Il sottosuolo del presente

Un libro sul significato del pensare

Molti  intellettuali ritengono che la condizione attuale della società sia ben definita dall’idea di crisi, pertanto, nelle loro opere, si fanno latori del rifiuto del presente. E’ facile individuare la genealogia di tale atteggiamento esistenziale-intellettuale: risale agli interpreti della letteratura della crisi che, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, si spesero nella critica del moderno. Alcuni tra loro, nello specifico, si attardarono a richiamare l’attenzione sulla crisi delle categorie logiche, che destituiva di certezza tanto l’ambito dell’indagine scientifica, quanto quello metafisico. Il dibattito culturale contemporaneo pare essersi fermato a tale assertiva constatazione, e vede gli analitici, paladini del pensiero logico combinatorio, contrapporsi agli ultimi difensori della metafisica. In realtà, almeno in Italia, alcuni autori, da questo punto di vista, sembrano annunciare altre prospettive teoriche. Si sta affermando una corrente di pensiero che riconosce la centralità della domanda teoretica, posta però oltre le categorie della logica tradizionale. A ribadire tale tendenza è apparso, nel catalogo delle Edizioni Mimesis, un interessante volume di Enrico Arduin, Il sottosuolo del presente (per ordini: mimesis@mimesisedizioni.it, 02/24861657, euro 18,00).

Il libro, pubblicato grazie al contributo della Fondazione Gianni Pellicani di Venezia, è arricchito dalla prefazione di Massimo Donà, punto di riferimento dell’Altra filosofia italiana. Al fine di avere pertinente accesso al libro di Arduin, è bene muovere da alcune affermazioni di Donà, che colgono i tratti generali della sua proposta e la contestualizzano. Il lettore deve aver contezza, preliminarmente, dell’ambizione che muove queste pagine: sollevare dallo sconforto chi oggi si dedichi alla pratica del pensiero. Infatti, nonostante i grandi mutamenti di prospettiva intervenuti nella rivoluzione intellettuale dell’inizio del Novecento, proseguiti fino ai nostri giorni, il futuro dell’interrogazione “problematica” resta, comunque, aperto. Donà rileva, al proposito, che l’attraversamento della filosofia, della logica, dell’epistemologia e della fisica del secolo scorso, è condotta dall’autore in modo spregiudicato e libero, a testimonianza della rilevanza del suo contributo di ricerca. L’autenticità dell’indagine, peraltro, la si evince dal linguaggio e dalla resa stilistica: si tratta certo di linguaggio tecnico, ma sempre indirizzato, in modo immediato, alla “cosa” interrogata. Ma, in fondo, cosa evoca Arduin in queste pagine? Lo chiarisce il prefatore “Ad essere chiamata in causa è infatti la costitutiva ‘inaccessibilità’ dell’ente[…] inaccessibilità di qualsivoglia vero” (p. 10). Nell’epoca del Gestell, del pieno dispiegarsi della ratio calcolante “…tutto viene misurato; ma ciò con cui il pensiero non può evitare di misurarsi è qualcosa che qualsivoglia calcolo finisce  per escludere dal proprio orizzonte” (p. 10).

