La Destra in Spagna

La morte del generale Franco mise allo scoperto le grandi carenze della destra radicale spagnola nel momento in cui si era reso possibile articolare un discorso politico coerente, moderno e capace di competere con i diversi “avversari” sul terreno politico.

L’eredità ricevuta dal franchismo era nulla, il Franchismo fu una semplice prassi – con le sue cose positive e le sue cose negative – nessuna ideologia dietro; riferimenti alla Spagna e al Cattolicesimo, però senza altri contenuti. Franco non fu il Mussolini spagnolo, purtroppo.

L’eredità lontana fu molto più piccola di quel che si è potuto immaginare. Da sempre in Europa si è fatta una valutazione appassionata della Falange e dei suoi fondatori fino al limite di ridimensionare la sua importanza politica e le sue posizioni ideologiche. Il libro di A. Marcigliano I Figli di Don Quisciote realizza un buono studio sui riferimenti ideologici della Rivoluzione conservatrice spagnola: da Ortega e Gasset a Menendez Pelayo, Unamuno e gli ideologi di FE-JONS: José Antonio, Ramiro Ledesma e Enésimo Redondo, però è anche vero che tre di loro furono assassinati all’inizio della Guerra civile spagnola, prima che potessero realizzare un vero corpus ideologico e, soprattutto, prima che potessero creare un’organizzazione che portasse il messaggio alla società spagnola e creasse adesioni numericamente importanti. Bisogna ricordare che FE-JONS non arrivò mai ad ottenere – nemmeno lontanamente – un solo deputato nel parlamento spagnolo e che se José Antonio lo fu, questo accadde prima della fondazione del FE e nelle liste di un partito di destra monarchica.

Il decreto di unificazione e la creazione del FET delle JONS corrispose alla chiusura di ogni possibile evoluzione politica secondo lo stile che si stava avendo in molti paesi europei. Di più, il 1945 chiuse qualsiasi tipo di comunicazione con l’Europa e si cominciò a concepire la Spagna come qualcosa di diverso e lontano dal resto del continente.

In definitiva, i tratti ideologici della destra radicale spagnola alla fine degli anni ’70 erano:

1) Un’idea di Spagna chiusa, caratterizzata da un’apparente retorica neo-imperiale però in realtà estremamente giacobina, e conseguentemente liberista, egualitaria e uniformatrice, fino al punto di rendere letteralmente impossibile questa destra radicale in territori come la Catalogna, i Paesi Basche e la Galizia.

2) Un cattolicesimo asfissiante convertito in morale e moralità piccolo-borghese che ossessionò varie generazioni di spagnoli con il timore del “peccato” e del castigo divino fino a degli estremi che, raccontandolo qui, appaiono comici, ma che assolutamente non lo sono.

3) Ispanoamericanismo/Africanismo. La Spagna si riconosceva in comunione con il continente Ispanoamericano in realtà molto poco popolato da discendenti di europei, tranne nel caso di Uruguay e Argentina e zone concrete di altri paesi, e inoltre vedeva l’Africa come il luogo naturale di espansione e alleanze per la Spagna.

4) Antieuropeismo. Tutto ciò che proveniva dall’Europa era concepito come peccato e come possibile perdita dello spirito della riserva spirituale di Occidente o, addirittura, come razzismo.

Di fronte a questa situazione c’è stata una doppia reazione all’interno del mondo della destra spagnola:

La maggioritaria, che si è fossilizzata in queste posizioni senza nessuna possibilità di riattivazione ideologica.

La minoritaria, che percepisce l’assoluta necessità di cercare fuori, in Europa, le basi del necessario rinnovamento ideologico, partendo sempre da un forte europeismo. L’organizzazione che capitanò questo processo in modo quasi esclusivo fu Cedade, nella quale militammo da che eravamo poco più di bambini, gli stessi che poi hanno formato TyP. Bisogna anche menzionare il lavoro personale di Ernesto Milà che non ne fu membro ma che vi rimase sempre vicino. Inoltre in Cedade ci furono due forme di intendere questa apertura all’Europa, che non smisero di essere in tensione tra loro:

a) nostalgico-romantica: che si basò esclusivamente negli autori della Germania nazionalsocialista e altri come Codreanu, per finire in un’estasi puramente estetica su quell’epoca. Questa tendenza sfociò presto in un’entropia paralizzante e finì con l’essere incapace di articolare discorsi nuovi.

b) Un’altra più attuale cercò i suoi riferimenti tra i nuovi movimenti nr europei: dove ci incontrammo con il GRECE in Francia e in Italia con una serie di pensatori vicini al MSI e al mondo tradizionale: qui fu quando trovammo Evola e Romualdi.

