Ugo Foscolo, ne I Sepolcri, lo aveva inteso perfettamente: una società che non conserva il culto dei morti fra i suoi valori spirituali più preziosi, non merita di sopravvivere.
Perfino il feroce Achille, che ha giurato a Ettore morente di lasciare il suo corpo in pasto alle belve feroci, finisce per piegarsi davanti alle lacrime di Priamo e restituisce al vecchio re di Troia il cadavere, perché questi possa dare al figlio delle degne esequie.
Un senso di umanità che non hanno avuto quei “coraggiosi” partigiani i quali hanno appeso per i piedi i corpi esanimi di Mussolini, della Petacci e degli altri gerarchi al distributore di benzina di Piazzale Loreto, li hanno dileggiati, insultati, sputacchiati, arrivando perfino ad orinare su di essi, quando sono stati deposti a terra.
Né gli antichi, né i medievali praticavano la sezione dei cadaveri, per una forma innata di rispetto verso il riposo dei morti; ma poi è arrivata la modernità, è arrivato Galilei, e ogni tabù è stato infranto: in nome della scienza e del progresso della medicina.
Così pure, in nome del progresso della storia, frotte di archeologi senza timor di Dio si sono insinuate nelle tombe dell’antichità, le hanno impunemente violate, hanno trafugato cadaveri, depredato corredi funebri, trasportato mummie nei loro lontani musei europei e americani, come se fossero dei pacchi postali.
Sono stati in molti a ironizzare sulla “vendetta dei faraoni”, dopo la morte improvvisa, nel 1923, di Lord Carnarvon, autore (con Howard Carter) del ritrovamento della sepoltura del faraone Tutankhamon; così come, qualche anno fa, in molti hanno mostrato scetticismo davanti alla “maledizione di Ötzi”, che sembra aver colpito numerose persone fra coloro che hanno sottoposto a una vera e propria autopsia il corpo del cosiddetto “uomo di Similaun”, ritrovato nel 1991 presso il confine fra Italia e Austria e antico di 5.300 anni.
Ma, forse, non c’era e non c’è molto da ironizzare, perché la mancanza di rispetto verso il corpo di un morto è un gesto grave, sia pure quando lo si voglia ammantare di pretese ragioni scientifiche per giustificarlo a posteriori. Anche gli ultimi Tasmaniani e gli ultimi Patagoni furono imbalsamati e messi dietro una lastra di cristallo, nei musei dell’uomo bianco che li aveva deliberatamente sterminati; e il cranio del valoroso capo Apache, Geronimo, finì in un gabinetto scientifico dell’Università di Yale, ove poi fu trafugato per la macabra cerimonia di fondazione della oscura società segreta «Skull and Bones».
Oggi, la tecnica del trapianto d’organi è giunta a livelli così raffinati, che non ci si può permettere il lusso di perdere neppure un minuto; anzi, per dire le cose come stanno, non si aspetta nemmeno che la morte clinica sia stata confermata da alcune ore perché, con fretta indecente, bisogna procedere all’espianto, prima ancora che le funzioni vitali siano interamente cessate.
Abbiamo visto, durante la seconda guerra del Golfo, gli aerei americani bombardare il cimitero di Kerbala, uno dei luoghi santi dell’islamismo sciita; così come avevamo sperimentato, nel 1943, gli aerei americani bombardare il quartiere di San Lorenzo, a Roma, facendo migliaia di morti e devastando anche il cimitero del Verano.
Giuseppe Ungaretti, nella poesia Non gridate più (che fa parte della raccolta Il dolore) ha mirabilmente descritto – sotto la forma dell’adynaton, ossia di un concetto impossibile secondo la logica, come quello di uccidere dei morti – la barbarie sottesa a tali gesti:
«Cessate di uccidere i morti
non gridate più, non gridate
se li volete ancora udire,
se sperate di non perire.Hanno l’impercettibile sussurro,
non fanno più rumore
del crescere dell’erba,
lieta dove non passa l’uomo.»
