Cinquant’anni fa moriva al Cairo René Guénon, il massimo teorico della Tradizione
Pochi autori, in questo secolo appena terminato, hanno avuto una chiarezza cristallina e un rigore intellettuale pari a quelli di René Guénon. Matematico e soprattutto metafisico francese, profondo conoscitore di sistemi religiosi e filosofici, nato a Blois nel 1886 e morto al Cairo il 7 gennaio 1951, esattamente cinquant’anni orsono, Guénon è stato uno dei più radicali reazionarî di tutti i tempi; la coerenza e il radicalismo del suo pensiero ne hanno fatto il capostipite di una scuola, quella tradizionalista, che appare, nelle sue variegate ramificazioni, come un grande albero nel deserto, quello del mondo moderno. Con Julius Evola è considerato il massimo esponente del pensiero tradizionale in Europa.
Il fondamento del pensiero guenoniano è la dialettica tra Modernità e Tradizione, concepite come due realtà aprioriche e antitetiche del mondo. «L’origine della Tradizione», scrive Guénon ne La metafisica orientale, un suo breve e importante saggio del 1939, «se pure la parola origine ha ancora in simili casi una ragion d’essere, è non-umana come la metafisica stessa». Questa concezione della Tradizione universale e superstorica, rappresentata come una fiamma divina che si trasmette nel tempo attraverso le singole diverse tradizioni, si fonda sulla sapienza stessa che le religioni racchiudono, tramandata nei testi sacri come nel simbolismo, nel linguaggio del mito e nella trasmissione iniziatica.
Proprio l’esoterismo, nel mondo moderno, è la via per eccellenza attraverso la quale la Tradizione sacra si perpetua nel mondo, come una fiamma imperitura che di mano in mano unisce le generazioni umane in una catena sacra. Guénon scrive con assoluta chiarezza della tradizione iperborea primordiale che si irradia dalla sede polare originaria, della genesi delle razze umane, del fondamento sacrale dei sistemi castali, dell’ineguaglianza umana e dei cicli cosmici come di fenomeni assolutamente certi. Il suo fondamento è sacro, poiché – citando il Mahabharata – «tutti i libri che non si fondano sulla Tradizione sono usciti dalla mano dell’uomo e periranno: questa loro origine dimostra che sono inutili e menzogneri». La visione del tempo è quella ciclica: all’interno di ogni singolo ciclo cosmico (il Manvantara dell’induismo) dall’Età aurea originaria si passa via via, attraverso progressivi cedimenti, sino all’età del Ferro – il Kaliyuga sanscrito – ovverosia al tempo oscuro nel quale ci è oggi dato di vivere. Una grandiosa visione della storia umana è presentata ne La crisi del mondo moderno, e della concezione generale del tempo in Forme tradizionali e cicli cosmici.
Quali le prospettive spirituali per l’uomo in questo mondo desacralizzato? La risposta di Guénon si differenzia da quella di Evola, l’altro principale interprete del Mondo della Tradizione, e in questo divario si manifesta la diversa attitudine, maggiormente sacerdotale e contemplativa nel primo, attiva e guerriera nel secondo. Per Guénon l’uomo “differenziato” che voglia trovare una propria realizzazione spirituale non può che partire per la “cerca” di un centro di autentica trasmissione della Tradizione. Al tempo stesso, però, il filosofo non cessa di mettere in guardia dai mille pericoli che questa via riserva: il proliferare di movimenti religiosi di ogni tipo, il fenomeno definito da Oswald Spengler “seconda religiosità”, l’infezione psicanalitica e l’errore dello spiritismo non sono che specchietti per le allodole tesi da un mondo crepuscolare. Pagine di estrema evocatività e che contengono, racchiuso, il cuore della risposta di Guénon a questo centrale problema si trovano ne Il re del mondo (edito in Italia da Adelphi), in cui, riportando le leggende relative ad Agarthi, la mitica patria del “Sovrano universale”, il metafisico francese ci (ri)vela come, nascosta, la Tradizione ancora viva “in un oscurissimo Tibet”. Questo libro si può consigliare, insieme ai Simboli della scienza sacra, a chi si voglia avvicinare per la prima volta allo splendore cristallino delle pagine guenoniane. Legato agli ambienti del tradizionalismo cattolico e convertito al sufismo islamico, anche se rappresentante di un radicalismo aristocratico e reazionario, René Guénon non ebbe alcun coinvolgimento nei confronti del mondo politico, limitandosi a teorizzare in termini generali l’opportunità di una riforma in senso tradizionale dell’Occidente nel segno di un cattolicesimo integrale. Ma sempre più doveva riconoscere quanto ormai degradata fosse la Chiesa del XX secolo, priva di ogni coscienza dei simboli che utilizzava ed evocava costantemente.
Il messaggio che Guénon ha lasciato all’uomo del mondo di oggi è che «non vi è ragione di disperare: e quand’anche non si potesse sperare di raggiungere un risultato sensibile prima che il mondo moderno precipiti, questo non sarebbe un motivo per non cominciare un’opera la cui portata va ben oltre l’epoca attuale».
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Tratto da La Padania del 10 gennaio 2001.
Gastone
Volevo chiedere se pensate possibile un recupero della tradizione attraverso una politica di destra alla maniera auspicata da Evola, o se invece non credete che la politica stessa si sia ormai talmente immiserita da far preferire un approccio di tipo guenoniano e cioe’ più “culturale” in senso lato e apolitico. Mi par di capire che l’indirizzo da voi seguito sia quello evoliano del ” guerriero”. Eppure Evola stesso, che aveva guardato al fascismo come una via per reinstaurare la tradizione,non tardo’ a doversi ricredere. In altri termini io credo che la dimensione stessa della politica per sua natura sia inadatta ad un progetto rigenerativo della tradizione. Vedrei piu’ adatto ad un tentativo del genere riscoprire all’ interno della Chiesa cattolica il patrimonio simbolico che possedeva nel medio evo e che ha poi perduto. Che e’ poi la via auspicata, anche se con molta cautela e non senza un certo scetticismo, da Guenon stesso.