Parallelamente al simbolismo delle porte solstiziali ce n’è un altro che disegna lo scorrere dell’anno in uno spazio simbolico, secondo il quale dai Pesci al Toro si estende il lago di fuoco dell’aurora, il Toro pascola sui verdi prati di un paesaggio montano, Gemelli e Leone sono castelli di due montagne fra le quali si estende con il Cancro la chioma dell’Albero del mondo, sede della Grande Madre munita di corna. La Vergine abita in una bella abitazione; e dalla Bilancia all’Aquario si estende la valle dominata dall’Albero del morti e che giunge fino al solstizio d’inverno dove la Grande Madre appare come filatrice, ovvero come Parca.
Attraverso questo paesaggio cosmico […] si svolge sia l’anno sia la vita umana che comincia, spiega Schneider, con la nascita nella zona “melmosa” e impura del pericolo e della malattia. «La culla del bambino, sempre attorniata dagli spiriti del morti, si trova in una laguna al margine dell’oceano settentrionale (Oceano dei morti, Aquario). Fino al raggiungimento della maturità sessuale il bambino equivale a un morto vivente (Pesci). La giovinezza si svolge sui colli sognanti del tempo che precede la primavera, nell’oriente dove arde senza fiamma il mare di fuoco. Ma solo con la luce della prima aurora (Ariete) il giovane freme d’un lieve presentimento del lago di fuoco. Il periodo di digiuno e il fidanzamento cadono nella zona delle prime colline solatie. Solo allora l’uomo raggiunge il primo altopiano dove, su un prato verdeggiante, scintilla quel lago dal fondo del quale rintrona una delle bocche del drago che erutta fuoco (Toro). Nell’ardore giovanile l’uomo rivolge il suo passo verso il castello sudorientale della montagna dov’egli raggiunge il pieno possesso della propria forza e guarda fiducioso verso il mezzogiorno del tempo. Poi egli riprende il suo cammino: mentre il sole raggiunge il suo apogeo, egli percorre la sella collinosa attraverso la quale giungerà al palazzo sulla cima della montagna antistante. Dopo essersi ristorato alla fonte gorgogliante del giorno di San Giovanni egli scala questa seconda montagna dall’alto della quale, con lieve senso d’angoscia, cerca di abbracciare con lo sguardo il tempo di occidente che si accinge a percorrere. Nel frattempo è giunta l’ora della discesa. Uomo maturo, egli lascia la montagna e volge i suoi passi verso la valle. Là riconosce nel pomeriggio di un autunno senza sogni la bellezza del mondo, ed ora i suoi anni fluiscono più veloci nel rosso fiammeggiare della sera calante. Ancora una volta gli viene concessa, per breve tempo, una seconda giovinezza finché nel freddo vento della sera l’incerta mano prende a tremargli… Viene novembre. Tranquillo egli riconosce il cacciatore appostato al margine del bosco: ode il sibilar della freccia e l’abbaiare del cane che vede l’approssimarsi della sua morte. Poi tutto si fa scuro e tranquillo. Una barca lo accoglie e lo trasporta all’isola del morti, a meno che un fedele delfino non lo riporti ancora sulla terra».
Il paesaggio simbolico ci introduce nell’estate trionfante di cui San Giovanni è la fontana di vita: Midsummer Day, giorno di mezza estate, di quell’estate che nelle terre intorno al polo, da dove sono giunti i popoli indo-europei, dura due mesi con il sole che non tramonta mai. Questo “trionfo del Sole”, che si sposa al solstizio, secondo l’antica mitologia babilonese, con la Luna ovvero con la Grande Madre cornuta, potrebbe offrire un’ulteriore chiave interpretativa, e forse la più antica, per leggere meglio le usanze e le leggende di San Giovanni di là dalle stratificazioni del secoli. In tale luce le acque, analoghe simbolicamente alla luna, sarebbero fecondate dall’astro nello sposalizio solstiziale, e serberebbero una energia benefica per gli uomini al pari delle erbe bagnate dalla rugiada nella notte magica. E i falò solstiziali, simboli del Fuoco per eccellenza, avrebbero virtù sia purificatrici sia rigenerative.
La solennità del santi Pietro e Paolo
Prima di addentrarsi nell’estate, dove i riti pagani affiorano prepotentemente nonostante l’accurata opera di cristianizzazione, occorre soffermarsi sulla solennità del santi Pietro e Paolo che, secondo una tradizione plurisecolare, avrebbero subito insieme il martirio il 29 giugno.
La data è attestata nel più antico calendario liturgico che ci è pervenuto, la Depositio martyrum filocaliana, dove si fa risalire al 258 (Tusco et Basso consulibus) la festa celebrata inizialmente nella località in Catacumbas, al terzo miglio della via Appia.
