Addio al grande cantore dei simboli

Alfredo Cattabiani con sua moglie Marina Cepeda Fuentes
Alfredo Cattabiani con sua moglie Marina Cepeda Fuentes

«Lo ispira la convinzione che nulla è più “nuovo” di ciò che è permanente, a patto di riproporlo in un linguaggio che sappia rispondere agli interrogativi del proprio tempo; e che è possibile filosofare riflettendo anche sulla più umile pianta». È un passo del lungo articolo funebre per Alfredo Cattabiani scritto per “Il Giornale” da lui medesimo, circa due mesi prima che la sua anima lasciasse il corpo.

La mia conoscenza con Cattabiani risaliva a un giorno di fine estate di alcuni anni orsono: ovviamente il suo nome mi era già noto, tanto come promotore culturale quanto come autore di libri di successo sul simbolismo e le tradizioni popolari, sebbene all’epoca di quell’incontro non ne avessi ancora letto alcuno. In quel giorno di settembre ascoltai una sua conferenza a Gorizia, a seguito della quale ebbi l’occasione di conversare con lui. Trassi immediatamente la sensazione, provata così rare volte, di trovarmi di fronte a un individuo eccezionale appartenente a un’altra epoca, che solo il destino aveva voluto proiettare al giorno d’oggi. Stabilii da subito un legame di “simpatia”, cioè di affinità di sentimento del mondo. Effettivamente, Alfredo Cattabiani era in larga misura estraneo a quest’epoca: ciò lo rese inviso ai tanti servitori del pensiero-unico, e al tempo stesso misteriosamente affascinante e profondo. Stringemmo una corrispondenza intellettuale e soprattutto una profonda amicizia, che egli mi volle confermare sino all’ultimo.

Cresciuto nella Torino laico-illuminista sviluppò in modo naturale un sentimento di rivolta “reazionaria”, e si laureò con un’ardita tesi sul conte De Maistre che un membro della commissione, il noto prof. Norberto Bobbio, scaraventò a terra sdegnato. Alla sua formazione intellettuale, del resto, contribuirono i padri del pensiero conservatore e tradizionale, da Mircea Eliade a René Guénon, da Ernst Jünger a Pierre Drieu La Rochelle e Donoso Cortés. Quando all’età di 35 anni fondò le Edizioni dell’Albero «per opporsi al monopolio della cultura allora dominante» iniziò a pubblicare questi e altri autori scandalosi, e ciò continuò a fare dal 1966, dopo aver assunto la direzione editoriale della casa editrice Borla di Torino, e soprattutto nel decennio 1969-1979, in cui gli venne affidata quella della neonata Rusconi Libri. Sotto la sua direzione uscirono libri come Il Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien, la Difesa della luna di G. Ceronetti, Heliopolis di E. Jünger, Pietre che cantano di M. Schneider e Che strano viaggio di Drieu La Rochelle. E, ancora, testi di Eliade, Nasr, Coomaraswamy, Titus Burckhardt, G. Sermonti e F. Gianfranceschi.

Quando nel ’79 venne costretto ad abbandonare la Rusconi, stretta d’assedio dalla censura di stampo materialista-illuminista, si trasferì a Roma e cambiò vita. Iniziò a scrivere libri di enorme rilevanza (romanzi e saggi) e a collaborare a diversi quotidiani; alcuni anni dopo avviò una felice attività radiofonica, conducendo programmi di grande successo dedicati al simbolismo e alle tradizioni. Insieme all’amata moglie Marina Cepeda Fuentes pubblicò Bestiario di Roma, sugli animali dipinti e scolpiti nella capitale; e, oltre a una Storia dei Giubilei e a Santi d’Italia, una fortunatissima serie di volumi intitolati con nomi assonanti (Florario, Volario, Acquario, Lunario, Zoario, Erbario, Calendario, Planetario). Il suo progetto era quello di dar vita a una ponderosa Storia dell’immaginario, solo in minima parte incompiuta, consacrata al simbolismo degli animali.

Alfredo Cattabiani era profondamente convinto della necessità di rifondare un’autentica “cultura tradizionale” da opporre al materialismo, al culto del brutto e alle grettezze imperanti, e versò le energie di un’intera vita in questo nobile intento. Pur minato da tempo da un grave male, visse gli ultimi anni che il tempo gli aveva concesso “come un ussaro in battaglia”, come usava dire: era uno spirito stoico e profondamente religioso, che vedeva la morte come una grande avventura, ma non con quel terrore che attanaglia i più, quando la sentono approssimarsi. Nelle pagine conclusive di Zoario, uno dei suoi ultimi libri, aveva scritto: «La morte fa parte del nostro itinerario esistenziale così come la nascita: dimenticarla, allontanarne l’immagine, relegarla in una soffitta virtuale significa impoverire la nostra vita. Il riconoscimento della morte ci insegna invece a considerare le cose e gli eventi con distacco, ispirandoci il senso del limite. Accettarne l’idea significa addomesticarla, renderla familiare, sopportabile».

Come ha riferito la moglie Marina, Alfredo ha intrapreso il viaggio con animo sereno.

* * *

Tratto da la Padania (agosto 2003).

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Alberto Lombardo è stato tra i fondatori del Centro Studi La Runa e ha curato negli anni passati la pubblicazione di Algiza e dei libri pubblicati dall'associazione. Attualmente aggiorna il blog Huginn e Muninn, sul quale è pubblicata una sua più ampia scheda di presentazione.
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