L’esoterismo di René Guénon

Per la serietà e la sicurezza delle vedute, per una preparazione veramente particolare in fatto di tradizioni religiose, miti e simbolismi e specialmente di dottrine orientali, per una costante cura nell’affrontare tutti i dettagli pur mantenendo sempre un punto di vista di sintesi, l’opera del Guénon non è da paragonarsi a quella di altri che hanno trattato problemi consimili.

La posizione del Guénon è una posizione di blocco. Si tratta di accettare o meno un dato sistema di riferimento: ma aderendovi è difficile non seguirlo nelle deduzioni che ne trae.

I vari libri del Guénon obbediscono ad un piano prestabilito, che essi vanno ordinatamente svolgendo, il compito iniziale è puramente negativo e se ne può chiarire il senso come segue. Chiuso nella tenaglia del materialismo, l’Occidente negli ultimi decenni è stato preso da un èmpito confuso verso qualcosa di «altro», non sapendo però giungere che a forme equivoche, superstiziose e inconsistenti le quali, contraffacendo la vera «spiritualità», hanno costituito, alla fine, un pericolo altrettanto reale quanto quello del materialismo contro cui erano partite. È così che il Guénon, per primo, ha creduto opportuno prendersela con i «neospiritualismi» più in voga, eseguendone una demolizione sistematica e, a nostro avviso, salutare.

Primo a cadere sotto i suoi colpi è stato lo spiritismo. Il suo libro L’Erreur Spirite, del 1923, merita veramente di esser letto, perché in nessun altro si trova una mise au point del genere. Bisogna, a questo proposito, comprendere l’attitudine del Guénon: egli non contesta la realtà dei fatti, ritenendosi anzi fondato ad ammettere molto più di quel che non possa qualsiasi spiritista. Quel che egli afferma, conformandosi all’opinione di chi, come gli Orientali, purtuttavia erano così addentro in fatto di fenomeni psichici – quel che egli afferma è che tali fatti (medianità, ecc.) non hanno nessun valore spirituale; che ogni interesse extrasperimentale per essi è malsano e incentivo di degenerescenza; che l’ipotesi spiritica oltre che arbitraria, è in sé stessa contraddittoria e che è soltanto aberrante la pseudoreligione che in certi ambienti ne deriva. Spiragli oltre il «normale» possono pur aprirsene, ma con ben altri metodi e con ben altra attitudine interiore, se si deve parlare di «spiritualità».

Il secondo colpo cade sulla teosofia anglo-indiana e le sue derivazioni più o meno «occultistiche», per le quali vien proposto il termine di «teosofismo» (Le Théosophisme. Histoire d’une pseudo-réligion, 1921). Il Guénon si dimostra terribilmente informato di tutti i retroscena privati del movimento. Simultaneamente, se pur non sistematicamente (e per questo il primo volume è migliore), egli si dà a mostrare quanto, nel teosofismo, si risolva in una morbosa divagazione di menti confuse, mista a singolari travisamenti di dottrine orientali per opera dei peggiori pregiudizi occidentali. Ed anche qui, come l’antispiritismo del Guénon, non vuol dire filisteismo materialista, ma proprio il contrario, così pure il suo antiteosofismo parte unicamente dal bisogno di difendere certe posizioni e dottrine spirituali e tradizionali a cui lo stesso teosofismo vorrebbe rifarsi, non giungendo invece che a delle contraffazioni più dannose.

Ma l’opera negativa del Guénon non si arresta a tanto. Dopo le velleità «neospiritualiste» ecco che l’intera cultura dell’Occidente diviene l’oggetto dei suoi attacchi (Orient et Occident, 1924; La crise du monde moderne, 1927; ed anche: Introduction générale à l’étude des doctrines hindoues, 1921). Più semplicemente, si tratta di ciò a cui l’Occidente ha dato luogo partendo, ad un dipresso, dall’Umanesimo e dalla Riforma. Guénon non esita a riconoscere la perversione più completa di ogni ordine ragionevole di cose. Per chi voglia seguire il Guénon, qui il terreno comincia a farsi difficile, perché difficile, per i più, è il rendersi conto del punto di riferimento assunto dall’ autore.

