Una bella giornata di agosto del 1908, insolita nell’emisfero australe in quella stagione, vide due uomini arrampicarsi su per le ripide creste di una minuscola isola del Pacifico vertigionosamente elevata, simile a un frammento delle Dolomiti scagliato in mezzo all’oceano: Mas a Fuera, nel gruppo Juan Fernandez (1). Avevano fretta, poiché il capitano della nave che li attendeva al largo era impaziente di ripartire, data la totale mancanza di ripari naturali lungo la costa. Dopo aver attraversato la densa foresta di mirtacee e di felci arborescenti ed essersi spinti entro i verdi canaloni, sbucarono sull’altopiano erboso al di sopra della zona delle nebbie. Erano entrambi profondamente emozionati, poiché nessun piede umano aveva calcato prima d’allora la vetta dell’isola: tutto era immerso in una quiete misteriosa da milioni di anni.
Un torrente scendeva mormorando attraverso il soffice letto di muschi e di felci. Stanco per la ripidissima salita, assetato, uno dei due uomini si chinò sulla riva per bere; poi si fermò di colpo. Proprio sul suo capo, infatti, pendeva il piccolo rovo subantartico (Rubus geoides), e lì attorno l’erba era costellata di aster nani di montagna del Sud (Lagenophord) e di piante erbacee tipicamente subantartiche (Lycopodium Magellanicum). Vi era insomma una flora completa di tipo “antartico” in una isoletta tropicale, posta alla latitudine di Valparaìso (33° e 45′ di latitudine Sud)! Si trattava di una delle ultime grandi scoperte della fitogeografia, e il suo autore era lo scienziato svedese Carl Johan Fredrik Skottsberg (1880-1963).
“Un viaggiatore deve essere un botanico”.
Nato nella patria di Linneo (a Karlshamn, il 1° dicembre 1880), dello scienziato, cioè, che aveva compiuto la fondamentale classificazione delle piante basata sui caratteri “sessuali” e sulla nomenclatura binomiale, Skottsberg era stato naturalmente attratto verso quel campo di studi. Professore assistente di botanica presso l’Università di Uppsala (la più antica del nord Europa, essendo stata fondata nel 1477) egli vi respirò quell’atmosfera di febbrili ricerche scientifiche che caratterizzò la vita culturale svedese tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Nel 1897 Svante Arrhenius formulava la teoria della dissociazione elettrolitica e riceveva, grazie ad essa – nel 1903 – il Premio Nobel per la chimica. Altri illustri svedesi si dedicavano alle esplorazioni geografìche: Adolf Nordenskjöld tra il 1877 e il 1879 aveva aperto il “Passaggio a Nord-Est” con la nave Vega, e suo nipote Otto aveva esplorato la Patagonia e la Terra del Fuoco nel 1895, l’Alaska nel 1898 e la Groenlandia nel 1900. Sven Hedin aveva incominciato nel 1893 la lunghissima e avventurosa serie dei suoi viaggi nel cuore dell’Asia Centrale, mentre nel 1897 lo sfortunato Andrée era scomparso nell’Artide, volando col pallone Aquila verso il Polo Nord.
Skottsberg si entusiasmò a questi viaggi che coniugavano il rigore della ricerca scientifica al sapore pungente dell’avventura. Il suo ramo di studi, la geografia derlle piante o fitogeografia, riuniva in sé questi due elementi, poiché rimaneva ancora molto da chiarire in esso, specialmente nell’estremo Sud della terra.
“Un viaggiatore deve essere un botanico”: questo detto di Darwin diventò l’imperativo spirituale del giovane studioso. E quando Otto Nordenskjöld, di ritorno dalla Groenlandia, volle organizzare un’ambiziosa spedizione scientifica nell’Antartide occidentale, Skottsberg fu invitato a prendervi parte in qualità di botanico.
La spedizione svedese era stata preparata nel quadro di un accordo scientifico internazionale sottoscritto, oltre che dalla Svezia, anche dall’Inghilterra, dalla Scozia e dalla Germania. Essa lasciò il porto di Goteborg nell’ottobre del 1901 a bordo dell’Antarctic, comandata dal capitano A. C. Larsen. Oltre a Nordenskjöld, capo della spedizione, e a Skottsberg, vi erano a bordo lo zoologo K. A. Andersson, il meteorologo ed idrografo G. Bodman, il topografo S. A. Duse, il medico E. Ekelof, il pittore F. W. Stokes e il guardiamarina argentino J. M. Sobral, in veste di assistente scientifico.
