerivano e quindi sarebbero collegati ai campi d'urne e quindi indoeuropei. Se la sovrapposizione degli etruschi fosse posteriore all'indoeuropeizzazione dei villanoviani allora bisognerebbe pensare ad una provenienza esterna in contraddizione con l'autoctonia. Mi chiarisca grazie.

  3. All'interessante domanda non può ovviamente rispondere l'Autore, morto ormai da oltre trentacinque anni.

    Io credo che 1) le equivalenze incinerazione-indoeuropei e sepoltura-non indoeuropei siano da prendere per valide, ma con ampio margine di approssimazione (e cioè prevedendo un'elevata probabilità di eccezione); 2) che sugli Etruschi siano da rivedere alcune posizioni, anche alla luce della ricerca degli ultimi decenni; mi pare che la teoria dell'autoctonia abbia trovato diversi elementi nuovi, e quindi ulteriori sostenitori.

  4. Aldo Boano
    | Rispondi

    Grazie del commento ma se gli etruschi sono autoctoni ne deriverebbe che, probabilmente, si tratti di villanoviani evoluti (magari grazie a influenze culturali esterne). Però questo significherebbe che neanche i villanoviani siano indoueropei nonostante le loro abitudini inceneratorie che, quindi, costituirebbero un'eccezione alla regola come anzidetto.

  5. In certa misura penso che la Sua idea sia corretta, salvo il fatto che a mio avviso i Villanoviani sono indoeuropei che, venuti a contatto con la cultura autoctona etrusca, le imprimono un forte marchio (dalla lingua all'urbanistica ai costumi funerari ecc.).

  6. Aldo Boano
    | Rispondi

    Non sarebbe possibile, dato che nelle culture etrusca e villanoviana è presente l'inumazione, stabilire, tramite l'analisi del DNA l'eventuale parentela tra etruschi e villanoviani o eventuali altre parentele con osco-umbri o addirittura latini?

    Certo se si scoprisse che i villanoviani hanno origine odco umbra o latina quindi indoeuropea se ne potrebbe dedurre che gli etruschi sono siano stati un popolo orientale che ha integralmente soppiantato (violentemente?) il precedente sub-strato villanoviano

  7. Ho alcune perplessità sulla genetica storica. Non credo che la si possa considerare una prova allo stesso modo, per esempio, delle investigazioni dei RIS sulla scena del crimine. Anche se la genetica ci mostra, infatti, gruppi prevalenti in un certo territorio (per esempio la predominanza di un certo gruppo sanguigno, ecc) non è ovviamente in grado di chiarirci quale lingua parlasse l'individuo, quale spostamento abbia effettuato lui o il suo avo, se fosse o meno autoctono, eccetera. D'altra parte, a complicare la questione, le suddivisioni dell'unità indoeuropea si sono verificate in un arco di millenni, durante i quali vi furono assai frequenti contatti, scambi culturali e probabilmente anche genetici sia infra-indoeuropei sia con popolazioni non-indoeuropee.

    Sinceramente non so se nel caso specifico l'esame genetico sia tecnicamente possibile e nel caso in quale misura sia stato effettuato e con quali esiti.

  8. Aldo Boano
    | Rispondi

    Commento alla risposta delle 15:56. Se si ipotizza che la cultura etrusca sia autocnona, quindi preesistente alla venuta dei villanoviani, come è possibile che i villanoviani, indoeuropei, siano venuti a contatto con essa se sono attestati in epoche precedenti nelle stesse zone? O mi sfugge qualche particolare o è una contrddizione.

  9. L'attuale versione della pagina "Civiltà Etrusca" di Wikipedia (http://it.wikipedia.org/wiki/Etruschi) riporta diversi elementi a riguardo che credo possano interessarLa e chiarire diversi punti, tra cui il rapporto con la civiltà villanoviana. Leggo, tra l'altro, che alcuni studi genetici sono stati effettuati in epoca recente (http://www.etruschi-dna.com/).

