Nel 1906, mentre l’Europa viveva in pieno i fasti della belle époque (o, almeno, mentre li viveva la borghesia europea), veniva pubblicato uno dei romanzi di Emilio Salgari che, non appartenendo né ai cicli “maggiori” (come quello dei pirati della Malesia o quello dei corsari delle Antille), né a quelli “minori” (come «i figli dell’aria», o «i due marinai»), non ha avuto un particolare richiamo presso il pubblico ed è un po’ scivolato nella dimenticanza: La Stella dell’Araucania.
Dimenticanza, diciamolo subito, alquanto immeritata, perché si tratta di un romanzo splendido e, nel suo genere, perfettamente costruito e tale da tenere il lettore avvinto dalla prima all’ultima pagina. Si tratta, insomma, di un piccolo gioiello, passato un po’ inosservato perché non altrettanto vistoso e spettacolare di altri dello scrittore veronese; eppure sapientemente costruito e portato alla conclusione, con un perfetto dosaggio delle sue tre componenti principali: l’avventura, il giallo e la storia sentimentale.
La trama è ben costruita e, dal punto di vista narrativo, riteniamo che questo romanzo sia una fra cose migliori del povero Salgari che, come giustamente è stato detto, scriveva non per la fama, ma per la fame, ossia per ottemperare agli impegni presi firmando con vari editori dei classici contratti-capestro.
Nonostante l’alta drammaticità della vicenda, che si innalza di tono per mezzo di un climax sapientemente calcolato, e il drammatico finale che ripropone il binomio Eros-Thanatos in una inconsueta ambientazione polare, si respira tuttavia una scioltezza narrativa e una atmosfera a suo modo quasi euforica. Quando scrisse La Stella dell’Araucania, Salgari aveva quarantatré anni (era nato a Verona nel 1862); si stenta a credere che gli rimanessero solo cinque anni da vivere, prima di morire suicida, accoltellandosi in un boschetto nei pressi di Torino, nel 1911.
Anche in quest’opera campeggiano dei sentimenti elementari, ma ben delineati, che stanno alla base di quasi tutta la sua narrativa: l’amore, l’onore, la lealtà, il coraggio. Lo stile è un po’ più curato che in altre sue opere; e le ingenuità psicologiche, che pure non mancano, sono però largamente compensate dalla ricchezza dell’inventiva e dal vigore con cui sono disegnate figure e situazioni, in un clima che sta a mezza strada fra quello romantico della storia sentimentale, e quello scattante e nervoso del romanzo d’avventura.
L’azione si svolge nel 1859, nelle regioni e nei mari più meridionali del Sud America, fra lo Stretto di Magellano, la Terra del Fuoco e gli arcipelaghi che chiudono a sud, con il Capo Horn, l’ultimo lembo di terraferma in vista delle bianche solitudini antartiche.
Un giorno, di ritorno da una stagione di lavoro in un depositi di guano sull’Isola Desolazione, i due amici Pardoe e José s’imbattono, con loro grande meraviglia, nella carcassa galleggiante di una balena, che reca ancora gli arpioni che ne hanno provocato la morte per dissanguamento; e, su di essa, scorgono anche le sagome di due esseri umani.
Avvicinatisi e recuperati i corpi senza vita, nei quali hanno riconosciuto degli amici, vengono a sapere, leggendo il diario di uno di essi, che la balena, colpita a morte, aveva spezzato con un colpo di coda la loro scialuppa. Quanto al loro veliero, la baleniera Rosita del capitano Alonzo Gutierres, il marinaio aveva scritto di non saperne più nulla da quando, disalberata, aveva dovuto prendere terra presso la punta orientale dell’Isola degli Stati.
