L’altra faccia della stupidità

Un detto antireligioso sostiene che “Con o senza la religione i buoni farebbero il bene e i malvagi farebbero il male, ma ci vuole la religione per indurre i buoni a fare il male”. Esso vuole senza dubbio evidenziare l’intolleranza e il fanatismo a base religiosa che ha percorso varie volte, talvolta con episodi atroci la storia umana, e non si può dire sia scomparso nemmeno al presente. Tuttavia non è un detto giusto: prima di tutto, le religioni non sono tutte uguali; paganesimo, scintoismo e buddismo, ad esempio, non mi risulta abbiano mai promosso alcuna forma di fanatismo e intolleranza, poi bisogna riconoscere alle religioni una certa, sia pure circoscritta, capacità di indurre anche i malvagi al bene col timore di castighi ultraterreni, infine, abbiamo conosciuto “religioni laiche” come il giacobinismo e il bolscevismo capaci di spingere a un fanatismo feroce che non ha avuto niente da invidiare agli eccessi delle religioni “religiose”.

Questo concetto si potrebbe però parafrasare affermando che con o senza l’ideologia, le persone intelligenti direbbero e farebbero cose intelligenti e gli stupidi cose stupide, ma ci vuole l’ideologia per indurre le persone intelligenti a dire, fare, pensare cose stupide.

In passato mi sono occupato di una stupidità ideologica in particolare, quella che deriva dall’identificazione errata fra le idee di evoluzione e di progresso, ed ho più volte sostenuto che non c’è nulla di “progressista” nell’idea darwiniana di evoluzione per selezione naturale: essa implica la sopravvivenza e il successo degli organismi “più adatti”, “più bravi a sopravvivere e a riprodursi” e – anche se gli scienziati sono riluttanti a usare questa parola – in definitiva “i migliori”. La tendenza a cercare di riprodurre e diffondere nelle generazioni future il proprio genoma, va in direzione esattamente contraria a quel cosiddetto spirito cosmopolita che animerebbe la democrazia e il marxismo discendendo direttamente dai magnanimi lombi della Weltanschauung cristiana e viene ad avallare piuttosto quelle “brutte cose” che si chiamano nazionalismo od anche razzismo.

La mia opinione è, in ultima analisi, che una visione del mondo basata su di una corretta impostazione razionale e scientifica, che include la biologia evoluzionista, viene a essere la più bruciante sconfessione di quelle superstizioni del nostro tempo che chiamiamo progressismo, democraticismo, marxismo.

L’erronea identificazione evoluzione-progresso è simmetrica, comune sia “a destra” che “a sinistra”. Poiché succede spesso che le questioni interne a un ambiente cui si sente di appartenere coinvolgano più di ciò che sta al di fuori, mi è capitato di “bacchettare” i camerati che, avendo a disposizione un argomento formidabile che taglia impietosamente i garretti alla Weltanschauung avversaria, preferiscono ignorarlo e fare come chi, avendo un potente pezzo di artiglieria, lo lascia fermo in arsenale e preferisce scendere in battaglia con le fionde. Ma per par condicio ora lasceremo perdere il dibattito interno al nostro ambiente ed esploreremo piuttosto l’altra faccia della stupidità, ovvero i contorcimenti intellettuali e le farneticazioni di quanti, scienziati e pensatori evoluzionisti e “progressisti” si sono arrampicati sugli specchi pur di non arrivare alle conclusioni assolutamente ovvie ma “politicamente scorrette” in contrasto con l’ortodossia democratica dominante implicite nella visione del mondo scientifica.

Abbiamo il coraggio di dirlo una volta per tutte: progressismo, democraticismo, “socialismo” (della specie marxista), non sono altro che una serie di superstizioni che non possono reggere l’occhio impietoso e obiettivo della ricerca scientifica.

Premesso che “la democrazia” o, come preferisco definirla io, il democraticismo non è proprio per nulla la libertà di esprimere le proprie idee o la tolleranza verso qualsiasi idea espressa in forma civile, ma un’ideologia coi suoi dogmi precisi che determinano l’anatema per il reprobo che non ha intenzione di sottostarvi, noi vediamo che poiché non ha nessun genere di argomenti da opporre alla ricerca scientifica, i suoi adepti ne difendono i dogmi cercando di proibire la ricerca o la divulgazione dei suoi risultati, oppure semplicemente con la violenza, esattamente come accadeva per il geocentrismo tolemaico ai tempi di Galileo, difeso, in mancanza di argomenti da opporre a Copernico, dal pugno di ferro dell’Inquisizione.

