Questo articolo fa parte di una serie di cinque.
Questa è la serie completa degli articoli:
- Le nuove frontiere della sovversione: la nascita dell’uomo-ibrido (prima parte) – la teoria del gender imposta ai bambini.
- Le nuove frontiere della sovversione per la nascita dell’uomo-ibrido (seconda parte) – la diffusione del genderismo in Europa
- Le nuove frontiere della sovversione: la nascita dell’uomo-ibrido (terza parte) – i libretti dell’UNAR per diffondere il genderismo nelle scuole italiane
- Le nuove frontiere della sovversione: la nascita dell’uomo-ibrido (quarta parte) – L’Italia nell’abisso del genderismo
- Le nuove frontiere della sovversione per la nascita dell’uomo-ibrido (quinta ed ultima parte) – partenogenesi umana ed uteri artificiali, verso l’anarchia generativa
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La vicenda che ha riguardato i libretti dell’Unar (il famigerato orwelliano “Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali”), analizzata nel precedente articolo, ha rappresentato senz’altro un esempio eclatante del tentativo surrettizio di introdurre in Italia la dittatura del genderismo nel mondo dell’infanzia. Ma si tratta della punta di un iceberg: infatti già da tempo ed al di fuori di questo episodio, nelle amministrazioni comunali italiane sono all’ordine del giorno politiche di vera e propria (contro)educazione sovversiva, che purtroppo, in un modo o nell’altro, rischiano di traviare le menti di molti bambini, contaminandole in modo forse irreparabile per gli anni a venire.
In quest’articolo porremo l’attenzione su alcune situazioni paradigmatiche che hanno coinvolto in questi anni e che continuano a coinvolgere svariate zone d’Italia, premettendo che si tratta soltanto di un ristretto quadro esemplificativo, per dare un’idea di massima, senza alcuna pretesa di esclusività: anzi, precisiamo che le politiche contro-educative in salsa gender nelle scuole sono ormai praticamente diffuse a macchia d’olio su tutto il territorio italiano e che i casi di cronaca più o meno sconvolgenti al riguardo sono praticamente quotidiani.
La novità degli ultimi mesi è che la nuova “pedagogia Lgbt” cui vengono sottoposti bambini e adolescenti (spesso sotto forme abilmente “mascherate” ed all’insaputa delle famiglie) sta ottenendo persino la “benedizione” del Ministero dell’Istruzione, che nei primissimi tempi era rimasto almeno ufficialmente in disparte rispetto alle attività fuori controllo dell’Unar.
Uno degli ultimi casi più significativi è stato un corso di formazione, organizzato un paio di mesi fa “per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere”, destinato agli alti dirigenti scolastici e promosso dallo stesso Ministero dell’Istruzione insieme all’Unar. Il seminario ha suscitato le proteste del mondo cattolico, di parlamentari e del Forum delle associazioni familiari, poiché, come denunciato in un comunicato, in esso “nessun esponente dell’associazionismo di matrice non omosessuale è stato convocato, nessun rappresentante delle famiglie o delle associazioni accreditate presso il Miur ha potuto dare il suo contributo”. Il corso si è svolto a poco meno di un anno di distanza dalle parole del Ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, la quale aveva promesso di includere nel tavolo di lavoro sulle iniziative “anti discriminatorie” le associazioni dei genitori. Questo la scorsa primavera, poco dopo il ritiro dei famigerati opuscoli sulla tematica Lgbt prodotti dall’Unar e distribuiti all’insaputa del Ministero. Ma il proposito del ministro è rimasto lettera morta, e la realtà è che i “progetti anti-discriminazione” continuano ad essere promossi e proposti in sordina, nascondendo ben altri contenuti.
Ciò fin da quando, come ricordato sempre nel precedente articolo, fu proposta la prima “strategia nazionale” sui temi Lgbt, nel febbraio del 2012, in seguito ad una circolare interna dell’allora ministro del Welfare, Elsa Fornero, che aveva aderito a un progetto del Consiglio d’Europa denominato “Combattere le discriminazioni basate su orientamento sessuale e identità di genere”. All’epoca la “strategia” fu affidata per decreto a 29 associazioni, tutte guarda caso rigorosamente di area Lgbt. E da allora la prassi di promuovere surrettiziamente l’agenda Lgbt, per via amministrativa, si è progressivamente consolidata, coinvolgendo ormai anche il Ministero dell’Istruzione. Ciò è stato confermato da una circolare di inizio novembre 2014, dedicata alla “Settimana contro la violenza e la discriminazione”, nella quale il Ministero sollecitava gli istituti scolastici a proporre “opportuni e significativi percorsi di sensibilizzazione, di informazione, di prevenzione e di contrasto”, con “adeguati percorsi formativi”. In concreto, le scuole devono “mettere a tema, almeno per una settimana nel corso dell’anno scolastico, le iniziative, prevedendo anche percorsi formativi stabili”. La circolare ha spinto alla protesta le associazioni familiari cattoliche, secondo cui la discriminazione è solo un pretesto per portare nelle scuole il tema “gender”, tesi suffragata dalle linee guida prodotte dal Ministero e dall’Unar per gli anni 2013-2014, contenute nell’opuscolo “Tante diversità, uguali diritti”, dalle quali emerge più attenzione alle tematiche sessuali che a quelle discriminatorie. Nel libretto si spiega, fra l’altro, che l’orientamento sessuale “definisce il gruppo di persone in cui è possibile trovare le relazioni romantiche soddisfacenti e appaganti (!)”», che “la scuola è il luogo della scoperta del proprio orientamento e della conseguente identità (!)” e che “la consultazione delle associazioni Lgbt è determinante per agire nelle scuole (!)”. Considerazioni che, nella loro inverosimile follia, meritano ben pochi commenti.
