La situazione sugli oceani nell’agosto 1914.
Nell’agosto 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale, le poche navi da guerra tedesche sparpagliate sugli oceani si vennero a trovare in una situazione estremamente difficile. Interdetta loro la via del ritorno in patria, ricercate dalle flotte alleate nettamente superiori, esse dovevano oltretutto risolvere il difficile problema dell’approvigionamento di combustibile. Non potevano fare alcun affidamento sulle colonie e sulle basi tedesche d’oltremare perché anch’esse, circondate da nemici e prive di mezzi adeguati per sostenere la lotta, non potevano offrire un sicuro rifugio alle navi da guerra. Petranto queste ultime ricevettero dall’Ammiragliato di Berlino l’autorizzazione ad agire di propria iniziativa, secondo lo sviluppo degli eventi. Loro compito era la caccia al commercio dell’Intesa e il disturbo dei convogli di truppe diretti dalle colonie e dai dominions britannici verso l’Europa e, se possibile, vincolare le maggiori forze navali avversarie, in modo da tenerle lontane dal teatro della guerra marittima nel Mare del Nord. Era chiaro a tutti che la loro crociera sarebbe stata breve: si trattava di recare il maggior danno possibile all’Intesa, prima di venire eliminate una ad una.
Il nucleo più forte di navi tedesche fuori dall’Europa era costituito alla squadra dell’Estremo Oriente, la cui base era il porto di Tsingtao nella concessione di Kiaochow, nella penisla cinese dello Shantung. Essa era costituita da due moderni incrociatori corazzati, lo Scharnhorst e il Gneisenau, magnifici esemplari del tipo pre-dreadnought da 11.600 tonnellate, 8 pezzi da 210 mm. e 6 da 150, velocità di 22 nodi (che li rendeva più veloci di qualsiasi altra nave da guerra ad eccezione delle “dreadnought“); e da 3 incorociatori leggeri: Nürnberg, Leipzig e Dresden, di 3.200-3.600 tonnellate, armati con pezzi da 105 mm. a tiro rapido. Gli equipaggi erano addestratissimi e si erano segnalati come i migliori puntatori di tutta la marina tedesca. Comandava la squadra, dal 1912, il vice- ammiraglio conte Maximilian von Spee.
Nell’Oceano Atlantico stazionava di norma un solo incrociatore leggero, ma lo scoppio dela guerra vi sorprese sia quello che doveva rientrare in patria, sia quello venuto a sostituirlo. Erano il Dresden e il Karlsrhue, dello stesso modello di quelli dell’Estremo Oriente. Infine nell’Oceano Indiano vi era l’incrociatore leggero Königsberg, di 3.400 tonnellate e una velocità di 24 nodi orari, che, al comando del capitano di fregata Max Looff, stazionava nella colonia dell’Africa Orientale Tedesca. Vi era poi una piccola quantità di naviglio minore, perlopiù cannoniere, adibito alla
sorveglianza costiera.
Vediamo ora il complesso navale dell’Intesa sugli oceani. La Gran Bretagna aveva anch’essa una squadra nei mari cinesi, al comando dell’ammiraglio Jerram, che si appoggiava alle basi di Hong-Kong e Wei-hai. Era formata da un moderno incrociatore corazzato, il Minotaur, e da uno più vecchio, l’Hampshire; dagli incrociatori leggeri Newcastle e Monmouth; dalla corazzata Triumph, vecchia e lenta ma poderosamente armata con pezzi da 254 mm; inoltre da 12 fra torpediniere e cacciatorpediniere, 3 sommergibili e 16 fra corvette e cannoniere. A sua volta, la squadra francese dell’Estremo Oriente, comandata dall’ammiraglio Juguet, comprendeva 2 antiquati incrociatori corazzati, Montcalm e Dupleix; la sua base d’appoggio era il porto cinese di Kwangchow. La Russia, che dopo la sfortunata guerra del 1904-05 contro il Giappone aveva perso Port Arthur sul Mar Giallo, disponeva della sola base di Vladivostok, soggetta al blocco invernale dei ghiacci galleggianti; essa disponeva in quelle acque (dopo il disastro di Tsushima) di 2 soli incrociatori leggeri, Askold e Yemtschug.
Nel complesso, il confronto fra la squadra tedesca dell’Estremo Oriente e quelle dell’Intesa era abbastanza equilibrato, perché al maggior numero delle navi alleati si contrapponeva l’eccellente qualità delle tedesche: solo il Minotaur poteva reggere il confronto con le navi corazzate di von Spee; anche la Triumph sarebbe stata per esse un avversario temibile, ma solo in caso di scontro ravvicinato, a causa della sua scarsa velocità. Tuttavia, una netta superiorità strategica era conferita all’Intesa dalla presenza, nei porti australiani, di una forte squadra di quel dominion, la cui sola ammiraglia, l’incrociatore da battaglia Australia, era superiore allo Scharnhorst e al Gneisenau sia per armamento che per velocità, essendo armato con 8 cannoni da 305 mm. e potendo sviluppare quasi 27 nodi orari. Vi erano poi 2 incrociatori leggeri moderni, Melbourne e Sydney, e 2 antiquati, Encounter e Pioneer, nonché tre incociatori leggeri della classe P, anch’essi piuttosto vecchi: Psyche, Pyramus e Philomel; inoltre 3 cacciatorpediniere, 2 sommergibili e una corvetta. A ciò si aggiunga il vantaggio di poter disporre di una catena pressoché ininterrotta di basi ove potersi rifornire di carbone ed, eventualmente, effettuare riparazioni; e l’attitudine sempre più minacciosa del Giappone, la cui moderna e potente flotta, unendosi a quelle alleate, avrebbe assicurato loro una superiorità schiacciante.
Passando all’Oceano Atlantico, nelle Indie Occidentali stazionava la IV squadra incrociatori dell’ammiraglio Cradock, forte di 2 incrociatori corazzati ed uno leggero; la V squadra incrociatori dell’ammiraglio Stoddart pattugliava il medio Atlantico, fra l’Africa e il Brasile; la IX. squadra incrociatori dell’ammiraglio De Robeck sorvegliava il triangolo Capo Finisterre-Azzorre-Madera. Infine la VI squadra incrociatori aveva il compito di scortare i convogli di truppe e materiali sulle rotte atlantiche. A tutte queste forze bisognava poi aggiungere quelle francesi e quelle che, all’occorrenza (come realmente accadde dopo la battaglia di Coronel), potevano essere distaccate direttamente dalla Grand Fleet nei porti metropolitani; mentre la Germania, a causa del blocco inglese, non poteva mandare alcun rinforzo alle sue unità disperse oltremare.