Questo non è qualcosa che scopro io ora. Sergio Gozzoli nel suo articolo La rivincita della scienza pubblicato sul n. 44 de “L’uomo libero” ne ha dati diversi esempi, fra cui l’aggressione subita da parte di un commando di femministe dal sociobiologo Edward O. Wilson quando nel corso di un convegno osò parlare delle basi biologiche delle differenze comportamentali fra uomo e donna, e la maniera allucinante, davvero orwelliana, in cui a un altro scienziato, Frederick K. Goodwin, fu impedito di presentare i risultati di uno studio decennale sulle basi genetiche dei comportamenti aggressivi nei giovani maschi americani (1). In questi casi, buona norma democratica vuole che il ricercatore a cui si tappa la bocca sia ingiuriato con l’epiteto di “fascista” e forse i “buoni democratici” non si rendono conto che in questo modo fanno diventare ogni giorno di più “fascismo” sinonimo di libertà e di indipendenza di pensiero.

Questo, naturalmente, non è il peggio, perché può succedere che siano gli scienziati stessi, non sappiamo se per interesse, quieto vivere, opportunismo, o perché prevaricati dalla stessa ideologia democratica, a farsi portatori delle falsità e/o sciocchezze “politicamente corrette”, e allora l’altra faccia della stupidità ci appare in tutta la sua chiarezza, quando vediamo uomini molto intelligenti asserire cose molto stupide.

Un esempio palmare in questo senso è stato rappresentato dal defunto Stephen Jay Gould, geologo e divulgatore scientifico i cui libri hanno goduto di una discreta popolarità, che era interessante e coinvolgente finché parlava di scienza, ma quando si trattava di estendere le sue osservazioni alla società umana e alla politica, in omaggio alla “correttezza politica” di sinistra, riusciva a dire delle stupidaggini incredibili per un uomo della sua levatura.

Trascrivo questo esempio da Questa idea della vita, un libro in cui sono raccolti vari saggi in cui espone quella che è (secondo lui) la concezione evoluzionista:

“Negli ultimi dieci anni [l’edizione originale del libro è del 1977] siamo stati sommersi da un risorgente determinismo biologico, che va dalla etologia “per tutti” al più scoperto razzismo.

Padrino di questa rinascita è stato Konrad Lorenz; grazie al lavoro di drammatizzazione di Robert Ardrey ed a quello narrativo di Desmond Morris si è data dell’uomo l’immagine di una “scimmia nuda” discendente da un carnivoro africano, con una aggressività innata ed una altrettanto innata tendenza al dominio del territorio” (2).

 Effettivamente, per un buon democratico che voglia tenere le implicazioni sociali e politiche dell’evoluzionismo ferme all’ottocento quando si mischiavano al progressismo, al socialismo alla Proudhon (se non a quello di Marx), a residui di hegelismo, al ballo Excelsior di Manzotti, alla convinzione comunque di uno sviluppo ascendente automaticamente garantito dal dio immanente della storia, l’emergere di una serie di nuove scienze come la sociobiologia e l’etologia può sembrare una specie di congiura.

Se invece si è sprovvisti di paraocchi, la reazione che si presenta spontanea è un misto di ironia e di scetticismo. Innanzi tutto, quel che negli Stati Uniti passa per destra, oltre a essere puro liberal-conservatorismo in campo sociale, dal punto di vista ideologico è cristianesimo fondamentalista venato di creazionismo, e a ogni modo quanto di più lontano sia possibile immaginare da un’interpretazione dell’uomo e della società in termini biologico-evoluzionisti, e già questo basterebbe a far cadere da sola la farneticazione di Gould, ma se andiamo a esaminare più da vicino gli autori nominati, i membri della supposta congiura, ci accorgiamo ancora meglio che ciò con cui abbiamo a che fare è l’inconsistenza, il vuoto che caratterizza tutte le petizioni di principio degli evoluzionisti democratici.