Ma la strategia per la “lotta alle discriminazioni” sulla base dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere, per il biennio 2014-2015, è ancora più ambiziosa: per comprendere come, anche in questo caso, il tema della discriminazione sia del tutto secondario, basta leggere i primi tre punti della strategia in materia di educazione scolastica. Stando alle linee guida, la formazione sui temi Lgbt, rivolta a studenti, insegnanti e personale scolastico (compresi i bidelli!), dovrà riguardare, prima di tutto “lo sviluppo dell’identità sessuale nell’adolescente, l’educazione affettivo-sessuale (!)” e la “conoscenza delle nuove realtà familiari”.
Non solo si prevede l’accreditamento delle associazioni Lgbt presso il Ministero, in qualità di “enti di formazione” (?), ma “la valorizzazione dell’expertise (!) delle associazioni Lgbt in merito alla formazione e sensibilizzazione dei docenti, degli studenti e delle famiglie”. Si propone l’integrazione delle materie “antidiscriminatorie” nei curricula scolastici “con un particolare focus sui temi Lgbt”, la “predisposizione della modulistica scolastica amministrativa e didattica in chiave di inclusione sociale, rispettosa delle nuove realtà familiari, costituite anche da genitori omosessuali”, e infine l’ “arricchimento delle offerte di formazione con la predisposizione di bibliografie sulle tematiche Lgbt e sulle nuove realtà familiari, di laboratori di lettura e di un glossario dei termini Lgbt che consenta un uso appropriato del linguaggio”.
A tutto questo, si aggiunga che la macchina della propaganda gender si sta muovendo anche a livello legislativo, e quindi non solo amministrativo: all’inizio del 2015, infatti, è stato depositato presso il Senato della Repubblica un disegno di legge dal titolo “Introduzione dell’educazione di genere e della prospettiva di genere nelle attività e nei materiali didattici delle scuole del sistema nazionale di istruzione e nelle università”, sottoscritto da 40 senatori. Attenzione: tale disegno di legge si propone non soltanto di eliminare dai libri di testo delle scuole i cosiddetti “stereotipi di genere”, ma anche di promuovere l’adozione di una “strategia condivisa”, in collaborazione con le amministrazioni locali, i servizi socio-sanitari, gli altri soggetti del sistema di educazione e di formazione e i centri per l’impiego, a favore della prospettiva di genere nel piano di percorsi e di servizi che accompagnano il minore. In tal senso è fatto riferimento, tra l’altro, alla Risoluzione del Parlamento Europeo del 12 marzo 2013 che ha affermato che un’educazione basata sul riconoscimento della parità è la strada da percorrere per il superamento degli “stereotipi di genere”.
Insomma, al di là del lessico talvolta ai limiti del ridicolo se non del grottesco, il quadro è sempre più a tinte fosche: nel silenzio e nell’ombra, nell’ignoranza più generale dell’opinione pubblica, si sta edificando di un vero e proprio apparato di indottrinamento ideologico egemonizzato da sordidi gruppi di potere di respiro internazionale, che sfruttano a dovere l’efficace maschera della “tutela dei diritti” e della “lotta alle discriminazioni”, tematiche dinnanzi alle quali in clima di buonismo a trecentosessanta gradi si alzano sempre le mani, per potenziare al massimo una delle armi di punta del loro piano di pervertimento e rovesciamento dell’ordine spirituale.
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Diamo ora un’occhiata di massima alla situazione di alcune realtà locali italiane, con l’avvertenza che, come si accennava, questo è solo un quadro puramente esemplificativo e per nulla esaustivo di quanto avviene giornalmente in scuole ed amministrazioni di tutto il territorio nazionale.
Il Trentino, innanzitutto, merita una menzione particolare, dato che viene descritto dagli osservatori più attenti come una sorta di “laboratorio” per la sperimentazione e la diffusione dell’ideologia di genere. La promozione di iniziative volte al superamento degli “stereotipi di genere” viene perseguito da tempo e con terribile solerzia su vari fronti. Il primo è, neanche a farlo apposta, quello didattico; il Trentino ha infatti il privilegio di ospitare l’unico istituto di ricerca e sperimentazione didattica ancora attivo in Italia, l’Iprase (Istituto provinciale per la ricerca, l’aggiornamento e la sperimentazione educativi), il quale, tra le altre cose, ha lavorato in una scuola elementare locale per due anni ad una ricerca sperimentale, coinvolgendo anche i bambini, con l’obiettivo di individuare i soliti “stereotipi di genere” trasmessi a scuola attraverso i libri di testo, libri di lettura, le circolari scolastiche, i comportamenti del personale, il linguaggio formale e informale. Tale istituto ha, per giunta, recentemente stilato un piano strategico per il triennio 2015-2017, indirizzato a chi opera nella scuola e nella formazione, prevedendo che l’azione dell’istituito sarà svolta con flessibilità e determinazione per garantire un efficace servizio nelle scuole volto a favorire una cultura dell’innovazione che deve essere coltivata e alimentata, tra l’altro, con azioni mirate a superare le “differenze di genere”. Ai bambini dovrà essere “inculcata” una ideologia che faccia credere che le differenze uomo-donna siano soltanto oppressioni normative, stereotipi culturali e costruzioni sociali che bisogna abbattere per raggiungere la parità tra uomo e donna. Tutto ciò per pervenire, infine, ad una “indifferenziazione dei sessi”, un’autentica “neutralità sessuale”.
L’altro fronte è quello normativo: presso il Consiglio Provinciale di Trento è in discussione da circa un anno un pericoloso disegno di legge di iniziativa popolare concernente “Disposizioni per il contrasto alle discriminazioni determinate dall’orientamento sessuale, dall’identità di genere o dall’intersessualità”, che ha sollevato un vespaio di polemiche portando a continui rinvii e ad una battaglia a suon di emendamenti da parte delle opposizioni, che è in corso proprio in questo periodo. Si tratterebbe del primo documento normativo italiano in materia di genderismo, seppure a carattere locale, in parallelo al disegno di legge nazionale depositato in Senato di cui si parlava poc’anzi. In particolare, la proposta di legge del centrosinistra trentino introdurrebbe il concetto di “identità di genere”, quale “identificazione primaria di ogni persona come maschio o femmina o altro, indipendentemente dall’attribuzione del sesso biologico”, la definizione di “co-genitore”, individuato come “persona che, condividendo il progetto di genitorialità con il partner, genitore giuridicamente riconosciuto tale dall’ordinamento italiano, svolge socialmente e nei fatti il ruolo di genitore”, nonché le definizioni di “orientamento sessuale”, “intersessualità”, “transessuale”, “trans gender”, e così via.