EVOLA.

In questo contesto l’adesione al pensiero evoliano da parte dell’”area” spagnola porta elementi più nuovi, di rottura e implica un ridimensionamento di alcuni punti centrali del messaggio e indica linee di rottura definitiva. Passiamo ad analizzare gli elementi del pensiero evoliano fatti propri:

1) Senza dubbio il più importante e determinante è l’idea di Tradizione, di una trasmissione e di una continuità di principio spirituale che ricorre come colonna vertebrale tutto il processo storico e che da forma e valenza a tutte le grandi civiltà conosciute. L’esistenza di alcuni principi tradizionali e l’adeguarsi ad essi o no, come chiave per analizzare una società e la sua futura evoluzione. È intendere anche il criterio tradizionale come metodo storiografico, in fin dei conti questo è Rivolta contro il mondo moderno.

Inoltre, e ancor più importante nel caso spagnolo, questa idea di tradizione relativizza il fenomeno puramente religioso e allo stesso tempo da una risposta, o meglio, una proposta spirituale non-cristiana ma sì metafisica, e bisogna riconoscerlo, anche in grado di superare certi neopaganismi che potremmo qualificare da razionalisti o semplicemente filosofici come è il caso di A. de B. Nell’ultimo numero di TyP c’è un articolo di critica al neopaganismo da una prospettiva tradizionale, scritto da una persona cattolica.

2) Il maggior apporto che Evola fa al pensiero tradizionale e che, a nostro giudizio lo situa – polemica guerrieri/sacerdoti a parte – al di sopra di Guénon e di quasi qualsiasi altro autore tradizionale, è l’identificare l’origine e l’espansione della Tradizione con un gruppo umano concreto che denomina razza iperborea, origine delle razze ariane. Questa realtà da una nuova chiave alla consapevolezza storica e anche alla problematica dell’esaurimento di energia e indebolimento dei discendenti di quei portatori della Tradizione e costruttori delle grandi civiltà – vale a dire noi stessi – tema che tratta perfettamente in Sintesi della dottrina della razza, tradotta in castigliano come La razza dello spirito. Tutto questo schema si scontrerà frontalmente con la tradizionale destra spagnola legata sempre a concetti egualitari e universalistici che considerò le posizioni evoliane come “estremamente razziste” (in una frase testuale).

3) La nozione di Imperio, la denuncia di nazionalismo ottocentesco come manifestazione di ideologie antitradizionali, moderne e egualitarie. Il nazionalismo spagnolo franchista si sviluppò in una retorica imperiale che non fu niente più di un orpello semantico allontanatosi assolutamente dall’idea di Imperium, idea che definitivamente si perde per la Spagna con la Guerra di Successione del 1700 nella quale la dinastia regnante, gli Austria (anche chiamati gli Hasburgo di Madrid per differenziarli dal ramo regnante a Vienna) perde il trono contro colui che sarà il primo Borbone spagnolo, Filippo V.

Il nazionalismo di matrice giacobina come antitesi del concetto tradizionale di Impero basato nell’unità della diversità e la costante denuncia del nazionalismo moderno come collettivismo democratizzante, per Evola, darà nuovi argomenti agli intenti rinnovatori della destra radicale separandola sempre di più dai residui paleofranchisti.