Robert Ardrey è stato uno scrittore e drammaturgo con la passione della scienza, che ha dedicato molta parte della sua opera alla divulgazione scientifica. Il suo libro più famoso, che fu un vero best seller negli anni ’60 è African Genesis, pubblicato in Italia nel 1968 con il titolo L’istinto di uccidere (3). Da allora, ogni buon scienziato evoluzionista che voglia nel contempo dimostrare di essere un buon democratico, si è fatto un sacrosanto dovere, con pecoresca ritualità, di ingiuriarlo e maledirlo. Cosa ha mai detto quest’uomo di così blasfemo e sconvolgente?

Nel suo libro, che riflette almeno in parte le idee del paleoantropologo Raymond Dart, lo scopritore dell’australopiteco, Ardrey sostiene che l’aggressività di cui l’umanità attuale fa così abbondante sfoggio deriva direttamente dagli istinti predatori dei nostri lontani antenati vissuti nelle savane. Cosa c’è in questa tesi di così blasfemo da provocare gli attacchi isterici degli evoluzionisti democratici?

Considerando la notevole aggressività mostrata dagli scimpanzé, nostri parenti evolutivi più prossimi anche verso i loro consimili di altre tribù, e il fatto che per tutta la storia e la preistoria documentate, l’uomo è stato un costruttore di armi, un cacciatore e un guerriero, sul piano logico essa equivale ad affermare che poiché all’inizio della filogenesi degli equini abbiamo un cavallino di piccole dimensioni e alla fine i cavalli attuali, gli stadi intermedi devono essere rappresentati da cavalli di dimensioni man mano crescenti, piuttosto che da bovini muniti di corna o da giraffe. Il fatto è che questa ovvietà viene a urtare contro uno di quei dogmi impliciti nella mentalità democratica, che non possono essere enunciati chiaramente pena il mettere in luce tutto il carattere di stupidità e chiusura mentale dell’ideologia democratica.

Il dogma che Ardrey ha avventatamente trasgredito, è la contrapposizione fra natura e cultura, innato e appreso, eredità e ambiente, che costituisce uno dei pilastri della mentalità democratica e/o di sinistra. Poiché l’aggressività e la violenza hanno delle cause di ordine sociale (ed è chiaro che ce ne hanno), è assiomatico che non ne possano avere di più profonde di ordine biologico.

“L’uomo nasce buono e la società lo corrompe”, e rimodellando i rapporti fra le classi sociali è possibile creare il paradiso in terra. Sono i fantasmi di Jean Jacques Rousseau e di Karl Marx che parlano attraverso la bocca di Gould. Si tratta di un modo di vedere (o meglio, di non vedere) le cose che, prima di essere una falsità, è una stupidaggine.

 Come diceva Konrad Lorenz: “L’uomo è per natura un animale culturale”. È la sua base genetica prodotta dall’evoluzione che ne ha fatto un essere capace di dare vita non a una ma a una molteplicità di culture, non altro, e contrapporre le due cose come antitetiche come fanno i buoni marxisti e democratici, è semplicemente insensato.

Il torto principale di Desmond Morris è quello di essere, oltre che uno zoologo specializzato nello studio del comportamento dei primati, un bravo scrittore capace di rendere le proprie idee facilmente accessibili al grosso pubblico. Il suo libro La scimmia nuda è stato a lungo un best seller. Ciò che differenzia a colpo d’occhio l’uomo dagli altri primati, è il fatto di avere la pelle nuda, non ricoperta di pelo, o con una peluria assai rada a paragone di quella degli antropoidi. La struttura fisica dell’uomo è quella di un primate, e lo sono pure i suoi modelli comportamentali, propri di un primate molto intelligente, ma sempre tale (4).

Quando non si hanno argomenti a sostegno delle proprie tesi, allora è meglio creare effetti suggestivi facendo appello all’emotività, e i democratici sono bravissimi in questo. “Rozzo determinismo biologico”. Quante volte avete sentito quest’espressione? E quando mai avete sentito parlare di rozzo determinismo sociale-ambientale? Poiché l’uomo è il prodotto sia di fattori biologici sia di fattori ambientali, perché sempre e solo il determinismo biologico deve essere “rozzo”? L’unica spiegazione ragionevole è che democraticismo e marxismo devono mettere la massima distanza possibile tra la coscienza dell’uomo e la sua natura biologica perché non sono altro che prolungamenti del cristianesimo.