L’Oceano Indiano, poi, si poteva considerare a tutti gli effetti un lacus britannicus. Vi stanziavano due squadre navali inglesi, quella delle Indie Orientali e quella del Capo di Buona Speranza, che ne controllavano i due sbocchi: verso il Pacifico e verso l’Atlantico. La prima, comandata dall’ammiraglio Pierce, era di base a Bombay e comprendeva una vecchia corazzata pre-dreadnought, Swiftsure, e 3 incrociatori leggeri, due dei quali – Pelorus e Fose – di tipo antiquato, mentre il terzo, Dartmouth, era una moderna unità armata con 8 pezzi da 152 mm. e sviluppava una velocità di ben 26 nodi. La seconda, al comando dell’ammiraglio Kig-Hall, era costituita da 3 vecchi incrocitaori leggeri: Hyacint, Astrea e Pegasus (quest’ultimo di sole 2.200 tonnellate). Dunque le forze navali britanniche dell’Oceano Indiano erano numerose, se pure qualitativamente modeste; ma loro unico avversario essendo il Königsberg, il compito ad esse richiesto, di proteggere il traffico commerciale e i trasporti di truppe, non appariva particolarmente difficile.
La traversata del Pacifico di Von Spee.
All’inizio di agosto la squadra tedesca dell’Estremo Oriente era sparpagliata su un vasto raggio di mare. I due incrociatori corazzati si trovavano all’ancora, con alcune carboniere, nell’isola di Ponapé nelle Caroline; l’Emden era rimasto a Tsingtao; il Nürnberg si trovava sulla via del ritorno da San Francisco e il Leipzig era addirittura sulle coste della California. La posizione dell’ammiraglio von Spee si fece subito difficilissima, perché Tsingtao sarebbe stata presto bloccata dagli Alleati e la sua squadra non avrebbe più potuto contare su alcuna base sicura per carbonare, rifornirsi di viveri ed effettuare eventuali riparazioni. Nelle colonie tedesche del Pacifico (Caroline, Palau, Marshall, Marianne e Samoa Occidentali) esisteva una efficiente rete radiotelegrafica che faceva capo alla moderna stazione di Yap, nelle Caroline (allacciata alle Indie via Shanghai, e al Nord America, mediante il cavo dell’isola di Guam). Tuttavia le colonie tedesche erano pressoché indifese e le stazioni radio erano esposte al bombardamento delle navi alleate, quindi la loro resistenza sarebbe durata ancora poco.
Il 6 agosto il Nürnberg si riunì agli incorciatori corazzati e la squadra si diresse all’isola di Pagan, nelle Marianne, ove von Spee intendeva riunire le navi carboniere e prendere una decisione coi suoi comandanti in sottordine. A Pagan convenne anche l’Emden, partito in tutta fretta da Tsingtao, con il piroscafo russo Riasan da esso catturato nel mar Giallo, nonché l’incrociatore ausiliario Prinz Eitel Friedrich, un transatlantico armato per l’occasione. Il 12 agosto von Spee ricevette notizie allarmanti da Tsingtao circa le intenzioni del governo giapponese che, infatti, il giorno 15 presentò un ultimatum a Berlino. Ciò ebbe un peso determinante nell’indurre l’ammiraglio tedesco a decidere di allontanarsi da quelle acque e di rinunciare al progetto iniziale di svolgere la “guerra di corsa” contro il traffico alleato nel Pacifico occidentale. Uno scontro con la squadra nipponica, forte – tra l’altro – del modernissimo incrociatore da battaglia Kongo, armato con i micidiali pezzi da 356 mm., sarebbe equivalsa a un suicidio e pertanto von Spee decise di dirigersi verso la costa sud-americana, ove la Germania disponeva di una fitta rete di agenti che le avrebbero agevolato gli indispensabili rifornimenti di combustibile. La squadra salpò da Pagan il 14 agosto con rotta a sud-est; l’Emden, invece, su richiesta del suo comandante von Müller, ebbe l’autorizzazione a separarsi per condurre la guerra da corsa, da solo, nell’Oceano Indiano.
La traversata del Pacifico da parte della squadra di von Spee fu uno dei capitoli più epici e sbalorditivi della prima guerra mondiale. Isolate a molte migliaia di chilometri dalla patria, ricercate accanitamente da decine di navi nemiche, sempre alle prese con il problema del rifornimento di carbone, le navi tedesche fecero quasi mezzo giro del globo, mantenendo l’avversario in una continua incertezza e apprensione circa le loro mosse e la loro stessa posizione. Lungo la strada furono distaccati da von Spee, per condurre la guerra di corsa a est dell’Australia, anche gli incrociatori ausiliari Cormoran del capitano di corvetta von Zuckschwerdt e Prinz Eitel Friedrich del capitano di corvetta Thierichens.
Il Nürnberg si separò dalla squadra il 22 agosto per recarsi a Honolulu, nelle Isole Hawaii (statunitensi e perciò neutrali), di dove si mise in contatto con Berlino e con il Leipzig e perfino con il Dresden, in Atlantico, per ordinar loro di riunirsi alla squadra; poi, suggendo al pattugliamento delle navi giapponesi, si riunì il 6 settembre alle altre unità di von Spee, non senza aver tagliato – lungo la strada – il cavo sottomarino inglese dell’isola Fanning. Il 14 settembre la squadra giunse davanti ad Apia, capoluogo delle Samoa tedesche, mancando per poco una squadra britannica che pochi giorni prima l’aveva occupata, catturando il governatore; e il 22 settembre effettuò, per ritorsione, il bombardamento di Papeete, a Tahiti, capoluogo della Polinesia francese. Un gesto dimostrativo e sostanzialmente inutile (nonostante l’affondamento della cannoniera francese Zeléé), che avrebbe potuto compromettere la segretezza della rotta di von Spee, se questi non fosse ruscito, subito dopo, a far perdere nuovamente le sue tracce. Il 12 settembre le navi tedesche giunsero all’isola di Pasqua, ove trovarono ad attenderle il Dresden che aveva eluso, a sua volta, la muta degli inseguitori; il 14 furono raggiunte anche dal Leipzig accompagnato da 3 navi carboniere.
Prime operazioni navali nell’Oceano Atlantico.