Il provvedimento sosterrebbe poi, ovviamente, “temi nei programmi di educazione alla sessualità e affettività rivolti agli studenti, includendovi informazioni sulle tecniche contraccettive”, nonché la programmazione di “iniziative d’informazione periodica rivolte al personale provinciale”.
Ma il fronte d’azione che ha causato i cedimenti più gravi in Trentino è quello giudiziario: negli ultimi anni infatti ben due Tribunali locali hanno espresso decisioni in materia di rettificazione di attribuzione di sesso, che evidenziano una tendenza inequivocabile e consapevole a favore dell’ideologia di genere.
Un primo provvedimento è stato emesso dal Tribunale di Rovereto nel 2013, che ha accolto la richiesta di un uomo che, sentendosi donna, sosteneva di essere riuscito a raggiungere, grazie a una terapia ormonale, un equilibrio tra il proprio corpo e la propria identità sessuale, tanto da decidere di non sottoporsi all’intervento chirurgico. Il soggetto in questione ha chiesto e sorprendentemente ottenuto dal Tribunale la rettificazione degli atti anagrafici senza quindi un previo intervento modificativo dei propri organi sessuali, condizione invece richiesta dalla legge vigente (la legge n. 164 del 1982) per operare tale modifica anagrafica: è stato quindi ritenuto sufficiente il fatto che la persona, pur rimasta fisicamente uomo, si sentisse donna.
Sulla stessa linea si è posta, con un ulteriore salto di qualità, un’ordinanza del Tribunale di Trento del 2014, relativa ad un caso analogo concernete una donna. Il Tribunale, nel ritenere che il sottoporsi a un intervento chirurgico (nello specifico sugli organi sessuali) sarebbe assolutamente delicato e pericoloso per la salute della persona, ma anche in contrasto con vari articoli della Costituzione, ha affermato che l’articolo 2 della Costituzione medesima e l’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo riconoscerebbero e tutelerebbero il diritto all’identità sessuale, nel senso che “ogni persona ha il diritto di scegliere la propria identità sessuale, maschile o femminile, a prescindere dal dato biologico”. Inoltre, l’ordinanza ha fornito una definizione dell’identità di genere, come forse poche altre volte è accaduto : “Il dato fondamentale non è più il sesso biologico o anagrafico, ma il genere, che si può definire quale ‘variabile socio-culturale’, vale a dire ‘qualità della persona in base alla quale della stessa si può dire che è maschile o femminile’. Il genere – continua il Tribunale di Trento – può discostarsi dal sesso biologico e cambiare col tempo in varie declinazioni e direzioni, nel qual caso si può parlare di ‘espressione’ o ‘ruolo’ di genere. Quando vi è una ‘percezione’ di non collimazione tra il genere assegnato alla nascita (sulla base del sesso ‘biologico’) e il genere cui la persona acquista la consapevolezza di appartenere, tale mutamento opera sul piano dell’identità di genere”. A fronte di queste considerazioni il Tribunale di Trento ha chiesto alla Consulta di pronunciarsi sull’illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 1, della legge 164 del 1982 laddove si prevede il necessario mutamento dei caratteri sessuali come requisito per cambiare identità anagrafica.
Si tratta di fatti di evidente gravità, che denotano come anche a livello normativo e giudiziario la cultura dell’identità di genere stia facendo passi da gigante, gettando le basi già in Trentino per un’affermazione potenzialmente irrecuperabile.
Anche nella vicina Bolzano la propaganda gender a scuola si sta consolidando da tempo. In città non si sono verificati particolari allarmi-omofobia o episodi di discriminazione di matrice sessuale; ciò nonostante, nel dicembre 2012 il Comune ha pensato di sottoscrivere un protocollo d’intesa con l’Associazione “Centaurus”, circolo affiliato Arcigay, per “la promozione di una maggiore consapevolezza sui temi dei diritti civili e del superamento del pregiudizio legato all’orientamento sessuale e all’identità di genere sul territorio della città”.
Non è chiaro quale sarebbe precisamente il pregiudizio legato “all’identità di genere”. Quello che è chiaro è che dall’attuazione del citato protocollo è scaturito, in questi mesi, un progetto “peer education”, da attuarsi guarda caso nelle scuole. Per realizzarlo – come la stessa associazione “Centaurus” spiega sul proprio portale web http://www.centaurus.org/news_page_it.php?id=276 – si cercano “volontar* dell’età compresa tra i 16 e i 20 anni, che abbiano voglia di informare e sensibilizzare giovani e adolescenti sui temi dell’omosessualità e della transessualità”». Unico requisito richiesto a questi “volontar*” (da notare che, in perfetto, delirante lessico da “neutralità sessuale”, la parola è lasciata senza vocale finale …), età a parte, è la voglia di “abbattere pregiudizi ed discriminazioni legati all’orientamento e all’identità sessuale”. La competenza sembra infatti essere un problema secondario, tranquillamente e del tutto superabile “in due week-end” grazie al supporto di non meglio precisati “esperti” sulle tematiche LGBTQI (per chi non lo sapesse, in tale sigla oltre a Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender sono aggiunti i termini Queer e Intersexual!). Così, mentre a Bolzano questo progetto “peer education” si sta diffondendo lentamente, “per la maggior parte finanziato dalla mano pubblica”, come precisato dalla stessa “Centaurus”, si è avuta notizia anche di un primo incontro tenutosi al locale Ginnasio di Scienze Sociali.