  10. Aldo Boano
    | Rispondi

    Gentile C. s. la Runa, innanzi tutto Vi ringrazio per la pazienza dimostrata nel rispondere alle mie domande però scoglitemi se possibile un altro dubbio.

    Leggendo sulla materia in oggetto su alcuni siti ho trovato una frase del tipo "la pratica funeraria (dei villanoviani n.d.r.) ha somiglianza con la cultura dei campi d'urne nella pianura danubiana, mentre le popolazioni indoeuropee praticavano in genere il rito dell'inumazione".

    Ma fino ad ora non si era detto che, sia pur in linea di massima, indoeuropeo = inceneratore? E allora quelli dei campi d'urne chi erano? Trattasi di una asserzione, almeno parzialmente, errata?

    Un'ultima domanda che rapporto è stato individuato tra cultura appenninica e le culture citate (villanoviana, osco-umbra, latina) ? in sintesi chi erano questi appenninici? Grazie

  11. Aldo Boano
    | Rispondi

    Ma gli appenninici potevano essere anche essi indoeuropei che si erano adattati a vivere sulle montagne oppure facevano parte del substrato presistente alla formazione delle culture note (villanoviano, etrusco, osco umbro, latino etc.)? Ma se presistevano perchè avrebbero dovuto occupare gli ambienti montani avendo a disposizione valli e pianure ancora, forse, non densamente abitate

  12. Aldo Boano
    | Rispondi

    Non rispondete più? Ho forse fatto troppe domande?

    • Beniamino Toriello
      | Rispondi

      Che gli appenninici fossero indoeuropei è certo. Quando giunsero in Italia durante l’età del Bronzo medio le aree di pianura, la veneta e la padana, erano già state colonizzate dai pre-indoeuropei Liguri ed Euganei tra i quali si erano inseriti i Terramaricoli appartenuti ad una più antica migrazione indoeuropea. Ai Latini, Falisci, Opici, Ausoni, Siculi e Umbri restavano le aree appenniniche popolate da sparuti gruppi eneolitici che furono assorbiti dai nuovi arrivati. Per questa ragione la cultura appenninica delXVII-XIV sec. a.C. attecchì rapidamente dall’Appennino tosco-emilia no fino ai monti Nebrodi in Sicilia. Nella successiva facies sub-appenninica del XIII-XI sec. a.C. ebbe inizio il popolamento di alcune aree pianeggianti nel momento in cui iniziarono le frequentazioni dei popoli esotici, alias Pelasgi. La nuova collocazione fu conseguente all’inizio delle relazioni di scambio di beni tra indigeni, detti anche aborigeni, e gli stranieri.

  13. biblios
    | Rispondi

    Noto che i giudizi sulle origini dei popoli partono sempre dagli Indoeuropei, come se questi fossero i creatori delle lingue e delle civiltà. Gli Hindo si sparsero per il mondo ad iniziare dal 3250 a.c., e non tutti vennero in Europa. Questi popoli non avevano una sola lingua e non facevano parte di una sola etnia: era una mescolanza di bianchi e neri dopo che gli Ari, bianchi, si erano mescolati ai neri che vivevano in India. Gli indieuropei dunque, sia chiaro una volta per tutte, non erano quelli che penetrarono in India, bensì quelli che ne uscirono, cioè la parte scissionista sconfitta.