L’Atlantico, nel frattempo, era rimasato sgombro di ogni presenza tedesca. Prima della guerra l’Ammiragliato britannico era stato certo che, all’occorrenza, moltissime navi mercantili tedesche sarebbero state in grado di trasformarsi in incrociatori ausiliari, armandosi con i cannoni che si supponeva celassero nelle stive. Ma era stata una preoccupazione esagerata, perché le navi tedesche non erano armate e anzi, quando il 31 luglio le compagnie di navigazione tedesche avevano sospeso i viaggi per l’America, era già troppo tardi e moltissime navi tedesche e austro-ungariche erano state catturate dagli Inglesi nei primi giorni di guerra. Restavano da localizzare il Dresden e il Karlsruhe, segnalati, il 13 agosto, rispettivamente a Pernambuco e Curaçao; ad essi bisognava aggiungere l’incrociatore ausiliario Kaiser Wilhelm der Grosse che, il 4 agosto, era ruscito a passare dal Mare del Nord in Atlantico e che fu quindi la prima nave che riuscì a forzare il blocco inglese fra la Scozia e la Norvegia. Il compito di trovare e affondare il Dresden e il Karlsruhe venne affidato alla IV squadra dell’ammiraglio Cradock che poteva disporre – inizialmente – degli incrociatori Berwick, Suffolk, Good Hope, Monmouth, Bristol e Glasgow; ma alcuni di essi gli vennero sottratti e destinati ad altri compiti. Il Karlsruhe, dopo essere sfuggito al Suffolk e al Bristol il 6 agosto, fece perdere le sue tracce e iniziò una fortunata ma brevissima guerra di corsa contro le navi mercantili alleate, prima di affondare a causa di un’esplosione interna, il 4 novembre. I supersititi vennero tratti in salvo dal piroscafo tedesco Rio Negro che, violando il blocco, riuscì a rientrare in Germania; tuttavia i Britannici, ignorando il destino della nave, continuarono a cercarla ancora a lungo, con gran dispiego di forze.
Neppure le ricerche del Dresden diedero alcun frutto. Gli Inglesi poterono registrare solo due modesti successi: la distruzione del Kaiser Wilhelm der Grosse, il 26 agosto, da parte dell’incrociatore Highflyer della IX squadra, al largo della costa nordoccidentale dell’Africa; e quella dell’incrociatore ausiliario tedesco Kap Trafalgar (armato con 2 pezzi da 103 mm.), che il 22 agosto era uscito dal Rio della Plata e che, il 14 settembre, sostenne un epico e sfortunato combattimento con l’incrociatore ausiliario inglese Carmania (8 pezzi da 120 mm.) presso l’isola di Trinidade, al largo del Brasile (cfr. Francesco Lamendola, Una battaglia fra due transatlantici. Carmania e Cap Trafalgar).
Quello stesso giorno l’Ammiragliato di Londra ordinò a Cradock di spostarsi a sud e stabilire la sua base a Port Stanley, nelle isole Falkland, per prepararsi a fronteggiare von Spee nel caso che questi avesse tentato di passare in Atlantico via Capo Horn. Gli erano rimasti solo gli incrociatori corazzati Good Hope e Monmouth, l’incrociatore leggero Glasgow e l’incrociatore ausiliario Otranto, ossia forze non adeguate ad affrontare la squadra di von Spee. Infatti l’ammiraglia Good Hope era armata con 2 pezzi da 230 mm. e il Monmouth con 14 da 152 ed erano entrambi meno moderni e meno efficienti di quelli avversari; solo il Glasgow era superiore alle navi tedesche della stessa classe. L’Otranto, poi, in un combattimento fra navi di linea non aveva alcun valore bellico. È pur vero che all’ammiraglio Cradock erano stati promessi anche la vecchia corazzata pre-dreadnought Canopus e il moderno incrociatore corazzato Defence; quest’ultimo, però, non gli arrivò mai, perché l’Ammiragliato cambiò nuovamente i suoi piani e lo destinò a sorvegliare la costa orientale del Sud America. Il Canopus, invece, entrò effettivamente a Port Stanley il 22 ottobre; ma, nonostante i suoi poderosi cannoni da 305 mm., esso non sarebbe stato di alcuna utilità in un eventuale combattimento a causa della sua lentezza (appena 17 nodi orari). Pertanto Cradock decise di salpare senza il Canopus, che ne avrebbe ritardato la marcia e cui fu ordinato di raggiungerlo in un secondo momento; e si portò sulle coste del Cile per intercettare le navi di von Spee.
La battaglia di Coronel (18 novembre 1914).
Il mattino del 26 ottobre la squadra tedesca giunse in vista della costa occidentale di Mas a Fuera, nel gruppo cileno delle isole Juan Fernandez, le cui rocce prive di vegetazione cadono al mare con un solo balzo di oltre 1.500 metri. Gli equipaggi di von Spee vi trascorsero alcuni giorni di duro lavoro per l’imbarco del carbone dalle navi ausiliarie. Era quella l’ultima sosta prima di giungere sulla costa occidentale americana e offriva il prezioso vantaggio di prolungare l’ignoranza dell’avversario circa la posizione della squadra, essendo l’isola disabitata. La squadra salpò le ancore la notte del 28 ottobre e scortò le navi da carico fino in vista delle acque neutrali del Cile; vi fu anche un incontro inatteso con il Prinz Eitel Friedrich che aveva lasciato il Pacifico occidentale per le difficoltà di rifornimento di carbone.
Mentre von Spee volgeva la prora a sud, la IV squadra incrociatori britannica risaliva lungo la costa del Cile e aveva distaccato il Glasgow per ritirare e spedire dispacci nel porto di Coronel: esso vi entrò la sera del 31 ottobre. Quella notte stessa un piroscafo tedesco che si trovava in rada ne informò radiotelegraficamente l’ammiraglio von Spee, che subito diresse verso quel porto per bloccare le due uscite della baia di Arauco (a nord e a sud dell’isola di Santa Maria) per attendervi il Glasgow e distruggerlo non appena fosse uscito. Infatti il regolamento marittimo internazionale stabiliva che la nave da guerra di una nazione belligerante non potesse sostare nel porto di uno Stato neutrale per più di 24 ore, pena l’internamento e il disarmo.
All’alba del 1° novembre il vapore tedesco Titania catturò un veliero norvegese che trasportava carbone per conto del governo britannico e lo condusse a Mas a Fuera; anche il Nürnberg si separò dalla squadra per inseguire un veliero. Il resto della formazione procedeva al largo della costa cilena in direzione sud e poiché solo il Leipzig (intenzionalmente) aveva fatto uso della radio, l’ammiraglio Cradock incorse nello stesso equivoco del suo avversario: credette, cioè, di aver di fronte una sola nave della formazione tedesca.
Le due squadre entrarono in contatto visivo nel pomeriggio, con un mare che continuava a ingrossare; esse seguivano due rotte parallele e leggermente convergenti in direzione sud, i Tedeschi più presso la costa, gli Inglesi (cui si era ricongiunto il Glasgow) all’esterno. Pur disponendo di forze nel complesso inferiori, sir Cradock cercò di sfruttare il favore del sole al tramonto, che illuminava le sagome delle navi avversarie, e strinse le distanze per dare battaglia quanto prima possibile; ma von Spee, per le stesse ragioni tattiche, volle ritardare lo scontro e si sottrasse con una serie di accostate, sfruttando la sua maggiore velocità. Certo era stato un grave errore, da parte inglese, quello di portarsi dietro il lento Otranto che, coi suoi 15 nodi orari, non faceva altro che rallentare la marcia della squadra e fece passare il momento ad essa favorevole. Quando il sole tramontò, i profili delle navi inglesi si stagliarono nettamente contro il cielo rossastro a occidente, mentre quelle tedesche si confondevano contro la linea scura della costa. A questo punto von Spee decise di serrare le distanze e alle 19,02 l’ammiraglia Scharnhorst aprì il fuoco.
