I ‘generalissimi’ dell’Impero romano d’Occidente

Le Edizioni di Ar hanno pubblicato, assai di recente, un libro di John Michael O’Flynn, intitolato I generalissimi dell’Impero romano d’Occidente. La definizione di ‘generalissimi’ è una creazione dell’autore; serve a indicare una serie di capi militari, in genere di origine barbara o semibarbara, ma qualche volta cittadini romani, che nell’occaso dell’impero, grazie innanzitutto alle loro doti militari, hanno occupato un ruolo di primo piano nella difesa e nella guida di quella che formalmente era ancora la res publica romana, senza però mai vestire la porpora, tranne il caso di Costanzo, ma ritagliandosi a volte il ruolo di Kingmaker, come Arbogaste o, dopo la fine della dinastia teodosiana, Ricimero e Oreste. Insomma, per chi legga queste pagine, sarà facile scoprire come i ‘generalissimi’ corrispondano ai nomi di Merobaude, Arbogaste, Stilicone, Costanzo, Aezio, Ricimero, Gundobado, Oreste. Sono loro ad occupare interamente la scena, dal disastro di Adrianapoli (378 e.v.)  sino alla “caduta senza rumore” dell’impero d’Occidente.

Ovviamente, O’Flynn spiega alla perfezione perché mai tali figure, prima in pratica sconosciute, siano emerse proprio in questo torno di tempo, e perché mai non abbiano aspirato all’Impero. Inoltre si sofferma sulle due più importanti interpretazioni del loro ruolo storico: inconsapevoli “agenti della disintegrazione della pars Occidentis dell’impero” o, al contrario, specialmente da Ricimero in poi, miranti a “costruire un nuovo assetto etno-politico attraverso l’amalgama di elementi romani e di elementi germanici”. La verità, forse, come spesso accade, sta a metà strada. E in ogni caso, l’operato di ognuno di loro sarà contrassegnato da obiettivi specifici che mal si prestano a una lettura univoca. Arbogaste, ad esempio, è mosso anche dal desiderio di restaurare la paganitas, Stilicone di unire sotto la sua autorità le due parti dell’impero, sciaguratamente di nuovo divise da Teodosio, e così via.

Poche righe per chiudere: questo libro affascinante, ricchissimo di riferimenti e di analisi, è stato edito per due motivi, a mio avviso. Il primo: dare coerenza e organicità a un discorso iniziato anni fa dalle Ar con la pubblicazione del volume di Indelli dedicato ai Longobardi e proseguito con un altro testo sempre di Indelli su Odoacre e quello di Lamma su Teoderico. Col testo di O’Flynn si è invece iniziato a ricostruire il ‘prima’ della caduta dell’impero romano d’Occidente e dei successivi regni ‘romano-barbarici’. Altri testi seguiranno su questo periodo cruciale, ad esempio uno già annunciato su quell’imperatore Maioriano (o Maggioriano) che è stato forse l’ultimo vero, grande e sfortunato difensore di Roma. Il secondo, più profondo, e probabilmente ancor più decisivo, va cercato nel nome scelto per indicare la collana che ‘ospita’ tutti questi libri: La genealogia. Ricordare queste vicende, solo in apparenza remote, non è infatti esercizio erudito, né pretesto per carriere universitarie, ma impegno appunto genealogico. Affinché nella lotta tra genealogie, che specialmente nell’oggi è una posta in palio tra le più essenziali, si sia consapevoli di ciò che si è stato, per così un giorno poter decidere chi si vorrà essere.

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