Uno degli errori che più frequentemente si tende a compiere parlando di rapporti tra regime nazista e Chiese cristiane è quello di ritenere che l’ascesa hitleriana e il suo successivo regime dittatoriale fossero completamente supportati dalla maggioranza protestante dei tedeschi e, in particolare, dalle più alte gerarchie luterane.
Naturalmente, vi sono numerose motivazioni per sviluppare una tale idea: anche lasciando da parte il fin troppo citato (e, in realtà, profondamente erroneo) antisemitismo di Lutero, è assolutamente indubitabile che le Chiese protestanti furono più propense (anche se, alla luce delle risultanze storiche, buona parte delle alte cariche ecclesiastiche cattoliche non furono affatto immuni dall’influenza nazista) di altre a vedere nel “Führer” una sorta di nuovo “unto di Dio”, vuoi per un secolare legame che le univa alla dirigenza politica statale, vuoi perché, non avendo alle spalle un potere forte come quello del Vaticano, era, per molti versi, una vera e propria necessità esistenziale quella di non porsi in contrapposizione diretta con i poteri forti dominanti.
E’ noto che il risultato di tale propensione fu quell’abominio storico-teologico che prese il nome di “cristiano-tedeschi“: una sorta di chiesa nazionale pan-germanica completamente fedele a Hitler (ed anzi, prona all’idolatria del dittatore) i cui vertici erano non solo totalmente asserviti all’NSDAP ma parte integrante del partito nazista e la cui predicazione era votata allo sviluppo di una eresia capace di mescolare cristianesimo e miti ariani e alla distinzione di fedeli di serie A (i tedeschi) e di serie B (tutti gli altri cristiani) da coloro che, per razza (le cosiddette “razze subumane”), dovevano essere esclusi forzatamente dalla sequela di Cristo a seguito dell’estensione dell’infame “Paragrafo Ariano”[1] al culto cristiano.
Anche in questo clima totalitario, però, vi fu, tra i Luterani, chi seppe tentare di opporsi all’asservimento morale del cristianesimo all’ideologia nazional-socialista.
Già dall’estate del 1933, ai primi cenni di sviluppo dei “cristiano-tedeschi”, alcune congregazioni avevano espresso il loro totale dissenso verso la linea teologica che i nazional-socialisti cristiani avevano deciso di adottare, sulla scia degli scritti di Karl Barth, il famoso teologo, docente all’Università di Bonn che, da subito, non solo aveva completamente rigettato il programma della “nuova chiesa” ma si era spinto addirittura a lanciare una sorta di “scomunica” contro tutti coloro che vi avessero preso parte.
Certamente, però, fu proprio l’adozione del “Paragrafo Ariano” da parte del “Vescovo del Reich” Müller, che sollevò le maggiori resistenze, che si incarnarono principalmente in un personaggio a dir poco particolare (e, per alcuni versi, eccezionale): il Dr. Martin Niemoeller, ex capitano degli U-Boat ed eroe di guerra decorato che, intrapresa nel 1919 la carriera religiosa, era divenuto titolare della prestigiosa parrocchia berlinese di Dahlem[2]. Nel settembre 1933, Niemoller (che pure era di idee notoriamente ultra-nazionaliste e, in un primo momento, aveva sostenuto l’ascesa del NSDAP[3]) e alcuni altri ministri del culto decisero di unirsi per dar vita ad una “Lega d’Emergenza dei Pastori”, che chiedeva a tutti i Pastori di unirsi sulla base di una dichiarazione in quattro punti stilata da Barth, che vincolava i credenti ai dettami evangelici e rifiutava ogni discriminazione cristiana su base etnica (negando, così, ogni validità al “Paragrafo Ariano”).
E’ vero, come è stato sottolineato da alcuni autori[4], che il “Paragrafo Ariano” fu rifiutato solo “con riferimento alla Chiesa di Cristo“[5] e che la Lega ottenne, in quel settembre 1933, meno di 6000 adesioni di fedeli (sostanzialmente una minoranza quasi risibile se confrontata al numero dei Luterani tedeschi), ma, comunque, è innegabile che, almeno, con la nascita della Lega, si ebbe almeno il primo aperto “no” se non contro il regime, almeno contro le sue aberrazioni teologiche.