Il grande poeta voleva dire che chi non rispetta la morte non può sperare di «non perire», ossia di salvare la propria anima, ma andrà incontro alla morte morale, ancora più spaventosa della morte fisica (come già aveva detto San Francesco nel Cantico delle creature). Il giusto atteggiamento davanti ai morti è quello del silenzio, che può permetterci di udire ancora le loro voci; e non certo quello di una violenza indiscriminata che, mescolando i gemiti dei vivi al fragore delle bombe in un cimitero, cancella ogni traccia di umanità negli autori di essa.
Quelli che noi chiamiamo morti, sono anime passate ad un’altra dimensione esistenziale: lo scempio dei loro cadaveri, specie se effettuato a poche ore distanza dalla sospensione del battuto cardiaco, infligge loro una ferita gravissima in una fase estremamente delicata della loro transizione. Per questo gli antichi avevano tanto orrore all’idea di morire insepolti. Per questo il protagonista del bellissimo film di Kon Ichikawa, L’arpa birmana, un reduce della seconda guerra mondiale, decide di farsi bonzo e ritorna sui luoghi delle battaglie in cui morirono tanti suoi commilitoni, allo scopo di dare loro degna sepoltura e placarne le anime dolenti.
Un esempio di come il cinismo e la brutalità dei vivi nei confronti dei morti possa spingersi fino a livelli quasi inimmaginabili è quello offerto dalla cosiddetta Operazione cadavere, uno dei più riusciti colpi dello spionaggio alleato durante la seconda guerra mondiale.
Si trattava di depistare le forze dell’Asse, nella primavera del 1943, circa il previsto sbarco alleato in Sicilia, facendo loro credere che lo sbarco avrebbe avuto luogo, invece, in Grecia, o forse in Sardegna, ma certamente non in Sicilia.
Si vantarono di quella impresa quanti ne furono artefici; e, dal punto di vista strettamente pratico, l’operazione fu sicuramente un successo, perché Italiani e Tedeschi caddero nella trappola e si lasciarono cogliere sostanzialmente alla sprovvista quando poi, nel luglio del 1943, la Quinta Armata americana e la Ottava Armata britannica sbarcarono lungo le coste meridionali della Sicilia, incontrandovi solo una debole resistenza.
Così l’episodio è stato rievocato da Ewen E. S. Montagu, già membro del Servizio Segreto Navale inglese (in: Storie segrete dell’ultima guerra, Selezione dal Reader’s Digest, traduzione italiana 1960, 1971, pp. 113-118):
«Nel cimitero della cittadina spagnola di Huelva, sulla costa atlantica, 200 chilometri a nord di Gibilterra, è sepolto un suddito britannico. Morì di polmonite tra le umide nebbie dell’Inghilterra ne 1942, senza certo supporre che avrebbe riposato per sempre sotto il cielo assolato della Spagna. In vita non aveva fatto niente di speciale per il suo Paese. Dopo la morte gli rese un servigio che salvò probabilmente migliaia di soldati alleati.
Il racconto ha inizio nell’autunno del 1942, quando l’invasione dell’Africa del Nord procedeva regolarmente verso il successo. Il piano generale d’operazione prevedeva, per dopo, l’attacco alla Sicilia. I Tedeschi dovevano certo aspettarsi che la Sicilia sarebbe stata il prossimo obiettivo. Che si poteva fare per convincerli del contrario e indurli a sparpagliare le loro forze?
Un componente del nostro servizio di sicurezza avanzò un suggerimento. I Tedeschi sapevano che i nostri ufficiali giungevano di continuo nel Nord Africa, con aerei che sorvolavano le coste della Spagna. Perché non abbandonare nelle acque spagnole un cadavere, con indosso documenti falsificati, come se provenisse da un aereo precipitato? Se il cadavere veniva portato a riva dalle onde, era quasi certo che i documenti sarebbero caduti nelle mani di agenti tedeschi.
