La fondazione Evola, presieduta da Gianfranco de Turris, è impegnata, ormai da anni, nella meritoria opera di presentare al pubblico italiano il pensiero di Julius Evola in una prospettiva critica e non meramente agiografica, supportata, per di più, nelle proposte editoriali, da accortezza filologica e interpretativa. Un esempio, al riguardo, è rappresentato da un recente lavoro, curato da Marco Iacona, dottore di ricerca in dottrine politiche, ed edito da Controcorrente: Julius Evola, Anticomunismo positivo. Scritti su bolscevismo e marxismo 1938-1968, antologia tematica degli scritti evoliani comparsi, sul tema in argomento, su diverse testate, durante un trentennio particolarmente significativo per la storia politica e culturale del mondo.
L’introduzione, informata e puntuale del curatore, consente al lettore di orientarsi con facilità tra gli scritti presentati e di inquadrarli nelle più ampie vedute dell’opera evoliana. Si parte, innanzitutto, con il discutere un articolo fondamentale, Americanismo e bolscevismo, pubblicato sulla rivista “Nuova antologia” nel maggio 1929 (non compare però nella raccolta qui segnalata), periodo cruciale per la formazione della visione del mondo del filosofo della tradizione. In questo testo, Evola critica aspramente tanto il sistema politico americano che quello sovietico, in quanto espressioni di una medesima concezione della vita, materialista e livellatrice. Le civiltà dei materiali e della meccanica rappresentano l’inversione compiuta dei valori anagogici del mondo tradizionale, tanto per i singoli quanto per le comunità. In fondo, l’obiettivo non dichiarato, ma effettivo del regime sovietico è: “ l’americanizzazione della società, il raggiungimento degli stadi di meccanizzazione e di produzione del cosiddetto popolo giovane” (p. 11). In questa prospettiva, per Evola, l’America si presenta come il modello di riferimento ideale della Russia sovietica, per questo l’american way of life, viene tratteggiato in modo più cupo e sentito come pericolo più sottile ed invasivo dal filosofo.
Nel 1934, pur rivedendolo in alcune sue parti, questo articolo sarà inserito come capitolo XVI della parte seconda di Rivolta contro il mondo moderno. Qui Evola giungerà, approfondendo il tema del comunismo, a conclusioni in parte diverse da quelle precedentemente esposte. Siamo, infatti, in pieni anni trenta: la Germania, che si accinge a sottoscrivere l’alleanza con l’Italia, sembra fornire concreti strumenti politici e militari per reagire al sovietismo, per la qual cosa, il pensatore romano, fedele alla sua vocazione più profonda, quella di filosofo della pratica, si confronta con il dato storico contingente, senza irrigidimenti dottrinari, e pur criticando ancora il dominio dell’oro e della produzione, giunge alla conclusione che il marxismo era portatore, in quella fase storica, di un carico maggiore di pericolosità, in quanto in esso: “dal personale si retrocede all’anonimo, nel branco, nella pura, caotica, inorganica quantità” (Rivolta contro il mondo moderno, p. 415). Sul piano strettamente politico, inoltre, Evola fa rilevare che il bolscevismo si avvale della straordinaria capacità di calcolo strategico propria dei capi che, sul piano del controllo delle masse, era in grado di determinare un totalitarismo spietato. Tali considerazioni indurranno Evola ad approvare l’intervento italo-tedesco nella guerra civile di Spagna nel 1936, cosa che, con chiarezza, è rilevabile dalla lettura dell’articolo Un nuovo ciclo: il bolscevismo come reagente.
L’antibolscevismo evoliano non è mai stato, però, fine a se stesso: infatti, ha sempre avuto in sé una pars construens, è sempre stato un anticomunismo positivo, pensato, dice Iacona: “su temi, culture, e principi di chiara e netta affermazione”(p. 28), Dalla sconfitta del comunismo ci si augurava sortisse una ripresa dei valori tradizionali. Negli articoli raccolti, infatti, la lotta tra comunismo e americanismo è esperita come interamente combattuta all’interno della modernità, di cui, i due sistemi economici e politici, rappresentano i volti antitradizionali. In un articolo del 1938, Sui limiti del bolscevismo culturale, pubblicato su “La Vita italiana”, Evola chiarisce dove, a suo parere, vadano rintracciate le energie necessarie per resistere alle tendenze catagogiche dell’epoca ultima, e cioè nelle forze formatrici e regolatrici dell’ordine tradizionale, da attivarsi in interiore homine. Ciò ci pare attestare, una volta di più, il carattere eminentemente platonico dell’uomo evoliano, che attiva, in un processo reattivo, indotto dal confronto con la realtà contingente, quelle potenzialità ordinanti e trascendentali che sono qualità dei pochi, ma che consentono di tenere le posizioni interiori, nonostante la caduta generale.