In realtà, però, la lealtà nei confronti dello stato rimase inalterata, tanto che quando, nell’ottobre 1933, Hitler pose fine alla partecipazione tedesca alla Lega delle Nazioni, la Lega d’Emergenza dei Pastori mandò un messaggio di congratulazioni al Führer, assicurandogli l’appoggio incondizionato dei suoi membri[6].
Solo verso la fine dell’anno, dopo il grande raduno dei “cristiano-redeschi” al Palazzo dello Sport di Berlino[7], che segnò la definitiva ufficializzazione della “resa incondizionata” delle gerarchie luterane all’ideologia hitleriana, e la decisione di Müller di consegnare la gioventù cristiana nelle mani della Hitlerjugend di Von Schirach, la Lega decise di prendere posizione contro l’intera politica religiosa della Germania nazista, attraverso lunghe lettere di protesta lette dai pulpiti.
Contro questa misura, nel gennaio 1934 Müller emanò il cosiddetto “Atto Museruola” con cui si proibiva “l’erroneo utilizzo di funzioni religiose per affari riguardanti questioni politico-religiose, in qualsiasi forma“, inclusi attacchi contro il governo della Chiesa o le sue azioni. La Lega ignorò completamente l’Atto ma ciò le costò, nel momento in cui Hitler intervenne personalmente (nel febbraio 1934, con una dichiarazione pubblica a sostegno dell’azione del “vescovo del Reich”) e un Concilio di vescovi luterani (nello stesso mese) espresse il suo appoggio alla politica del DEK[8], la perdita ci circa 2000 fedeli e una serie di attacchi che portarono alla deposizione, al pensionamento o alla marginalizzazione (con incarichi nelle più sperdute parrocchie di montagna) di moltissimi dei suoi pastori. Ciononostante, seppur indebolita, la Lega continuò ad esistere e a divenire sempre più combattiva.
A poco a poco, nel corso del 1934, un sempre maggior numero di Chiese protestanti cominciò ad unirsi all’opposizione, creando “Liberi Sinodi” e formando le cosiddette “Chiese Confessanti”. I “Liberi Sinodi” erano assemblee che si riunivano senza il permesso delle autorità ecclesiastiche ufficiali e del “vescovo dei Reich”, dapprima divisi secondo le tre confessioni che formavano le Chiese Evangeliche (Luterani, Riformati, Unitariani), poi, dopo “Barmen II[9]“, nel maggio 1934, in un unico Sinodo trans-denominazionale. Il loro scopo primario era quello di protestare contro l’atteggiamento dittatoriale di Müller e di proteggere la purezza dottrinale della Chiesa, così come stabilità nel Vecchio e Nuovo Testamento e recepita nelle Confessioni Luterana e Riformata: l’attacco alle “innovazioni” (eretiche) del DEK non poteva essere più netto. Le Chiese che parteciparono a questi “Liberi Sinodi” furono dette “Chiese Confessanti”: la loro intenzione non era quella di separarsi dal corpus della Chiesa nazionale, ma di affermarsi come la reale Chiesa discendente dall’antico “magisterium” in contrapposizione con la follia della DEK di Müller.
Qualunque fosse l’intenzione di base, comunque, il risultato fu quello di scindere il Protestantesimo tedesco in due tronconi distinti, con solo pochissime parrocchie in cui i fedeli “confessanti” e “non confessanti” coabitavano, non senza tensioni[10].
Tra il marzo ed il maggio 1934, sempre più “Chiese confessanti” vennero create nel nord del paese, mentre a sud la maggioranza delle comunità rimasero legate alla DEK, guardando con sospetto a quei correligionari che apparivano un po’ troppo radicali nel loro distacco dalle autorità ecclesiastiche provinciali: tale divisione, che in questo modo divenne anche territoriale, proseguì per tutto il periodo bellico, in qualche modo aumentando l’isolamento e l’esposizione dei partecipanti ai “Liberi Sinodi”[11].
