La prestigiosa collana “Archivi. Monografie di preistoria, di arte preistorica e tribale” del Centro Camuno di Studi Preistorici si è arricchita di un nuovo importante titolo, il diciottesimo, comprendente il corpus dei reperti direttamente raccolti e studiati dall’autorevole Dipartimento Valcamonica e Lombardia dello stesso CCSP diretto, con competenza, da Umberto Sansoni con la collaborazione di Silvana Gavaldo. Volume di grande formato riccamente illustrato con fotografie, disegni, cartine e grafici appositamente realizzati per l’occasione.
Come ci ricorda Umberto Sansoni “Campanine è una grande area rupestre, una delle maggiori per estensione e densità figurativa del complesso camuno, una delle prime ad essere istoriata e fra le ultime ad essere abbandonata, una delle più continue e longeve sul piano cronologico e con molte immagini di alta taratura simbolico-concettuale. In un quadro di grande suggestione ambientale abbiamo qui testimoni dal V-IV millennio a.C. e, con poche soluzioni di continuità, al pieno ‘900” (p. 11). Durante l’attività pionieristica negli anni ’30 Campanine era stata la meta privilegiata di Marro, Battaglia, Altheim, Trautmann e diversi altri, fra cui, come visitatore, il grande storico delle religioni Karl Kerényi.
“Immagini o notizie di scene di una ventina di rocce erano già nei loro scritti ed è forse per questo, considerandola forse un’area già indagata, e per il frapporsi della guerra, che vi fu poi un relativo abbandono, rotto solo da qualche scena pubblicata da E. Anati e da M. Van Berg-Osterrieth” (p. 11). Sulla “Storia delle ricerche” ci intrattiene particolareggiatamente Cristina Gastaldi (pp.23-26).
Il volume non si riduce alla pubblicazione delle schede del corpus delle incisioni rupestri di Campanine, anche se da sole giustificherebbero l’acquisto del libro, ma affronta tutte le tematiche simbolico-religiose suggerite dalle stesse. Oltretutto, come suggerisce anche il titolo, è possibile ritenere che Campanine, come tutte le grandi aree rupestri, “abbia assunto un ruolo eminentemente sacrale configurandosi in quel che i latini chiamerebbero lucus o nemus (bosco sacro), attribuzione in piena rispondenza con quanto le fonti e l’archeologia ci attestano sulle aree sacre all’aperto del continente” (p. 16).
“Se Campanine fu tale, dovette essere lucus fra luci, con, almeno in età protostorica, sue dediche e funzioni particolari in un complesso unitario integrato con quello delle altre aree maggiori” (p. 16). Grazie a questa consapevolezza gli Autori hanno giustamente ritenuto doveroso affrontare gli argomenti correlati alle pitture rupestri. Tra questi Silvana Gavaldo si è occupata del labirinto, simbolo che ha avuto innumerevoli raffigurazioni lungo l’arco della storia ed al momento la Valcamonica è il sito d’arte rupestre che detiene il primato numerico di labirinti incisi sulla roccia.
Corretta la relazione fra l’unica testimonianza di labirinto altrettanto antica quanto le incisioni camune ritrovata in Italia: l’oinochoe di Tragliatella (VII sec. a.C.), di ambiente etrusco, conservato nei Musei Capitolini, raffigurante una processione di giovani che entrano nel labirinto e ne escono come cavalieri. “Se la lettura è corretta, il rimando è a una prova iniziatica per entrare nel gruppo elitario dei guerrieri. Nel labirinto è leggibile la parola TRUIA in caratteri etruschi, che collega il labirinto con la città di Troia e la vicenda di Enea, con il ludus Troiae danzato dai giovani cavalieri troiani in occasione dei funerali di Anchise[1], infine con il possibile passo “saltellante” dei sacerdoti Salii che veniva detto “amptruare”: un altro riferimento a una danza armata” (p. 42). L’excursus prosegue e non si limita agli esempi del mondo classico ma anche da altre civiltà tradizionali. Il labirinto è un simbolo archetipo, diffuso in tutto il mondo, con sostanziale coerenza di significati.
Umberto Sansoni si è occupato anche di “Arature e ritualità” e de “Il carro a due ruote – La ritualità dell’età del Bronzo”, Manuela Zanetta de “La figura dell’armato”, Enrico Savardi delle tipologie delle figure di “capanne”, Silvana Gavaldo de “L’impronta di piede”, Giulia Rossi delle figure ornitomorfe e dello “Studio, confronto e ipotesi interpretative delle figure a carattere fantastico-mitologico”, Liliana Fratti de “Il Nodo di Salomone”[2] mentre Angelo Martinotti è l’autore de “Le figure di paletta”, “Il simbolismo dell’ascia” e de “Le iscrizioni preromane”.
Nel volume altri autori si sono occupati di periodi storici a noi più vicini. Quanto esposto è un lavoro di gruppo, con i vari temi presentati da punti di vista diversi; troviamo così “impronte di tipo archeologico in senso puro, o storicistico, o fenomenologico, non necessariamente coincidenti per metodo e risultati” (p. 385). Quest’opera permette una migliore conoscenza di questo importante sito camuno, un lucus alpino, un’area sacra fra le principali di questa meravigliosa Valle.
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Lucus Rupestris. Sei millenni d’arte rupestre a Campanine di Cimbergo, a cura di Umberto Sansoni e Silvana Gavaldo, Edizioni del Centro, Capo di Ponte 2009, pp. 400 + XVI, ill., s. i. p.
[Pubblicato in: “Arthos”, XIV, n.s., 19, 2011, pp. 105-106]
Marco
Sembra che dalla recensione la parte storica del volume non abbia nessun valore. Forse le nuove scoperte a livello europeo e l'interesse per le incisioni storiche meriterbbero un appofondimento; almeno quando si fanno le recensioni. Altrimenti che recensioni sono ? mozzate ?