Sono già passate, dunque, diverse settimane e i naufraghi della Rosita, probabilmente, sono ancora vivi, ma impossibilitati a ripartire ed isolati in uno dei luoghi più selvaggi e solitari della Terra del Fuoco, battuto da venti e tempeste di un violenza tremenda. Bisogna assolutamente fare qualcosa per loro, tanto più che l’inverno australe è già quasi al culmine; ma cosa? Chi mai oserebbe mettere a rischio la propria barca e la propria vita per allestire una spedizione di soccorso? E poi, in tutta la regione, l’unica imbarcazione adatta è quella del cugino di Alonzo, Piotre; ma i due si odiano di tutto cuore e, pertanto, sarà ben difficile che il secondo si metta in mare, in quelle condizioni proibitive, per salvare la vita del suo peggior nemico.
Ad ogni modo, appena rientrati a Punta Arenas, l’unico avamposto della civiltà in quelle regioni desolate, Pardoe e José si affrettano a dare l’allarme; e, in particolare, raccontano quanto è capitato loro al signor Lopez, benemerito cittadino che, da giovane, aveva esplorato quei luoghi, li aveva studiati a fondo e aveva contribuito a renderli abitabili e a valorizzarli economicamente.
Lopez è il padre adottivo di una fanciulla di diciassette anni, di una tale meravigliosa bellezza, da essere conosciuta ovunque come «la stella dell’Araucania»: la meticcia Mariquita, figlia di Elisa Bravo, una bianca caduta nel corso di un combattimento con gli indiani, e del capo araucano Nahuelquin. Mariquita è fidanzata appunto con Alonzo Guitierres; e ha rifiutato la mano di suo cugino Piotre che, oltre ad essere meno giovane, meno elegante e meno bello, ha avuto la sfortuna di giungere per secondo con la sua proposta di matrimonio.
Ed ora è proprio quest’ultimo il solo che sarebbe in grado di fare qualcosa per salvare Alonzo. Tuttavia, non appena informata della situazione, Mariquita non ha un attimo di esitazione e, balzata in sella, si reca alla fattoria di Piotre, che sorge isolata, a una certa distanza da Punta Arenas. Lo trova intento alla caccia al condor e, vincendo l’imbarazzo, gli spiega il motivo di quella visita così inaspettata.
L’uomo, con il cuore ancora sanguinante per la ferita d’amore mai rimarginata, trasalisce al solo udire il nome di Alonzo, quindi si rifiuta seccamente; e Mariquita, allora agendo d’impulso – si risolve a promettergli di diventare la sua sposa, se Piotre partirà per sottrarre alla morte il giovane da lei amato. Solo a questa condizione, sancita da un solenne giuramento, il fiero marinaio si lascia vincere dalle preghiere della fanciulla.
Ed ecco la Quiqua, la miglior baleniera di quei mari australi, uscire da Punta Arenas sotto la guida sicura di Piotre, il miglior baleniere della regione; a bordo vi sono anche Mariquita, il patrigno di lei ed il fedele Pardoe. Oltre alle insidie dei ghiacci galleggianti e del mare in tempesta, essi devono vedersela anche con un assalto dei Patagoni che, a cavallo e armati di fucili, tentano di impadronirsi dell’imbarcazione spintasi audacemente su quella rotta solitaria.
Questa è forse la parte più avvincente del romanzo, con la superba descrizione di una natura grandiosa ed ostile, e con al centro il coraggio di quel pugno di esseri umani, turbati da passioni contrastanti e duramente impegnati in una lotta mortale contro gli elementi scatenati, per portare a termine la loro missione. L’immagine della Quiqua che, bordeggiando in mezzo ai grandi icebergs, riesce a passarvi in mezzo quasi miracolosamente; e che, infine, si apre la via verso le acque aperte dell’Oceano Atlantico, mentre – subito dopo – un enorme blocco di ghiaccio galleggiante richiude il passaggio dietro di essa, è tale da imprimersi con forza indimenticabile nell’immaginazione del lettore.
Mentre costeggia la riva orientale dell’Isola Grande, Piotre scorge alcuni indigeni e fa salire a bordo uno stregone, che gli narra del recente naufragio di una nave simile alla sua, scagliata a terra dai marosi; ed essi comprendono trattarsi senza dubbio della Rosita. Mentre cercano di farsi spiegare dove sono finiti i marinai, lo stregone, fingendo di aver saputo la storia da un cacciatore di guanachi, riesce ad attirare i bianchi nell’interno, meditando un tradimento.