Eppure, pensateci un attimo. Quando per esempio un giudice democratico, possibilmente di sinistra, condanna un efferato delinquente a una pena irrisoria perché tanto comunque “la colpa è della società”, questo in quale altro modo si potrebbe definire se non un rozzo determinismo sociale?

Fra i congiurati della cospirazione antidemocratica, poche righe sotto Gould mette nell’indice/lista di proscrizione anche Carleton S. Coon. Coon, che era un antropologo, è stato autore di un voluminoso studio su L’origine delle razze. L’homo sapiens, la nostra specie, fa notare Coon, esiste da poche decine di migliaia di anni, un tempo perché sembrerebbe davvero troppo breve, considerando il fatto che noi non siamo insetti ma una specie a riproduzione lenta, fra le più lente che esistano, considerando il tempo che un essere umano impiega a diventare adulto, perché essa possa essersi differenziata nel numero di razze dalle caratteristiche differenti che vediamo, per differenziare un esquimese da un pigmeo, un europeo da un aborigeno australiano.

La spiegazione di Coon a questo apparente paradosso è semplice, perfettamente coerente con i dati disponibili e con la teoria evoluzionista. Noi sappiamo che in un ampio arco di tempo che va da circa 400-300 a 70-50 mila anni fa sono esistite numerose popolazioni “di transizione” fra homo erectus e homo sapiens. Cosa accadeva quando una popolazione più avanti sulla via verso sapiens si espandeva e veniva a contatto con altre (che non erano enormemente diverse)? Probabilmente, si determinava uno scambio genetico, e la popolazione mista che ne risultava finiva alla lunga per conservare i caratteri in ogni caso più vantaggiosi per la sopravvivenza, cioè da un lato quelli sapiens della nuova arrivata, dall’altro quelli della popolazione precedente che rappresentavano un valido adattamento alle condizioni ambientali locali, cioè i caratteri razziali. Questo spiega l’apparente paradosso per il quale le caratteristiche che contraddistinguono le razze umane sembrerebbero essere più antiche della comparsa dell’homo sapiens moderno.

 Questa teoria coincide quasi perfettamente con quella che oggi, trent’anni dopo, si chiama teoria dell’evoluzione multiregionale che si contrappone a quella dell’origine esclusivamente africana di homo sapiens (che è bene specificare, è una questione del tutto diversa da quella dell’origine africana degli ominidi ancestrali, che è del tutto pacifica) e sembra avere di gran lunga maggiori probabilità di essere quella esatta (ad esempio, il fossile umano noto che ha le maggiori probabilità di essere l’antenato comune di h. sapiens sapiens e dell’uomo di Neanderthal non è africano, è stato ritrovato a Ceprano in Italia, e l’Italia, che io sappia, non è un pezzo d’Africa, o meglio, non lo è ancora, anche se i buoni democratici fanno di tutto per farla diventare tale favorendo l’immigrazione incontrollata).

Apriti cielo! Solo sentir parlare di razze ha fatto scatenare contro Coon le reazioni fobiche e l’ostracismo della consorteria dei buoni democratici politicamente corretti. È una di quelle cose che evidenziano come forse meglio non si potrebbe che “democrazia” è praticamente un sinonimo di idiozia allo stato puro. Una cosa è constatare che le razze esistono, e magari cercare di capire perché e come si sono formate, un’altra, completamente diversa stabilire delle differenze di valore fra gli esseri umani in base alla loro appartenenza razziale. È la stessa differenza che corre fra la constatazione ovvia che la nostra specie, come tutte quelle animali superiori, è divisa in due sessi, e il voler affermare la superiorità di un sesso sull’altro. Ma in questi casi non c’è ragionevolezza che tenga, i democratici hanno una coda di paglia lunga chilometri, e solo sentir sussurrare qualcosa che richiami alla lontana l’aborrita parola “razzismo”, li getta nel panico.

Eppure, proviamo a considerare quali alternative ragionevoli esistono alla teoria di Coon. Diciamo centomila anni fa esistevano in ogni angolo del mondo eccetto le Americhe numerose popolazioni umane pre-sapiens. Se non vi è stata alcuna mescolanza fra esse e il “nuovo” essere umano che si suppone uscito dall’Africa, i casi sono due: o si sono graziosamente estinte di loro spontanea volontà per far posto al nuovo venuto, il che è del tutto inverosimile, oppure homo sapiens le ha sterminate sistematicamente, ma in questo caso i nostri antenati sarebbero stati degli assassini sanguinari al cui confronto l’ominide predatore descritto da Robert Ardrey parrebbe un Figlio dei Fiori o un monaco buddista. È un piccolo particolare di cui i sostenitori dell’OOA (Out Of Africa) dovranno prima o poi renderci conto.

