Sollevare il velo

Un volto ieratico, imperturbabile, fermamente deciso a non far trasparire le emozioni: l’essenza più autentica dell’Islam sciita è scolpita nel profilo patriarcale dell’Ayatollah Khomeini, leader enigmatico, laconico nei gesti e nelle parole, la cui immagine giganteggia dal 1979 nelle strade e nelle piazze di Teheran, ierofania di un’utopia regressiva realizzata, figlia di un’ interpretazione letterale del Corano, che è riuscita a riportare indietro le lancette della Storia all’epoca del Profeta. “Non potendo emigrare nello spazio – scriveva Ryszard Kapuscinski nei giorni tumultuosi della caduta dello Shah –  il popolo intraprende una migrazione nel tempo e fa ritorno ad un passato che, paragonato ai dolori e ai pericoli della realtà circostante, gli appare come un paradiso perduto”. Ad ogni latitudine la regressione all’essenzialità delle origini esercita sugli uomini un’irresistibile forza di attrazione, cela in sé qualcosa di atavico, un afflato salvifico, anche quando, applicato alla lettera, si rivela, alla prova dei fatti, un mito incapacitante, tramutandosi spesso e volentieri in un incubo. Eppure, dalle pagine straordinarie della scrittrice Azar Nafisi, della quale Roberto Calasso ha pubblicato quel meraviglioso caleidoscopio di memorie che è Leggere Lolita a Teheran, giunge a noi il riflesso di un’immagine affatto diversa della società iraniana: alcune studentesse universitarie si ritrovano ogni giovedì sera in casa della loro insegnante per accostarsi ad autori proibiti come Nabokov e Francis Scott Fitzgerald. Nella rassicurante penombra delle mura domestiche si scrollano di dosso le rigide regole della purdah, il precetto islamico che impone alle donne di nascondere agli sguardi dell’uomo il proprio corpo, ed esplorano i mille risvolti dell’universo femminile, in un tripudio di stoffe damascate, essenze ed unguenti profumati che, potenza della suggestione letteraria, richiama alla mente le odalische immortalate da Ingres nella languida mollezza del bagno turco o le esotiche atmosfere ebbre di luce evocate da Robert Byron lungo la via per raggiungere l’Oxiana.

Come ha osservato acutamente Gerard Russell in un suo recente saggio dedicato alle religioni minoritarie del Medio Oriente, l’Iran è una realtà complessa e multiforme, posta a cavallo tra due mondi e lacerata da stridenti contraddizioni, nella quale il rigorismo dell’intransigenza coranica convive con i culti del fuoco dell’antica religione zoroastriana i cui seguaci, tutelati dalla Costituzione, credono che il deposto Reza Palawi sia discendente diretto di Ahura Mazda, l’invitto Dio del Sole e dove le più avveniristiche ricerche nel campo della fissione dell’atomo vanno a braccetto con usanze di stampo feudale. Un microcosmo a noi sostanzialmente ignoto, di cui abbiamo una visione parziale e frammentaria, filtrata dai dettami del pensiero dominante.

La morte del Generale Suleimani, avvenuta nei mesi scorsi, e il recente attentato in cui ha trovato la morte Mohsen Fakhrizadeh, responsabile del programma nucleare iraniano, hanno riportato questo Paese misterioso al centro del Grande Gioco che, nello scacchiere geostrategico internazionale, vede l’America, la Russia e la Cina impegnate in una partita a scacchi della quale non è ancora possibile prevedere tutti gli esiti. A colmare questa lacuna interviene ora Paolo Borgognone con la sua monumentale Storia alternativa dell’Iran islamico, licenziata per i tipi della casa editrice milanese Oaks. Classe 1981, un incarico come ricercatore presso l’Istituto di Alti Studi Strategici di Milano, assiduo collaboratore di importanti quotidiani nazionali e stranieri, il battagliero studioso piemontese si è distinto in questi anni per le sue posizioni eterodosse che gli hanno attirato inimicizie trasversali. Nel 2015, proprio mentre infuria sui mezzi d’informazione la battaglia mediatica contro Putin accusato dai corifei del politicamente corretto di voler trascinare il mondo nel baratro in seguito all’intervento militare nel Donbass (apocalittico vaticinio puntualmente smentito dagli eventi), Paolo Borgognone ha levato la sua voce solitaria in difesa delle scelte del Cremlino, affidando alla fittissima requisitoria del suo Capire la Russia (edito da Zambon) una ricostruzione ciclopica, dettagliata ed esaustiva dell’universo postsovietico che ha avuto, tra gli altri, il merito di ridare centralità ad un tema, quello dell’Eurasia, al quale oggi anche gli ambienti del cosiddetto pensiero non conforme, sedotti dal canto di altre sirene, sembrano guardare con un certo imbarazzo. Concetto insieme politico, geografico e metafisico germogliato in seno alla cultura russa di fine Ottocento, l’Eurasia individua una sorta di koiné, una realtà unica estesa dall’Atlantico al Mar della Cina le cui diverse componenti, legate tra loro dall’idem sentire delle rispettive culture tradizionali, sono a tal punto interconnesse che non vi è avvenimento di rilievo nell’una che non si riverberi inevitabilmente sulle altre. La percezione, più o meno cosciente a seconda dei luoghi e delle contingenze storiche, di un destino continentale comune ha trovato entusiastici sostenitori anche nel corso del Novecento, soprattutto nel mondo tedesco, e viene oggi propugnata da quanti (si pensi ad esempio ad Aleksandr Dugin) ritengono che, nell’ambito della dialettica tra imperialismi espansivi contrapposti a suo tempo teorizzata da Carl Schmitt, l’Eurasia possa costituire un contrappeso al mondo unipolare nato nel 1991 sulle macerie della Guerra Fredda.