Il pensiero non può che incontrare la misteriosa infondatezza dell’intero, che si dà nella presenza, nella metamorfiche figurazioni del mondo. Il pensiero incontra, quindi, inevitabilmente il negativo. Ad esso la logica ha attribuito “senso” nelle sue astratte costruzioni.  Pertanto, il “vero” si riduce al vuoto, alla “vacuità” contenutistica dello spazio logico-astratto, mentre là fuori, il mondo prosegue la sua corsa, manifestando una costitutiva “inaccessibilità”. Oltre le “esigenze” logiche, Arduin consente al lettore di incontrare una natura “viva”, la stessa a cui rinviavano i sapienti della Grecia, che in sé rimane contraddittoria, luogo della assoluta possibilità-libertà. L’incontro con tale realtà, così come il disorientamento gnoseologico contemporaneo, non si risolvono in una regressio al recondito, al soprannaturale, ma rinviano ad una forma di intelligenza in piena affermazione, quella sintetica “…l’idea che esista un centro della scena e delle cose è sparita dalla nostra concezione della fisica, eppure stenta ancora ad uscire dalla nostra mente” (p. 16). La fisica quantica ci ha costretti, assieme alla relatività di Einstein, prosegue Arduin, a mettere in discussione l’incontrovertibilità, discendente dal principio di identità e da quello di causalità. Niels Bohr radicalizzò tale presupposto nel sostenere che le condizioni su cui si fonda l’osservazione scientifica “interferiscono con il sistema esaminato” (p. 25). Del resto è il contatto gnoseologico stesso a “concedere” esistenza all’ente, a farlo “essere”, ma ciò induce la modificazione dell’osservato. Ciò vuol dire che non esistono le identità di soggetto ed oggetto. Inoltre, le neuroscienze sono giunte a ridurre le cose alle parole che le significano ed a sostenere, al medesimo tempo, che le parole non sono cose.

Lo comprese esemplarmente Nietzsche, le cui posizioni in tema sono ampiamente discusse nel libro. Il filosofo tedesco sosteneva che “La logica vale solo per verità fittizie, create da noi” (p. 31), giungendo così a negare, con il “prospettivismo”, l’esistenza dei fatti e ribadendo la rilevanza delle interpretazioni. Più in particolare, Nietzsche, da “psicologo” genealogico, sostenne che identità e numerazione sono strumenti al servizio della “molteplicità di forze” divenienti a cui, in essenza, egli riduce l’uomo. Una scelta adottata nel tentativo “di sintonizzarsi creativamente con la possibilità di sopravvivere” (p.  33). Su tale intuizione nacquero e si svilupparono le logiche non-classiche del Novecento. Inaugurate da Wittgenstein, che comprese un tratto basilare della logica: un linguaggio non può rendere conto del fondamento di verità del proprio significato. Da ciò discende che, in tal  senso, l’esistenza non può essere più oggetto di esperienza. Le problematiche emerse nell’iter del filosofo austriaco sono attraversate da Arduin, in forza della convinzione che, per Wittgenstein, lo spazio logico è immagine “per indicare il modo di funzionare della razionalità” (p. 43).

Insomma, paradossalmente, con l’austriaco e con Frege, la ragione, tornando ad aprirsi al “tutto”, ripiegava su se stessa. Chiave di volta per la comprensione delle tesi centrale del volume e per aver contezza del “sottosuolo del presente”, è il confronto che l’autore stabilisce con Leopardi. Il nulla, dal poeta-filosofo esperito in termini non-ontologici, induce al disincanto. Aveva compreso, il grande recanatese, che il “tutto” di per sé è perfezione, non-mancanza: coglieva, da straordinario anticipatore, la fallacia delle contrapposizioni di “vero” e “falso”, di “ragione” ed “immaginazione”.  Egli sapeva che le cose non sono mai quel che dicono di essere, che il tutto è misterio grande. Quindi “il pensiero autentico non può evitare di confrontarsi con quanto il calcolo esclude dal proprio orizzonte” (p. 17). Un’indicazione da seguire, un elogio del “pensare”, che Arduin prospetta in termini finanche trans-umanistici, alla luce del venir meno della distinzione tra vita e dispositivi di calcolo “Non è in atto un semplice cambiamento […] stiamo diventando altro” (p. 161). Un libro del e per il passaggio epocale.

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Giovanni Sessa è nato a Milano nel 1957 e insegna filosofia e storia nei licei. Suoi scritti sono comparsi su riviste e quotidiani, nonché in volumi collettanei ed Atti di Convegni di studio. Ha pubblicato le monografie Oltre la persuasione. Saggio su Carlo Michelstaedter (Roma 2008) e La meraviglia del nulla. Vita e filosofia di Andrea Emo (Milano 2014). E' segretario della Scuola Romana di Filosofia Politica, collaboratore della Fondazione Evola e portavoce del movimento di pensiero "Per una nuova oggettività".

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