  14. biblios
    | Rispondi

    seguito commento precedente: questi hindi, benchè apparissero agli eupei del tempo molto civilizzati, perchè conoscevano e diffusero la scrittura, in effetti era la parte meno progradita del grande impero bianco, L'India protostorica. In quanto alla lingua latina, non furono questi popoli a portarla in italia, ma furono popoli celto-germani (della stessa stirpe di quelli che penetrarono in India, diventandone padroni) che scesero in italia, sconfissero gli etruschi (ex popolo nero che vivendo in italia da millenni aveva mutato il colore della pelle) scacciandoli dalla pianura padana, ricacciandoli fino al sud italia (capua), per poi fondersi con loro. Gli Etruschi, che prima dell'arrivo dei celto-germani erano i padroni della penisola italica, alcuni si fusero con i vincitori, militarmente più forti ma meno progrediti, altri si rifugiarono in Asia, fondando la prima Troia, ed altri ancora, i più deboli, si rifugiarono nelle selve e sui monti. I Sabini, tanto per fare un esempio, era parte del popolo Etrusco sconfito. La lingua latina dunque nasce dalla fusione di questi due popoli (bianchi e neri, come avvenne in India) I Celto-germano quindi, non avendo più oppositori al loro dominio, decisero di fermarsi in Italia (il clima era buono anche allora). Per controllare i territori occupati costituirono un centro di controllo dove posero un "Larte", cioè una specie di prefetto, un coordinatore amministrativo, il cui territorio divenne LARTHIO, cioè LAZIO e gli amministrati LARTHINI, cioè LATINI: è chiaro adesso da dove deriva la lingua latina e chi erano gli Indo-europei ? Dopo la distruzione di Troia, quelli che con Enea vennero dritto in Italia, erano gli eredi di quegli Etruschi che millenni prima vivevano in Italia. Penso che questo possa bastare per indirizzare i vostri interessanti dibattiti.

  15. biblios
    | Rispondi

    Penso di dover dare un'ulteriore informazione: non tutti i vincitori celto-germani restarono nel centro Italia. Alcuni di essi pensarono di stabilirsi nel nord Italia e una minoranza di questi si fusero con gli estruschi proseguendo la loro strada fino in Sicilia. Gli etruschi rimasti trovarono la forza di riorganizzarsi e risalire verso il nord per riprendere i territori abbandonati. Lungo la risalita trovarono un'altro fiume, che trovandosi appunto verso il nord, chimarono AR= sopra, Nor= nord, cioè sopra il nord, oggi ARNO. Questa moltitudine di uomini= OSK (da cui deriva anche bosco= moltitudine di piante) deriva TOSCANA. Semplice, no! Attendo i vostri commenti.

  16. fabio
    | Rispondi

    bravissimi

  17. Abhra Abhisara
    | Rispondi

    In Europa e in particolare in Italia, dire che i Latini erano di origine nordica, polare [v. Tilak che a ragione credeva che gli Arii in parte suoi avi erano polari], è come dire che la civiltà europea non l’hanno creata i mediterranei, ma i barbari ebeti. Ovviamente non è così. Se i polari fossero restati al polo nord [che all’epoca era privo di ghiaccio, v. Mammut che in Siberia pascevano tra immense distese erbose, cosa impossibile ora, probabilmente è vera la filastrocca di F. Barbiero circa lo spostamento assiale dopo un modesto scontro asteroidale], essi non avrebbero mai avuto modo di essere dei agli occhi dei bassi e scuri mediterranei facitori di città e civiltà su ordine ario. Cesare parlava [sempre che sia farina del suo sacco e non di quello del copista] dei germani [= fratelli in latino] come se parlasse di alieni spilungoni e non di gente in fondo uguale perfino a Ottaviano. Caesius As -> Caes as -> Caesas -> Caesar = Blu cerchio, occhio blu, perché i suoi antenati così avevano gli occhi “agli occhi dei veri italiani”. A me pare, se è lui che lo scrisse, che Caesar cercava di italianizarsi pur sapendo che lui e tutta l’aristocrazia prima dei matrimoni coi plebei, in realtà gl’indigeni, erano “germani” dei popoli nordici. Se l’antico inglese ha i pronomi simili al latino, se il sanscrito forma il femminile dei sostantivi come il tedesco [v. arbeiterin], se insomma molte parole nordiche poi si trovano dove non ci si aspetta che possano esserci, la risposta è facile e logica, tutto ciò dipese dalla discesa dei popoli nordici. Se i latini fossero scesi dopo i germani, ora parleremmo una lingua neogermanica tipo l’inglese e i barbari massacrati in epoca classica sarebbero i latini!!!! Chi scrive non è razzista, sa che ogni razza ha i suoi pro e i suoi contro [v. muscoli Afro-Australiani, v. DNA cerebrale che creò Latino, Greco mentre ancora oggi i cinesi non hanno manco il plurale], però sa benissimo che oggi è di moda costringere la propria figlia a sposare un ragazzo di colore in nome di un antirazzismo che poi in realtà è puro razzismo perché essendo l’homo sapiens sapiens europoide la minoranza mondiale, ben presto si estinguerà peggio dei gorilla che oggi gli animalisti tanto vogliono preservare mentre smaniano per fare procreare alle proprie stirpi mulatti a più non posso. Il vero razzismo è l’antirazzismo.