Meno male che l’ultimo articolo/capitolo del libro di Gould s’intitola Un animale ingegnoso e buono. Ma lui e tutti quelli come lui che professano di credere nell’innata bontà umana, hanno mai aperto la pagina di cronaca di un quotidiano o ascoltato un TG?

Ho lasciato appositamente per ultimo quello che mi sembra il fatto più grave, che Gould trascini su banco degli imputati considerandolo nientemeno che il “padrino” della rinascita della biologia non soggetta ai diktat ideologici democratici (e quindi fascista, razzista e chi più ne ha più ne metta), Konrad Lorenz. Chi ha letto i libri di Lorenz ha potuto facilmente rendersi conto dello spirito che li permea: un grande amore per la natura e per tutte le forme viventi, unito a una vivace curiosità e un rigore scientifico a tutta prova, assolutamente alieno da preconcetti e paraocchi ideologici di qualsiasi tipo; tutte qualità che hanno permesso a Lorenz di fare dell’osservazione del comportamento degli animali nel loro ambiente naturale una nuova scienza, l’etologia. Sinceramente, leggendo l’atto d’accusa di Gould ho avuto la stessa impressione che ci può dare qualcuno di dubbia credibilità quando attacca un galantuomo di onestà intemerata.

Konrad Lorenz è stato un indagatore della natura del tutto alieno da preconcetti ideologici di qualsiasi tipo. Il suo libro più “politico” è stato forse Evoluzione e modificazione del comportamento (5) (tra l’altro pubblicato in Italia da una casa editrice “progressista” come Boringhieri). In esso, Lorenz difende dai suoi critici un concetto cardine dell’etologia che è quasi una banale ovvietà: l’evoluzione e la selezione naturale darwiniana, così come hanno modellato i caratteri fisici degli esseri viventi, ne hanno plasmato anche i comportamenti, e questo vale anche per la nostra specie come per tutte le altre.

Cosa che può forse sembrare strana, i critici di Lorenz sono in grande maggioranza psicologi comportamentisti. La storia del comportamentismo meriterebbe di essere meglio conosciuta dal grosso pubblico, perché è un esempio davvero palmare di come i paraocchi democratici possano deformare la ricerca scientifica.

Nato nel secondo decennio del XX secolo, i comportamentismo si è basato su di un assunto metodologico giusto e ne ha tratto conseguenze sbagliate, non implicate in esso e fortemente in linea con l’ideologia democratica. L’assunto metodologico giusto era che non si può osservare la mente altrui, e che la psicologia deve dedicarsi allo studio del comportamento osservabile. Da ciò NON SEGUE che tutta l’attività psichica si possa ridurre ai riflessi condizionati pavloviani, che non sia possibile distinguere fra comportamento intelligente e finalizzato a uno scopo e comportamento insensato e non finalizzato, né, infine, che il patrimonio genetico e la storia evolutiva delle specie (uomini compresi) non abbiano alcuna influenza sul comportamento.

Basato su di un riduzionismo a colpi d’accetta, il comportamentismo ebbe uno straordinario successo negli Stati Uniti perché proprio in conseguenza dei suoi errori logici, veniva a rispondere molto bene a certe istanze della mentalità democratica americana: quella di una psicologia fai-da-te facilmente applicabile attraverso la lettura di appositi manuali, l’idea molto democratica che, a parte le influenza ambientali, gli esseri umani siano tutti uguali e che (particolare molto attraente per una non-nazione ibrida come gli Stati Uniti) l’origine di ciascuno non conti per nulla, e l’idea che l’essere umano sia manipolabile a piacere (il lato totalitario sempre presente e nemmeno tanto ben nascosto della democrazia).

“Datemi un bambino”, sosteneva John B. Watson, fondatore della scuola comportamentista, “E ne farò quello che volete, volete che ne faccia un delinquente? Ne farò un delinquente. Volete che ne faccia il presidente degli Stati Uniti? Ne farò il presidente degli Stati Uniti”.