Fin dalle prime salve le navi corazzate tedesche inquadrarono quelle inglesi e le martellarono implacabilmente con le bordate da 210 mm. (peso di una granata: 125 kg.). Gli Inglesi si batterono valorosamente, ma il loro tiro risultò debole e impreciso; presto entrambi gli incrociatori corazzati britannici furono avvolti dagli incendi. Alle 19,15 incominciò a cadere la notte e il Monmouth, semidistrutto dal tiro del Gneisenau, si allontanò sul mare in tempesta; allora la nave tedesca si unì allo Scharnhorst nel martellare il Good Hope ormai in preda alle fiamme. Frattanto l’Otranto era stato messo in fuga dal tiro del Dresden che, allora, si unì al Leipzig contro il Glasgow. Quest’ultimo lottò eroicamente, fronteggiando le due navi leggere avversarie e, anzi, coi suoi due pezzi da 152 mm. tirò anche contro le navi corazzate finché, quando anche il Gneisenau si volse contro di esso, non poté fare altro che allontanarsi lanciando inutili richiami di soccorso al Canopus, che era ancora troppo lontano per poter intervenire.
Il Good Hope affondò alle 20,09 con tutto l’equipaggio e col valoroso ma sfortunato ammiraglio Cradock. Nello stesso tempo il Monmouth, che andava alla deriva nell’oscurità, venne sorpreso dal Nürnberg che giungeva solo allora sul luogo dello scontro e, non potendo più sparare, gli si avvicinò per tentare di speronarlo, ma fu distrutto dal tiro accelerato dei pezzi da 105 mm. e scomparve tra i flutti tempestosi, alle 21,25, trascinando con sé l’intero equipaggio.
La battaglia navale di Coronel costituì un grave colpo per il prestigio britannico nel Sud America e vide una temporanea interruzione del controllo alleato sulle rotte oceaniche fra Atlantico e Pacifico. La sconfitta era stata pressoché inevitabile, in quanto l’Ammiragliato di Londra aveva affidato al Cradock un compito chiaramente superiore alle forze che gli aveva messo a disposizione. Da parte tedesca, la vittoria fu il più brillante risultato di tutta la guerra mondiale con le navi di superficie; essa fu ottenuta da una squadra-fantasma sbucata quasi di sorpresa all’altra estremità dell’oceano più grande del globo e che aveva saputo mantenere un altissimo grado di efficienza combattiva dopo un viaggio di 10.000 miglia, effettuato senza poter contare su un solo porto amico e superando enormi difficoltà logistiche legate al carbonamento.
La crociera e la fine dell’Emden (9 novembre 1914).
L’incrociatore leggero Emden del capitano von Müller si era separato dalla squadra di von Spee all’isola di Pagan e, accompagnato dalla nave ausiliaria Markomannia, si era diretto verso l’Oceano Indiano, sua futura riserva di caccia. Lungo la strada si era incontrato col piroscafo tedesco Prinzessin Alice che, non potendo seguirlo per un’avaria alle caldaie, fu spedito alle Filippine (statunitensi dal 1898, e perciò neutrali); indi con la cannoniera Geier, fuggita dall’Africa Orientale Tedesca, che venne inviata alle Hawaii per rimanervi internata. All’isola di Timor von Müller ebbe le prime serie difficoltà per il rifornimento del carbone, che le autorità olandesi vollero impedirgli e che poté effettuare, invece, nell’ancoraggio portoghese di Nusi Besi. Quindi, per passare attraverso gli stretti passaggi delle Isole della Sonda strettamente vigilati dalle navi britanniche, l’Emden ricorse a uno stratagemma: innalzato un quarto, posticcio fumaiolo, si camufò da incorciatore inglese e riuscì a superare quel difficile tratto di mare.
Nell’Oceano Indiano l’Emden fu per molte settimane una spina dolorosa nel fianco della marina britannica. La guerra di corsa da esso condotta con straordinaria fortuna e perizia – sempre caratterizzata da un comportamento cavalleresco degno d’altri tempi – causò ingenti danni al commercio inglese. Complessivamente l’Emden si impadronì di 22 navi mercantili, delle quali 16 vennero affondate, 2 utilizzate come carboniere e 4 vennero rimandate libere con gli equipaggi delle varie prede, illesi e reduci da un trattamento umanissimo, tale che gli stessi avversari non poterono esimersi dal mostrare rispetto e perfino ammirazione per quella moderna nave corsara. Von Müller era in grado di localizzare le navi alleate e di attenderle al varco mediante i giornali trovati a bordo delle sue prede.
Il 22 settembre l’Emden bombardò i depositi di petrolio di Madras, in India, incendiandoli per circa 2 milioni di litri, sfuggendo quindi all’inseguimento dell’incrociatore corazzato Hampshire. Il 28 ottobre il corsaro spinse la sua temerità fino al punto di presentarsi davanti al munito porto di Penang, sulla costa orientale della Malesia. Vi penetrò all’alba e con due siluri vi affondò l’incrociatore russo Yemtschug, che si trovava all’ancora; indi, nell’uscire dal porto, affondò a cannonate il cacciatorpediniere francese Mousquet e si allontanò, facendo perdere le proprie tracce al cacciatorpediniere Pistolet che aveva tentato d’inseguirlo. I prezzi delle assicurazioni sulle navi mercantili inglesi salirono alle stelle e i trasporti di truppe australiane e neozelandesi per i campi di battaglia in Europa ne risultarono pressoché paralizzati.
La fine dell’Emden giunse rapida e inattesa. Il capitano von Müller aveva deciso di distruggere la stazione radiotelegrafica inglese dell’isola Cocos e di tagliarvi il cavo sottomarino. Il 9 novembre, accompagnato dalla nave scorta Buresk, giunse davanti a quell’atollo corallino e sbarcò un distaccamento di 3 ufficiali e 45 marinai per mettere fuori uso la stazione radio. Questa, però, fece in tempo a lanciare un ultimo, disperato messaggio di soccorso, che fu raccolto – anche se non compreso – da un convoglio britannico scortato da numerose navi da guerra. Erano l’incrociatore corazzato Minotaur dell’ammiraglio Jerram, gli incrociatori leggeri Melbourne e Sydney della squadra australiana e il giapponese Ibuki. Il Sydney venne distaccato per vedere che cosa stesse accadedo al’isola Cocos; era comunque stabilito che, se non fosse tornato, prima il Melbourne e poi l’Ibuki sarebbero andati a prenderne il posto: da quel momento, pertanto, la sorte dell’Emden era segnata.
