Il problema d’una tradizione europea è quello di trovare una forma spirituale capace di contenere tre e più millenni di spiritualità europea. Una forma che non rappresenti un qualunque sincretistico pasticcio ma che riscopra il fondo della spiritualità propria dell’uomo bianco.
Si potrebbe dire che il tipo spirituale dell’Occidente sia quello dell’Eroe anzichè quello del Santo − quello dell’Azione contrapposto alla Contemplazione. Ma certo anche questo sarebbe un semplificare.
E tuttavia, una moderna spiritualità europea non potrà non configurarsi come essenzialmente attiva in un mondo il cui tema centrale è quello del padroneggiamento delle forze elementari. L’invasione dell’elementare − tecniche, distanze, eccitazioni − sembra essere la caratteristica della nostra epoca. Esso richiede una capacità di disciplina e di semplificazione aliena da ogni sbavatura spiritualistica.
Uno stile che voglia cogliere, nelle luci bianche, e ferme, e metalliche d’una certa modernità, quasi il presagio d’un nuovo classicismo. Lo stile d’una metafisica dello sforzo e della formazione di sè.
Esso fu proprio di quei movimenti conservatori-rivoluzionari di ieri che tentaron di fondere la chiarità delle origini con la nuova chiarità irradiantesi dalla tensione atletica e dal dominio della materia. Di essi così parlava Evola nel 1930:
«L’Italia stessa, oggi, partecipa in un certo modo di questo spirito, nel collegare strettamente volontà di rinnovamento e ritorno alle tradizioni; oltre che la rievocazione, che essa oggi fa, dei simboli romani, in molti punti si incontra con la rievocazione dei significati che ad essi vengono dalla interpretazione e dallo sfondo creato dal Bachofen; onde essi assurgono altresì al valore di simboli dello stesso mondo occidentale… È il senso d’infinito che arde nel profondo dell’uomo. Esso lo spinge già in questa via mortale di là dai limiti che paralizzano la sua forza e la sua luce: tanto più, per quanto più di questi gli si stringano da presso. E come i suoi sguardi si protendono verso i confini degli spazi siderei, e le sue algebre si adeguano all’illimitato e piegano in nuove membra di potenza le forze elementari, così pure, per una identica ansia, egli tenta di forzare anche il limite del tempo, e di vedere, di ritrovare la sua propria idealità, là dove si dischiusero i primi albori della storia» (Aspetti del movimento culturale nella Germania contemporanea).
Quella esperienza è tutta dietro le nostre spalle? Difficilmente potremmo articolare la tematica d’una nuova spiritualità europea prescindendo da quei tentativi di fondere chiarità antica e audacia moderna. Essi ci appaiono degli indispensabili punti di riferimento oggi che i misticismi si appannano e si contaminano per la vicinanza di tanti impuri spiritualismi.
Accanto a questa spiritualità diurna − capace di non sbiadire nella luce abbagliante del mondo moderno − il cattolicesimo ci appare alcunchè di offuscato, e, comunque, di rimpicciolito.
Per valido che esso sia ancora come tenuta interna di singoli, le sue pretese egemoniche non possono non apparirci inattuali. Dal principio dell’800, il cattolicesimo non può rappresentare nulla di più che una corrente spirituale tra le altre. E il «tradizionalismo cattolico» è un ismo, esattamente come il «neopaganesimo». La sua contraddizione è nel dover ammettere una ortodossia migliore della ortodossia. Non si dimentichi inoltre che «la condizione per essere un tradizionalista è non sapere di esserlo».
Ancor più problematico ci appare un altro «tradizionalismo» il cui universalismo sfuma in un cosmopolitismo inquietante.
Certo, René Guénon è un autore la cui purità intellettuale non è in discussione; la limpidezza e la continuità della sua lunga amicizia con Evola lo attesta. Ma cosa possa divenire il «guenonismo» nelle mani di intellettuali snobistici e cristianeggianti nessuno lo può prevedere.
È così che la nobile aspirazione a valori eterni ed universali può snaturarsi in una latente avversione per i valori del kòsmos, della gerarchia e dell’uomo bianco. È così che in margine a certo «tradizionalismo» ripullulano l’infatuazione per la négritude, il flirt con l’ebraismo ed altre impurità spirituali. È così che ci si arroga il diritto di parlare in cattedra di «Tradizione» quando si è così cancerosamente rosi dai tre peccati capitali della modernità: l’intellettualismo, lo snobismo e l’antifascismo.
Anche di fronte a questo «tradizionalismo» sarà il caso di estrarre la pistola.
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Tratto da Sul problema di una tradizione europea, ed. di Vie della Tradizione, Palermo 1996(2), pp. 51-53.
Piero.Sisci
..” È così che in margine a certo «tradizionalismo» ripullulano l’infatuazione per la négritude, il flirt con l’ebraismo ed altre impurità spirituali. È così che ci si arroga il diritto di parlare in cattedra di «Tradizione» quando si è così cancerosamente rosi dai tre peccati capitali della modernità: l’intellettualismo, lo snobismo e l’antifascismo ”
Queste righe, che ho evidenziato, sanno di vecchio. Ma non di Antico ( che ha una sua nobiltà ), non di Arcaico ( che ha una sua nobiltà) e neanche di Spirituale…proprio di “vecchio”. Politica e pensieri borgatari. Una fase sorpassata. E fallimentare, soprattutto sul piano spirituale.