Forse non è nemmeno il caso di insistere troppo sul fatto che, effettivamente alcuni presidenti degli Stati Uniti sono stati fra i peggiori delinquenti che la storia umana abbia mai conosciuto, ad esempio Franklin Delano Roosevelt che lavorò attivamente a travolgere il mondo nella tragedia della seconda guerra mondiale allo scopo di annientare l’antica centralità europea e assicurare l’egemonia planetaria americana, o Harry Truman che ordinò i bombardamenti nucleari sul Giappone quando quest’ultimo si era già arreso.

Il colmo del ridicolo probabilmente gli pseudo-psicologi comportamentisti lo raggiunsero negli anni ’30 e ’40 quando vennero a contatto con molti psicologi di origine europea che si rifugiarono negli Stati Uniti, psicanalisti e gestaltisti, coi quali ingaggiarono dispute furibonde. Quello che non riusciva loro di accettare della psicanalisi, non era l’accentuazione delle tematiche della sessualità, ma il fatto che essa lasciasse intravedere una complessità della vita psichica che andava ben oltre il loro risibile riduzionismo. Le colpe degli psicologi della Gestalt ai loro occhi erano ancora più gravi: i gestaltisti sostenevano il carattere innato dei processi percettivi, erano degli innatisti che sostenevano che nell’uomo ci fosse qualcosa che non era il prodotto delle influenze ambientali, erano quindi (come Jean Piaget, d’altronde), dei cripto-fascisti. (Teniamo presente che in ogni caso era gente che era fuggita dall’Europa per sottrarsi ai fascismi, e fra questi c’erano non pochi ebrei).

L’aspetto grottesco della faccenda, è che costoro contestavano semplicemente un’ovvietà, come discutere se due più due faccia quattro oppure no. I meccanismi percettivi sono innati, devono precedere l’esperienza perché sono essi che la rendono possibile.

Dagli anni ’60 non esiste più una scuola psicologica comportamentista riconoscibile come tale, ma questo non significa che un “fondo” comportamentista non continui a impregnare gran parte della mentalità americana.

I comportamentisti avevano mutuato le loro concezione da Ivan Pavlov, il fisiologo russo scopritore dei riflessi condizionati, e come lui avevano preteso che questi fossero la spiegazione di tutta la vita psichica. Ivan Pavlov, a sua volta, sebbene non si fosse mai dichiarato comunista e appartenesse alla generazione pre-rivoluzionaria (era nato nel 1849), non solo passò indenne il periodo staliniano, ma dal potere sovietico ricevette solo incoraggiamenti e onori: l’idea dischiusa dalla sua psicologia, che l’essere umano fosse, grazie agli stimoli giusti, manipolabile e plasmabile a piacere come creta molle, era troppo allettante per la nomenklatura sovietica.

Non dovremmo mancare di riflettere sul fatto che nei due imperi che hanno dominato la scena mondiale nella seconda metà del XX secolo, la concezione dell’uomo sia stata esattamente la stessa, uno di quei fatti che inducono a pensare che, nonostante le apparenze, la differenza fra l’uno e l’altro sia stata più una questione di dettagli che di sostanza.

La storia della scienza in Unione Sovietica, o meglio ancora della “scienza sovietica”, di ciò che in Unione Sovietica è passato per scienza, è un capitolo mal conosciuto e ricco di sorprese. Non si venga a dire che essa ha avuto almeno il merito di portare il primo uomo nello spazio. A portare il primo uomo nello spazio nel 1961 non è stata la “scienza sovietica” ma la tecnologia rubata ai Tedeschi nel 1945.

È piuttosto noto il caso di Trofim Lysenko, il “biologo” sovietico presidente dell’Accademia delle Scienze Agricole dell’URSS che fondò le sue “teorie” sulla negazione pura e semplice della genetica, provocando la deportazione o la morte in carcere di molti genetisti e dando un contributo determinante al crollo della produzione agricola sovietica. Quello che è meno noto, invece, è che il caso Lysenko non è semplicemente una mostruosità riconducibile al periodo staliniano, non fosse altro perché Lysenko rimase al suo posto per tutta l’era di Krushev per “cadere in disgrazia” soltanto con l’avvento di Leonid Breznev, e non certo perché Breznev fosse più aperto o interessato di Krushev alla scienza occidentale, ma unicamente per i meccanismi di potere interni alla nomenklatura sovietica, perché è inutile girarci intorno, Lysenko esprimeva un bisogno fondamentale del comunismo, non solo sovietico, che l’eredità biologica, il passato, la storia, non solo degli uomini ma di tutte le forme viventi, non contassero nulla, e non aveva importanza quanto questo bisogno fosse campato in aria, lontano dalla realtà.