Alle 7,30 il distaccamento sbarcato dalla nave tedesca abbattè l’antenna e distrusse la stazione radiotelegrafica; indi tagliò i cavi sottomarini, li rimorchiò con le imbarcazioni e li lasciò cadere al largo. Alle 9 le vedette dell’Emden avvistarono una nube di fumo all’orizzonte e von Müller, ritenendo erroneamente di aver a che fare con l’incorciatore Newcastle, di armamento e velocità all’incica pari a quelli della sua nave, prese il largo per dare battaglia, senza avere il tempo di riprendere a bordo i marinai sbarcati, e quindi con l’equipaggio incompleto. In realtà il Sydney era più potente, più veloce e più protetto; la sua fiancata di 226,5 kg. surclassava di quasi tre volte quella dell’Emden, di soli 80 kg. Nonostante le sue evidenti condizioni di inferiorità, la nave tedesca accettò il combattimento e si batté valorosamente, colpendo almeno 16 volte l’avversario, ma il Sydney, grazie alla sua maggiore velocità, si portò fuori tiro dei pezzi da 105 mm. dell’avversario, continuando a martellarlo coi suoi calibri da 152. A lungo l’Emden sostenne l’impari battaglia; finché, in preda agli incendi, si gettò in costa sui banchi corallini. Erano le 11,20. L’incorciatore australiano continuò a colpirlo, sospendendo il tiro solo per inseguire il Buresk che, per non farsi catturare, preferì autoaffondarsi;
quindi tornò all’isola Cocos per catturare i marinai tedeschi sbarcati nel primo mattino, ma non riuscì a trovarli. Infatti, avendo assistito impotenti alla distruzione della loro nave, essi si erano impadroniti di un brigantino ancorato nel porto, l’Ayesha, e con quello avevano veleggiato verso Sumatra.
All’alba del 10 novembre la situazione a bordo dell’Emden era tragica: i feriti erano numerosi e torturati dalla sete, ma il Sydney riprese il bombardamento fino a quando von Müller fece abbassare le insegne di guerra e alzare la bandiera bianca. I Tedeschi avevano avuto 133 morti su un totale di 361 (48 dei quali non erano a bordo durante il combattimento).
L’Ayesha raggiunse Sumatra alla fine di novembre e qui il suo equipaggio salì a bordo del piroscafo tedesco Choysing. Dopo una navigazione avventurosa, quei marinai dell’Emden raggiunsero il porto di Hodeida sul Mar Rosso donde, attraverso l’Arabia e la Turchia, raggiunsero Costantinopoli e, finalmente, rientrarono in patria.
Le imprese e la fine del Königsberg (11 luglio 1915).
L’inrociatore leggero Königsberg del capitano di fregata Max Looff era giunto nel porto di Dar-es-Salaam, proveniente direttamente dalla Germania, il 6 giugno 1914. Il 27 luglio l’ammiraglio King-Hall salpò dal’isola Mauritius con i suoi 3 incrociatori per cercarlo e tenerlo costantemente sotto sorveglianza, in attesa dell’ormai imminente dichiarazione di guerra. La nave tedesca uscì dal porto la sera del 30 luglio e quella notte stessa fu avvistata dalle navi inglesi che però, più lente, se la lasciarono sfuggire. Lo Hyacinth fu allora rimandato indietro per proteggere le acque sudafricane rimaste indifese, e King-Hall continuò le ricerche con due sole navi. Il 20 settembre, però, fu il Königsberg a cogliere allo sprovvista i suoi inseguitori: penetrato nel porto di Zanzibar, vi sorprese il piccolo Pegasus all’ancora, e lo affondò a cannonate, allontanandosi poi indisturbato.
Dopo tale impresa, il capitano Looff rientrò nel suo imprendibile rifugio nel delta del fiume Rufigi, nella sezione meridionale dell’Africa Orientale Tedesca, nascosto dalla fitta foresta tropicale e protetto da secche insidiose, che ne rendevano assai pericolosa la navigazione. Il 21 settembre l’incrociatore inglese Chatham del capitano di fregata Drury-Lowe ebbe ordine di lasciare il Mar Rosso per mettersi alla ricerca della nave avversaria. Esso le era superiore sia per armamento (8 pezzi da 152 mm. contro 10 da 102), che per stazza (5.400 tonnellate contro 3.400) e velocità (26 nodi contro 24). Gli furono affiancati inoltre gli incrociatori Dartmouth e Weymouth, della sua stessa potenza, e tali forze incominciarono una perlustrazione sistematica della costa orientale africana fra Tanga e la foce dello Zambesi.
Il 19 ottobre il Chatham entrò nel porto di Lindi ove, a bordo della finta nave-ospedale tedesca Präsident, Drury Lowe scoprì – leggendone il libro di bordo – che il rifugio del Königsberg era nel delta del Rufigi. Da quel momento il destino dell’incrociatore tedesco fu segnato, anche se furono necessari mesi e mesi di lotte e di imprese logistiche notevolissime, prima di poterlo mettere fuori combattimento.
Il 30 ottobre il Dartmouth e il Weymouth si portarono al largo del delta; il 31, il Chatham bombardò la stazione di segnalazioni tedesca sull’isola di Mafia; e il 1° novembre incominciò il bombardamento contro il rifugio del Königsberg. Valendosi di dettagliate carte nautiche – di cui l’avversario era sprovvisto – il capitano Looff poté evitare le secche e risalire il fiume sino a portarsi, per il momento, fuori tiro; il suo destino, tuttavia, era segnato. Dopo un nuovo, infruttuoso bombardamento da parte del Chatham il 3 novembre, la carboniera inglese Newbridge risalì il ramo del Simba-Uranga e vi si autoaffondò, allo scopo di precludere all’avversario l’unica possibile via di scampo. L’operazione riuscì solo in parte, perché (come già nel caso di Santiago di Cuba nel 1898, durante la guerra ispano-americana, e in quello di Zeebrugge nel 1918) una eventuale sortita del Königsberg avrebbe potuto essere effettuata anche da altre bocche del delta – almeno teoricamente – con l’alta marea; in realtà, l’incrociatore tedesco non avrebbe mai più ripreso la via del mare aperto, dove sarebbe andata incontro a una rapida distruzione da parte della squadra che effettuava il blocco del delta.
