Alla radio di Monaco

wolfsschanzeProlungai di qualche giorno il mio soggiorno a Bad Reichenhall perché si sperava di avere da un momento all’altro qualche comunicazione decisiva da parte germanica. Infine decisi di partire. Ma proprio alla vigilia della partenza – era l’8 settembre – verso le dieci di sera, giunse al nostro albergo la notizia del tradimento e l’invito a recarci subito, Preziosi ed io, a Monaco. Fummo accompagnati alla radio. La prima idea era stata di far lanciare immediatamente da là, quella notte, un appello al popolo italiano. Funzionarono le linee telefoniche dirette. Si attese. Si discusse. Venne poi un contrordine. Si trascorse a Monaco il resto della notte e l’indomani mattina a bordo di un caccia si partì per Berlino e da Berlino – dopo essere sfuggiti ad un intercettamento per opera di aerei alleati – per il Quartier Generale di Hitler.

Questo si trovava allora a Rastenburg, vicino al confine della Prussia Orientale. La Prussia Orientale è una grande squallida regione dal paesaggio uniforme; si compone quasi esclusivamente di foreste fitte di alberi dal fusto nudo e diritto e dalle brevi chiome, di laghi di varia grandezza e di tratti sabbiosi. A Nord, essa dà sul Kurischer Haff, le strane spiagge di sabbia bianchissima ove ancora vivono gli alci iperborei dalle grandi corna. Rastenburg è la stazione ferroviaria di un piccolo villaggio. Ad una certa distanza da essa, nascosto in uno dei boschi, si trovava il Quartier Generale del Führer, alloggiato in due semplici baracche. Poco distante, nel fitto di un altro boschetto, vi era la baracca di Ribbentrop; più lontano, la residenza di Himmler. In prossimità, un piccolo aeroporto e, mascherata, una potente contraerea (di fatto, anche grazie all’uniformità del paesaggio, sembra che il Quartier Generale non sia mai stato individuato e bombardato). A una certa distanza dalla stazioncina ferroviaria vi erano alcuni binari morti. Su di essi, con l’aspetto di vagoni abbandonati o in demolizione, si trovavano carrozze di treni speciali che al bisogno potevano venir subito attaccati a locomotive e fatti partire.

Scesi all’aeroporto, fu in uno di questi gruppi di vagoni che venimmo alloggiati. E là trovammo il primo nucleo di fascisti, riparati in Germania: vi era Alessandro Pavolini, Vittorio Mussolini, Renato Ricci. Farinacci era alloggiato a parte, vicino alla residenza di Himmler. In seguito, dovevano aggiungersi Cesare Rivelli, che si occupò della radio e che nel primo periodo della Repubblica Sociale diresse l’emittente fascista di Monaco; poi due giornalisti fascisti già residenti in Germania, Angelo V. Verderame e Ugo Valla. Gruppi di due cabine da carrozza-letto unite fra loro costituivano l’alloggio di ciascuno di noi. Poi vi era un intero vagone come sala da pranzo e da lavoro e un secondo vagone ove si trovava un’installazione per la radio collegata con Monaco.

La sera stessa del nostro arrivo – il 9 settembre – Preziosi e io fummo subito ricevuti da Ribbentrop. Data la mia conoscenza del tedesco, facevo io da interprete. Le prime parole che Preziosi disse al Ministro degli Esteri furono: «In Germania come in Italia il mio destino sembra che debba essere quello di Cassandra». Intendeva dire che a nulla era valso che egli avesse preveduto ciò che si maturava – da un lato il 25 luglio, dall’altro l’8 settembre; quel che aveva detto prima a Mussolini e poi a Hitler era rimasto senza effetto e gli uomini si erano lasciati sorprendere dagli eventi.

Ribbentrop ci disse essere desiderio di Hitler che i fascisti rimasti fedeli all’idea e al Duce lanciassero immediatamente un appello al popolo italiano annunciando la costituzione di un contro-governo che confermasse la sua fedeltà all’Asse secondo la parola già data e poi non mantenuta dal Re. Gli altri fascisti erano stati avvertiti. Non si doveva perdere tempo. E così fu dal nostro gruppo, da quella desolata regione nordica, da quei vagoni mimetizzati, che l’indomani partì sulle onde dell’etere il primo annuncio della costituzione del secondo fascismo e di ciò che fu battezzato «il fronte italiano dell’onore».

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Brano tratto da J. Evola, Diario 1943-1944, SeaR Edizioni, Scandiano 1989, pp. 28-31. Il testo fu originariamente pubblicato su Il popolo italiano di Roma, in cinque puntate, a partire dal 14 marzo 1957.

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