Il Guénon sostiene che la causa della crisi del «mondo moderno» risiede principalmente in un perduto contatto con la «realtà metafisica» e nel conseguente estinguersi di tradizioni che avessero il deposito di un corrispondente corpus di principi di valori e di insegnamenti.

Per la comprensione del termine «realtà metafisica» come l’usa Guénon, è d’uopo retrocedere a dottrine «premoderne» e «superare», nell’opinione della moderna filosofia: alla scolastica, per esempio, o a Plotino o alle grandi scuole speculative orientali. Di là da tutto ciò che è spaziale e temporale che è soggetto a cangiamento, che è intriso di particolarità, di individualità e di sensibilità, esisterebbe un mondo di essenze intellettuali, ma non come ipotesi o come astrazione della mente, sibbene come la più reale delle realtà. L’uomo potrebbe «realizzarlo», cioè averne un’esperienza diretta così certa, come quella datagli dai sensi fisici, quando riesca ad elevarsi ad uno stato «soprarazionale» di «intellettualità pura», cioè ad un atto trascendente dell’intelletto scisso da ogni elemento propriamente umano, psicologistico, affettivo-soggettivo e così pure «mistico» e individualistico; ed è in relazione a ciò, e non nel riferimento ad una speculazione filosofica, che viene usato il termine: «metafisico».

Cose, come ognuno vede, tutt’altro che nuove. Ma il Guénon a priori si dichiara avversario irriducibile di tutto ciò che è «nuovo» e «moderno»; e nell’idea che l’esser «originale» e «personale», anzi che l’esser vera, decida dell’importanza di una dottrina, egli accusa una delle più singolari deviazioni della mentalità contemporanea.

Dal contatto con la «realtà metafisica» l’uomo, come si è detto, ricaverebbe un insieme di principi, che renderebbero possibile una visuale non-umana per considerare e ordinare le cose umane: avrebbe dei punti fermi, da cui per adattazione ai vari piani potrebbero esser dedotti principi per conoscenze particolari e varie, ma sempre ordinate «gerarchicamente» intorno ad un asse unico sovrannaturale. Questo, per il Guénon, sarebbe stato il carattere delle «scienze tradizionali» conosciute negli antichi cicli di cultura, in opposto alle scienze moderne, induttivo-esterioristiche, particolaristiche, prive di un punto unitario di riferimento, incapaci di conoscere oltre che di «sapere», puramente «profane».

D’altra parte, trasportata sul piano dell’azione, la «conoscenza» relativamente alla «realtà metafisica» darebbe dei punti di vista superiori, dei principi per dirigere gli interessi terreni, per inquadrare le attività mondane, per prolungare, insomma, la «vita» in qualcosa che è più che «vita».

E a questa seconda applicazione non va dato un valore puramente ideale o contrappuntistico: ciò che non comincia né finisce nell’elemento «uomo», proietta dei precisi rapporti di distinzione e di «dignità» nelle forme di vita; e così nasce la possibilità di quella «gerarchia», che antiche organizzazioni sociali conobbero: nell’India, nell’Estremo Oriente, anche nei centri paleomediterranei sino a quel medioevo cattolico-feudale al quale il Guénon, rivendica uno speciale significato di valore. Invece che un gioco di forze esterne, sarebbe dunque stata l’azione universale e, diciamo così, «catalittica» della «conoscenza metafisica» a instaurare simili strutture d’ordine sin nella vita concreta e politica.

Per la sua natura non-umana, una tale «conoscenza» avrebbe un carattere universale, di una universalità concreta basata sopra un’esperienza trascendente, ripetiamolo, e non astratta o comunque razionale. E come secondo antiche teorie, la potenza del fuoco esisterebbe sempre e ubiqua, per quanto non si manifesti visibilmente che quando siano presenti dati determinismi e ora sotto questa o quella forma contingente, così pure la conoscenza metafisica avrebbe per sue manifestazioni il corpus degli insegnamenti di varie tradizioni e religioni, varie secondo il tempo e il luogo, ma pure riconducibili all’«invariante» di una Tradizione unica o «primordiale», espressione, questa, da prendersi però non in senso temporale e storico, ma in senso metafisico e spirituale.

