Lupus in fabula

Come certamente avrete letto, nella notte tra il 4 ed il 5 aprile un’orsa ha assalito ed ucciso un podista nei boschi della Val di Sole, in Trentino, colpevole di essersi avventurato fuori dai percorsi tracciati. Il drammatico fatto di cronaca, nella sua tragicità, ha riportato alla superficie della nostra coscienza paure ancestrali che pensavamo di aver seppellito per sempre nella parte più inaccessibile del nostro inconscio di uomini civilizzati. La foresta non è luogo nel quale ci si possa addentrare senza le dovute cautele, le leggi che la governano non sono quelle del nostro mondo e varcane i confini significa consegnarsi ad una dimensione altra, arcaica, primordiale, istintiva, che ci costringe a misurarci con forze che vanno al di là della nostra comprensione razionale. Forse anche per questo, nel tentativo di esorcizzare il confronto con quella dimensione animale che alberga in ciascuno di noi sopita ma non doma e a gran voce ci reclama, riportandoci all’infanzia del mondo, la letteratura dell’Orrore ha sempre scongiurato come fosse un abominio il venir meno della linea di demarcazione che separa l’uomo dalle belve.

Se lo scrittore gallese Arthur Machen (1863 – 1947), nel suo celeberrimo racconto Terrore, ha prefigurato scenari infernali all’idea che gli animali si sottraggano all’umana potestà e riprendano il sopravvento, inaugurando inconsapevolmente il prolifico filone dell’antispecismo che ha alimentato la fantasia visionaria di Alfred Hitchcock e offerto spunti narrativi all’intramontabile saga del “Pianeta delle scimmie”, uno scrittore a noi più prossimo come il compianto Paolo Maurensig (1943 – 2021) nel romanzo Il Signore dei Lupi (recentemente riproposto dalle Edizioni Theoria), con la sua consumata, proverbiale abilità ha infuso nuova vita in un genere letterario reso sterile dalle troppe trasposizioni cinematografiche, parlandoci di un reparto di kaiserjäger ungheresi attaccato e divorato sui monti Tatra da una creatura dalla fisionomia indefinita nell’autunno del 1939.

Da Alexandre Dumas a Sigmund Freud, passando per Robert Eisler, la narrativa, l’antropologia e la psicanalisi hanno custodito e tramandato attraverso i secoli echi e suggestioni di una paura senza nome, quella del licantropo, giunta a noi intatta nella sua sinistra forza di seduzione se è vero che anche Omar Di Monopoli – classe 1971 – non ha saputo resistere alla tentazione di offrirci nel suo ultimo lavoro, In principio era la Bestia, uscito proprio in questi giorni per Feltrinelli, una personalissima rilettura di questo archetipo. Chi si aspettasse di dover attraversare nebbiose brughiere punteggiate di castelli in rovina o inerpicarsi su arcigni contrafforti carpatici ricoperti di abeti per raggiungere villaggi isolati, com’è d’uso in questo genere di racconti, resterebbe tuttavia deluso. A far da sfondo alla sanguinosa vicenda narrata sono le assolate e riarse solitudini della campagna salentina, quella “perfida terra di Dio” già evocata dall’Autore nel noir che lo ha reso noto al vasto pubblico.

Nei primi giorni del 1799, mentre il Regno delle Due Sicilie è scosso dai moti giacobini che di lì a poco costringeranno Ferdinando IV di Borbone alla fuga di fronte all’avanza delle armate francesi del Generale Championnet, nei boschi dell’Arneo, nei pressi di Taranto, una coppia di cacciatori rinviene il corpo orrendamente mutilato e decapitato di tale Narda Stumicusa. La notizia fa scalpore tra la gente del luogo non solo per l’efferatezza davvero animalesca con la quale l’assassino si è accanito sul corpo della vittima, tranciato letteralmente a morsi, ma anche e soprattutto perché la malcapitata è conosciuta in tutta la Terra d’Otranto per essere stata, nominandola da viva, una potente “mammana”, vale a dire una strega, adusa ad intrattenere dialoghi con le anime dei defunti.

Le autorità religiose hanno buon gioco nel tuonare dal pulpito additando il presunto mostro come una manifestazione della collera divina, scatenatasi contro quanti hanno disertato la vera fede per assecondare il vento di novità giunto dalla Francia, ma dopo la fine ingloriosa dell’effimera Repubblica voluta da Napoleone ed il ritorno sul trono del legittimo sovrano, le uccisioni non si placano e anzi diventano, se possibile, ancora più feroci. Per mettere a tacere le deliranti farneticazioni sull’Anticristo che dilagano nel contado come una febbre e potrebbero dare fuoco alle polveri di un’insurrezione uguale e contraria rispetto a quella appena consumatasi, il Re decide allora di inviare sul posto, alla testa di un drappello di dragoni della sua guardia personale, il naturalista inglese James Fenimonte, perché indaghi sull’accaduto e cerchi di dipanare l’intricatissimo bandolo di questa matassa.

Ha inizio un’investigazione nei territori inesplorati della magia e della superstizione che ci rivela, non senza sorpresa, un Meridione ipogeo e notturno molto diverso da quello al quale siamo abituati che, nell’ascrivere la famigerata leggenda del mostro di Gévaudan al registro linguistico e simbolico della commedia dell’arte, s’immette nel solco di una tradizione illustre e richiama alla mente le fiabe di Giambattista Basile, gli studi di Ernesto De Martino e le migliori pagine di Luigi Natoli e Anna Maria Ortese.

Omar Di Monopoli, In principio era la Bestia, Feltrinelli, Milano 2023; pag. 208 € 17,00.

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