Fra i ghiacci dell’Antartide.
Si potrebbe a tutta prima pensare che questo viaggio non dovesse emozionare più di tanto Carl Skottsberg. Che cosa poteva trovare di interessante un botanico in mezzo ai ghiacci dell’Antartide? Invece la spedizione svedese del 1901-03 era destinata a raccogliere una messe ricchissima di dati botanici, testimonianza inconfutabile della varietà floristica dell’Antartide in passate epoche geologiche.
Né mancò l’elemento avventura; anzi: fu per poco che la spedizione non si concluse in modo tragico. Giunta alle Shetland Australi nel gennaio 1902, l’Antarctic si spinse a fatica lungo le coste orientali della Terra di Graham, incontrando un mare sempre più cattivo. Finalmente Nordenskjöld e altri cinque scienziati si fecero sbarcare sull’isola Snow Hill per svernare, mentre la nave tornava nella Geòrgia Australe. Nell’estate australe successiva Larsen avrebbe dovuto tornare a Sud per riprenderli: e così fece. Ma, bloccata dai ghiacci, l’Antarctic ebbe la chiglia sfondata dalla loro enorme pressione. Skottsberg, che era a bordo, scrisse che la nave “improvvisamente cominciò a tremolare come una foglia di pioppo e uno schianto tremendo ci fece correre tutti sul ponte” (2). Il 12 febbraio 1903 l’Antarctic affondava e l’equipaggio dovette costruirsi un rifugio di fortuna sull’isola Paulet per trascorrervi l’inverno. Solo la mitezza insolita del clima e la grande abbondanza di foche e pinguini salvarono quegli uomini: ad eccezione di un marinaio che non sopravvisse alla prova. “La morte, l’unica ospite che potesse visitarci, aveva posato la mano crudele sul nostro gruppo, che aveva così a lungo lottato compatto per sopravvivere”, commentò Skottsberg emozionato (3).
Il dramma finale fu evitato perché Larsen, prima di partire per il mare di Weddell, aveva comunicato le sue prossime mosse al governo di Stoccolma, e questo, non avendo più notizie, fece scattare il piano d’emergenza. La nave argentina Uruguay scese a sua volta verso il Sud e poté salvare prima l’equipaggio dell’Antarctic, quindi, il 10 novembre, Nordenskjöld e gli altri, cui s’erano uniti alcuni membri della spedizione. Da notare che, in varie riprese, gli scienziati svedesi ebbero la fortuna di trovare depositi fossili dell’epoca terziaria: molluschi, alberi fronzuti, conifere e addirittura felci. Tutto dunque finiva bene – o quasi – anche dal punto di vista della scienza; e Skottsberg, che aveva peregrinato con l’Antarctic fra le isole subantartiche e poi svernato sui ghiacci per un periodo complessivo di circa due anni, usciva dall’avventura ricco di una straordinaria esperienza scientifica ed umana.
Gli studi più importanti aveva potuto compierli nel campo delle alghe marine (Phaeophyta e Rhodophytd), della flora subantartica delle Isole Malvine, della Terra del Fuoco e della Geòrgia Australe (luoghi tutti toccati dalla spedizione) e delle piante fossili antartiche. Sicché nel 1905 Skottsberg dava alle stampe un lungo articolo, Distribuzione della vegetazione nella parte più fredda dell’emisfero Sud, che rivelava una padronanza ormai globale della fìtogeografia di quelle estreme regioni australi. In particolare, egli aveva inteso dare un contributo a sostegno della tesi del botanico inglese Joseph Hooker, secondo cui l’Antartide aveva svolto un ruolo decisivo nella distribuzione delle specie attraverso l’emisfero meridionale, in accordo con la teoria dei ponti intercontinentali.
In Patagonia e Terra del Fuoco.
Dopo alcuni anni trascorsi in patria, e dedicati in buona parte a riordinare e catalogare il materiale raccolto e pubblicarne i risultati scientifici, Skottsberg si sentiva ormai pronto per una nuova spedizione. Questa volta, però, egli ne sarebbe stato l’organizzatore e il capo; quale campo di ricerche scelse la Patagonia e la Terra del Fuoco. Ciò era necessario per completare i dati raccolti nella Terra di Graham e nelle isole subantartiche e per collegarli in una soddisfacente visione d’insieme con la flora del Sud America.