Per poter infliggere al Königsberg il colpo mortale, l’Ammiragliato inglese dovette trasferire in Africa orientale sia la nave trasporto idrovolanti Laconia, sia i monitori fluviali Severn e Mersey che, con il loro fondo piatto (pescavano appena m. 1,45), potevano risalire il fume come gli incrociatori non erano in grado di fare. Si trattava di due unità da 1.260 tonnellate ciascuna, armate con 2 pezzi da 152 mm. e mortai da 120: le sole che avrebbero potuto mettere la parola fine alla carriera del corsaro tedesco. Giunsero all’isola di Mafia, base delle operazioni nel delta, il 2 giugno 1915 e poco più di un mese dopo, il 6 luglio, risalivano il Rufigi abbastanza da aprire il fuoco contro il Königsberg. Benché il loro tiro fosse diretto dall’osservazone aerea degli idrovolanti, dopo 8 ore di fuoco dovettero ritirarsi perché, pur avendo colpito l’avversario più volte – ma non in maniera decisiva – erano state a loro volta seriamente danneggiate dai Tedeschi che, a loro volta, avevano costruito tutta una serie di posti d’osservazione, trincee e nidi di mitragliatrici nella zona. L’operazione fu ripetuta l’11 luglio e questa volta, dopo quattro ore e mezza di fuoco incessante, poté considerarsi conclusa definitivamente: il Königsberg non era più che una carcassa fumante adagiata sui bassi fondali. I Tedeschi, però, poterono sbarcare tutto il suo armamento e, con esso, rinforzare il magro parco d’artiglieria del generale von Lettow-Vorbeck, il leggendario difensore dell’Africa Orientale Tedesca, che poté vantarsi di non essere mai stato battuto dagli Alleati: solo il 14 novembre 1918, dopo aver appreso la notizia della resa della Germania, il suo piccolo esercito invitto avrebbe deposto le armi. Per riuscire a distrugere l’incrociatore leggero tedesco, comunque, i Britannici avevano dovuto tenere impegnate forze cospicue per più di 8 mesi e avevano sostenuti spese e perdite umane e materiali davvero imponenti.
Da Valparaiso alle isole Falkland.
Dopo la vittoria di Coronel, il 3 novembre von Spee entrò a Valparaìso con lo Scharnhorst, il Gneisenau e il Nürnberg, soprattutto per sfruttare politicamente il successo e smentire le voci, diffuse dagli Inglesi, di un cattivo stato della squadra tedesca. La visita fu accolta con entusiasmo, anche per la presenza di una numerosa colonia tedesca (accresciuta dagli equipaggi delle navi trattenute dal blocco dell’Intesa), e servì a rafforzare la benevola neutralità del Cile nei confronti della Germania. Le navi ripartirono nel mattino del giorno 4, per consentir l’entrata a Valparaìso di Lepizig, Dresden e Prinz Eitel Friedrich; e, all’alba del 6 novembre, fecero ritorno sulla costa remota e inospitale di Mas a Fuera, ove le attendeva il resto della squadra con le navi da carico. Von Spee sostò per diversi giorni al riparo delle scure rocce gigantesche e poté eseguire un nuovo rifornimento di carbone, al riparo da occhi indiscreti. Furono catturati il veliero francese Valentine e il mercantile inglese North Wales, poi affondati; il vapore tedesco Titania, che sarebbe stato d’impaccio alla squadra a causa della sua scarsa velocità, venne pure autoaffondato sotto la ripida costa occidentale dell’isola, il 9 novembre. Frattanto due navi rifornimento, Baden e Santa Isabel, si erano unite alla
squadra tedesca.
Il 15 novembre von Spee salpò diretto a sud, essendosi trattenuto complessivamente per ben due settimane, dopo la battaglia di Coronel, nei dintorni di Mas a Fuera. Il Prinz Eitel Friedrich venne distaccato per condurre una solitaria guerra di corsa nel Pacifico sud-occidentale, con istruzioni di usare il radiotelegrafo per far credere al nemico che l’intera squadra si trovasse ancora al largo del Cile centrale. Il 21 novembre la squadra gettò l’ancora nella baia di Santa Helena nel selvaggio e disabitato Golfo di Penas, ove gli incrociatori sostarono qualche giorno, effettuando un altro carico di carbone; ad essi si unì il transatlantico Seydlitz, sfuggito alla cattura sulla rotta dell’Australia.. La squadra ripartì solo il giorno 26, procedendo con inspiegabile lentezza, ed evitò il porto di Punta Arenas per mantenere la segretezza; solo nella notte fra l’1 e il 2 dicembre doppiò Capo Horn e il giorno 3 – dopo aver catturato un altro veliero, il Drummuir, carico di carbone di prima scelta – giunse all’isola Picton, presso l’imbocco orientale del Canale Beagle che separa l’Isola Grande della Terra del Fuoco dalle isole più meridionali di Hoste e Navarino. Paradossalmente, la cattura del Drummuir si rivelò un elemento di ulteriore, pericoloso ritardo per la marcia della squadra, poiché costrinse quest’ultima a sostare altri tre giorni davanti all’isola Picton, onde imbarcare il prezioso combustibile.
L’ammiraglio intendeva lanciare un attacco di sorpresa contro la base inglese di Port Stanley nelle isole Falkland, per distruggerne la stazione telegrafica e catturarne il governatore: una ritorsione per la cattura del governatore tedesco di Samoa. La maggioranza dei suoi ufficiali era persuasa che fosse preferibile, per il momento, non rivelare al nemico la propria posizione e dirigersi a nord per condurre la guerra di corsa davanti all’estuario del Rio della Plata: una via commeriale molto sensibile per la Gran Bretagna, che se ne serviva per importare carne e grano dall’Argentina. Inoltre, essi fecero osservare che nella battaglia di Coronel gli incrociatori tedeschi avevano sparato quasi la metà dei loro proiettili da 210 mm. e quindi, in caso di combattimento, si sarebbero trovati a corto di munizioni. Ma von Spee respinse le loro obiezioni; egli riteneva che l’occupazione, sia pure temporanea, di un’antica colonia britannica avrebbe inflitto agli Inglesi una grave pedita di prestigio e non volle rinunciare al suo piano; solo in seguito avrebbe volto la prua a nord, per tentar di rientrare in Germania passando attraverso il blocco avversario.
Da parte inglese, all’indomani della sconfitta di Coronel il primo lord dell’Ammiragliato, Winston Churchill, aveva preso delle rapide e decisive contromisure. L’ammiraglio d’armata lord Fisher di Kilverstone ordinò il 4 novembre all’ammiraglio Jellicoe di distaccare 2 dei suoi incrociatori da battaglia per inviarli al più presto nell’Atlantico del Sud. Si trattava dell’Invincible e dell’Inflexible, moderni (erano entrati in servizio nel 1908), di 20.000 tonnellate di stazza, velocità 25-26 nodi, 8 cannoni da 305 mm. e 16 da 102, con una fiancata di 3.084 kg., contro i quali nulla avrebbero potuto gli i crociatori di von Spee. Al comando dell’ammiraglio sir Doveton Sturdee, si riunirono con parecchio altro naviglio alle isole di Abrolhos Rocks, al largo del Brasile, il 26 novembre, e puntarono a sud, entrando a Port Stanley il giorno 7 dicembre. Bisogna dire che lungo tutta la traversata dell’Oceano Atlantico l’ammiraglio Sturdee aveva dato segno di non comprendere a pieno l’importanza del fattore tempo, attardandosi nei vari scali più del necessario; fu merito delle continue ed energiche insistenze del comandante del Glasgow – il reduce da Coronel – , Luce, se aveva deciso di anticipare la partenza per le Falkland di 24 ore rispetto a quanto stabilito: ciò gli avrebbe consentito di giungervi giusto in tempo per intercettare la squadra avversaria.
