Europa contro Occidente

È nelle librerie, per Altaforte Edizioni, un saggio di Adriano Scianca. Si tratta di Europa vs Occidente. Fuori dal labirinto degli specchi. Come non essere occidentali (per ordini: info@altafortedizioni.it, pp. 98, euro 10,00). Il volume è preceduto dalla introduzione di Lorenzo Cafarchio e inaugura la nuova collana dell’editore intitolata «Avanti». Il testo, agile sotto il profilo della presentazione dei contenuti, ha il tratto tipico del pamphlet. Scopo non dichiarato, ma esplicito dell’autore, è gettare un sasso nelle acque stagnanti della cultura anticonformista, al fine di suscitare un dibattito attorno alla vexata quaestio del rapporto Europa-Occidente. Qualsiasi osservatore dello stato presente delle cose ha contezza che, dopo la pandemia e la guerra giunta sul territorio continentale: «questa contingenza avrebbe potuto rivelarsi assai fruttuosa per gli ambienti non conformisti e nazionalrivoluzionari […] i quali […] sono apparsi […] più dominati che dominatori del momento politico» (p. 12).

Le ragioni di tale empasse, a suo dire, sono facilmente individuabili nella scelta culturale e politica, assolutamente ingenua e manichea, compiuta da gran parte del pensiero non-conforme, a favore di un rifiuto radicale dell’occidentalizzazione del mondo. La cosa in sé non è criticabile aprioristicamente. Il problema, semmai, è da individuarsi, nella specularità che tale posizione presenta rispetto alle tesi, altrettanto unilaterali, dei filo-occidentalisti. Entrambe le parti in causa, hanno maturato la certezza che bene e male si trovano da una parte sola della barricata: la loro. Tali posizioni, sono giudicate da Scianca semplicistiche e improduttive sotto il profilo politico. Esse sono il risultato di una esegesi esclusivamente sociologica del concetto di Occidente, ritenuto: «un grande blob acefalo che ingloba qualsiasi cosa e che funziona in autonomia» (p. 20). Al contrario, una lettura pragmatica e organica di questa idea dovrebbe tener conto che essa presuppone in uno l’ordine geopolitico a guida americana, la cui genealogia discende dal giudeo-cristianesimo, dalla Riforma, dall’Illuminismo, rivitalizzata poi dall’antifascismo. L’Occidente, inoltre, sorto in opposizione all’Europa, rappresenta l’insieme dei valori diffusi dal liberalismo e uno stile di vita centrato sull’immaginario costruito dalla Forma-Capitale. L’aver relegato nel dimenticatoio alcuni di questi aspetti ha ingenerato confusioni: i suoi momenti costitutivi, pur intersecandosi, sono tra loro diversi: globalizzazione, mondialismo, capitalismo e relativa egemonia imperiale, non dicono il medesimo. Da tale errore è conseguita la diagnosi che sostanzia le posizioni, perfettamente incarnate, sul fronte anticonformista, dal “Grande Risveglio” teorizzato da Dugin: basta essere distanti dal “male” americano, mondialista ecc., per essere più vicini alla verità. Alla luce di tale logica dicotomica: «tutti gli Stati, i movimenti, i capi che non sono […] in fase con l’agenda più avanzata del mondialismo costituiscano un “fronte”» (p. 25), cui far riferimento per battersi contro i paladini della “religione dei diritti” in nome della Tradizione.

Al contrario, argomenta Scianca, oltre tale dualismo, bisognerebbe conquistare: «un’altra modernità» (p. 31), tesi sostenuta anche da Damiano e Bigalli. Del resto, alla specularità teorica, ha condotto la mitizzazione della geopolitica che, se ben intesa, è scienza dinamica, non statica. Tale interpretazione non consente di decodificare le effettive relazioni tra le grandi potenze: si pensi ai Brics e al Quad: «Non si capisce perché il Brics sarebbe l’avanguardia della nuova civiltà (con due Stati su cinque che appartengono al Commonwealth britannico) mentre altri accordi analoghi (Quad) […] non debbano godere di altrettanta pubblicità» (p. 50). Per l’autore, solo con un’Europa politicamente forte (attualmente la situazione non è questa) sarebbe possibile poter contare su alleati filo-europei: «Con un’Europa forte, Putin può essere filo- europeo, senza un’Europa forte può allearsi con altri soggetti e diventare anti-europeo» (p. 56). Il problema è che per Scianca, memore della lezione di Faye, l’Europa “potente” potrebbe sorgere di fronte a un prometeismo altro dall’attuale, che egli ritiene annunciato dalla “singolarità tecnologica”, l’accelerazionismo: «il punto di sviluppo di una civiltà in cui il progresso tecnologico accelera vertiginosamente e in modo non più controllabile» (p. 85). L’attuale “risveglio” europeo sarebbe, a suo dire, ancora “sonnambolico”, privo di “autocoscienza” politica. Ricorda, al fine di delucidare il senso da attribuirsi alla modernità cui guarda, la distinzione di Heidegger tra Occident e Abend-Land: «Il primo è l’Occidente che conosciamo […] il modello globalista […] Il secondo è qualcosa di completamente diverso, è in collegamento con l’origine greca, ma allo stesso tempo ne rappresenta il superamento, è qualcosa che è davanti a noi, come un compito» (p. 89). È l’“esperiale” di Faye.

Siamo convinti, con l’autore, che la Tradizione non debba più essere declinata in termini passatistici e politicamente reazionari, ma allo stesso tempo è necessario evitare che il Nuovo Inizio assuma tratti “prometeici”. La civiltà ellenica sorse dalla conciliazione di Orfeo e Prometeo, cosa diversa da un “prometeismo” semplicemente riformato. L’accelerazonismo cova in sé i germi della “corsa in avanti”, retaggio teologico cristiano. Solo il recupero del primato della physis può restituire all’europeo contemporaneo l’orizzonte che gli è proprio. Orizzonte di “potenza e libertà”, certo, il cui re-incontro farebbe venir meno le fissità ideologiche-idolatriche del presente. Tale principio è, infatti, in quanto libertà, infondato. Inoltre, se è vero che gli Stati nazionali sono istituzioni fortemente indebolite e causa, negli ultimi tre secoli, della fine dell’Europa novalisiana, d’altro lato, a differenza dell’autore, riteniamo che possano svolgere, ancora oggi, un ruolo di “mediazione” ricostruttiva anche nell’attuale frangente storico. L’Europa è pluriversum, terra delle differenze, laboratorio di continui tramonti e rinascenze.
Nonostante sia propria di chi scrive una lettura diversa del problema, riteniamo questo testo, libro da leggere, meditare e discutere.

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Giovanni Sessa è nato a Milano nel 1957 e insegna filosofia e storia nei licei. Suoi scritti sono comparsi su riviste e quotidiani, nonché in volumi collettanei ed Atti di Convegni di studio. Ha pubblicato le monografie Oltre la persuasione. Saggio su Carlo Michelstaedter (Roma 2008) e La meraviglia del nulla. Vita e filosofia di Andrea Emo (Milano 2014). E' segretario della Scuola Romana di Filosofia Politica, collaboratore della Fondazione Evola e portavoce del movimento di pensiero "Per una nuova oggettività".
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