Questi ultimi, comunque, non indietreggiarono di un passo dalle loro posizioni e, anzi, tra il 29 ed il 31 maggio 1934 celebrarono quello che può a buon diritto essere considerato il momento di più forte resistenza del Protestantesimo tedesco contro la nuova “Chiesa di stato”: il “II Sinodo di Barmen”, a cui parteciparono 138 delegati di 26 Chiese provinciali. Tutti i delegati vennero approfonditamente esaminati prima dell’inizio dei lavori perché nessuno di essi potesse essere anche solo vicino alla DEK e, per la prima volta, ad ogni presente fu richiesto di firmare una tessera rossa di appartenenza che, nel corso degli anni, divenne una specie di “segno di riconoscimento” dei “confessanti”: si tratta di un atto simbolicamente importante perché segna una distinzione formale e definitiva tra “resistenti”, chiaramente identificati, e tutti gli altri “non oppositori” alla chiesa di regime. L’atto più significativo del Sinodo fu l’accettazione della “Dichiarazione di Barmen II”, scritta ancora una volta da Karl Barth con l’ausilio di alcuni teologi luterani: la Dichiarazione, composta da sei articoli, rigettava completamente la false dottrine del DEK ma anche le pretese totalitarie dello stato sulle Chiese e l’appoggio delle Chiese allo stato. La Tesi V, in particolare, afferma: “Rigettiamo la falsa tesi che lo Stato […] debba e possa divenire l’unico ordine totalizzante della vita umana, includendo in sé anche la vocazione ecclesiastica. […] Rigettiamo la falsa dottrina che la Chiesa […] debba e possa appropriarsi delle caratteristiche è dei doveri dello Stato, diventando essa stessa un organo di Stato.“[12]
E’ evidente che qui non viene attaccato solo il totalitarismo dello stato nazista, ma anche la dipendenza di Müller dal regime[13], ma è importante sottolineare che la Dichiarazione di Barmen non è in nessun modo un manifesto politico: in tutto il documento, infatti, si cercò di evitare ogni riferimento diretto a questioni politiche o ai crimini hitleriani e non si fece alcuna menzione, con una terribile omissione, alla “questione ebraica”. In una lettera del 1967 a Eberhard Bethge, biografo di Bonhoeffer[14] (di cui si tratterà in seguito), lo stesso Barth, estensore di gran parte del testo, si rammaricherà di questo gravissimo errore: ” A lungo mi sono sentito colpevole di non aver fatto di questo punto [la questione ebraica] un nodo centrale, almeno pubblicamente, nelle due Dichiarazioni di Barmen del 1934 che avevo redatto. Nel 1934, certamente, un testo in cui avessi toccato questo punto non avrebbe trovato un consenso generale sia nel Sinodo Riformato del gennaio 1934 che nel Sinodo Generale di maggio, tenendo conto del modo di pensare dei fedeli ‘confessanti” in quel periodo. Ma il fatto che fossi preso da altri affari non è una valida scusante per non aver lottato per questa causa“[15].
A dire il vero, praticamente l’intera Chiesa evitò sempre di toccare l’argomento “giudaico”, in particolare per quanto riguardava la persecuzione degli Ebrei non cristiani. Certo, vi erano state proteste, come visto, quando Müller aveva introdotto il “Paragrafo Ariano” contro i fedeli di origine ebraica, ma non una parola venne spesa a favore degli ebrei di religione Israelita. Lo storico J.S. Conway, nel suo studio The Nazi Persecution of the Churches [16] suggerisce tre motivazioni per questa omissione:
1) i delegati presenti a Barmen erano teologi e non politici e il loro scopo principale era combattere l’eresia e preservare la purezza dottrinale della Chiesa;
2) gran parte del clero protestante aveva sempre rifiutato di farsi coinvolgere da questioni politiche e, anzi, aveva sempre criticato quei pastori che, come Barth o Niemoeller, tendevano a spingerli a resistere alla malvagità del regime;
3) esisteva da sempre, nella tradizione luterana, un certo grado di subordinazione e obbedienza al potere costituito e ciò spiega anche la ragione, al di là delle questioni teologiche, per cui la “Chiesa confessante” rifiutò sempre di costituirsi formalmente come corpo ecclesiastico separato e a sé stante.