Sturdee aveva con sé, oltre ai due incrociatori da battaglia, tre inrociatori corazzati: Carnarvon, Cornwall e Defence; 2 incrociatori leggeri, Glasgow e Bristol, e un mercantile armato, l’Orama. Inoltre, nei bassi fondali di Port Stanley si era precedentemente autoaffondata la corazzata Canopus, altra sopravvissuta al disastro di Coronel, per proteggere la baia con i suoi potenti cannoni, come una batteria galleggiante. L’ammiraglio inglese sapeva che von Spee, quasi certamente, sarebbe passato – o forse era già passato – in Atlantico, poiché nell’ultimo mese la rete di spionaggio inglese in Sud America aveva lavorato a pieno ritmo, mentre quella tedesca aveva mostrato, inaspettatamente, una completa defaillance. “È difficoie spiegarsi – ha scritto uno storico inglese – questo catastrofico crollo della complicata rete di collegamenti per radio e per cavo che i tedeschi avevano organizzato nell’America del Sud. In parte fu causato dall’uragano. Per due giorni le ricezioni radio furono seriamente compromesse, e in quel momento le navi erano preoccupate per la loro salvezza. In parte la colpa fu di von Spee. Aveva con sé tre incrociatori leggeri la cui principale funzione era quella di esplorare. Fu un errore tattico non madarne uno a Punta Arenas, dove poteva diffondere false notizie sulla posizione di von Spee e prendere conoscenza degli ultimi telegrammi per cavo. Né era necessario tenere tutti e tre gli incrociatori leggeri nel Canale di Beagle. Uno di essi, mandato in Atlantico, avrebbe potuto intercettare notizie con la radio, anche fino al Rio della Plata, col vantaggio di poter fornire a von Spee qualche cenno circa le forze che si stavano schierando contro di lui” (Richar Hough, La caccia all’ammiraglio von Spee, Milano, 1971, pp. 260-61).
È certo che von Spee non immaginava minimamente che a Port Stanley vi fosse una squadra inglese di quelle proporzioni, altrimenti si sarebbe guardato bene dal progettare l’attacco. Ma anche Sturdee, da parte sua, ignorava la vicinanza del nemico, tanto è vero che impegnò subito la sua squadra nelle operazioni di carbonamento, come se non vi fosse alcun pericolo in vista. Dapprima si rifornirono Carnarvon, Glasgow e Bristol, lo stesso 7 dicembre; il mattino del giorno 8 iniziarono a farlo i due incrociatori da battaglia. Fu proprio in quel frangente, e cioè in una posizione tattica delicatissima, che le navi di von Spee giunsero al largo di Port Stanley.
La battaglia delle isole Falkland (8 dicembre 1914).
All’alba dell’8 dicembre, la squadra di von Spee si stava avvicinando a Port Stanley da nord-est; alle 5 del mattino il Gneisenau ed il Nürnberg si staccarono dal grosso e si spinsero innanzi per effettuare una ricognizione; a bordo del primo, un distaccamento di truppe da sbarco era già in assetto di combattimento per impadronirsi della cittadina.. Fu allora che i Tedeschi videro, al di sopra del porto, svettare le caratteristiche alberature a tripode delle “dreadnoughts” e quelle di parecchi altri incrociatori. Informato per mezzo del radiotelegrafo, l’ammiraglio Spee ordinò alle sue due navi di ricongiungersi subito al resto della squadra. Egli non sapeva ancora esattamente quale fosse l’entità delle forze avversarie presenti a Port Stanley; tuttavia, fidando nella velocità delle sue navi e nell’ottimo stato delle macchine, egli pensava di poter far perdere rapidamente le proprie tracce.
Molto probabilmente, si trattò di un errore clamoroso, l’ultimo di una lunga serie: i suoi incrociatori non avrebbero mai potuto competere in velocità con le navi del tipo “dreadnought” e, come se ciò non bastasse, si annunciava una giornata bellissima, con cielo limpido e sgombro: circostanza veramente eccezionale a quelle latitudini, dove il maltempo è praticamente la regola. Meglio sarebbe stato non tentare nemmeno il colpo sulle Falkland; ma, una volta presa la decisione, tanto valeva spingere l’audacia sino in fondo e lanciare l’attacco immediatamente, mentre le navi inglesi erano in porto a motori spenti e impegnate nelle operazioni di carico del carbone. Certo, la maggior gittata dell’Invincible e dell’Inflexible escludeva che tale manovra si potesse effettuare senza rischi: per poterle colpire, von Spee avrebbe dovuto portarsi a sua volta al di qua della distanza di sicurezza. Tuttavia avrebbe goduto del vantaggio incomparabile di poter manovrare liberamente, contro un avversario immobile e impacciato, oltre che dalle operazioni di carbonamento, dal ristretto spazio in cui avrebbe dovuto manovrare per uscire dal porto. Insomma, confrontando rischi e benefici, appare evidente che l’attacco sarebbe stato la migliore difesa (senza parlare dell’effetto psicologico); mentre la fuga, col mare calmo e l’aria limpidissima, offriva ben poche speranze di salvezza. Si ricorderà come sia l’Emden nell’incursione di Penang, sia il Königsberg in quella nel porto di Zanzibar, avevano potuto sfruttare appunto, oltre che il fattore sorpresa, la temporanea impotenza delle navi nemiche presenti in rada; analogo successo avrebbe potuto toccare a von Spee, se egli avesse raccolto la sfida del destino e trasformato in elemento di vantaggio l’incontro inaspettato con la poderosa squadra britannica, avendola sorpresa nella circostanza per essa meno favorevole. L’unico elemento che può spiegare la clamorosa decisione dell’ammiraglio tedesco di ripiegare è che il comandante del Gneisenau, nonostante il parere contrario di alcuni suoi ufficiali, non credette di ravvisare nei fumaioli e nelle alberature delle navi presenti in rada un indizio certo della presenza di “dreadnoughts“, e – come pare – omise di segnalare al suo superiore tale decisiva circostanza (cfr. E. Bravetta, La grande guerra sul mare, vol. 1, Milano, 1926, p. 144).