In Friuli Venezia Giulia già nel 2011, l’amministrazione locale di centrodestra aveva lanciato un progetto pilota in materia. Il programma fu premiato dal presidente della Repubblica con un’onorificenza destinata alle iniziative ritenute particolarmente meritevoli. E il plauso presidenziale spalancò le porte all’applicazione di quel programma, promosso dai circoli gay e inizialmente chiamato “A scuola per conoscerci”. Dopo l’elezione alla presidenza regionale della renziana Debora Serracchiani, quel modello è diventato un più elaborato e pomposo “Progetto regionale di prevenzione e contrasto al fenomeno del bullismo omofobico: rilevazione del problema, strategie d’intervento e attività di formazione”(!). Il compito di attuarlo spetta direttamente all’Ufficio scolastico regionale, al dipartimento di Scienze della vita dell’Università di Trieste e alle associazioni Circolo Arcobaleno Arcigay Arcilesbica Trieste e Gorizia, Arcigay Nuovi Passi di Udine e Pordenone e Arcilesbica Udine.
La professoressa Giovanna Pelamatti, rappresentante dell’ateneo triestino per la raccolta dati nelle scuole, spiegava senza giri di parole: “Insegniamo la teoria del genere, tra i cui contenuti fondamentali c’è che, indipendentemente dal sesso biologico, si può e si deve essere liberi di scegliere il proprio orientamento sessuale (…) Nelle classi si affronta anche il tema “della flessibilità, per dire che non siamo mai uguali a noi stessi e possiamo cambiare” (come dire che si può diventare omosessuali o altro quando e come si vuole, senza problemi), fino alla questione delle “famiglie omosessuali e dell’adozione. Sempre in chiave di ‘normalità’, perché il nostro obiettivo, ripeto, è combattere l’omofobia. Ci occupiamo di distribuire questionari a studenti, docenti e personale amministrativo delle scuole per monitorare il livello di omofobia (…). Il nostro scopo è contrastare ed eliminare gli stereotipi. E abbiamo successo. Nelle scuole dove è già stata svolta un’attività educativa analoga alla nostra non c’è più traccia di pensieri omofobici, neppure tra gli studenti più refrattari alle regole. Sono questi i risultati che hanno portato il presidente Napolitano a premiare i circoli Arcigay. E altre Regioni, come l’Emilia Romagna, il Piemonte e la Basilicata, a chiedere di esportare il progetto”.
A completare il quadretto subentrava il responsabile della formazione del progetto, il professor Davide Zotti, presidente del Circolo Arcobaleno Arcigay e Arcilesbiche di Trieste e Gorizia: “Spieghiamo che l’identità sessuale è una costruzione frutto di diversi dati. C’è quello relativo al sesso biologico, per cui una persona nasce maschio o femmina. C’è l’identità di genere, che può essere diversa da quella biologica, perché una persona può non riconoscersi in essa. Esiste poi il ruolo di genere, quello che ci è imposto dalla società e dalla cultura attraverso il cliché secondo cui i maschi hanno certe caratteristiche diverse dalle femmine. E poi c’è l’orientamento sessuale, che include l’attrazione verso le persone del proprio sesso e che è naturale, innato: sfatiamo il mito che sia un problema derivante da vissuti particolari o da traumi”. Un incubo ideologico, che si fa realtà. “Ovviamente però – continuava Zotti – non saranno presentati i percorsi legati alle cosiddette teorie riparative, che dimostrano che le persone con emozioni omosessuali possono cambiarle”. Circa queste “teorie riparative”, su cui esistono in realtà letteratura e testimonianze importanti, sapientemente occultate, Zotti ha insultato e cacciato la giornalista che cercava di illustrarne l’importanza e che sottolineava come certe politiche “educative” possano confondere ed alterare i ragazzi nella fase dell’adolescenza.
Il Comune di Venezia si è distinto invece per un “Piano di formazione 2013-2014” riservato alle “educatrici e insegnanti dei servizi per l’infanzia comunali” che aveva “l’obiettivo di aumentare le informazioni relative alle nuove tipologie di famiglia in Italia” e “di accrescere la conoscenza sulle famiglie omogenitoriali e sui loro bambini”. Tiziana Agostini, assessore alle Politiche educative, ha spiegato che “tutto è nato dal fatto che nelle nostre scuole abbiamo famiglie omogenitoriali. Quindi il progetto mira alla formazione delle educatrici per la comunicazione e all’apertura verso le famiglie omosessuali”.
Le parole usate nel progetto formativo suonavano così: “Succede talvolta che gli sguardi e le parole che gli adulti rivolgono ai bambini veicolino una valorizzazione o una svalutazione legate al maschile e al femminile che si insinua negli esempi, nei giochi e nei giocattoli, nei libri letti, nelle filastrocche e nelle fiabe, nei modi di dire”. Il genderismo detta legge: il maschile e il femminile sono frutto di imposizioni culturali, da abbattere. L’assessore infatti aggiungeva: “Se è per questo anche parlare di colori ‘maschili’ e colori ‘femminili’ non è rassicurante e serve solo a ipostatizzare i bambini e a ghettizzarli in stereotipi. (…) È per causa di questi steccati ideologici che poi la società è divisa e frammentata”. Anche in tal caso l’uso distorto di un termine quale “ipostasi”, che in ambito tradizionale ha un significato molto preciso, è un dato che fa riflettere.
A Venezia gli insegnanti saranno affiancati da controllori chiamati a correggere le espressioni ritenute “discriminatorie”. Tale progetto, organizzato dall’Ufficio scolastico territoriale della città lagunare in collaborazione con la Commissione provinciale delle Pari opportunità, ha lo scopo di “promuovere un’educazione oltre gli stereotipi di genere, acquisendo la capacità di coglierli e saper andare oltre”. In Veneto, se qualche insegnante vorrà parlare di gay e generi sessuali, potrà farlo soltanto con l’assistenza di un tutor deputato a valutarne le parole onde correggere quelle eventualmente considerate non conformi alla linea di principio antidiscriminatoria. Gli organizzatori hanno previsto, per i docenti, un percorso formativo articolato in sei incontri durante i quali “i maestri proveranno a liberarsi dei pregiudizi legati all’identità sessuale e a garantire una migliore offerta didattica ai loro studenti”. I maestri delle scuole materne ed elementari di Venezia dovranno quindi abituarsi alla presenza, nelle loro aule, di due tutor che dovranno sovrintendere alla loro avvenuta “rieducazione” in tema di “identità di genere, ruolo di genere, identità sessuale e orientamento sessuale”.