Oltre a quella sulla situazione degli Ebrei, una seconda omissione della Dichiarazione di Barmen è quella che riguarda un qualunque riferimento alla sovranità morale di Cristo: nella Tesi III si parla ampiamente della relazione tra Chiesa e Vangelo ma Barth (e neppure, in seguito, Niemoeller) non arriva mai ad affermare una sovranità della morale evangelica sullo stato, neppure in un momento in cui la politica statale si contrapponeva chiaramente ad ogni Legge morale cristiana.
Nonostante queste mancanze, comunque, Barmen riuscì almeno a creare un fronte comune protestante, in particolare nel Nord ed il paganesimo della DEK venne chiaramente sconfessato in nome del Vangelo. Anche il regime nazista comprese subito l’importanza della Dichiarazione: la polizia segreta confisco il testo in tutto il paese e minacciò di inviare ai campi di lavoro chiunque ne possedesse una copia.
Fu solo l’inizio di una persecuzione di massa che coinvolse, in varia misura, tutti i leader della “Chiesa Confessante”: in particolare dopo una dichiarazione congiunta di inizio 1935 in cui si denunciava la “Fede Germanica” dei membri della DEK, più di 700 pastori vennero arrestati; Karl Barth fu cacciato dall’università ed espulso in Svizzera (da dove, come docente all’Università di Basilea, continuò ed intensificò la sua campagna anti-nazista); tutte le pubblicazioni e molte parrocchie legate alla “Chiesa Confessante” vennero chiuse e la stessa sorte toccò al Seminario di Finkenwalde, guidato da uno dei più importanti personaggi dei “confessanti”, quel Dietrich Bonhoeffer che, dopo che la Gestapo gli ebbe impedito di predicare, insegnare e parlare in pubblico, venne accusato (probabilmente non a torto) di cospirare per uccidere il Führer e di aver fatto fuggire molti ebrei in Svizzera, venne arrestato (1943) e impiccato nel campo di Flossenbürg (9 aprile 1945), diventando il più celebre martire antinazista protestante[17].
Anche Niemoeller prima per attività antistatali (luglio 1937), poi per ordine diretto di Himmler (aprile 1938), venne arrestato ma, nonostante passasse i sette anni seguenti prima a Sachsenhausen e poi a Dachau, riuscì a sopravvivere e a diventare, al termine della guerra, uno dei più influenti pastori luterani del mondo e uno dei leader del movimento pacifista internazionale[18].
Anche quei pastori che non vennero immediatamente arrestati, furono, allo scoppio della II Guerra Mondiale, chiamati alle armi e distribuiti presso i battaglioni più remoti e a rischio e, praticamente, la “Chiesa Confessante” smise di essere non solo un pericolo per il regime, ma anche una entità religiosa degna di nota.
Il fatto è che la resistenza alla “Chiesa Cristiano-Tedesca” e, più in generale, al nazismo da parte del Protestantesimo germanico fu un elemento troppo minoritario, troppo esitante ed iniziato troppo tardi. Ecco cosa scrisse a tal proposito, nell’ottobre 1945, Niemoeller stesso, in quel “Manifesto di Stoccarda” passato alla storia come “La Dichiarazione di Colpa”: “Con grande pena diciamo: attraverso di noi infinite sofferenze sono state inflitte a molti popoli e molti paesi. Ciò che abbiamo spesso dichiarato davanti alle nostre congregazioni, ora lo dichiariamo a nome dell’intera chiesa: per molti anni abbiamo lottato in nome di Gesù Cristo contro quello spirito che ha trovato la sua terribile espressione nel regime di violenza del nazionalsocialismo; ma comunque, noi ci accusiamo per non aver confessato con più coraggio, pregato con più fede, creduto con più gioia e amato con più ardore. Ora un nuovo inizio deve prendere forma nelle nostre chiese“[19]
Se è vero che numerose sono le ragioni per rammaricarsi per i “confessanti” furono numerose, è, però, anche vero che la resistenza protestante riuscì anche a raggiungere importanti traguardi: fu una voce libera, una delle poche, in una Germania completamente asservita e ogni pastore che decise di dire di no alla barbarie hitleriana pagò a caro prezzo la propria scelta di coscienza.