Dall’Umanesimo in poi, il Guénon vede costituirsi una cultura «involutiva» in quanto basata unicamente sull’«umano». Sono le facoltà razionali che prendono il posto dell’«intellettualità pura»: l’astrazione filosofica si sostituisce alla conoscenza metafisica, l’immanenza alla trascendenza, l’individuale all’universale, il movimento alla stabilità, l’antitradizione alla tradizione. Simultaneamente il polo materiale e pratico della vita si ipertrofizza, si ispessisce, prende la mano su tutto il resto. Nuove manifestazioni dell’«umano», il moralismo, il sentimentalismo, l’esaltazione dell’«io», dell’incomposto agitarsi (attivismo), della tensione senza luce («volontarismo») balenano dappertutto nel mondo moderno, fra una completa mancanza di «principi», fra un caos sociale e ideologico, fra una contaminazione mistica della «vita» e del «divenire» che batte il ritmo ad una specie di corsa verso l’abisso, sotto il cielo arimànico di una grandiosità puramente meccanica e materialistica. E dall’Europa il male si estende altrove come una nuovissima barbarie: l’antitradizione insinua dappertutto il suo standard of living, «modernizzando» quelle civiltà che, come l’Islam, l’India e la Cina, sia pure in lontani riflessi ancora conservano valori dell’altro ordine. Onde – giustamente, a parer nostro – il Guénon dice contro Massis che, se mai, non di un «pericolo orientale» per l’Occidente, bensì di un «pericolo occidentale» per l’Oriente si deve parlare. E gli scatti di reazione, si è visto già dove conducono, in Occidente: sono le deviazioni neospiritualistiche e spiritistiche che esse stesse, riflettono la tirannia delle facoltà infraintellettuali e l’incomprensione per una realtà che si può esser talvolta mostrata, per spiragli luciferinamente socchiusi. E quand’anche non si tratti di teosofismi, spiritismi e simili, la stessa riviviscenza cristiana in sette e in «ritorni» è la più lontana di tutto dal senso di quel severo contenuto di conoscenza ascetica e simbolica, che attraverso il cristianesimo, potrebbe condurre ad un rinnovato contatto con la «realtà metafisica» e con la «Tradizione», al titolo di una liberazione e di una reintegrazione dell’io.

Il panorama dell’«età moderna» si presenta dunque al Guénon in modo non troppo luminoso. Né egli ammette transazioni: dice no allo spirito occidentale preso in blocco e dubita che si sia ancora in tempo per arrestare la corsa che forse già precipita verso un epilogo di catastrofe. Ad ogni modo, a ciò si richiederebbe anzitutto formare delle élites, nelle quali si ridesti il senso della realtà metafisica. Ma fra queste élites (che, fra l’altro, potrebbero già esistere, più o meno fra le quinte) e le grandi masse della società moderna, come si può pensare che si stabilisca una comunicazione? E allora, anche fatto questo passo, la «Tradizione», in senso grande, non resterebbe nuovamente un problema?

Il tentativo di partire da una delle tradizioni ancora esistenti e da là procedere per «integrazione», forse avrebbe migliori possibilità. A questo riguardo, lo sguardo del Guénon si è portato sul cattolicesimo. Egli, come si è detto, ritiene che, più di ogni altra, la tradizione cattolica abbia avuto in Occidente il deposito della «Tradizione primordiale»: deposito anzitutto ricevuto in una forma religiosa e poi, al giorno d’oggi, passato allo «stato latente» come corpo di simboli e di dottrine, nella cui comprensione non entra ormai niente più di metafisico. Occorrerebbe invece che nel cattolicesimo si formasse una élite capace di tanto; e alla reintegrazione, secondo il Guénon, potrebbe servire la conoscenza di dottrine orientali che, come quella vedantina di cui il Guénon ha dato una buona esposizione: L’homme et son devenir selon le Vedanta, 1925, conserverebbero tuttora l’insegnamento «ortodosso» in una forma più pura e più metafisica. Allora il cattolicesimo potrebbe rianimarsi e costituirsi come un principio positivo contro la crisi del mondo moderno.