Ma non solo: sempre a Venezia, su iniziativa di Camilla Seibezzi, la delegata del sindaco ai “diritti civili e alle politiche contro le discriminazioni” (già nota per aver proposto di inserire la solita dizione ‘genitore 1’ e ‘genitore 2’ nei documenti istituzionali comunali), ha promosso ed ottenuto l’acquisto e la distribuzione in 10 asili nido e 36 scuole materne del Comune di Venezia di migliaia di esemplari del volume “Il grande grosso libro delle famiglie” contenente ben 46 favole in salsa gender che descrivono “famiglie” con un solo genitore (un ippopotamo single con figlio), con due mamme o due papà, un genitore bis, o coppie miste formate ad esempio da un cane nero e una cagnolina bianca. Spicca tra le altre “E con Tango siamo in tre”, dove due pinguini maschi covano un uovo, e “Piccolo uovo” disegnato da Altan e presentato a Milano in pompa magna un paio di anni fa, sulla fecondazione assistita. Piccolo Uovo, il protagonista della fiabetta demoniaca, è un gamete femminile, che dovrebbe congiungersi con il gamete maschile, lo spermatozoo, perché nasca un bimbo o una bimba. Ma il naturale concetto di maschile e femminile viene totalmente estromesso dal racconto, dove abbondano invece famigliole alternative, come quella di due pinguini maschi che giocano con i loro “figli”, o di due gatte mamme di un gattino.
“Papà, a scuola ci hanno spiegato che si può cambiare sesso. Da maschio a femmina e da femmina a maschio”. Queste sono le parole che un padre si è sentito rivolgere dal figlio che frequenta la quinta elementare in una scuola di Arzignano, in provincia di Vicenza. La notizia risale allo scorso anno. La “professionista della sovversione” che ha provveduto ad instillare questa e chissà quante altre perversioni nella mente di tanti poveri ignari ragazzini è la psicologa Federica Bastianello, che, nell’ambito del “corso di affettività”(!) che si tiene nella in quella scuola, così come in altre decine, centinaia, chissà, migliaia in tutta Italia, si è allegramente messa a discettare di transgenderismo con dei bambini, producendo il risultato appena visto.
Nel Comune di Torino, sotto la giunta Fassino, è stato creato un Servizio LGBT che si articola in varie sezioni, ha la sua pagina sul sito internet del Comune, organizza deliranti convegni – tra i tanti uno intitolato “I diritti delle persone migranti lesbiche, gay e transgender in materia di asilo ed immigrazione” (!) nell’ambito nell’iniziativa “Biennale Democrazia” (!) – , cura rassegne di film di “cultura” gay.
Sul sito internet del Comune
si possono leggere delle allucinanti schede didattiche curate dal Servizio, per aiutare i docenti a predisporre “attività formative a contrasto del bullismo omo/transfobico, sia rivolte alle/agli insegnanti sia a studentesse e studenti dei diversi gradi di istruzione”. I contenuti sono un concentrato di banalità, sciocchezze e falsità a tutto uso e consumo degli stolti lettori, compreso un improbabile glossario in materia. Tra gli esempi di omofobia è citato il caso di Andrea, il ragazzino romano suicida perché, si disse allora, omosessuale e per questo dileggiato dai compagni. Come testo su cui riflettere si propone la lettura di un articolo di Michela Marzano, apparso su Repubblica il 23 novembre 2012. Un articolo intriso di luoghi comuni, che sostenne le tesi della propaganda gender: “uomo o donna non si nasce, ma si diventa”. Due lettere dei compagni e dei docenti dell’istituto avevano in realtà già sconfessato le ricostruzioni di Repubblica; successivamente, si è appreso che il tragico gesto del ragazzo non aveva nulla a che fare con l’omofobia (la rettifica su Repubblica è ovviamente stata confinata in un microscopico box laterale). Ma la scheda sul sito del Comune continua a stare al suo posto bellamente, senza che nessuno si preoccupi di toglierla o modificarla.
Nella scheda “L’omosessualità nella Bibbia: il Nuovo testamento”, il Servizio LGBT si lancia nell’esegesi neotestamentaria. Dapprima si cita il Vangelo in cui Gesù, parlando del ripudio matrimoniale, spiega ai discepoli che la legge mosaica è stata adottata per la “durezza dei loro cuori”. La scheda propone osservazioni e domande particolari, che mirano ad un obiettivo ben preciso: “Non vi sono nei Vangeli brani riferiti all’omosessualità. In questo testo, che cosa stabilisce Gesù sul matrimonio?”. “Quello che dice, è conforme alle prescrizioni dell’Antico Testamento?”. “I cristiani devono considerare tutto ciò che è scritto nell’Antico Testamento come norma valida anche per loro?”. Quindi si riporta la Lettera di San Paolo in cui si condannano i rapporti contro natura e i sodomiti. Ecco di nuovo le domande: “Nelle lettere di Paolo di Tarso, come viene considerata l’omosessualità?”; “La condanna cristiana dell’omosessualità è quindi contenuta nel messaggio di Gesù o nelle parole di coloro che lo diffusero?”. Il messaggio è chiarissimo: Gesù non era omofobo, mentre San Paolo e la Chiesa nata dopo di lui sì. Ecco riemergere quindi i raccapriccianti fantasmi di “Jesus Christ superstar” (il primo rivoluzionario -comunista- della storia) e del cristianesimo sociale di sinistra, creato e diffuso in piena libertà con il silenzio sempre più assordante della Chiesa.
E via così con molte altre schede finalizzate ad esaltare ideologicamente l’omosessualità nelle sue manifestazioni a livello storico, sociale, “culturale”, ecc., presentandola quindi come fenomeno del tutto “naturale” e quindi da parificare completamente all’eterosessualità.