La Patagonia – specialmente nella sezione meridionale – e le regioni interne della Terra del Fuoco (Lago Fagnano, Seno dell’Ammiragliato, etc.) erano, ai primi del Novecento, terre ancora vergini, poco o niente conosciute. Anche lì, dunque, esisteva la speranza di qualche notevole scoperta scientifica. Inoltre, a paragone della misera vegetazione della Penisola Antartica e delle isole circonvicine, la parte sud dell’America Meridionale si presentava come un vero e proprio paradiso naturalistico.
La spedizione partì nel 1907 (due anni dopo il distacco della Norvegia dal Regno di Svezia), e fece ritorno solo nel 1909. Skottsberg aveva voluto con sé il botanico T. Halle e il geologo P. Quensel e con essi, nel corso di due estati successive, esplorò un ampio tratto della regione precordiglierana e dei laghi, tra il fiordo Ultima Esperanza e il Lago San Martin. Nel corso di queste ricognizioni essi penetrarono nel braccio nord-occidentale del Lago Argentino e diedero il nome della loro città universitaria, Uppsala, al maestoso ghiacciaio che scende dal Ghiacciaio Patagonico Continentale fin sulle rive del lago, immergendovi la fronte costellata di icebergs.
Nel corso di questa spedizione Skottsberg ebbe l’insperata opportunità di visitare anche, a bordo di un trasporto del governo cileno, l’arcipelago Juan Fernandez. Era un suo vecchio sogno che finalmente si avverava, poiché quelle isole sono famose per la loro splendida flora, ricca di forme endemiche o superstiti di forme pre-terziarie. Fu allora che egli fece la scoperta della flora magellanica sull’isola di Mas a Fuera, la più isolata e occidentale del gruppo. Scoprì anche la Gunnera-Mas-a-Fuerae, dalle foglie gigantesche e dal gambo commestibile, che cresce nelle valli ombrose presso le cascate e i corsi d’acqua. Purtroppo era inverno, e aveva solo pochi giorni a disposizione: ma promise a se stesso che sarebbe tornato in quelle isole fantastiche. Nella sua mente era già nato il primo embrione di una futura spedizione. “Quando diedi l’addio alla sommità di Mas a Fuera, io avevo già fatto il proponimento di tornare ad accamparmi presso il piccolo corso d’acqua e forzare l’isola a rivelare i suoi tesori nascosti”.
La spedizione del 1907-1909 nella Patagonia e nella terra del Fuoco fu importante per Skottsberg anche dal punto di vista della definizione scientifica delle aree floristiche di quelle regioni. Fu lui a cambiare il vecchio termine di “vegetazione antartica”, per la zona boschiva povera di specie (Artenarmer Wald) tra il Fiordo Baker e Capo Horn, cioè da 47° a 56° di latitudine Sud, sostituendolo con quello di “subantartica” o “magellanica”. La zona ricca di specie (Artenreicher Wald), tra il Fiordo Baker e il 37° parallelo, fu da lui chiamata “bosco valdiviano” (dal nome della città di Valdivia, nella fascia climatica umido-fresca del Cile centro-meridionale). Questa terminologia geobotanica, con lievi varianti, ha resistito fino al giorno d’oggi.
La spedizione svedese nel Pacifico.
Di nuovo Carl Skottsberg, tornato in patria, attese alla classificazione e alla pubblicazione del vasto materiale raccolto. La spedizione era stata un successo, sia dal punto di vista botanico che geologico, ma dalla rapida escursione nelle Isole Juan Fernandez del 1908 egli aveva riportato l’ardente desiderio di un più approfondito studio delle isole cilene del Pacifico. Intanto pubblicava, oltre a vari articoli, un volume sulla spedizione sud-americana: The Wilds of Patagonia (1911), tradotto anche in lingua spagnola con il titolo Los desiertos de Patagonia.
In Europa scoppiava, poco dopo, la prima guerra mondiale. Saggiamente la Svezia se ne tenne fuori e il suo popolo proseguì sulla strada delle conquiste sociali (1918, suffragio universale maschile e femminile e giornata lavorativa di otto ore). La pace e il progresso economico e sociale consentirono al governo di Stoccolma di destinare congrue somme a favore della ricerca scientifica, mentre gli altri governi europei si dissanguavano nel massacro del 1914-1918. Gli studi fervevano nelle Università di Uppsala e di Stoccolma. In quegli anni Svante Arrhenius, studioso astronomia oltre che di chimica, suppose sul pianeta Venere l’esistenza di un clima caldo-umido e di una ricca vegetazione tropicale; un errore, certo; ma potrebbe la scienza accedere a nuove scoperte, se rimanesse chiusa e murata nel recinto delle certezze al presente ritenute inoppugnabili? Fu in questo periodo e in questo particolare clima culturale che venne organizzata la Spedizione svedese nel Pacifico, sotto la direzione di Skottsberg e con il contributo della Reale Società Geografica di Stoccolma e di altre istituzioni governative. “Lo scopo di questo viaggio – egli scrisse – era una ricerca biologica sulle isole cilene del Pacifico”.