Anche fra i democratici vi sono persone che non sono né stupide né in malafede; sono una minoranza, ma ci sono. La cosa interessante è che quando questi ultimi si impegnano in un lavoro teorico e sono abbastanza onesti da riportare tutti i dati a loro disposizione, questi smentiscono regolarmente le teorie “politicamente corrette” che essi cercano di sostenere.

Un esempio notevole in questo senso anche se lontano dalle scienze, tranne quella storica, è il libro tratto dall’omonima inchiesta televisiva La notte della repubblica di Sergio Zavoli (6). Dalla massa dei dati raccolti, dalle interviste, dai resoconti giornalistici, emerge la verità a dispetto delle intenzioni dichiarate dell’autore: Negli anni di piombo, la “strategia della tensione” fu messa in atto dai servizi segreti italiani niente affatto deviati, non per destabilizzare il sistema politico ma per stabilizzarlo. All’epoca era in corso un “attacco al cuore dello stato” portato avanti dalle Brigate Rosse, ma non solo dalle Brigate Rosse che erano solo la punta di diamante della vasta area della cosiddetta autonomia e della sinistra extraparlamentare. Fu costruito di sana pianta un “terrorismo nero”, reclutando come manovalanza individui tra i meno accorti, meno intelligenti, meno politicamente preparati della destra estrema, allo scopo di impedire che l’attacco brigatista facesse spostare per reazione l’opinione pubblica “a destra”.

Nel campo scientifico che stiamo esaminando, troviamo un esempio molto simile. Negli anni ’70 il genetista di origine ucraina naturalizzato americano Theodosius Dobzhansky scrisse il saggio Diversità genetica e uguaglianza umana (7), uno scritto che è quanto di più “politicamente corretto” ci si possa immaginare, con l’intento di dimostrare che gli uomini vanno considerati tutti uguali a dispetto delle evidenti differenze fisiche, comportamentali e genetiche, di condannare il razzismo e via dicendo. Poiché è stato abbastanza onesto da non censurare i dati, tuttavia riporta nel libro una tabella con i coefficienti di correlazione (cioè, potremmo dire il grado di somiglianza, ricordando però che si tratta di dati solo quantitativi) dei quozienti d’intelligenza di persone con vari gradi di parentela. Ai due estremi della scala, troviamo gemelli monozigoti separati alla nascita (con la stessa struttura genetica, ma cresciuti in ambienti diversi) con un coefficiente di correlazione del 75%, ed estranei geneticamente allevati assieme (fratelli adottivi), con un coefficiente di correlazione del 24%.

Davvero non occorre altro per concludere che l’intelligenza dipende per tre quarti dall’eredità genetica e solo per un quarto dall’ambiente, e se le cose stanno in questi termini, e non vi è dubbio che lo siano, psicologi comportamentisti, divulgatori alla S. J. Gould, democratici assortiti possono solo andare a nascondersi!

La democrazia, l’ideologia democratica, il democraticismo, sono un sistema di superstizioni che ha ben pochi punti di contatto con la realtà, sono una chiara espressione della stupidità umana, e non possono sopravvivere senza esercitare un’azione deformante sulla ricerca scientifica.

NOTE

  1. Sergio Gozzoli: La rivincita della scienza, “L’uomo libero” n. 44, 1.11.1997.
  2.  Stephen Jay Gould: Questa idea della vita (Ever since Darwin), Editori Riuniti 1984, pag. 225-226.
  3. Robert Ardrey: L’istinto di uccidere (African Genesis), Feltrinelli, Milano 1968.
  4. Desmond Morris: La scimmia nuda (The naked Ape), Bompiani, Milano (1968) 2003.
  5. Konrad Lorenz: Evoluzione e modificazione del comportamento, Universale Scientifica Boringhieri, Bologna 1974.
  6.  Sergio Zavoli: La notte della repubblica, ERI – Mondadori 1992.
  7. Theodosius Dobzhansky: Diversità genetica e uguaglianza umana, Einaudi Nuovo Politecnico, Torino 1975.
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  1. Magnetica Ars Lab
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    Quello che lei afferma mi appare surreale. E anche abbastanza banale nella sua ingenuità.
    Ma forse lo si dovrebbe leggere tenendo presente quello che lei è, come la provocazione di un esperto di SF. Cosa che sicuramente, a mio modesto avviso, le riesce meglio dell'essere realmente un sociologo o un filosofo.