Quanto siano chimeriche speranze del genere, qui non staremo a rilevarlo: e il Guénon lascia quasi comprendere una certa sua delusione dopo certe «esperienze» personali in proposito. Ma, in ogni caso, resterebbe questo problema: sino a che punto lo stesso cattolicesimo, anche così reintegrato, si può pensare che possa riorganizzare nell’unità di una Tradizione universale il mondo moderno? Come «base», non bisogna illudersi: il cattolicesimo ormai è estraneo al centro del mondo moderno: ed anche là dove ancora domina, il suo dominio è tutto in superficie e non impedisce che la direzione principale della vita e degli interessi miri a tutt’altra cosa, sia laica e antitradizionale.

Diciamo di più: la stessa comprensione della realtà metafisica, come il Guénon la presenta, è tale da essere essa stessa in contrasto con lo spirito dell’Occidente non pure post-umanistico, ma altresì classico, nordico-germanico, ellenico; onde il Guénon deve forzatamente vedere una via senza uscita e ridursi ad un verdetto di condanna privo di effetti. Tuttavia ci si può chiedere: il modo con cui il Guénon concepisce il metafisico è forse l’unico possibile e legittimo?

Qui siamo al punto fondamentale ove la cinta di difesa del Guénon lascia una zona scoperta. Si è che il termine di «intellettualità pura» usato dal Guénon per l’organo della «conoscenza metafisica» cela un equivoco, anzi un paralogismo, perché effettivamente esso vuol dire «realizzazione» e ogni «realizzazione» comprende due aspetti, due possibilità che sono: azione e contemplazione. Il Guénon surrettiziamente identifica il punto di vista metafisico con quello in cui la contemplazione domina sull’azione, laddove è di uguale dignità l’altro, in cui l’azione invece domina sulla contemplazione e viene a fornire essa stessa una via e una testimonianza della trascendenza, così come nelle tradizioni di sapienza eroica degli kshatriya (guerrieri) conosciute dallo stesso Oriente, se pure in frequente contrasto con quelle più predominanti dei brahmana, alle quali si rifà l’attitudine del Guénon. Ma dal punto di vista brahmano, l’antitesi con l’Occidente si fa aspra ed irriducibile, perché lo spirito dell’Occidente ha appunto una tradizione essenzialmente guerriera, epperò rivela possibilità di latenti vie di reintegrazione solamente quando gli si vada incontro partendo dai principi e dalla comprensione del metafisico che sono propri ad una sapienza guerriera: e quei valori occidentali, come quelli dell’affermazione individuale, della pluralità, della libera iniziativa e dell’immanenza, più che negazione, apparirebbero come elementi allo stato materiale da elevare ad un piano spirituale, secondo l’anima di una tradizione veramente occidentale, cioè guerriera.

Si può dunque dire che l’opera del Guénon è positiva nella sua parte negativa e negativa nella sua parte positiva, perché qui la sua leva manca del punto d’appoggio necessario per poter agire su quella realtà, su cui vorrebbe agire. È invece comprendendo la radice guerriero-eroica che tuttora sta dietro alle forme oscure del mondo moderno e mostrando per quale via si possa liberarla da tale piano e condurla a riaffermarsi in un ordine superiore – quelle antiche tradizioni, in cui l’Eroe, il Signore e il Re apparivano simultaneamente come portatori di valori e di influenze non-umane potrebbero, a questo proposito, insegnarci più di una cosa – che si può giungere in Occidente a qualcosa, più che ad una sterile negazione, che ne disconosce la fisionomia.