Il sindaco Fassino è dovuto peraltro intervenire facendo rimuovere e correggere alcune schede (ma quelle succitate sono ancora al loro posto …) a seguito delle proteste dei cattolici, per la propaganda a senso unico all’ideologia di genere e le assurdità appena riportate, e dell’associazione “Sì alla famiglia”, che riunisce numerose associazioni torinesi a favore della famiglia, e di alcuni consiglieri comunali.
Le schede erano e sono talmente ridicole in alcuni punti da aver suscitato negli studenti ilarità e reazioni contrarie. Come notato da Massimo Introvigne, per esempio, “era proposto ai liceali un compito in classe sul Manifesto del giugno 2013 di Alleanza Cattolica contro il disegno di legge sull’omofobia: gli alunni erano invitati a leggerlo e confutarlo. Il risultato – facilmente prevedibile da chiunque non veda la realtà con i paraocchi dell’ideologia di genere – è che alcuni ragazzi hanno invece espresso apprezzamento per le idee del Manifesto, contattandone gli estensori che hanno così fruito di una gradita pubblicità gratuita”.
Anche Milano, da quando si è insediata la giunta Pisapia, è all’avanguardia per quando riguarda le tematiche sul gender. Giuliano Pisapia tempo fa disse sfacciatamente “La Costituzione afferma che la famiglia è fondata sul matrimonio. Io la penso diversamente”, aggiungendo poi di voler spiegare questi concetti all’allora Pontefice Benedetto XVI. E aggiunse candidamente, senza alcun pudore, di voler trasmettere tali idee sulla famiglia ai bambini dell’asilo, così da “far percepire loro come naturali i cambiamenti che stanno trasformando la nostra società”.
Fu d’altronde a Milano che, un paio d’anni fa, fu presentata, durante la festa del PD, la favola di Altan ora distribuita anche a Venezia e in altri comuni d’Italia.
Le iniziative ideologiche si sono sprecate in questi anni: dalla decisione di sostituire nei moduli di iscrizione agli asili i campi “Padre” e “Madre” con “Genitore 1” e “Genitore 2” (che scatenò la rabbia di una madre, che tempo fa cancellò la scritta “genitore 1” dal libretto del figlio, sostituendovi la dizione “madre”), prassi ormai peraltro in progressiva estensione in decine e decine di comuni italiani, fino alla delibera che ha istituito il registro delle coppie di fatto (come avvenuto di recente anche a Roma), c’è l’imbarazzo della scelta.
Tra l’altro, alla faccia della tanto sbandierata “democrazia” che, come già accaduto in moltissimi di casi, vale solo se sei di sinistra o comunque se sei allineato ai dogmi della (sotto)cultura imperante, nel marzo del 2014 si sarebbe dovuto svolgere presso la Fondazione Ambrosianeum di Milano un convegno dal titolo “Omofobia o eterofobia?” per la presentazione del libro di Gianfranco Amato, presidente dei “Giuristi per la vita” e editorialista di Avvenire, molto impegnato nella denuncia dei rischi per la libertà di opinione e di espressione, oltre che per la libertà religiosa, insiti nella legge sull’omofobia in discussione in Parlamento. Ebbene, la Questura negò agli organizzatori la sala già concessa, nonché la possibilità di tenere un “presidio” in piazza San Carlo, poiché “i temi dell’omofobia e dell’eterofobia costituiscono, in questo momento storico, argomenti in grado di suscitare forti contrapposizioni”.
In Toscana, a Firenze, qualche tempo fa, l’ospedale Careggi ha avanzato la prima richiesta in assoluto di utilizzo di trattamenti ormonali sui bambini che sarebbero affetti dal Gender identity disorder (Gid), la “disforia di genere”. Il primario del reparto di Medicina della sessualità, Mario Maggio, ha dichiarato al Corriere Fiorentino: “Ci sono farmaci che bloccano la pubertà precoce e abbiamo chiesto di estenderli anche sulla pubertà inadeguata” (!?): ciò perché, secondo Maggio, bisognerebbe indirizzare la pubertà verso il sesso realmente sentito dal “paziente”, anche se si tratti di un bambino: tutto normale, no?
A Roma, con la Giunta Marino, la propaganda di genere ha subito un’accelerazione notevole. L’assessorato scuola, infanzia, giovani e pari opportunità ha promosso diversi mesi fa una campagna con il titolo “Le cose cambiano” (http://lecosecambiano.org/blog/193) che ha proposto di educare i giovani alla “cultura di genere” e al “rispetto dei diversi orientamenti sessuali” e di inserire nelle scuole la teoria del gender, con il fine di contrastare il solito “bullismo omofobico” tra gli studenti delle superiori. E anche in questo caso sono stati stanziati fondi per ricerche sul fenomeno “omofobia” e programmati concorsi ed incontri formativi con la partecipazione di esponenti del fantomatico mondo della cultura, del cinema, del teatro e della medicina (tutti ambiti notoriamente occupati d’imperio dalla sinistra). Fra i nomi hanno spiccato personaggi del “calibro” di Serena Dandini, ex madrina del Gay Pride, di Maria Sole Tognazzi, firmataria della lettera inviata al sindaco Marino per invitarlo “a chiedere agli insegnanti di parlare di omosessualità, di bisessualità e transessualità”, di Francesca Vecchioni, che nel 2012 venne immortalata sulla copertina del settimanale “Chi” insieme alla sua “compagna” e alle due gemelline concepite con fecondazione eterologa in Olanda.