    Mi chiedo quale società di scienziati razionalisti e puri essendo, in quanto tale, una cosa comunque collettiva e mediata o mediante, sarà mai migliore e realmente evolutiva per il singolo di un'altra basata su presupposti diversi o addirittura opposti? Entrambe annichiliscono il singolo nel proprio concetto di plurale.

    E vorrei farle notare come è grazie ad un qualsiasi sistema di superstizioni plurale, che in parte possono essere anche scientifiche, almeno pari a quello che lei definisce irreale, ovvero questa democrazia imperfetta che da alcune generazioni ci circonda (in italia e ad occidente) , che nella nostra realtà ristretta di esseri civili ha finora permesso (e forse anche favorito) la sua e mia personale e singolare evoluzione.

    Io le chiedo: sulla base di quali assunti scientifici per lei, un'altra qualsivoglia matrice ideologica, basata sul predominio del migliore, rispetto a queste democrazie" che asserisce essere forme errate e stupide, risulti meno scevra dell'effetto corruttivo proprio della stupidità sociale della massa sul singolo?
    Una società che sia in grado di far sopravvivere solo i migliori soggetti di un'evoluzione darwiniana selezionerebbe comunque sempre il grado del proprio meglio mediandolo attraverso logiche di beneficio naturale per la collettività (che trattasi in questo caso di specie animale o razza collettiva).
    Il singolo ion entrambi i casi "scientificamente" cessa di essere importante rispetto alla massa.
    Da questo punto di vista la selezione naturale è quanto di più "comunista e democratico" possa esistere.
    In quanto va contro l'interesse naturale del singolo. Fino a decretarne la morte o migliorare per proteggere la specie collettiva.

    Detto questo mi pare che la sua teoria abbia anche anch'essa molti di quei presupposti e preconcetti propri dell'ideologia "scientista" tout-court di cui lei accusa essere permeati certo democraticismo consociativo e marxismo/comunismo.
    Quella a cui lei si riferisce è l'evoluzione del singolo individuo. Che nulla ha a che vedere con la genetica e nemmeno con la società. Perchè ogni singolo individui, preso come sistema di riferimento sociale segue una evoluzione asincrona rispetto la collettività di appartenenza, in modo che può essere migliorativo o peggiorativo rispetto i parametri medi.
    Parametri medi di evoluzione della collettività che invece sono presupposti correttivi e condivisi /dunque medi o medianti) qualsiasi sia la matrice ideologica che sposi quella collettività.

    Come tali sono quindi sempre efficaci in termini evolutivi (rispetto alla sopravivvenza della collettività a favore o a discapito dei propri singolo). Questo è il motivo per cui, anche grazie ad una democrazia imperfetta in italia, è stato permesso che una generazione imbelle come lo è la sua al pari della mia (penso di essere più giovane di lei) potessero entrambe evolvere nella ns. visione sociale quasi democratica anche mantenendo in vita i loro soggetti più deboli e meno evoluti.

    Gente come noi, che immagino mediamente anche abbastanza intelligente ma con basse capacità di adattamento all'ambiente sociale, senza essere per questo essere definibili scienziati.

    Gente come noi (me e lei) che in un mondo fatto solo per i cacciatori più forti o gli scienziati migliori, come quello che lei forse auspica, sarebbero stati cacciatori deboli o peggio prede. O cavie delle scienze sociali.

    Invece siamo qui entrambi a confutare tesi opposte e anche discutere se la democrazia sia un salto in avanti o una anomalia nel gradino dell'evoluzione sociale in quanto ritenuta in grado di far evolvere in cittadino anche l'ultimo individuo naturale (buono o cattivo ragazzo selvaggio che sia) che è insito geneticamente dentro ognuno di noi.

    Credo che lei quindi si sbagli. Anche a tirare per la maniche scrittori e autori che non dicevano esattamente quello che lei sostiene.

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