  18. Abhra Abhisara
    | Rispondi

    Ho letto che gli Ainu non pare abbiano DNA caucasico, pur essendo di carnagione chiara. Non per essere scettico, ma come si può essere certi della tecnica del DNA dopo tanti millenni? Cioè a dire, il famoso DNA mitocondriale che pare essere eterno e mai soggetto a mutazioni io credo che in realtà come ogni DNA su questa terra sia soggetto a mutazioni. E’ come dire che tutte le donne hanno le mestruazioni tranne quelle Ainu. Poiché ogni DNA muta, compreso dunque quello mitocondriale preso invece come oro colato per stabilire l’eventuale parentala tra razze, io credo che gli Ainu erano caucasici. Invece i Latini erano semplicemente “fratelli dei Germani”. Eh, ma il DNA non lo dice! A parte che nessuno ha mai visto che cavolo di DNA avevano gli scheletri trovati a Roma od a Pompei, la questione è un’altra: come si può trovare DNA latino genuino in una società che praticava la cremazione? Inoltre, a parte il fatto che anche il DNA mitocondriale muta, praticando matrimoni misti i latini ormai erano più mediterranei che caucasici. In sintesi chi scrive sa benissimo che è tutta una frottola dire che l’homo sapiens sapiens è unico e uguale all’altro. E’ vero il contrario, perché il fatto che casualmente un DNA mitocondriale sia simile ad un altro non significa minimamente che siamo tutti imparentati. Anche quando esso è dissimile ciò non toglie che lo siamo. Insomma è vero che siamo parenti e anche che non lo siamo. La verità è più complessa e sfumata di quanto la scienza aristocratica e bugiarda possa mai avere immaginato. Se mento mi si portino le prove inconfutabili, che chiaramente non esistono. Personalmente io credo alla pluriominazione che coi matrimoni misti ha fatto credere che diversissimi tipi di homines sapientes sapientes fossero il risultato un’unica ominazione. Che farnetico, niente, solo che i Neanderthal erano nostri antenati assorbiti coi matrimoni misti. Eh, ma il DNA mitocondriale non lo prova. E certo, con tutte ste mutazioni, dopo più di 30.000 anni, che ci si aspettava di trovare, un DNA uguale al 100%?! Ma per favore, che vadano a studiare le leggi della mutazione del DNA!!!

  19. Abhra Abhisara
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    Per chiarire quanto scritto in merito all’homo sapiens sapiens sarebbe interessante leggere cos’ho scritto ad un luminare in materia di probabile unione interraziale tra il suddetto e l’homo sapiens Neanderthalensis:

    email #1

    My dear professor,
    before knowing your studies I already thought that homines Neanderthalenses had been erased even by mixed marriages, more or less what will happen to homo sapiens sapiens occidentalis [every hour appear more and more hybrids from homo sapiens sapiens Africanus or Chinensis while homo sapiens sapiens occidentalis has less and less offsprings]; some genetic scientists tell people that there are no proofs as to those prehistoric mixed marriages, that human DNA is too different, it is a pity that they forget that chimpanzee and gorilla are almost equal to us! No, their instruments are imperfect, like their methods of DNA sequencing: imperfect fossils, dead and chaotic DNA portions, obsolete methods and instruments. These kinds of persons are only able to say “homo sapiens sapiens occidentalis can only issue from boshiman, not even from homo sapiens Neanderthalensis”, to imagine those prehistoric mixed marriages would be a sin against their dogmatic obscurantism.