A parte questi tre aspetti fondamentali Evola ha influenzato ognuno di noi in modo personale e particolare: nel mio caso dovrei riconoscere che è stato grazie alle sue letture che ho potuto capire la chiave per scoprire ciò che di “occidentale c’è in Oriente”, per conoscerlo e integrarlo nell’equazione personale. Leggendo La dottrina del risveglio aderii alla proposta di imparare zazen, pratica che ho seguito per 15 anni. Anche come storico dell’Antichità, Evola mi aprì prospettive in questo senso e sono i suoi scritti sul Mitraismo, di obbligata lettura, che ci permettono di conoscere l’essenza di questa iniziazione (più di una religione) profondamente ariana e guerriera, del tutto differente dal resto dei “culti misterici” – questo sì – orientali del Basso Impero romano. Un articolo sul mitraismo appare in questo numero di TyP. Questo senza dimenticare la lucida e profonda spiegazione che Evola ha chiamato “ciclo Romano”, che in un altro modo, solo si comprenderebbe parzialmente e in un senso semplicemente “archeologico”. Ciclo romano che forse ancora non sia terminato come allude nelle sue riflessioni Renato del Ponte.

La storiografia dell’opera evoliana in Spagna avrebbe, come abbiamo detto, i suoi inizi nella Cedade e concretamente in due – allora – giovani militanti della sezione madrilena dell’organizzazione agli inizi degli anni ’70: Isidro Palacios (primo traduttore di Evola) e il conosciuto Antonio Medrano. Varie iniziative e traduzioni legate sempre a Cedade e/o Ernesto Milà continuano il processo durante un po’ di tempo fino all’apparizione – per opera nostra – di Marcos Ghio, le sue Edizioni Heracles e il suo Centro Studi Evoliani di Buenos Aires. Ghio, figlio di famiglia lombarda, venne espulso dalla docenza per dichiarazioni a favore del governo militare argentino, sanzione che consistette nel continuare a pagargli lo stipendio integralmente senza poter tenere lezioni (cosa concepibile in Argentina). Questo fece sì che egli dedicasse il suo tempo a tradurre quasi tutte le opere principali di Evola che saranno pubblicate e distribuite in Spagna con il nostro aiuto. Ci troviamo in un’epoca tarda come a metà degli anni ’90 quando avviene l’introduzione “massiva” di Evola in Spagna e quando il gruppo della gioventù della destra radicale lo legge direttamente per la prima volta. Prima le edizioni francesi o italiane erano una risorsa per pochi. All’inizio dell’epoca presente uno scontro ideologico con il Centro di Studi Evoliani ha congelato questa collaborazione, che al momento è irrecuperabile. Il 2004 vede l’organizzazione del primo omaggio a Julius Evola avuto in Spagna, organizzato da TyP a Madrid contando sulla partecipazione di Antonio Medrano e Renato del Ponte. Fu invitato anche Isidro Palacios il quale pur volendo aderire non poté partecipare a causa di un viaggio di lavoro.

ROMUALDI.

L’introduzione dell’opera di Romualdi nell’“area” spagnola, si fa in modo unidirezionale, saremo concretamente noi, senza una inquadramento organizzativo e poi come TyP, gli incaricati di questo, anche se è doveroso segnalare l’edizione di ENR del libro Correnti politiche e ideologiche della destra tedesca (che sarebbe la sua tesi di dottorato). E da qui diremo che si tratta di una lavoro fondamentale per il quale possiamo considerare un certo successo, il fatto di essere riusciti a far sì che Romualdi sia un riferimento valido per quasi tutte le famiglie dell’area, è nostra intenzione continuare ad insistere con questo lavoro e nostra volontà quella di approfittare di un anniversario simbolico per poter organizzare in Europa una giornata romualdiana all’altezza della memoria che merita.

Non nascondiamo la nostra assoluta sintonia con Adriano Romualdi in quasi tutta le righe scritte da lui. Lo consideriamo il più preclaro discepolo di Evola, un lucido interprete della Tradizione tanto concettualmente come anche in modo vitale, e anche colui che pone le fondamenta corrette e precise del nazionalismo europeo post-45, avendo il merito intellettuale di aver realizzato l’aggiornamento delle ideologie sconfitte nel ’45 per convertirle nuovamente in materiale politicamente operativo.

Per Romualdi la parola Tradizione ha un cognome, europea. Secondo le sue parole – che condividiamo pienamente – gli europei sarebbero “il popolo della luce. Il popolo destinato a portare il logos, la legge, l´ordine, la misura. Il popolo che ha divinificato il Cielo di fronte alla Terra, il Giorno di fronte alla Notte. La razza olimpica por eccellenza”. Il razzismo di Romualdi è di ispirazione tradizionale e con implicazioni metafisiche.