La spedizione, di cui facevano parte lo zoologo K. Backstrom e la stessa moglie di Skottsberg, signora Inga, in qualità di assistente botanica, lasciò la Svezia il 4 ottobre 1916. Essa raggiunse l’isola di Mas a Tierra, la maggiore del gruppo Juan Fernandez, il 1° dicembre, e vi rimase fino al 30 aprile 1917; nei mesi di febbraio-marzo essa esplorò la sua gemella, Mas a Fuera, allora – come oggi – impervia e disabitata. In maggio la spedizione si portò all’Isola di Pasqua, e anche lì si dedicò ad una intensiva opera di ricerca geologica, zoologica (della fauna inferiore) e botanica. Skottsberg era, tra l’altro, convinto che solo una diversa distribuzione delle terre nel Pacifico orientale, in passate epoche geologiche, potesse spiegare alcuni enigmi posti dalla flora di quelle isole, così diversa da quella americana e così simile a quella polinesiana e neozelandese. (L’ipotesi, probabilmente, era errata, ma della teoria della “deriva dei continenti” del tedesco Alfred Wegener si cominciava appena a parlare, e in modo assai critico, mentre quella della “tettonica a zolle” era ancora di là da venire; Skottsberg, quindi, restava legato alla concezione dei “ponti intercontinentali”, cui aveva creduto anche lo stesso Darwin). Per questo motivo egli spinse le sue ricerche fino alle Isole Hawaii, studiando in particolare gli endemismi delle stazioni montane poste al di sopra della fascia forestale.
Meno avventurosa della spedizione antartica, meno spettacolare di quella magellanica, questa terza spedizione fu però, forse, la più minuziosa e la più ricca di risultati scientifici. Essi furono poi pubblicati in tre grossi volumi, nel 1920-21, col contributo di privati e di un fondo pubblico; una sintesi dei risultati apparve sulla rivista Geografìska Annaler, nel 1924.
Perfino in quelle isole sperdute Skottsberg e i suoi collaboratori incontrarono le tracce dell’immane conflitto che stava dilaniando l’Europa e il mondo. Sulle rocce di Mas a Tierra erano ben visibili le tracce delle recenti cannonate, sparate dagli Inglesi contro l’incrociatore tedesco Dresden (costretto ad autoaffondarsi il 14 marzo 1915), mentre nelle acque dell’Isola di Pasqua il mercantile francese Jean era stato colato a picco dall’incrociatore ausiliario Prinz Eitel Friedrich. Riflessi smorzati e tuttavia cruenti di un lontano, interminabile incendio, che al ritorno in Europa degli scienziati svedesi, nel 1917, infuriava più che mai sanguinoso.
Anche nella pacifica Svezia c’era stata una svolta decisiva: le elezioni di quell’anno avevano visto la vittoria di socialisti e liberali e la costituzione di un energico gabinetto di sinistra, deciso a portare avanti un programma di radicali riforme democratiche, che fu realizzato negli anni immediatamente successivi al termine del conflitto mondiale.
Gli anni successivi della sua non breve esistenza furono, per Skottsberg, di intenso lavoro, ma anche ricchi di soddisfazioni. Ritornò per ben quattro volte nelle Isole Hawaii (nel 1922, nel 1926, nel 1938 e nel 1948). Fu segretario, dal 1924 al 1937, della Reale Società di Lettere e Scienze di Goteborg (e,dal 1919 fino al 1948, del Giardino Botanico della stessa città). Fu segretario (dal 1929 al 1949) e poi presidente (nel 1948-49) della “Commission for Preservation of Wilde Life in thè Pacific”. Professore a Goteborg dal 1931, presidente della Reale Accademia Svedese nel 1949, membro della Royal Society di Londra dal 1950, pubblicò complessivamente più di 250 scritti di varia mole. Si spense a Goteborg il 14 giugno 1963, all’età di ottantadue anni.