Sturdee ordinò di mettere immediatamente le calaie sotto pressione e già verso le 10 del mattino le sue navi cominciavano ad uscire dal porto, mettendosi all’inseguimento. A bodo delle navi tedesche ci si rese conto, poco tempo dopo, di avere a che fare con degli incrociatori da battaglia e che la fuga, pertanto, era vana. Verso mezzogiorno l’Invincible – nave ammiraglia di Sturdee – e l’Inflexible filavano a 17 km. sulla sinistra della squadra tedesca, a sud-est di Port Stanley; li seguivano gli incrociatori corazzati Carnarvon, Cornwall, Kent e l’implacabile Glasgow, il cui comandante si era prodigato fino all’ultimo perché la caccia avesse inizio senza perdere un solo istante prezioso. Un altro incrociatore leggero, il Bristol, era rimasto attardato in porto. Portatisi a una velocità di 26 nodi, alle ore 13 gli incrociatori da battaglia aprirono il fuoco cui rispose, poco dopo, lo Scharhnorst. A questo punto von Spee, rendendosi conto dell’inutilità di tenere con sé le navi leggere e sperando che almeno esse, più veloci, sarebbero riuscite a fuggire, distaccò il Leipzig, il Nürnberg e il Dresden perché tentassero di fuggire per proprio conto, magari sfruttando qualche nuvola portatrice di pioggia: ma l’orizzonte rimaneva ostinatamente limpido e sgombro.
La lotta degli incrociatori corazzati tedeschi appariva senza speranza: il peso complessivo di una bordata dello Scharnhorst e del Gneisenau era di meno di 1.600 kg., mentre quello di una bordata dell’Invincible e dell’Inflexible era di oltre 4.500 kg. Nonostante l’enorme disparità di forze, la battaglia durò a lungo. Comportandosi con estrema prudenza, le navi di Sturdee continuavano a sparare tenendosi a grande distanza. Allora le due navi tedesche volsero la prua verso il nemico e, ridotte le distanze, incominciarono a colpire l’avversario con precisione infallibile. Ciò indusse gli incrociatori da battaglia ad allontanarsi nuovamente; certo ormai della vittoria, il comandante inglese non volle esporre le sue navi al fuoco nemico. A quel punto gli incrociatori corazzati di von Spee virarono nuovamente di bordo e tentarono di allontanarsi, ma subito le navi inglesi ripresero l’inseguimento e, alle 14,30, il combattimento ricominciò. Di nuovo le granate tedesche da 220 mm ripresero a cadere con precisione infallibile sulle navi britanniche, ma senza riuscire a penetrare le loro robuste corazze; invece le granate di 305 mm infliggevano agli incrociatori corazzati danni sempre più gravi. Nonostante tutto, questi ultimi continuarono a lottare fino all’estremo con una meravigliosa precisione di tiro finchè, alle 16,17, lo Scharnhorst s’inabissò con l’ammiraglio von Spee e con tuttto l’equipaggio. Prima di sparire tra i flutti esso aveva fatti in tempo a sparare un ultimo colpo dalla torretta anteriore, già quasi lambita dalle onde, le eliche sollevate e la poppa sprofondata. Il Gneisenau, immobilizzato dai colpi, crivellato, attaccato non solo dall’Invincible e dall’Inflexible ma anche dal Carnarvon, combattè ancora a lungo, senza mai arrendersi. Alle 18,02 si capovolse e affondò, con gran parte dell’equipaggio; solo 187 uomini, fra i quali il comandante in seconda Pochhammer, vennero tratti in salvo dalle gelide acque subantartiche.
La fortuna abbandonò anche gli incrociatori leggeri tedeschi. Il Nürnberg affondò alle 19,27 dopo aver lottato valorosamente contro il Kent ed essere riuscito a colpirlo circa 40 volte; solo 10 marinai tedeschi vennero salvati. Anche il Leipzig, inseguito dal Cornwall e dal Glasgow, lottò fino all’estremo: affondò alle 20,35 e solo 18 uomini vennero tratti in salvo. Soltanto il Dresden, grazie alla sua maggiore velocità e a un piovasco provvidenziale, riuscì a fuggire: dopo una magnifica giornata, il mare si era fatto nuovamente grosso (aumentando le difficoltà per il salvataggio dei naufraghi, assaliti anche dai grandi albatri) e il vento stava portando la pioggia, inutilmente attesa da von Spee. Non sfuggirono all’affondamento neppure le navi da carico Baden e Santa Isabel, che vennero colate a picco dal ritardatario Bristol e dall’incrociatore ausiliario Macedonia. Oltre al Dresden, l’unica nave tedesca che riuscì a far perdere le sue tracce fu il piroscafo Seydlitz; esso venne catturato più tardi sulle coste dell’Argentina. Il Dresden riuscì a tenersi nascosto per circa tre mesi nell’Isola Nera, un ancoraggio segretissimo nel dedalo di baie e canali della Terra del Fuoco; finchè, a corto di combustibile, venne scoperto e attaccato da incrociatori inglesi presso la Baia di Cumberland nell’isola di Mas a Tierra, il 15 marzo 1915 – a dispetto del fatto che si trovava in acque territoriali cilene e, quindi, neutrali. Il comandante del Dresden preferì autoaffondare l’incrociatore, il cui equipaggio venne internato sino alla fine della guerra.
Complessivamente, nella battaglia delle Isole Falkland su un effettivo di 2.200 uomini dei 4 incrociatori tedeschi, solo 215 marinai e ufficiali scamparono alla morte. Si trattò di uno scontro importante perché ristabilì il controllo dell’Intesa sulle rotte oceaniche e allontanò il pericolo dall’arteria vitale del Rio della Plata. Non fu però un atto d’armi glorioso per l’ammiraglio Sturdee, né vi ebbe parte la sua perizia strategica: l’incontro col nemico fu dovuto a un colpo di fortuna e, a partire da quel momento, l’esito fu scontato. Nel corso della battaglia i puntatori tedeschi confermarono la loro netta superiorità, mentre agli Inglesi furono necessarie circa sette ore per aver ragione di un avversario nettamente inferiore per potenza e velocità. Inoltre la vittoria fu incompleta, poiché la fuga del Dresden costrinse l’Ammiragliato di Londra a tener vincolato un discreto numero di navi nella regione magellanica per dargli la caccia, proprio come accadde con il Königsberg nel delta africano del Rufigi. Lo sconfitto di Coronel, l’ammiraglio Cradock, aveva dimostrato ben altra tempra ed altro valore che non Sturdee, il vincitore delle Falkland.. Gli emigranti tedeschi del Cile eressero un piccolo monumento funebre, a Valparaiso, in ricordo dei caduti della sfortunata squadra di von Spee.
Ormai, la presenza navale tedesca era stata eliminata dagli oceani; per tentar di interrompere il traffico commerciale alleato nell’Oceano Atlantico, non restava alla Germania che l’arma sottomarina. Essa diede risultati notevoli, ma finì per trascinare in guerra gli Stati Uniti d’America e, con ciò, provocò l’inizio della fine per gli Imperi Centrali. Ma quello fu un altro capitolo della prima guerra mondiale sui mari, che fu caratterizzato da condizioni materiali e spirituali completamente diverse; e, purtroppo, da un contesto in cui le gesta cavalleresche di un von Müller non erano che un lontano ricordo.
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Tratto, con il gentile consenso dell’Autore, dal sito Arianna Editrice.
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