In Romualdi l’idea tradizionale ha sempre implicazioni vitali personali, dando forma ad un carattere e una personalità completa. Come si indica nel prologo dell’edizione spagnola di Gli indoeuropei. Origini e migrazioni, “nelle loro concezioni teoriche e pratiche nel campo politico, si può vedere il genio di qualcuna che è molto lontano da nostalgie e passioni, guarda la realtà da dove solo arrivano i più grandi, la sua proposta è quella di un dorico, di un ario; nessuna nostalgia del superfluo, ma nemmeno nessuna tolleranza nel campo dei valori, né in difesa della verità”. Con le parole di Evola “Romualdi capiva ciò che chiamiamo mondo della Tradizione e sapeva che da quel mondo si sarebbero dovuti estrarre i fondamenti di una seria politica di Destra”.

Sarà questa conoscenza della Tradizione e la sua vicinanza a Evola il motivo del suo conosciuto saggio Julius Evola l’uomo e l’opera, la prima delle sue opere pubblicate in spagnolo e edite prima come Ed. Iskander e nella 3° edizione come TyP.

Includendo gli indo-ariani e altri indoeuropei sparsi per l’Asia, il libro si sarebbe potuto chiamare Il problema di una Tradizione ariana, pensiamo che non fu così, non solo per gli ovvi problemi dell’uso di questo termine dopo il 1945, ma proprio perché Adriano Romualdi vuole potenziare una coscienza propriamente europea come base di un nazionalismo europeo visibile qui e ora. “Il problema di una tradizione europea” si articola in tre nuclei: la Preistoria indoeuropea, il Mondo Classico e la Cristianità – assumendo tutta l’eredità – così si comprende l’insieme di esperienza spirituale e storica dell’uomo occidentale constatando attraverso i secoli la sopravvivenza di una stessa Cosmovisione e un substrato umano comune, anche se i secoli determinati dal cristianesimo dovettero attraversare un necessario processo di rettifica precedente a questa dottrina, nella sua origine molto lontana alla natura d’animo e spirituale europea.

In effetti, in diversi momenti della nostra storia spirituale, il principio di “non-dualità”, e il suo sviluppo nella dottrina degli stati multipli dell’essere, si mostra come l’essenza e il fondamento dei cicli sviluppati nella cornice dei tre nuclei menzionati: dagli Upanisad a Eraclito, da Platone a Siddharta Gautama e da Plotino e la sua Catena Aurea al M. Ekhart.

Ma nel nostro universo spirituale c’è un concetto determinante e specialmente considerato da Romualdi: l’Ordine, principio che delinea l’orizzonte di tutte le azioni cosmiche e di conseguenza di tutta l’azione umana: dall’ascesi, l’etica, l’urbanistica, la guerra fino alla coltivazione dei campi: “Colui che coltiva il grano, coltiva l’Ordine” dice l’Avesta. Ci azzardiamo a dire che questo saggio costituisce un canto che nella Tradizione si conosce come Via dell’Azione, “una via – con le proprie parole di Romualdi – in cui il fine, vale a dire l’identità Suprema, si concepisce come qualcosa da conquistare, come la vittoria su tutte le potenze che produce l’avidya, vale a dire l’ignoranza tra il soggetto individuale e il soggetto universale”.

In questo testo Romualdi intende, anzitutto, collocare l’europeo di fronte a sé stesso offrendogli le vie per le quali cercare la propria identità perduta. Ma non si tratta solamente di far sì che l’europeo prenda “posizione di fronte” al mondo, bensì “responsabilità dinnanzi” al mondo. Considerato che solo la naturalizzazione dell’Occidente, il suo allontanamento dalla Tradizione, poterono scatenare forze che hanno portato l’intero pianeta a questa situazione quasi disperata. Solamente la capacità e l’energia dell’Europa, reintegrate nella nostra visione del mondo, potranno mettere freno a disastro e renderanno possibile recuperare tanti secoli di lenta caduta verso il nulla.