Sorse allora una questione pratica. Un morto non respira; se il cadavere è messo in acqua i polmoni rimangono vuoti e quindi una autopsia potrebbe stabilire se il corpo erra già morto prima di entrare nell’acqua. Nascerebbe allora il sospetto di un trucco. Ci mettemmo discretamente a far ricerche negli ambienti medici delle forze armate per trovare un cadavere il cui decesso potesse essere attribuito ad annegamento. Finalmente ci giunse un rapporto: un uomo era appena morto di polmonite, e quando si muore di questa malattia c’è del liquido nei polmoni.
I congiunti del morto erano vivi. Senza rivelare particolari, ottenemmo il loro consenso, a condizione che l’identità del cadavere sarebbe rimasta sempre segreta. Qui basta dire che il morto, un uomo appena trentenne, divenne da quel momento il “maggiore William Martin, dei Royal marines”. Il cadavere fu posto in una cella frigorifera, mentre noi escogitavamo il nostro piano.
Fin dall’inizio decidemmo che il documento ingannatore dovesse emanare da un’altissima autorità. Non sarebbe bastata una semplice indiscrezione fra due generali di secondo piano. Feci scrivere dal generale Sir Archibald Nye, Vice-capo dello Stato Maggiore Imperiale, al generale Alexander, allora comandante del 18° Gruppo in Africa. La lettera era una spiegazione confidenziale dei motivi per cui Alexander non riusciva a ottenere quello che voleva dai Capi di Stato Maggiore. Lasciava capire per deduzione, che l’obiettivo che ci proponevamo di attaccare nel Mediterraneo occidentale non era la Sicilia.
Nella lettera avemmo cura di indicare due falsi bersagli come possibili obiettivi: uno in Grecia e l’altro, non identificato nella lettera, in qualche punto del Mediterraneo occidentale. [Segue la minuziosa descrizione di tutti i particolari dell’operazione, compresa la fabbricazione di due lettere d’amore di una supposta fidanzata che il “maggiore Martin” avrebbe dovuto avere con sé, per meglio trarre in inganno gli agenti nemici].
Ora i preparativi dell’inganno erano completi.
Decidemmo di abbandonare il cadavere al largo di Huelva, un piccolo porto del sud-ovest vicino alla frontiera portoghese. Naturalmente sarebbe stato normale che gli spagnoli consegnassero il cadavere al vice-console britannico per la sepoltura. Confidavamo però che l’agente locale tedesco avrebbe fatto fare una copia dei documenti e la nostra fiducia non fu mal riposta. [Viene incaricato della missione il sommergibile “Seraph”, di base a Malta, dopo che era stato ottenuto il benestare del primo ministro in persona, Winston Churchill].
Il “Seraph” levò le ancore alle 18 del 19 aprile 1943. Aveva a bordo il maggiore William Martin… in una cassa metallica di due metri, tenuta in ghiaccio artificiale.
Per dieci giorni il “Seraph” navigò in superficie soltanto di notte. Il 30 aprile era a 1.500 metri da Huelva, non avvistato e in perfetto orario. Alle 4,30, l’ora stabilita, la cassa fu issata sopra coperta e il maggiore Martin fu messo in acqua. Jewell gli gonfiò la giacca di sicurezza e quattro giovani ufficiali ascoltarono a capo chino mentre il comandante mormorava il servizio funebre. Poi, con una lieve spinta, il maggiore Martin partì per la guerra.
Un chilometro più in là Jewell lanciò in mare il battello di gomma di un nostro aereo con un solo remo di alluminio per simulare fretta.
Il mattino del 30 aprile 1943, di buon’ora un pescatore spagnolo avvistò il corpo vicino a riva. Fu ripescato dalle autorità e ne venne fatta l’autopsia; il verdetto fu: “Asfissia per immersione in mare”. Il vice-console britannico fu debitamente informato e il 2 maggio 1943 il maggiore Martin fu seppellito con tutti gli onori militari».