In realtà i due apostoli morirono in date e luoghi diversi: Pietro crocifisso con la testa in basso nello stadio di Caracalla, presso il colle Vaticano, durante la persecuzione neroniana del 64, Paolo decapitato nel 67 perché era cittadino romano e non poteva subire la pena, considerata infamante, della crocifissione. Anche la data del 29 giugno per Pietro è improbabile perché la persecuzione cominciò dopo l’incendio divampato fra il 18 e il 27 luglio.
Margherita Guarducci, che l’ha fissata al 13 ottobre, ha spiegato sulla scia di uno studioso tedesco, Carl Erbes, perché fu scelto il 29 giugno per ricordare il martirio dei due apostoli. Nell’antica Roma si celebrava il 29 giugno, sul Quirinale, la festa di Quirino intorno al tempio del dio che Augusto aveva rifatto nel 16 a.C. Quirino, dio sabino, era stato assimilato a Romolo intorno all’inizio del secolo III a.C., quando le leggende sull’origine di Roma avevano cominciato ad assumere la struttura definitiva. “Fin da allora presumibilmente” spiega Dumézil “i dotti proposero le due contrastanti versioni di Quirino Romolo e di Quirino Sabino, e fin da allora queste due formule diedero origine a due orientamenti, a due usi politico-religiosi di Quirino. Prima dell’intervento dei Giulii, che fecero diventare ufficiale l’identificazione Quirino Romolo, né l’una né l’altra delle concezioni di Quirino era riuscita ad eliminare la rivale e a superare il livello delle opinioni probabili”.
Ma con i poeti dell’età augustea la figura di Quirino Romolo prevale sull’altra, come testimonia Ovidio e più tardi Plutarco riferendo la versione favorita dalla gens Julia, la quale pretendeva di essere originaria di Alba con l’antenato leggendario Proculo Giulio. Narra Plutarco che dopo la scomparsa di Romolo si era diffusa la voce che il fondatore di Roma fosse stato ucciso dai nobili. «Le cose erano giunte a questo punto… quando un patrizio, il primo forse per nobiltà di natali e stimato universalmente per la sua dirittura, nonché amico fidato dello stesso Romolo, un colono venuto da Alba, di nome Giulio Proculo, si presentò in mezzo al Foro e lì davanti a tutti, tenendo una mano sulle reliquie più sacre, disse: “O Romani, lo giuro: mentre venivo qui, Romolo mi è apparso e mi è venuto incontro, bello e grande come mai prima di allora l’avevo visto, rivestito di armi luminose e abbaglianti. Sconvolto dall’apparizione gli domando: O re, che fai o hai in animo di fare per lasciare i patrizi esposti ad accuse false e malevoli, e la città tutta immersa in un dolore senza fine per la perdita del suo padre? Egli mi rispose: agli dèi, o Proculo, dai quali provengo, piacque che io rimanessi tra gli uomini soltanto tanto tempo quanto ci fui e che, fondata una città destinata a grande imperio e gloria, di nuovo tornassi in cielo. Ma fatti animo, và a dire ai Romani che se coltiveranno la moderazione e il valore giungeranno al più alto grado di potenza concesso ai mortali. Io sarò il vostro dio protettore, Quirino”».
Fino all’uccisione di Remo, Romolo presenta un tratto dominante: è un gemello inseparabile dal fratello, come testimonia anche la celebre Lupa conservata in Campidoglio. Sicché, secondo la tesi della Guarducci, la festa del 29 giugno aveva la funzione di celebrare i due gemelli ancora uniti nella fondazione di Roma: “Lo dimostra un frammento di rilievo storico, oggi conservato nel museo delle Terme, che rappresenta Romolo e Remo assistiti da vari personaggi divini ed eroici mentre osservano il volo augurale degli avvoltoi che precedette, secondo l’antica leggenda, la nascita di Roma sul Palatino”.
I cristiani si ispirarono alla festa per trasfigurarla nella solennità dei due apostoli considerati i fondatori della nuova Roma. In occasione del 29 giugno papa Leone Magno, verso la metà del secolo V, si rivolgeva nel sermone in onore del santi Pietro e Paolo a Roma personificata e le ricordava che gli apostoli le avevano portato il Vangelo di Cristo trasformandola da “maestra di errore” in “discepola di verità”. «Quelli sono i santi padri tuoi e i veri pastori che ti fondarono molto meglio e molto più felicemente di coloro per opera del quali fu stabilita la prima fondazione delle tue mura», spiegava rammentando che Romolo aveva macchiato la città col sangue fraterno.
La solennità dei santi Pietro e Paolo è il più antico esempio di trasfigurazione di una festa romana in festa cristiana, precedente persino il Natale. «Appare altresì probabile», osserva la Guarducci, «che a questo culto abbia dato impulso l’idea della Concordia Apostolorum, un’idea che alla fine del secolo raggiunse il suo pieno e trionfale sviluppo».
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Brani tratti dal libro Calendario (Rusconi, 1993).
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