A Guénon resta comunque il merito di aver affermata la necessità del ritorno ad un punto di vista «non-umano» nel senso più integrale, chiaro e virilmente ascetico e soprarazionale del termine: giacché questo è il principio, ciò che, anzitutto, importa e senza di cui il problema dello spirito moderno sarebbe condannato a rimanere tale.

* * *

Tratto dalla presentazione del volume Considerazioni sulla Via Iniziatica di René Guénon.

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7 Responses

  1. Paganitas
    | Rispondi

    "…Tuttavia ci si può chiedere: il modo con cui il Guénon concepisce il metafisico è forse l’unico possibile e legittimo?…". Con questa semplice domanda Evola mette in luce uno dei punti deboli di Guénon, ovvero il monotradizionalismo diretta conseguenza del suo monoteismo. D'altronde non sono mai riuscito a spiegarmi la conversione all'Islam del pensatore francese, perchè sebbene esistano elementi tradizionali all'interno di questa corrente religiosa, tali elementi tradizionali esistono in forma e misura diversa comunque anche nel cattolicesimo e si rischia solo di cadere dalla padella nella brace. Avrei capito una conversione all'induismo o un avvicinamento al buddismo (ma mi pare di ricordare però che Guénon disprezzasse quest'ultimo). Evola non mancò di avvertire questo punto debole essendo il Grande Pensatore che era. Definirlo il Guénon italiano, come mi è capitato di trovare in alcuni articoli, vuol dire sminuire il lavoro fatto dal Barone (con tutto il rispetto per Guénon).

    • stefano
      | Rispondi

      La conversione all'islam ha costituito per Guenon un passaggio dall'essoterismo all'esoterismo, non è stata un semplice cambiamento di forma essoterica della sua religiosità. In realtà si pensa che Guenon sia stato istruito dai sufi, che costituiscono la parte esoterica e più profondamente spirituale della religione islamica. Guenon contesta al cattolicesimo proprio il fatto di aver perso il contatto (lui storicamente mi sembra che dati l'evento intorno allo sviluppo dell'umanesimo e del rinascimento) con la parte spirituale dell'insegnamento cristiano.

  2. Musashi
    | Rispondi

    Scusa ma da quale exoterismo a quale esoterismo sarebbe passato Guenon?

    Guenon non abbandonò il cattolicesimo perche non era cattolico praticante (anche se in realtà lavorava al servizio segreto dei Gesuiti per diffamare e/o infiltrare le organizzazioni esoteriche ormai troppo potenti per essere attaccate frontalmente. l'affiliazione di Guenon alla causa gesuitica è testimoniata dal materiale documentario fornito dal compianto Baistrocchi sulle pubblicazioni di "Politica Romana" anni orsono..).

    In realtà Guenon abbandonò vilmente gli impegni che aveva verso delle strutture iniziatiche occidentali, abbandonandole per andare a fare lo sheik in egitto.
    Essendo egli compagno massone, e addirittura S::I::I:: del Martinismo, ed anche Vescovo gnostico della linea di Doinel-Bricault non si può certo dire che abbia abbandonato l'exoterismo per l'esoterismo!
    Semmai l'esatto contrario.

    Quanto all'autenticità degli insegnamenti sufi che può aver incontrato, ho i miei seri dubbi.
    Il sufismo, che solo estrinsecamente è accostato all' islam- essendo un retaggio di una antica gnosi iranica e pre-islamica, come hanno ben evidenziato gli studi di Filippani-Ronconi e Di H. Corbin, può forse ritrovarsi nella sua purezza in alcune zone dell'Iran e in poche altre parti…. dove comunque è perseguitato dai musulmani ortodossi.
    Per il resto le varie tariqa pretese "sufi" oggi sono solamente delle costole ideologiche dell'islam politico (e spesso militare, e di esoterismo si occupano assai poco). Probabilmente negli anni di Guenon le cose potevano essere messe un po' meglio. Non lo possiamo sapere.
    Di certo vediamo il calcolo immediato:
    il povero in canna Guenon, stretto dai creditori, trova rifugio al Cairo, abbandona moglie e figlio in povertà, e sposa la figlia dello Sheik, dalla quale verrà mantenuto per il resto della vita.bell'affare ma di dignità iniziatica neanche l'ombra.