L’inganno riuscì perfettamente; i servizi segreti dell’Asse caddero nella trappola e furono rafforzati gli apprestamenti difensivi nel Peloponneso e in Grecia, ma non in Sicilia. Lo stesso Hitler, informato dell’episodio, stando alle memorie dell’ammiraglio Dönitz, si disse persuaso che lo sbarco alleato non sarebbe avvenuto in Sicilia, ma in Grecia o in Sardegna».
Ma che cosa si può dire di tutta questa macabra operazione, sotto il profilo etico? Immaginiamo quale sarà l’obiezione pratica di quanti non vedono nulla di strano nel manipolare cadaveri come se fossero pezzi di ricambio d’automobile o, magari, termosifoni: che in una guerra che è costata 50 milioni di morti, come la seconda guerra mondiale, non è il caso di farsi scrupoli per cose del genere, specialmente se sono suscettibili di risparmiare vite umane (il che è una pia menzogna, perché le vite salvate saranno quelle della propria parte, non certo del nemico).
Tuttavia, proprio l’assoluta incapacità di vedere quanto sia orribile fare un tale uso del corpo di un essere umano, dovrebbe illustrare a sufficienza il livello di barbarie in cui siamo precipitati: chi non rispetta i morti non rispetterà niente e nessuno, nemmeno i vivi.
Sorvoliamo sul fatto che le autorità britanniche avrebbero chiesto ai familiari del morto il permesso di servirsi del suo cadavere, peraltro senza spiegare che cosa avevano intenzione di fare. Ci viene detto che essi acconsentirono; bisogna vedere se è vero; quali pressioni vennero fatte sui di loro; se la loro volontà sarebbe stata rispettata, anche in caso di rifiuto, o se la ragion di Stato non avrebbe prevalso comunque. Ma come si può chiedere a una madre di prevelare il cadavere del proprio figlio, morto ancor giovane per una grave, straziante malattia, allo scopo di portarlo chissà dove, senza lasciarle nemmeno una tomba su cui andare a deporre un fiore?
Sorvoliamo anche sulle battute dell’autore del pezzo sopra citato, come quando scrive compiaciuto che, allorché venne gettato in acque il corpo di quel povero sconosciuto morto di polmonite, il “maggiore Martin”, ossia la sua personalità fittizia, partì per la guerra. Solo una persona totalmente priva di senso morale avrebbe trovato la voglia di scherzare su una cosa del genere; una persona che non ha rispetto né della morte, né del dolore dei familiari.
Il punto essenziale è che negare il dovuto rispetto davanti al mistero della morte, alla sacralità della morte, significa cancellare millenni di storia della civiltà e collocarsi al livello degli animali: ma non di tutti gli animali, se è vero – come è vero – che gli elefanti, ad esempio, mostrano il più grande rispetto per la morte dei loro simili e rimangono a vegliare i cadaveri per ore e anche per giorni; per non parlare di quei cani fedeli che si lasciano morire di fame e di dolore sulla tomba dei loro amati padroni umani.
Una civiltà che non rispetta i morti, che li tratta come materiale da manipolare illimitatamente, ha smarrito ogni senso etico e non merita di essere rispettata. Nemmeno una guerra che provoca milioni di morti può giustificare la violazione del rispetto più elementare dovuto al corpo dei defunti. Al contrario, proprio la capacità di conservare un tale rispetto costituisce un faro di umanità e un anticipo di speranza, un raggio di luce nel buio della notte.