Ed è così che, mentre Piotre e gli altri si addentrano nell’immensa foresta di faggi antartici, cadono in un agguato e vengono assaliti da un folto gruppo di Ona.
Nel corso dello scontro a fuoco, Piotre prende in braccio Mariquita e riesce a fuggire, facendo perdere – per il momento – le sue tracce. Ma poi, inseguiti nuovamente da vicino e separati dai loro compagni, i due giovani devono riprendere la fuga in condizioni estremamente drammatiche, percorrendo anche un braccio di mare a nuoto, nelle gelide acque subantartiche.
In quei momenti Mariquita ha modo di rendersi conto di quanto grande sia tuttora il sentimento che quell’uomo prova per lei, che lo spinge a proteggerla contro mille pericoli; e, poco a poco, un sentimento nuovo comincia a nascerle in cuore.
Quello che segue è una specie di gioco a nascondino fra i marinai bianchi e gli Ona, nel corso del quale, dopo varie vicende, Piotre e Mariquita si ricongiungono agli altri, ma solo per cadere, poi, tutti prigionieri degli indigeni. Tutti i marina vengono uccisi, e solo Piotre, Mariquita, Lopez e Pardoe sopravvivono. A questo punto, legati e condotti via, essi vengono a sapere che si stanno dirigendo verso il luogo in cui li attende un misterioso capo bianco, il quale, dalla descrizione che ne fanno i loro sorveglianti, risulta essere proprio Alonzo: l’uomo che erano andati a salvare!
Giungono infine al villaggio, circondati da centinaia di selvaggi, e vengono condotti alla tenda del capo bianco. È proprio Alonzo: il quale, vedendosi condurre davanti Mariquita, quasi non crede ai suoi occhi e, felice, la abbraccia.
La fanciulla, però, gli manifesta tutto il suo turbamento: come ha potuto ordinare la strage dei marinai? Alonzo, allora, le spiega di aver implorato la loro salvezza presso gli Ona, ma di avere ottenuto la grazia per solo quattro di loro: lei stessa, il suo patrigno, Pardoe e Piotre. Ed ora, la tentazione di far uccidere anche quest’ultimo è molto forte: cadrebbe così l’ultimo ostacolo alla sua completa felicità con la donna amata, che uno strano destino gli ha voluto rendere, proprio quando credeva che non l’avrebbe rivista mai più.
Mariquita, però, si accorge di non amare più il suo fidanzato: ora che ha potuto metterli a confronto, si è accorta che Piotre è molto migliore di lui: più generoso, più leale, più disposto a qualunque sacrificio per amore di lei. D’altra parte, Alonzo si è stancato di vivere con quei selvaggi e decide di unirsi ai suoi soccorritori per tentare la fuga. Così, nella notte, essi, dopo aver fatto ubriacare i propri carcerieri, lasciano di nascosto il villaggio a bordo di una scialuppa.
In seguito, sul far del giorno, intirizziti dal freddo, scendono su una grande lastra di ghiaccio galleggiante che va alla deriva, nella debole speranza di essere avvistati da una nave di passaggio e tratti in salvo.
Ed è su quel lastrone di ghiaccio galleggiante che si svolge il dramma finale, che vede la lotta mortale fra i due giovani cugini, entrambi innamorati della stessa fanciulla e giunti alla resa dei conti, in un paesaggio allucinato di icebergs che cozzano e si sospingono a fare da cupo sfondo all’ultima pagina della storia.
Girarono il crepaccio e continuarono ad avanzare, senza scoprire alcuna foca. All’estremità del banco si trovarono invece in mezzo a uno stuolo di micropteri, che stavano covando le loro uova, deposte entro piccole cavità tappezzate con poche alghe marine e con penne. I volatili, vedendosi disturbati, si erano precipitati in ranghi serrati contro i due pescatori, che, vibrando mazzate con il calcio dei fucili, ne fecero strage.
– Che abbondanza! – esclamò il signor Lopez, vedendoli ritornare così carichi.