In Gli Indoeuropei. Origine e migrazioni il nostro autore sintetizza tutta la ricerca fondamentalmente tedesca che determina l’indubitabile origine nordica dei nostri popoli, in un momento in cui la tesi di Gimbutas era diffusa con ogni tipo di appoggio dall’intelligenza ufficiale e in cui qualsiasi tipo di revisione basata su obiettive prove archeologiche, storiche, filologiche e antropologiche sembrava rasentare la legalità permessa. Oggi è più evidente che mai la veridicità delle tesi difese ed esposte da Romualdi in quel saggio, avendo evidenziato che la cultura dei kurgan, ipotizzata da Gimbutas e dalla sua scuola come origine dell’indoeuropeo, è sì un nucleo di diffusione indoeuropea, però secondario e derivato da uno nordico precedente. Se la sconfitta del ’45 non avesse interferito, questo libro sarebbe la base dei manuali universitari attuali. Ma in più il suo enorme valore sta nel lanciare un’idea chiave sulla quale si deve articolare il nazionalismo europeo del secolo XXI: al di là di interessi economici o commerciali, di strategie politiche o di alleanze militari difensive, aspetti sempre congiunturali, il nazionalismo europeo risponde ad una realtà essenziale e immutabile, la comunità di origine bio-razziale di tutti noi, discendenti di quegli indoeuropei che abitarono nelle zone baltiche e che nelle loro espansioni fecero nascere il mondo celtico, germanico, Roma e l’Ellade: l’Europa è questa eredità o non è nulla, un’entità vuota che deambula per gli uffici dei burocrati di Bruxelles.

Un appunto finale su questo libro è per chiamare l’attenzione sull’apparato critico che abbiamo incluso nell’edizione spagnola e che, pensiamo, dovrebbe essere tenuta in considerazione nelle prossime edizioni italiane del libro (anche se sappiamo che ce n’è una molto recente). Per tutti coloro che vogliano conoscere il processo di indoeuropeizzazione della penisola iberica, crediamo sia una lettura necessaria. Bisogna dire che ciò che scrive Romualdi su questo è abbastanza lontano dalla realtà ed è eredità di vari errori degli archeologi e ricercatori tedeschi del XX secolo, compresi Gunther, Kossinna, Krahe, che non dedicarono abbastanza tempo a questo studio. È così e bisogna dirlo.

FINALE.

Tornando all’inizio e riprendendo il tema della nostra associazione, diremo che l’altra via di penetrazione di idee fu la Francia, prima di tutto attraverso la ND, ma poi ci siamo identificati chiaramente con il messaggio di due dei suoi antichi quadri, Pierre Vial e Guillaume Faye che evidenziano uno scostamento con altre sensibilità del neodestrismo. Fu per questo che in seguito ad un paio di conversazioni decidemmo di formare Tierra y Pueblo España con una correlazione assoluta con l’organizzazione francese. Non si può negare che anche gli uomini sono stati esempio e non è un problema riconoscere che in Vial abbiamo visto il perfetto equilibrio tra azione e pensiero, un esempio di fedeltà e di capacità, un esempio per le generazioni presenti di combattenti europei come lo sono tutti coloro che oggi ci onorano condividendo questo tavolo. Se dovessimo sintetizzare i nostri obiettivi in tre, diremmo: 1) Esistere, come ci ha ricordato Gabriele nella sua conferenza tenutasi al nostro II colloquio. Prima di sognare, prima di pianificare. Esistere significa, in primo luogo scontrarsi con la realtà, in secondo luogo prenderne atto e infine essere capaci di modificarla. Per noi sarà ancora più difficile, vogliamo esistere in una nazione dove finora, quasi niente è esistito.

2) Creare un’avanguardia (non mi azzardo a dire élite) con un doppio obiettivo: Avanguardia ideologica che sia capace di introdurre in Spagna le linee innovative e attuali del pensiero identitario e a sua volta la sapienza perenne della Tradizione.

3) Per ultimo come ci disse Evola e ci ricorda Rutilio Sermonti in un CD registrato da Imperium, approfittare di qualsiasi evenienza – che oggi ci sono e sono fondamentali – per fare tutto ciò che sia possibile fare. Tenendo sempre presente che la patria alla quale apparteniamo, camerati europei, camerati italiani, non potrà mai essere distrutta.

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