    kind regards

    email #2

    Dear professor,
    I think it is the time to explain better what I have sent you before. I think that homines, like dinosaurs, existed everywhere, not only in Africa. You could think it is impossible, homo sapiens sapiens’s DNA is similar everywhere. No, it is possible if you imagine that homo sapiens sapiens, born in Europe or elsewhere, went everywhere and killed or married homo sapiens Neanderthalensis, homo sapiens Chinensis, homo sapiens occidentalis, homo sapiens Americanus, etc. in order to have now homo sapiens sapiens with similar DNA everywhere. Official genetics can only affirm that homo sapiens sapiens issues from boshimen. You know that (mt)DNA is made of millions of “words” that can create every homo. Official genetic scientists affirm that current (mt)DNA is not similar to that of homo sapiens Neanderthalensis. If one reads homo sapiens Africanus’s (mt)DNA, the only similarity that can be found is that which was found between homo sapiens sapiens and homo sapiens Neanderthalensis: similar bones, muscles, heart, skin, brain [h. s. Neanderthalensis’s brain was bigger] etc. No, instruments and methods are obsolete, we are similar to Neanderthals! Homines bis sapientes are only hybrids of world homines!

    Kind regards

    email #3

    Dear professor,
    before thinking that it is impossible that homo sapiens Americanus existed and then was absorbed by homo sapiens sapiens [who obviously was not what he is now, in fact what we call now homo sapiens sapiens is in reality a hybrid made of praehomo sapiens sapiens and homo sapiens X (Americanus, Chinensis, occidentalis, etc.)], it is useful to remember that in the open bones don’t last like the fossils, they simply disappear, therefore if one would look for homo sapiens Americanus, one would find nothing. Besides now America is full of biggest cities where no bone could be found. The same situation happened in Europe, except for Germany: Neanderthal. Before, during and after the division of Pangea dinosaurs existed everywhere, like future homines. It is a blasphemy according to dogmatic obscurantism and obscurantists. It is a pity that apes exist in Latin America, Asia, Africa: the truth of dogmatic obscurantists simply doesn’t work anymore! Apes were and are everywhere, homines were and are everywhere. Charles Darwin thought that apes existed only in Africa because he never saw the other apes, if not now even dogmatic obscurantists would accept what I have always understood and thought. Fossilization is as rare as an interglaciation. Every true scientist knows that existed more dinosaurs than those which were fossilized. I repeat, bones in the open simply disappear. I thank you, professor, you are a true man, you don’t accept dogmatic obscurantists’ false proofs about the homination, I thank you.

    Kind regards

  20. Daudeferd
    | Rispondi

    Quel lemma in Antico Alto Tedesco, kuoli per ”freddo/gelido”, noi lo ritroviamo a livello radicale (semantema) nella lingua finnica con kuolema ”morte”, quale ”gelidezza” del corpo ormai senza il calore vitale. Scavare nel Finnico (ed anche nell’Ugro-finnico), alla ricerca di quella congiunzione antichissima con l’Indoeuropeo è una delle tanti missioni a cui devo adempiere. Quel che vedo, nel corso dei miei serrati studi, è che queste corrispondenze se a primo acchito sembravano riflesso della Wellentheorie, ora rifulgono di Stammbaumtheorie: quel Fenno-nordico, così carico di aplogruppo I1 e pre-I, quale sostrato genico (pertanto anche genetico) della Scandinavia, quale roccaforte del popolo maglemosiano, a sua volta discendente diretto magdaleniano. Cosa dire allora delle presenza dell’aplogruppo R1b, quello caratterizzante il ramo kentum (occidentale) prettamente indoeuropeo, che nei Baschi giunge sino al 92% contro il 90% dell’Irlanda celtica (ed anche germanica, se si parte dalla presenza norrena)? Eppure, i Baschi non sono Indoeuropei. Il loro simbolo nazionale è Lauburu, il sacro Svastica, che tanto nel nome tanto nella sua rappresentazione (”quattro teste” e non quattro ”braccia” o ”gambe”, come ad uso indoeuropeo) rievoca se non una concezione molto ancestrale, primeva rispetto alla venuta delle genti indoeuropee nelle loro terre. Allora, concludo da buon Indoeuropeo che sono: a tutti voi, Europei, Fratelli miei, Lauburu!!