“Questa è la verde casa della natura”.
Skottsberg visse a lavorò in un periodo storico di transizione: fra il tramonto dell’epoca delle grandi esplorazioni geografiche e l’alba di quella delle moderne esplorazioni scientifiche – geologiche, botaniche e zoologiche. Ai suoi tempi, un viaggio di ricognizione scientifica era ancora, in certe regioni dell’emisfero Sud, anche un viaggio di esplorazione. Esistevano ancora vasti tratti bianchi sulle carte geografiche: nell’Antartide specialmente, ma anche in Patagonia, Terra del Fuoco, Nuova Zelanda sud-occidentale e in talune isole del Pacifico (mentre nell’emisfero Nord erano ancora parzialmente sconosciute zone del Tibet, dell’Asia centrale, dell’Indocina, oltre naturalmente alle regioni artiche). Le escursioni di un naturalista conservavano, quindi, un doppo fascino, dovuto al loro carattere avventuroso e pionieristico.
Cari Skottsberg riuniva nella sua personalità l’esigenza di rigore scientifico e la capacità di provare e comunicare emozioni altamente poetiche. Ciò appare evidente dalla lettura delle sue opere, e specialmente degli articoli di carattere divulgativo. Egli era dotato di buone capacità espressive, di fantasia e di senso dell’umorismo, e i suoi resoconti di viaggio istruiscono e affascinano nel medesimo tempo. Sapeva tradurre nella parola scritta la bellezza dei paesaggi naturali, suggerendo la visione d’immagini vivide e immediate.
“Affrettiamoci giù, dentro uno dei canaloni, dove ci sono pace e quiete – scriveva di Mas a Fuera nel 1918. – Questa è proprio la verde casa della natura. Quale varietà di magnifiche felci: quale vita su ogni ripiano, in ogni angolo dove si trova della terra…”. La lettura delle sue opere descrittive costituisce forse, ancor oggi, il migliore incentivo per accendere in un giovane la vocazione del corso di studi naturalistico.
Infine, dalla biografia di questo studioso possiamo ricavare un insegnamento di carattere sociale. Gli scienziati hanno bisogno di un terreno culturale adatto per esprimere al meglio le proprie potenzialità, e, se non lo trovano, appassiscono e muoiono, proprio come le piante, oppure emigrano verso lidi più accoglienti (la “fuga dei cervelli” che, nel caso dell’Italia odierna, continua a pieno ritmo). Il “caso Skottsberg” illustra una società materialmente e politicamente avanzata, capace di fare scelte lungimiranti a favore della ricerca scientifica; di dare strumenti adeguati e prestigio alle proprie università; di sostenere finanziariamente il costo delle ricerche. Una società capace di dire “no” al militarismo e alle folli spese militari (e quante pressioni dovette sostenere, da parte dell’esercito, i cui capi avrebbero voluto trascinarla nel 1914 a fianco della Germania, nel 1917 nella guerra civile finlandese!), dimostrando che progresso scientifico e progresso sociale non sono altro che le due facce di una stessa medaglia.
A qusto punto, non possiamo fare a meno di interrogarci sulla qualità delle scelte operate, in Italia e in Europa, negli ultimi decenni. La crisi scientifica che caratterizza la nostra epoca (dietro i trionfi apparenti), la fuga dei migliori ricercatori, la perdita di controllo sulla tecnologia e di conseguenza sulla natura, non saranno la diretta conseguenza di una politica sociale e culturale miope e, troppo spesso, ispirata da ragioni di mero opportunismo politico?
Note
(1) Oggi isola Alejandro Selkirk, secondo la denominazione ufficiale cilena; mentre la sua gemella, Mas a Tierra, è stata ribattezzata isola Robinson Crusoe. Le ragioni di tale cambiamento possono avere la loro plausibilità sul piano turistico, ma ben poca su quello storico. L’isola ove è ambientato il romanzo di Daniel Defoe (del 1719) è un luogo immaginario, posto “al largo del gran fiume Orinoco”; e se un vero Robinson, il marinaio scozzese Alexander Selkirk, soggiornò in completa solitudine su Mas a Tierra dal 1704 al 1709, è pur vero che egli non ebbe nulla a che fare con l’isola che oggi porta il suo nome.
(2) WALTER SULLIVAN, Alla ricerca di un continente, ed. it. Firenze, Casini, s. d., p. 47.
(3) Ibidem, p. 49.
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