Gentile, un filosofo per l’Italia

Le prime due lettere, solo le prime due lettere del cognome sono uguali. Ge-ntile e Ge-lmini. Il primo (Giovanni) è un gigante della filosofia e della pedagogia italiana ed è stato un grande ministro della Pubblica Istruzione (1922-24), la seconda (Mariastella) è una giovane ministro che da qualche mese a questa parte sta cercando di metter mano alla riforma della scuola.

Giovanni Gentile (Castelvetrano, 30 maggio 1875 – Firenze, 15 aprile 1944)
Giovanni Gentile (Castelvetrano, 30 maggio 1875 – Firenze, 15 aprile 1944)

Nato in una Sicilia di fine ‘800 che salvo alcune eccezioni poco aveva da aggiungere al mondo (e della quale il filosofo fu critico in un noto volume del ‘18), Gentile divenne collaboratore dell’altro grande neo-idealista Benedetto Croce, dal quale però lo separava una diversa concezione della dialettica e una divergenza fra attività teorica e pratica. Dal 1903 i due lavoreranno insieme a La Critica, nota rivista antipositivistica, e saranno in contatto epistolare per almeno vent’anni. Ad allontanarli definitivamente sarà (soprattutto) il fascismo che, salvo l’interesse suscitato in talune eccellenze, causerà la messa al bando di Gentile per almeno dieci lustri dalla sua morte.

Cosa possono avere in comune un filosofo trapanese del 1875 e un avvocato del profondo Nord di un secolo più giovane se non le iniziali del cognome ed il fatto (certo casuale) di aver occupato lo stesso dicastero peraltro in tempi diversissimi? Sorvoliamo sulla risposta anche se fra i due (non dimentichiamolo) passa un’eternità di storia dell’immagine. Gentile è uno studioso di eccellente qualità, un pilastro del nostro Novecento, Gelmini (per ora) è solo un ministro ad effetto mediatico, uno dei tanti; anni fa venne il turno di Letizia Moratti, molto tempo prima quello di Gui, adesso è arrivato quello di Mariastella da Brescia.

Sarà gloria per un neo-ministro che pare possa contare sul decisionismo del governo Berlusconi? Chi vivrà vedrà anche se i presupposti per un happy end non sono dei migliori. Di Gentile possiamo dire invece che la gloria l’ha avuta eccome, e con essa purtroppo una fine orribile. Il suo è un curriculum sterminato compilato dal giorno in cui discusse la laurea su Rosmini e Gioberti con l’hegeliano Donato Jaja (1897), fino alla morte avvenuta nel pomeriggio del 15 aprile del ’44 (fu tra l’altro presidente della Commissione dei Diciotto per la riforma costituzionale e presidente e socio di cento altri istituti ed associazioni…). Com’è noto il filosofo fu barbaramente ucciso a Firenze, sotto casa, da un gruppetto di gappisti spacciatisi per studenti “colpevole” di essere un fascista fra i più influenti e dunque un nemico. In realtà però di quello Stato di cui sarà servitore fedele il nostro accetterà molto (a volte la sua sarà quasi una debole acquiescenza), ma non tutto. Non il “Concordato” del ’29 e non le leggi razziali di un decennio dopo.

Nel ’43 aderirà anche a Salò ma certo non con uno spirito di rivalsa bensì con quello di chi voleva la concordia e l’unità nazionale (un motivo conduttore peraltro proposto da buon parte della destra italiana anche dopo la fine della guerra).

Gentile, il cui pensiero era maturato prima del fascismo, poteva essere accostato ad un uomo della Destra-storica. Era però un pensatore aperto al futuro ed il teorico di uno Stato corporativo e indiviso. Ed era un uomo che avrebbe dedicato buona parte della sua vita alla cultura; si ricordi dal ’25 al ’43 l’iniziativa dell’Enciclopedia italiana.

I suoi studi di carattere pedagogico (ufficializzatisi a partire dal 1900) tendevano ad esaltare la figura del maestro a scapito del “metodo”. La sua riforma della scuola (scuola elementare obbligatoria per tutti e poi ginnasio-liceo più altri quattro indirizzi diversi), fa percepita dalle opposizioni come conservatrice, selettiva, elitaria e classista, era però una riforma tutt’altro che punitiva per i bambini portatori di deficit sensoriali. A una cosa doveva servire a formare l’italiano del suo tempo, e durò sostanzialmente fino ai fatidici anni Sessanta.

L’uomo-Stato di Gentile era il nemico dell’Italia del furbo e mediocre Giolitti (questo Gentile pensava dell’uomo di Dronero), anzi ne era l’opposto perché il giolittismo con annessi e connessi aveva tradito la storia d’Italia. Gentile era avverso allo spirito di compromesso che animava una certa Italia pre-fascista e non tardò molto a rendersi conto (e ciò avvenne all’inizio degli anni Venti), che il costume parlamentare non avrebbe potuto partorire alcuna seria riforma non solo della politica ma “semplicemente” della scuola.

Il fascismo fu dunque uno strumento grazie al quale l’Italia avrebbe potuto tradurre in realtà la volontà di azione politica. E quando arrivò il suo momento, allorché Mussolini formando il suo primo gabinetto, lo volle come tecnico al dicastero della Pubblica Istruzione, Gentile mise al servizio dello Stato la sua riconosciuta competenza. Egli di formazione liberale si sarebbe iscritto al Pnf proprio nel 1923.

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Marco Iacona, dottore di ricerca in “Pensiero politico e istituzioni nelle società mediterranee”, scrive tra l’altro per il bimestrale “Nuova storia contemporanea”, il quotidiano “Secolo d’Italia”, il trimestrale “La Destra delle libertà” e il semestrale “Letteratura-tradizione”. Per il “Secolo d’Italia” nel 2006 ha pubblicato una storia del Msi in dodici puntate. Ha curato saggi per le Edizioni di Ar e per Controcorrente edizioni. Per Solfanelli ha pubblicato: 1968. Le origini della contestazione globale (2008).

  1. Ivan
    | Rispondi

    Un pensatore di una grandezza e di una profondità assolute, immense, abissali (basti rileggere i saggi su Dante), il che rende ancora più barbaro e vile l'agguato terroristico dei presunti "partigiani" (in questo caso, invero, killer professionsiti appositamente assoldati).

    http://sites.google.com/site/ultimacrociata/giova

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