Gli articoli dell’antologia sembrano mostrare che il massimo livello di antisovietismo, Evola lo raggiunga negli anni difficili del secondo conflitto mondiale. Considerò strumentale il patto Molotov-Ribbentrop e mantenne le distanze da quegli esponenti della sinistra fascista che, dalla stipula del patto, trassero conseguenze affrettate di tipo ideologico, in merito a un’alleanza antieconomicista tra Asse e Sovietici (il rapporto con Berto Ricci andrebbe, comunque, ripensato alla luce della necessità, individuata dai due pensatori come imprescindibile, di costruire nuove aristocrazie spirituali). Le devastazioni degli ultimi anni di guerra, come attestano in particolare gli articoli scritti per “La Stampa”, accentuarono in Evola, non solo, le posizioni anticomuniste, ma altresì la necessità di difendere, anche fisicamente, le ragioni della causa tradizionale. Seguendo cronologicamente gli scritti che la raccolta propone è possibile, inoltre, cogliere gli aspetti essenziali dell’itinerario evoliano nel dopoguerra, periodo nel quale il recupero delle tematiche antiamericane e anticomuniste è netto. Da alcuni scritti si evince la polemica contro il Quarto stato, all’interno del dibattito su temi sollevati dalla sinistra missina di Massi (Il Mito del Quarto stato, in “Meridiano d’Italia”, 8 Gennaio 1950). E’ in questo clima che Evola attraversa indenne, o quasi, il processo dei Far, giungendo a posizioni di prossimità con la destra missina: ciò lo induce a schierarsi a favore del Patto atlantico, ovviamente in funzione pratico-strumentale e non ideologica.
In Imparare dal comunismo, in “Meridiano d’Italia”, 12 Aprile 1953, Evola stimola le destre italiane a darsi un’organizzazione capillare, in grado di agire sulla realtà alla luce di una visione del mondo. Per questo dette alle stampe Gli uomini e le rovine, con l’intento di fornire strumenti ideali a un ambiente che ne era privo e che, a causa della propria sordità, ne rimarrà privo ancora per molto tempo. Cosa, questa, esemplarmente dimostrata anche quando, dalle pagine del “Conciliatore”, fu lanciato un appello per la definizione di un Manifesto degli anticomunisti, al quale risposero Evola e pochi altri. Al riguardo è, quantomeno, avventato sostenere, come fa Cassata nella sua monografia, ideologica e pregiudiziale nei confronti di Evola, che il filosofo nella fase 1960-68, si fece sostanzialmente teorico della costruzione di una Destra Nazionale sulla spinta delle proposte politiche almirantiane. Iacona chiarisce bene che, il progetto di Evola di una Grande Destra, è decisamente antecedente a questa fase e risale agli anni ’50. Per di più, sul piano della effettiva proposta, l’idea politica del filosofo non coincise mai con quella della Destra concretamente presente nell’agone politico italiano.
In questo stesso contesto, il curatore mostra l’inanità dell’accusa di “golpismo” rivolta a Evola dallo stesso Cassata, in merito al noto articolo C’è un democratico con una spina dorsale?, in “ L’Italiano”, luglio-agosto 1960, mostrando che in esso Evola intendeva allertare le forze autenticamente nazionali, intorno ai rischi che la libertà correva nel nostro paese e spingerle, in termini provocatori, a una reazione unitaria.
L’antologia si chiude con gli scritti evoliani pubblicati sul “Borghese” nell’annus mirabilis 1968. In essi, Evola chiarisce che la rivolta studentesca, portatrice della visione del mondo francofortese, solo apparentemente era una via di liberazione dal modello borghese. In realtà, il marxismo, caratterizzato in termini freudiani, di Marcuse rappresentava un’ulteriore apertura verso il basso, che la ha moa ha mostrato trasformarsi in volano della pervasività del più sfrenato consumismo che, per realizzarsi compiutamente, doveva sbarazzarsi dell’ingombro dei corpi intermedi e della famiglia, in nome di quel clima, esistenziale e teorico a un tempo, che Augusto Del Noce chiamò “nichilismo gaio”. Certo, le posizioni di Evola sul tema dell’anticomunismo possono anche essere criticate, ma mostrano una loro intrinseca coerenza. Chi scrive ritiene che, di fronte alla realtà del mondo contemporaneo, la filosofia della tradizione non solo possa, ma debba, essere coniugata con i valori della socialità, e che debba dar luogo, per rispondere all’esigenza, sempre più avvertita, di una maggiore sobrietà individuale e collettiva, a un progetto di socialismo nazionale come quello teorizzato, anni fa, da Giano Accame, senza con ciò riproporre equivoci ideali, come il cosiddetto nazi-maoismo, ricordato e discusso da Iacona, nelle pagine stimolanti del libro che abbiamo presentato.
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