Il ponderoso studio di Borgognone sull’Iran, forte di un apparato critico davvero enciclopedico e di una conoscenza della materia trattata maturata sul campo, s’inserisce nel solco di questa linea di pensiero contribuendo a correggere alcune distorsioni prospettiche che ancora resistono nel dibattito scientifico fiorito intorno all’idea di Eurasia, prima fra tutte quella che induce molti, anche tra i più avveduti, ad identificarla sbrigativamente con la cultura ortodossa nelle sue diverse declinazioni. Il Cristianesimo di rito bizantino è senza dubbio una componente importante, addirittura costitutiva del retroterra culturale eurasiatico ma, posto che l’Ortodossia non è un monolite granitico e come ogni altro movimento d’idee conosce al suo interno numerose eresie e contaminazioni, nel momento in cui ci si fa carico dell’onere di leggere le complesse vicende della politica estera secondo una chiave interpretativa di respiro continentale, non si può, secondo Borgognone, non prendere atto del fatto che l’Islam, piaccia o meno, è a tutti gli effetti una delle religioni più diffuse entro i confini dell’Eurasia: l’Iran, le Repubbliche islamiche ex sovietiche dell’Asia Centrale, l’India, il Pakistan, la provincia cinese dello Xinjiang abitata in maggioranza dagli Uiguri, solo per fare alcuni esempi, sono per Borgognone prove lampanti di come la parola del Profeta abbia messo solide radici nel corso dei secoli anche presso popolazioni non arabe, molte delle quali riconducibili senza timore di smentita nell’alveo della matrice etnolinguistica indoeuropea. Questa tesi, lapalissiana nella sua adamantina lucidità, se da un lato conferma quanto l’Islam rappresenti un elemento di coesione identitaria e di mobilitazione delle masse estremamente tenace, capace di fornire, con la sua divorante ansia di Assoluto risposte rassicuranti (poco importa se vere o presunte) al vuoto pneumatico e alla mancanza di senso lasciati dal crollo delle ideologie novecentesche e dal progressivo secolarizzarsi delle varie confessioni cristiane, dall’altro si è rivelata per alcuni troppo spiazzante ed è stata all’origine di un fuoco di fila scatenato contro l’Autore, accusato da più parti, alcune delle quali presunte “amiche”, di fornire una giustificazione teorica al regime degli Ayatollah, che è quanto di più distante dal suo reale intendimento. Lungi dal voler prestare il fianco ad improbabili endorsements in favore di qualsivoglia integralismo, queste pagine nascono dalla convinzione che il destino della nostra Civiltà non si risolve necessariamente entro i margini angusti della Democrazia liberale la quale, peraltro, al cospetto di una sfida epocale come quella rappresentata dalla pandemia, ha rivelato tutte le sue intrinseche debolezze, non frapponendo indugio alcuno nel limitare le tanto osannate libertà individuali in nome dell’imperativo categorico imposto dalla preservazione della vita umana. Paolo Borgognone ci suggerisce semplicemente che esistono altri mondi, realtà alternative, universi paralleli, paradigmi differenti e ci invita ad esplorarli senza preconcetti, al solo fine di comprenderli, offrendoci una bussola che ci consenta di avventurarci in questo viaggio senza smarrire la rotta del ritorno.

Paolo Borgognone, Storia alternativa dell’Iran islamico, Oaks Editrice, Milano, 2019, pag. 850, € 30,00.

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