    Non secondariamente potremmo anche supporre che la sua fuga d'oltremare abbia motivi di natura occulta. Mettendo il Mare in mezzo, Guenon usa un potente isolante magico (l'acqua in magia è isolante e non conduttore!) tra se e le organizzazioni che da quel momento in poi prese a diffamare nei suoi articoli.

    Questo anche per rispondere ai legittimi dubbi di Paganitas sulla sua conversione.
    Ovviamente ben altra DIGNITA' mostrò Evola in tutta la sua esistenza, su questo non ci piove.

    Semmai sono piuttosto stupefatto della smodata ammirazione che riscuote Guenon presso i cattolici. Mi domando come mai rimangano tali e non vadano anche essi a farsi iniziare a qualche confraternita sufi seguendo l'esempio del loro maestro.

    • stefano
      | Rispondi

      La ringrazio per l'esauriente risposta.
      Il mio modesto intervento si riferiva direttamente a quello che Guenon ha scritto riguardo al concetto di esoterismo nel mondo occidentale. Non si tratta di una presa di posizione né di una difesa della persona di Guenon. Condivido i dubbi sulla genuinità dell'insegnamento sufi ricevuto, visto che tale insegnamento è soprattutto pratica ed esperienza piuttosto che teoria (l'unica cosa che Guenon riesce a trasmettere con la sua opera).
      Quello che condivido con Guenon è la constatazione che tutta una serie di conoscenze sulla spiritualità dell'uomo che semplificando possiamo includere nel concetto di esoterismo, sono di fatto sparite dall'occidente per alcuni secoli, sopravvivendo solo in forme molto deteriorate. Sono ritornate, in modo più o meno felice, solo con l'inizio del XX secolo.
      Sarebbe interessante approfondire questi concetti, visto che in parte entrano in gioco nella mia attività professionale. Intendo dire che come psicologo e psicoterapeuta ho imparato ad utilizzare strumenti e tecniche che derivano dalla conoscenza normalmente definita "orientale", che un tempo era anche patrimonio dell'occidente ma che, andata persa, è stato necessario reintrodurre dall'oriente. Mi riferisco direttamente al pensiero di Gurdjeff, di Idries Shah. Per quanto riguarda invece l'ambito strettamente psicologico mi riferisco a personaggi come Milton Erickson, Fritz Perls, Claudio Naranjo e molti altri, mi riferisco alle tecniche ipnotiche e allo sviluppo della consapevolezza.
      La ringrazio ancora per le informazioni biografiche su Guenon che in larga parte non conoscevo

  3. Petesch
    | Rispondi

    "Ovviamente ben altra DIGNITA' mostrò Evola in tutta la sua esistenza, su questo non ci piove"

    Ovviamente….su questo non ci piove….
    inchiniamoci all'onnipotente Musashi..
    (viene pagato per la sua onnipresenza? da quello che scrive sì, non dal sito, vive di rendita dalle nostre tasse per "insegnare" nel polo mondiale della cultura, e vediamo quanto lavora….)

  4. Musashi
    | Rispondi

    Come avrà notato scrivo solo in pertinenza del tema trattato.
    Se ha qualcosa da replicare in merito a ciò che scrivo, lo faccia, avrò piacere di confrontarmi con lei.

    Ma sul merito!

    Non vedo come le sue considerazioni sulla mia sfera lavorativa (che lei non ha titolo di giudicare) possano interessare ai lettori del sito.
    Peraltro avrà notato come i miei commenti, peraltro sempre circostanziati, abbiano sviluppato interessanti dibattiti o fornito spunti di riflessione agli stessi autori. O in certi casi riscosso un aperto apprezzamento da parte loro.

    Lei cosa ha da dire?

  5. diogeneilcane
    | Rispondi

    Musashi, vorrei parlarle, per avere alcuni chiarimenti su antroposofia ecc.
    E' possibile? Se sì, questa è la mia mail: albertolodi@live.it

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