  21. Daudeferd
    | Rispondi

    Scusate, cari lettori, correggo i miei refusi (me ne sto accorgendo proprio adesso, infatti, dopo un battere a tutta fretta ieri sera, senza alcuna rilettura): ”… alla ricerca di quella congiunzione antichissima con l’Indoeuropeo è una delle TANTE missioni a cui devo adempiere”; ”Cosa dire allora DELLA presenza dell’aplogruppo R1b, … ?”. Bene, il testo è stato così sanato. Sono un perfezionista, purtroppo, e non potrei addormentarmi tranquillo per il giorno successivo. Capita, soprattutto se si è circondati da tantissimi pensieri, proprio come me in questo periodo. Importante è accorgersi sempre dei propri errori e provvedere subito al miglioramento. Questo, ovviamente, è un precetto valido in ogni campo, non solo quello scientifico. Ringrazio sempre tutti i miei lettori del Centro Studi La Runa, in particolar modo il Dott. Alberto per la grande e bellissima possibilità che offre a tutti noi tradizionalisti, ormai da decenni, di poterci esprimere compiutamente, rendendo questo sito un vero polo di ottima fruizione culturale e di incontro. Aggiungo al testo battuto in tutta fretta e furia ieri sera che proprio la digressione del grande Adriano Romualdi (sempre attuale, sempre fresco, sempre vivo nei nostri cuori), sulla scorta del grande Devoto, a sua volta lungo il sentiero tracciato dall’immenso ed intramontabile Kossinna, circa l’imprescindibile europeità dell’Urheimat indoeuropea (assolutamente settentrionale, nordica), ha proprio un dato inconfutabile proveniente dall’Archeolinguistica: il salmone (Salmo salar), la cui radice semantica ancestrale ricostruita è *lak-s, che noi oggi ritroviamo perfettamente conservata in Norvegese, ma anche nel nostro Italiano in ”lisca” attraverso un processo di deriva semantica passando nel proto-Latino e nel Latino in una forma radicale in cui nella ”a” si cela uno schwa indogermanicum primum che per apofonia meccanica ha dato ovviamente ”i”, così come ”Pater” > ”Piter” in Jupiter (da Djeus Pater ”Dio Padre” degli Indoeuropei). Il salmone, ovviamente, non è stato mai presente nelle steppe della Russia meridionale, tra Mar Nero, Mar Caspio e fiumi vari che li alimentano. Tutta la flora e la fauna caratterizzanti il paesaggio dell’Urheimat degli Indoeuropei, i cui nomi affiorano attraverso il metodo delle aree laterali, è soltanto nordico, non delle steppe della Russia meridionale. Lì, nella Russia meridionale, alcuni Indoeuropei (quelli del ramo orientale) sono giunti in tempi successivi.
    Grazie sempre a tutti voi,
    il vostro Daudeferd

  22. Daudeferd
    | Rispondi

    Si pensa che ”lisca” sia transitato nel Latino tardo direttamente dalle lingue germaniche, e che in queste lingue indicasse il ”giunco”, cosa su cui io dissento. Sebbene non abbia trovato peculiari attestazioni classiche, mi rifiuto di considerare la deriva semantica cha dal ”germanico” giunco abbia reso ”scheletro del pesce” nel Latino tardo, quando la forma radicale rimanda proprio al ”pesce”.

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