Intanto nelle scuole romane ormai abbondano le storielle in salsa gender o gay: si va da “Qual è il segreto di papà”, con i figli contenti del papà che ha un fidanzato e non una fidanzata, ai pinguini gay che hanno un figlio con l’utero in affitto, a Biancaneve che viene risvegliata dal bacio in bocca di una principessa e non di un principe. Tutte storie raccontate ai bambini delle elementari con la solita scusa della lotta all’omofobia. Il repertorio è sempre più vasto, e le favolette sono sempre più esplicite, sempre più “spinte”. Narrate persino negli asili, a “scopo educativo”, dicono le maestre. Di recente in un asilo comunale di Roma, nel quartiere della Bufalotta, all’insaputa dei genitori, è stata raccontata “La piccola storia di una famiglia”, con due donne, Mery e Frenci, che si amano ma a cui manca il “semino” per far nascere un figlio. Allora scoprono che in Olanda c’è una clinica dove alcuni signori donano i loro “semini” a chi non li ha. Uno finisce nella pancia di Mery e fa crescere una nuova bambina. Il tutto corredato da scritte grandi su pagine a colori pastello dove le due donne si scambiano bacini e cuoricini …
Nel Gennaio scorso il Comitato Articolo 26, sulla base della segnalazione di alcuni docenti partecipanti al convegno di inizio anno scolastico, ha presentato una denuncia circa la scelta del Comune di assegnare prevalentemente ad associazioni filo Lgbt campagne di educazione sessuale e di contrasto al bullismo nelle scuole.
Durante la due giorni “Educare alle differenze” promossa per il mondo della scuola, con il patrocinio di Roma Capitale, da un’associazione Lgbt, la stessa cui il Comune ha assegnato tra gennaio e maggio scorsi la gestione del corso di formazione per 200 educatrici di nido e scuole dell’infanzia “La scuola fa la differenza”, sono state avanzate delle proposte piuttosto esplicite: introdurre un’educazione sessuale che “decostruisca” e “trasgredisca” i modelli di genere dominanti, che promuova transessualismo, transgenderismo, intersessualismo sui banchi di scuola già nei primi 4 anni di vita, per “liberare da stereotipi e pregiudizi” e da un “approccio dicotomico” alla sessualità; favorire una didattica che adotti libri di testo con un linguaggio “non sessista” che ad esempio sostituisca alle vocali “a” e “o”, identificanti il maschile e femminile, un asterisco (come abbiamo visto già con l’associazione “Centaurus” a Bolzano …).
Tra gli obbiettivi della “strategia” c’è la promozione di un’editoria pro Lgbt nelle scuole, la necessità di creare tra i ragazzi di 14-18 anni lo “spazio necessario per identificazioni ‘inter’ e ‘trangender’ ” e “promuovere leggi sull’educazione alle differenze”. Non solo: le associazioni filo-Lgbt si propongono di “fare pressione presso le istituzioni” perché siano inseriti gli studi di genere nei criteri per accedere all’abilitazione all’insegnamento. Questa la motivazione: nella scuola, oggi, l’identità umana è presentata in modo “androcentrico” e razzista (!) (da notare il lessico da far invidia ai peggiori circoli femministi d’antan …).
Si potrebbe continuare così a lungo, nell’esplorare la triste realtà della propaganda gender in Italia, ma evidenti ragioni di spazio lo impediscono. Ad ogni modo, la sostanza è questa, e si ripete in modo drammaticamente uguale in decine, centinaia, forse ormai migliaia di realtà locali.
Concludiamo dando un’occhiata rapida ad un altro ambito che risulta particolarmente appetibile per la propaganda di genere ed omosessualista, vale a dire quello del cinema e della televisione, sempre più allineato ai dettami dei nuovi tempi, sulla falsariga del delirio operante a livello internazionale (ma ormai, con televisioni satellitari ed internet, certe barriere sono saltate a tutti i livelli): al cinema fioccano film deviati in cui sessualità deviata e degrado di ogni tipo la fanno da padrone, e la televisione ed il mondo pubblicitario, nei limiti del possibile, si allineano.
Un esempio fra i tanti è un nuovo cartone animato, “SheZow”, già in onda negli Stati Uniti e in Inghilterra su Sky, è sbarcato in Italia da poco meno di un anno, trasmesso in chiaro su Frisbee: in esso sono narrate le peripezie di Guy Hamdon, un ragazzo apparentemente come tanti altri che, quando indossa un particolare anello, diventa “SheZow”, una supereroina transessuale. La confusione di genere viene esposta con chiarezza: SheZow, in pubblico, cerca di sembrare donna e quindi cerca anche di modificare la sua voce da uomo, come i veri trans. Mentre ai genitori, ovviamente, nasconde la sua doppia natura, comportandosi sempre da Guy. Insomma, il povero ragazzo transessuale è “confuso” e figuriamoci quale tipo di confusione possa causare ai bambini a casa, che vedono un maschio con gli stivali rosa, la gonnellina, i capelli lunghi, il rimmel e la voce da uomo. Confusione che purtroppo col tempo potrebbe diventare abitudine …
L’indottrinamento tramite la forza impattante delle immagini, d’altronde, costituisce uno dei tanti mezzi per operare surrettiziamente sulle menti delle masse, orientando e forzando la cosiddetta opinione pubblica verso determinate direzioni. Il demos, come osservavano grandi autori tradizionali come Guénon ed Evola, non può mai avere una propria volontà, ma viene plasmato e modellato dalle forze che su esso agiscono. Nello specifico, i film, la pubblicità, i servizi televisivi, le immagini, i messaggi più o meno espliciti circolanti su internet e così via costituiscono degli input continui che lentamente plasmano le coscienze, operando molto spesso, almeno in una prima fase, proprio sull’inconscio delle persone. In tal senso, messaggi ed immagini che spingono più o meno esplicitamente ad equiparare le varie forme di sessualità si moltiplicano sempre più, presentandosi spesso in modo subdolo con veloci fotogrammi, a volte quasi impercettibili, ma che restano facilmente impressi nella mente (è risaputo che la memoria fotografica è tra le più durature) producendo i loro effetti devianti.
Tra le pubblicità, ricordiamo qualche esempio recente. Pensiamo allo spot della Findus relativo al noto prodotto “Quattro salti in padella”: una mamma fa visita al figlio, che vive da solo. Il ragazzo organizza una cena e le fa scoprire nuovi piatti e ricette. Ad un certo punto, però, trova il coraggio di fare coming out: “Mamma c’è un’altra sorpresa – le dice – Gianni non è solo il mio coinquilino, è anche il mio compagno”. Lei lo accarezza e gli risponde: “Tesoro mio, l’avevo capito. Ed è anche un ottimo cuoco”.