A tutto ciò non fu sufficiente a salvare i cristiani tedeschi dal contagio nazista. Perché?
Ancora una volta Conway[20] cerca di portare alcune spiegazioni:
a) a causa dello stretto individualismo che caratterizzava alcuni movimenti, in particolare di stampo Pietistico e dell’idea che politica e Chiesa non avessero nulla da spartire, dal momento che, con mentalità quasi manicheistica, si riteneva che la vita politica e la vita sociale fosse una sorta di “regno della corruzione” senza redenzione;
b) lo storico asservimento allo stato, in buona parte frutto della dottrina luterana dei “Due regni”[21], che portò alla mancanza di critica e azione contro i leader politici e che, persino alla fine della guerra, condusse, al massimo, a quella che il Professor Wolf ha definito una “resistenza riluttante”[22];
c) alla presa sul popolo delle dottrine pseudo-cristiane della DEK che vedevano in Hitler un nuovo Messia;
d) all’anticomunismo dottrinario, per cui chiunque si opponesse allo status quo rappresentato da Hitler, doveva, forzatamente, essere un anti-nazionalista e, dunque, secondo i criteri piuttosto netti di un periodo di profonda crisi morale, comunista.
Ma, ancora una volta, pur nella loro limitatezza, è necessario sottolineare come, almeno simbolicamente, la resistenza delle “Chiese Confessanti” fu importante, se non politicamente, almeno teologicamente, contro le pretese di un cristianesimo neo-pagano, quantomeno per dimostrare, così come termina la “Dichiarazione di Barmen”, che anche contro il potere più assoluto, contro le pretese più incredibili, contro la violenza più inaudita, VERBUM DEI MANET IN AETERNUM.
[1] Nel settembre 1933.
[2] Per notizie biografiche più precise sulla vita di Niemoeller vd. C.Start Davidson, God’s Man: The Story of Pastor Niemoeller, Greenwood Press Reprint 1958 – 1979.
[3] Ivi, pp. 31-54.
[4] Ad esempio: J. Webster, Introduzione a The Cambridge Companion to Karl Barth, Cambridge University Press 2000, pp.XIX-XV.
[5] Il testo, che, per altro, sottolineava molto espressamente la distinzione tra Stato e Chiesa, affermava che la Chiesa: “è unicamente proprietà di Cristo e vive e vuole vivere solo del Suo conforto e sotto la Sua direzione nell’attesa della Sua venuta“.
[6] S. Baranowski, The Confessing Church, Conservative Elites, and the Nazi State, Edwin Mellen Pr 1986, p. 49.
[7] Tenuto nel novembre 1933.
[8] La sigla con cui i cristiano-tedeschi erano conosciuti.
[9] Un primo Sinodo, di proporzioni molto minori, era già stato tenuto a Barmen nel gennaio 1934 dalle Chiese Riformate.
[10] J. Tryon, The German Church under Nazism, Hutchings 1994, p.77.
[11] Ivi, pp. 92-93.
[12] J.S. Conway, The Nazi Persecution of the Church, Regent College Publishing 1997 p.84.
[13] Ivi.
[14] Autore di: E.Bethge, Dietrich Bonhoeffer: A Biography, Augsburg Fortress Publishers, 1968 – 2000.
[15] E. Bethge, “Troubled Self-Interpretation” in F.H. Littell and H.G. Locke (ed.), The German Church Struggle and the Holocaust, Wayne State University Press 1974, p. 167.
[16] J.C. Conway, Citato, pp.106-118.
[17] E.Bethge, Dietrich Bonhoeffer: A Biography, citato, passim.
[18] C.Start Davidson, Citato, passim.
[19] Riportato in: W. Gerlach, And the Witnesses Were Silent: The Confessing Church and the Persecution of the Jews, University of Nebraska Press 2000, pp.261-263.
[20] J.S. Conway, Citato, p.178-189.
[21] Uno celeste e uno terrestre, che non devono interferire reciprocamente.
[22] Riportato in F.H. Littel, G.H. Locke, The German Church Struggle and the Holocaust, Mellen University Press 1990, p.193.
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