– E senza consumare una carica di polvere – disse Pardoe. – la carne vale poco, ma quando si corre il pericolo di morire di fame, tutto diventa buono.
– Cibi da selvaggi – saltò su a dire Alonzo, sprezzantemente.
– Non avevamo di meglio, signor Alonzo – rispose Pardoe, un po’ piccato. – Se avessimo potuto scoprire delle costolette e dei biscotti, avremmo portato le une e gli altri, ma qui non se ne trovano, purtroppo.
– Dei volatili che gli ona stessi sdegnerebbero – disse ancora Alonzo.
– Potevate andar voi a cercarne dei migliori, signore – disse Piotre, corrugando la fronte. – Forse l’ex capo dei selvaggi avrebbe scoperto altro volatili, più degni di lui!
Alonzo si era alzato, pallidissimo, guardandolo torvamente; il baleniere sostenne quello sguardo, nel quale si vedeva divampare un’intensa fiamma d’odio. Mariquita, che temeva uno scoppio, le cui conseguenze non si potevano prevedere, intervenne, dicendo:
– Ci accontenteremo. Anche i naufraghi, quando non hanno più viveri, si nutrono di questi uccelli, e noi ci troviamo nelle identiche condizioni dei naufraghi, se non peggio. Grazie, Piotrte, e anche a voi, Pardoe.
– Sì, ben preparati non sono poi troppo cattivi i micropteri – disse il signor Lopez. – Privati del loro grasso, che ci darà anzi dell’olio per accendere un po’ di fuoco, sono ancora passabili. Ci penso io.
– E il fuoco per cucinarli? – chiese Mariquita.
– Abbiamo i fornelli dei fuegini nei canotti e ce ne serviremo. Non mancano le corde, che ci serviranno da lucignoli. L’arrosto non riuscirà certo molto squisito, tuttavia sapremo adattarci alle circostanze. Finché preparate la casa, io mi occuperà della cucina.
– E io ti aiuterò, padre – disse la giovane araucana.
– E poi abbiamo parecchie dozzine d’uova – aggiunse Pardoe. Se non molto gustose, saranno almeno sostanziose.
I due balenieri vuotarono le tasche, formando un bel mucchio d’uova, poi esaminarono il ghiaccio, per cercare il punto migliore dove innalzare la capanna.
Alonzo non si era mosso per aiutarli. Se ne stava seduto su un cumulo, guardandoli con aria così ironica, da far arrabbiare il baleniere. Già due o tre volte questi aveva interrotto il lavoro, fissando Alonzo.
Finalmente, non potendo più contenersi, la sua ira scoppiò.
– Mi pare che ridiate – gli disse. – Ridete perché noi stiamo costruendo un ricovero che servirà pure a voi?
– Vale forse la pena di affannarsi tanto per prepararsi una tomba?
– Una tomba?!
– Ho sentito il banco scricchiolare poco fa, e ciò indica che fra non molto farà un bel capitombolo, che travolgerà tutti noi.
Voi cercate d’ingannarci – gridò Piotre, che aveva provato un brivido d’angoscia.
– Vi dico che noi periremo tutti, e che Mariquita non apparterrà né a me né a voi.
– A voi no – rispose Piotre – anche se dovessimo salvarci.
– Ah! – ghignò Alonzo. – Avreste la pretesa di prendermela?
– Ve l’ho già presa!
– L’ex capo dei selvaggi si era alzato, mandando un urlo rauco.
– Che cosa avete detto? – gridò.
– Che Mariquita non è più la vostra fidanzata – ribatté duramente Piotre.
– Voi mentite!
– Signor Piotre – disse Pardoe, cercando di trattenerlo.
Il baleniere lo respinse dolcemente e avvicinandosi ad Alonzo gli disse, con voce fredda, staccando ogni parola:
– Vi dico che Mariquita mi ha giurato di diventare mia moglie!
In quel momento la giovane araucana e il signor Lopez, attirati da quell’alterco, avevano abbandonato precipitosamente i canotti, vicino ai quali stavano preparando la colazione, bruciando il grasso estratto dai micropteri.
