Affidando le proprie confidenze all’amica Nina Berberova, indiscussa decana degli espatriati russi in terra di Francia che le dedicherà una splendida biografia uscita da noi per Adelphi, Marija Ignat’jevna Zakrevskaja, al secolo Baronessa von Budberg, dal nome del suo secondo marito, rovistando tra i ricordi rammenta come lo scrittore Maksim Gorkij, del quale è stata traduttrice, segretaria e vestale prediletta su precisa indicazione del KGB per cui presta servizio come agente sotto copertura (non disdegnando tuttavia di svolgere la medesima funzione anche per conto di Sua Maestà britannica), avesse la pessima abitudine di scorrazzare scalzo per le anguste vie di Capri in sella ad una motocicletta scassata, seminando il panico tra gli abitanti del luogo.
Costretto a fuggire dalla Russia perché sospettato di aver avuto un ruolo nei moti insurrezionali del 1905, il futuro padre della letteratura sovietica sbarca per la prima volta sull’isola due anni dopo, con al seguito la splendida moglie Marija Federovna Andreeva, rinomata attrice drammatica, e l’amico musicista Nikolaj Burenin nei panni di factotum. Vi rimane in pianta stabile fino al 1913 e il suo buen retiro di Villa Ercolano diventa presto meta di pellegrinaggio per alcuni nomi di peso della costituenda nomenklatura bolscevica: Georgij Plechanov, Anatolij Lunakarskij, Lenin e Aleksandr Bogdanov si danno appuntamento sulla splendida terrazza in vista del golfo e, tra una partita a scacchi e l’altra, pianificano nel dettaglio la Rivoluzione prossima ventura.
Esiliato da quello stesso potere sovietico che ha contribuito ad edificare, Gorkij fa ritorno in Italia nel 1920, a Sorrento questa volta, dove si trattiene fino al 1933. Al suo fianco la già citata Baronessa, la “donna di ferro” che a Mosca, dopo la completa riabilitazione dello scrittore, veglierà il suo feretro accanto Stalin, con la quale l’esule illustre non disdegna qualche occasionale puntatina sull’isola che lo ha accolto negli anni del suo apprendistato. Capri è molto cambiata nel frattempo: il Fascismo ha conquistato il potere e Mussolini ha affidato al Barone Alberto Fassini, finanziere e munifico sovvenzionatore del Partito con il pallino del cinema, il compito di trasformare quell’agreste romitaggio insulare nella scintillante vetrina per il bel mondo che ancora oggi possiamo ammirare. Galeazzo Ciano e sua moglie Edda, figlia primogenita e prediletta del Duce, vi tengono corte regolarmente, Umberto di Savoia e Maria José del Belgio sono ospiti fissi e con loro la Principessa Mafalda e il di lei consorte, il Principe Filippo d’Assia, al seguito del quale giungono sull’isola nomi eccellenti della Germania hitleriana come il Maresciallo del Reich Hermann Goering, interessato ad acquistare Villa San Michele, l’eccentrica dimora simbolista di proprietà del medico e scrittore svedese Axel Munthe, la futura volpe del deserto Erwin Rommel e i registi Leni Riefensthal e Veit Harlan. Quest’ultimo, autore del famigerato film “Suss l’Ebreo”, fiore all’occhiello della propaganda antisemita del regime tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore Lion Feuchtwanger e fortemente voluto da Joseph Goebbels, sceglierà Capri come suo approdo definitivo, trascorrendovi gli ultimi giorni della propria vita.
È un rutilante caravanserraglio di esistenze sopra le righe e fuori dagli schemi quello che Guido Andrea Pautasso mette in scena nel suo Capri proibita, fresco di stampa per i tipi della casa editrice milanese Aspis. Sfogliando queste pagine salmastre ed arse si ha come l’illusione di risvegliarsi agli albori del tempo, di compiere un viaggio iniziatico a ritroso, verso l’infanzia del mondo, sorretti dalla convinzione che un attimo, se intensamente vissuto, può essere vasto come tutta una vita. Nell’universo umano, artistico e simbolico che l’Autore dischiude dinnanzi ai nostri occhi con cesellata abilità di affabulatore non ci sono mai autunni e inverni, solo primavere ed estati: il Sole che si riverbera sulla pelle e la irrora, il risveglio e l’esplosione della Natura, il trionfo dei corpi, la carnalità vissuta come dono, nella totale assenza di peccato. Un Grande Meriggio, per dirla con Nietzsche, che è insieme rapsodia pagana ed epifania del Sacro. Pautasso è un Nabokov senza dannazione, un Egon Schiele libero da morbosità incestuose, un panteista attardatosi oltre i confini della sua epoca, quindi giocoforza inattuale. La Capri che descrive è, al pari della Fiume dannunziana, un regno segreto, insieme reale e simbolico, dove le stravaganze e le bizzarrie sessuali della Marchesa Luisa Casati e del Barone Jacques d’Adelsward Fersen nascondono in realtà una straziante nostalgia per l’innocenza perduta, sono anelito alla ricomposizione panica di quella frattura insanabile tra individuo e Creato generata dalla Modernità. In questo scenario edenico, come in una giostra protesa sul ciglio dell’Abisso che la inghiottirà, forsennata si accalca una variopinta folla di personaggi: eroi e gaglioffi, filosofi e impostori, santi e prostitute, ciascuno vincolato a recitare il proprio ruolo sotto lo sguardo tempestoso e folgorante di Curzio Malaparte, che a Capri ha scelto di edificare l’eremo che porta il suo nome, arroccato su uno scoglio a sfidare il vento. Odi profanum vulgus et arceo, chioserebbe Orazio. Mitomane, esibizionista, impareggiabile incendiario d’anime, prosatore asciutto e narratore barocco capace di passare senza battere ciglio dai salotti alle trincee, dalle rivoluzioni alle conferenze diplomatiche, dai campi da golf a quelli di sterminio, da Hitler a Mao Zedong , il vecchio Kurt Erich Suckert è il vero genius loci di quest’isola immersa nel divenire e tuttavia fuori dal tempo e dallo spazio, che nella sua antelucana immobilità ha la presunzione, tutta femminile, di voler racchiudere in sé un compendio del Novecento.
Guido Andrea Pautasso, Capri proibita, Aspis Edizioni, Milano, 2024; pag. 380 € 28,00.
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