La nostra, osservava Erich Fromm, tende sempre più a configurarsi come una società necrofila. La violazione del rispetto dovuto ai morti è uno dei segnali di questa necrofilia dilagante, di cui l’amore per le cose invece che per le persone è l’aspetto più vistoso e sconcertante. Le cose sono manipolabili a piacere, le persone tendono a resistere alla manipolazione: meglio possedere tante cose, allora, invece che essere in relazione aperta e fiduciosa con i propri simili. Ebbene, il cadavere è la persona ridotta a cosa: e se le cose si possono manipolare a piacere, perché non manipolare i cadaveri, per ogni scopo lecito e illecito?
Lo scienziato li manipola sezionandoli e mettendoli in un museo; il chirurgo, espiantandone gli organi con fretta brutale; il militare, bombardando i cimiteri in nome di più o meno impellenti necessità di ordine bellico; l’agente dei servizi segreti, prelevandoli dalle camere mortuarie, travestendoli con una falsa identità e facendoli trovare alla parte nemica, con in tasca documenti falsi destinati a depistarla. Vi sono perfino bande di malviventi specializzate nel rapimento dei cadaveri, per poi chiedere ai parenti il prezzo del riscatto.
Tutto questo è orrore allo stato puro.
E noi ci stiamo abituando ad esso, perché ciascuno ci ha convinti preventivamente delle sue buone ragioni: lo scienziato vuol far progredire le conoscenze; il chirurgo vuol salvare altre vite; il militare, anche lui vuol risparmiare delle vite (quelle dei suoi soldati); e la stessa cosa sostiene l’agente dello spionaggio al servizio del proprio Paese. Tutte ragioni nobili e difficilmente contestabili, senza dubbio. Le uniche che ci appaiono inaccettabili sono quelle dei malviventi: eppure questi sono gli unici a non nascondersi dietro belle frasi e nobili ideali.
È proprio questa la barbarie della modernità: che è così difficile contestare l’assurdità e l’orrore dei suoi meccanismi decisionali, una volta che si sia entrati nella sua ottica e ci si sia lasciati risucchiare dall’ingranaggio.
Un ingranaggio disumano e implacabile, che non tiene conto delle persone, ma solo dei numeri e della partita doppia delle entrate e delle uscite.
javatama
Che dire, la pazzia non ha fondo, se vogliamo vedere uno sgretolamento della società e della coscienza umana, credo non ci siano limiti in ogni campo. Lo sfruttamento dei morti per fini economici poi è qualcosa di indicibile e la chiesa cattolica ne è fautrice e promotrice. Dobbiamo liberare le nostre coscienze e rinasciere a noi stessi, privi di preconcetti sull'uomo e sulla natura. un'individuo libero produce più effetti sulla realtà che la potenza economica di uno stato, un'augurio a tutti noi!!!!
Kaisaros
Ma cosa significa questo articolo ?
Gli "alleati" erano le forze della luce e del bene che hanno
salvato il mondo dai cattivoni !!!
antonio linardi
il teschio di GERONIMO trafugato dagli appartenenti di skul e bones vuole significare la DISSACRAZIONE TOTALE DEI VALORI UNIVERSALI DELLA VITA:questi servi di satana impongono al mondo l'asservimento al male e all'orrendo:dissacrando le "ossa umane"rilevano la propria atroce malvagità….OSTEGGIANDO DISUMANA CRUDELTA' ! Hanno ingannato e trucidato il POPOLO PELLEROSSA,UN POPOLO INCAPACE DI MENTIRE E DI TRADIRE!UN POPOLO CHE RISPETTAVA ED AMAVA LA NATURA!E loro,i servi di satana,che non rispettano "nè i vivi,nè i morti"COMANDANO IL MONDO TRAUMATIZZANDO GLI ANIMI UMANI ! Attraverso riti satanici di dissacrazione della VITA! Mostrano"teschio ed ossa di colui che li ha contrastati"AMMONENDO che faranno "la stessa fine"coloro che li contrastano! Hanno prodotto un mondo di"schiavi del vizio e della malvagità,servi di satana stesso!"E noi tutti periremo con questi!Perchè non abbiamo potutoe voluto contrastarli!?