Alonzo si era precipitato verso Mariquita, afferrandola per i polsi.
– È vero quanto ha detto quell’uomo? – le gridò, con voce sibilante.
– Non so di che cosa si tratta… Calmatevi. Perché questa contesa?
– Egli ha affermato che tu non sei più la mia fidanzata!
– È vero: ho fatto solenne giuramento di diventare sua sposa, per costringerlo ad armare la sua nave e salvarti.
– E manterrai questo giuramento?
– Lo manterrò – rispose Mariquita, con voce ferma. – Piotre mi ha dato tali prove di affetto, come nessun altro uomo avrebbe potuto darmene, e oggi… io lo amo.
– E io?
– Piotre ti ha salvato.
– Vile! – urlò Alonzo, alzando il pugno su di lei.
– Piotre, che fino allora era rimasto immobile e silenzioso, con un salto si era lanciato fra Alonzo e Mariquita, gridando:
– Tocca mia moglie, se l’osi!
– Signor Lopez – disse Alonzo, fuori di sé – e voi permetterete questo?
– Io vi ho amato come un figlio, perché vi ho creduto leale e gentiluomo; ma ieri sera mi avete dato una prova della bassezza del vostro animo, cercando di far uccidere Piotre dai selvaggi. Voi non siete più degno della mia stima, signor Gutierres: essa è passata a vostro cugino, che ormai la gode intera.
– Morite tutti!
Con un gesto fulmineo aveva estratto il coltello e si era avventato contro Piotre. Il baleniere in quel momento era inerme, pure non si spaventò. Fece un balzo indietro, evitando il colpo che avrebbe dovuto spaccargli il cuore, e si mise sulla difensiva, contando sulla propria agilità e sulla forza prodigiosa che possedeva. Il vecchio Pardoe, con un moto istintivo, si era gettato fra i due rivali, e aveva ricevuto il colpo destinato al baleniere, cadendo ferito sul ghiaccio.
Alonzo, che pareva diventato pazzo, si era avventato per la seconda volta contro Piotre, mentre Mariquita e il signor Lopez tentavano di fermarlo.
A un tratto sembrò che il suolo sfuggisse sotto i piedi di tutti. Una terribile scossa aveva fatto sussultare il banco, seguita da mille scricchiolii.
Il signor Lopez aveva mandato un grido di orrore.
– Il banco si rovescia!
Tutti erano caduti e rotolavano, mentre il banco s’inclinava rapidamente; le acque avevano minato la sua base e stavano per capovolgerlo. Piotre, con uno sforzo supremo, aveva raggiunto Mariquita, nel momento in cui scivolava verso il mare, e si era gettato fra le onde nuotando affannosamente.
Si sentì un fortissimo rumore, poi un’ondata gigantesca coperse tutti, travolgendoli. Il banco si era rovesciato, ma girava su se stesso rimontando a galla.
Quando Piotre, che non aveva abbandonato Mariquita, emerse, il ghiaccio aveva ripreso il suo nuovo equilibrio, presentando delle sponde meno elevate di prima, che si potevano facilmente scalare.
Il baleniere, sospinto anche dall’onda, poté deporre sul banco Mariquita.
– Mio padre!… Mio padre!… – genette la povera fanciulla.
Piotre aveva girato intorno uno sguardo.
– Eccolo! – gridò.
– Due uomini si affannavano fra la spuma, facendo sforzi prodigiosi per tenersi a galla: erano il signor Lopez e Alonzo.
– Il primo non sembrava aver sofferto in quel terribile capitombolo; l’altro invece aveva la testa sanguinante. Qualche pezzo di ghiaccio, staccatosi dalla collina,, doveva averlo colpito. Piotre si era gettato nuovamente in acqua.
– Raggiungere il signor Lopez e tirarlo sul banco, fu cosa di pochi istanti..
– Grazie, Piotre – mormorò il vecchio. – All’altro, ora. È ferito e sta per affogare.
– Il baleniere, invece di tornare a immergersi, incrociò le braccia sul petto, guardando freddamente Alonzo, che sembrava agli estremi.