Sulla stessa linea, lo spot integrale dei materassi Dorelan 2013-2014 (che ora appare in versione ridotta) proponeva una serie di scene di vita che si svolgono sui materassi reclamizzati, ed al secondo 32, dopo alcune scene piuttosto normali, offriva una sequenza di 5-6 secondi con due ragazze stese che si abbracciano ammiccanti, mentre la voce in sottofondo dice, riferendosi al materasso: “Ha condiviso le tue scelte quando agli altri sembravano strane”. Si comprende benissimo a che tipo di scelte ci si riferisca.
Un altro spot, che torna in programmazione periodicamente, è quello relativo alla campagna anti-aids promossa dal Ministero della Salute. Dopo circa 8 secondi, una volta mostrata anche in questo caso una coppia normale, si può vedere una sequenza in cui, sempre coperti soltanto da una sorta di drappo rosso svolazzante, si avvicendano prima due ragazze che si abbracciano in maniera piuttosto esplicita, poi una coppia mista ed infine un uomo che, agitando un preservativo, dice placidamente; “con un solo gesto difendo me il mio compagno”. Veramente splendido, non c’è che dire. Con Raoul Bova che chiude lo spot esclamando: “Fai il test HIV e usa il preservativo”.
Perfetto, siamo a posto così: un inno alla sessualità libera, irresponsabile, animalesca, tellurica, decadente, parificata, di tutti con tutti, svincolata da qualunque significato superiore. L’essere umano è ormai ridotto ad animale decerebrato alla ricerca del mero piacere fisico in tutte le sue possibili esplicazioni, senza capirne il perché, senza freni né regole, senza limitazioni né sublimazioni. Sembra di sentir riecheggiare le tesi di un certo Herbert Marcuse sulla liberazione dell’eros, della dimensione ludica e libidica dell’uomo. L’uomo della Tradizione conosce bene i frutti perversi di questa deriva, ma l’uomo del presente, purtroppo, non ha più gli strumenti per comprendere la trappola in cui sta cadendo.
In chiusura, non potevamo dimenticare la vicenda che ha riguardato Guido Barilla, che aveva “osato” sostenere che non avrebbe mai girato uno spot con una famiglia gay, sostenendo: “Noi abbiamo un concetto differente rispetto alla famiglia gay. Per noi il concetto di famiglia sacrale rimane un valore fondamentale dell’azienda”. A seguito della feroce polemica che si era scatenata, Barilla si era dapprima affrettato a scusarsi, per poi dichiarare che sul dibattito riguardante “l’evoluzione” della famiglia aveva “molto da imparare”. Poco tempo dopo, l’imprenditore aveva incontrato la presidente della Camera Laura Boldrini, con cui c’era stato un acceso botta e risposta al tempo delle “scandalose” dichiarazioni. A seguire, con un comunicato, il Gruppo Barilla aveva annunciato due iniziative su “diversità, inclusione e responsabilità sociale”: dapprima l’istituzione di un “Diversity & Inclusion Board” guidato da esperti indipendenti, per guidare l’azienda su “obiettivi e strategie per migliorare lo stato di diversità e uguaglianza tra il personale e nella cultura aziendale in merito a orientamento sessuale, parità tra i sessi, diritti dei disabili e questioni multiculturali e intergenerazionali” (e rieccoci con il bulimico, inverosimile lessico in salsa gender …). Quindi, l’organizzazione di un concorso “finalizzato a coinvolgere le persone sui temi di diversità e uguaglianza”, con l’invito ai partecipanti a creare brevi video a tema.
Al termine di questo travagliato iter di “rieducazione” il dottor Barilla, da “uomo nuovo”, è riuscito a far scalare alla sua azienda, a punteggio pieno, la “prestigiosa” Corporate Equality Index, la classifica delle imprese gay-friendly stilata dalla Human Rights Campaign, una delle più importanti organizzazioni Lgbt. Non c’è che dire, un’opera di lavaggio del cervello perfettamente riuscita.
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LINK:
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-il-gender-nella-scuola-lo-diffonde-il-ministero-11009.htm
http://comitatoarticolo26.it/papa-a-scuola-ci-hanno-spiegato-che-si-puo-cambiare-sesso/
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-torino-la-lotta-per-le-schede-gender-8807.htm
http://www.tempi.it/arriva-anche-in-italia-il-trattamento-ormonale-per-cambiare-sesso-ai-bambini
http://www.ilgiornale.it/news/ora-pisapia-insegna-ai-bambini-famiglia-gay.html
http://www.ilgiornale.it/news/milano/mamma-non-genitore-1-e-sul-web-successo-998254.html
http://www.ilgiornale.it/news/milano/genitore-1-sono-mamma-sua-rivolta-contagia-tutti-997777.html
http://chiesaepostconcilio.blogspot.it/2014/03/omofobia-e-liberta-convegno-negato.html
http://www.tempi.it/trentino-laboratorio-sperimentazione-diffusione-ideologia-genere
http://www.consiglio.provincia.tn.it/news/giornale-online/articoli/Pages/201502081958.aspx
http://www.tempi.it/educazione-gender-bolzano-fatti-opinioni-volontari
http://www.secoloditalia.it/2014/11/unaltra-favola-lesbica-raccontata-bambini-stavolta-allasilo/
http://it.wikipedia.org/wiki/SheZow
http://www.huffingtonpost.it/2014/06/09/findus-spot-coming-out-gay-_n_5472714.html
fulvia musico
Mi congratulo per il vostro forte senso di responsabilità e verso le nuove generazioni e il loro destino, e verso la gente in generale che va a costituire il tessuto, ahimè smembrato, della società. Che possiate essere emuli di Giovanni Battista, autoproclamatosi ” Voce nel deserto”, sbandieratore possente dell’errore, oggi voluto, consapevolmente cercato e ….difeso, impugnato come “Libertà” e “Democrazia” .