– Piotre! – gridò Mariquita. Non lasciarlo morire! Sii ancora generoso!
– È vero, vi avevo promesso di ricondurlo salvo a Punta Arenas!
E si lanciò risolutamente fra le onde.
Aveva raggiunto Alonzo e stava per afferrarlo, quando questi gli piombò addosso, serrandogli le mani intorno al collo e avvinghiandolo con le gambe alla persona per impedirgli di nuotare.
– Lasciami! – rantolò Piotre, che si sentiva affondare e soffocava.
– No – ruggì Alonzo. Morremmo insieme e nessuno di noi due avrà Mariquita.
La giovane araucana, atterrita, li vide scomparire, poi riapparire a galla sempre strettamente avvinghiati, poi tornare a immergersi.
A un tratto una testa emerse vicino al banco: era quella del baleniere.
La sua forza straordinaria aveva trionfato ancora una volta. Si era liberato dalla stretta di Alonzo e questi, esausto per la lotta e per la perdita di sangue, era colato a fondo.
Mariquita, vedendolo riapparire, gli aveva steso le braccia, aiutandolo a salire sul banco.
– Perdonami, Piotre! – disse.
– Un grido la interruppe:
– Una nave!!!… Una nave!
Era il signor Lopez, che aveva mandato quel grido.
Un piroscafo, uscito da una nuvola nebbiosa, si dirigeva verso il banco a tutto vapore. Aveva scorto quei due uomini e quella fanciulla e correva a salvarli.
La nave, arrivata così opportunamente, era un piccolo incrociatore cileno, proveniente da una campagna idrografica fatta a sud della Terra del Fuoco.
Piotre, il signor Lopez e Mariquita trovarono a bordo un ufficiale che avevano già conosciuto a Punta Arenas, ed ebbero la più festosa accoglienza.
Il comandante della nave, apprese le loro straordinarie avventure, prima di abbandonare quei paraggi, dietro preghiera di Mariquita, fece esplorare dalle scialuppe i dintorni del banco per vedere di ritrovare i cadaveri di Alonzo e del vecchio Pardoe. Riuscite inutili le ricerche, riprese la corsa verso nord.
Quattordici giorni dopo la nave imboccava lo Stretto di Magellano, allora sgombro di ghiaccio, sbarcando i naufraghi a Punta Arenas.
Maqriquita ha mantenuto il giuramento, ha sposato il valoroso baleniere e ora, insieme con il signor Lopez, che non ha voluto più lasciarli, naviga su una nuova barca da pesca, una nuova e più bella Quiqua, seguendo il marito nelle pericolose cacce ai giganti del mare.
Così termina La Stella dell’Araucania, uno dei migliori romanzi di Emilio Salgari; meno celebre di quelli del ciclo di Mompracem, forse, solo perché non vi compaiono quei personaggi, ormai noti alla totalità del pubblico italiano: Sandokan, Yanez, Tremal-Naik e tutti gli altri.
Un romanzo ben scritto, pur nei limiti del suo genere, ben costruito e ben condotto, attraverso sapienti accorgimenti, verso la naturale conclusione: con un ritmo svelto e sicuro, senza pause o inutili ridondanze.
Un romanzo in cui l’Autore ha saputo fondere così felicemente l’avventura e la storia sentimentale, che volentieri gli perdoniamo sia talune incongruenze geografiche (gli enormi icebergs che ostruiscono lo Stretto di Magellano!), sia le ingiustizie storiche (i poveri Ona, perseguitati a morte dall’uomo bianco, che pagava una somma di denaro per ogni loro capigliatura, di uomo, donna o bambino, i quali, tuttavia, qui diventano i soliti selvaggi traditori e, magari, cannibali), perché la sua fantasia ha saputo costruire una storia avvincente, e in tutto degna di essere raccontata.
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Tratto, con il gentile consenso dell’Autore, dal sito Arianna Editrice.
adriano
sono sempre stato affascinato da salgari, lo jules verne italiano, anche la sua tragica fine, sembra che per chi esce dai binari l’unico futuro sia il suicidio