Questo mio vuole essere un corollario, credo necessario, al precedente articolo su Paolo di Tarso.
In effetti avevo ipotizzato l’esistenza di una corrente gnostica originaria già nel I secolo nel movimento cristiano. Ora, come sappiamo fra gli autori più antichi di scritti gnostici, già attivi nel I secolo, il più noto è Simone, dottore di Samaria, detto “mago”, coevo degli Apostoli. Di sicuro è uno dei pochissimi del I secolo di cui ci sia pervenuto il nome.
La questione se Paolo di Tarso e Simon Mago siano la stessa persona, successivamente scissa in due figure letterarie diametralmente opposte, canonizzata ed “edulcorata” la prima nella figura dell’Apostolo, demonizzata la seconda, è cosa meno peregrina di quanto a tutta prima possa pensarsi.
La tesi è stata in realtà sostenuta dal Baur e dalla Scuola di Tubinga, e già per questo merita di essere seriamente considerata: noi tutti conosciamo l’alta serietà dell’erudizione e della filologia germanica, specie in studi teologici. L’attento lavoro del Baur si focalizzava sull’analisi delle Omelie pseudo-clementine e delle leggende apocrife che vertevano sulla vicenda dello scontro fra Pietro e Simone Mago, rilevando anzitutto una stratificazione di redazioni le quali tuttavia non riuscivano a nascondere una profonda analogia tra le dispute petro-simoniane con quelle petro-paoline. Sebbene si tratti di una ricerca datata (seconda metà dell’Ottocento) rimane una tesi di profondo interesse storico: per Baur si tratterebbe di un tentativo di riconciliazione fra la fazione gentile e universalista paolina e quello ebraica di Pietro, in seguito alla quale gran parte della “pubblicistica” o del materiale scritto propagandistico contro la corrente paolina dovette essere riconvertito e imputato ad un nuovo eretico, in questo caso Simone Mago, personaggio “simobolico” che si assunse le invettive inizialmente rivolte all’eterodosso Paolo. Questo materiale confluì negli Atti degli apostoli, e ispirò parallelamente leggende apocrife di vari apologisti che accentuarono la triste fine di Simon Mago, in seguito in funzione antignostica.
In effetti è ormai abbastanza ricostruito il clima di scontro tra Paolo e la fazione giudeo-cristiana, ebionita, che lo considerava un eretico, e sospettava addirittura che non fosse ebreo. Purtroppo se presa alla lettera, la tesi della scuola di Tubinga rischia di negare la storicità di Simone.
Questa posizione fu approfondita da altri, il più radicale dei quali è stato il teologo tedesco Detering. Nel suo recente libro Der gefälschte Paulus (id est: “il Paolo falsificato”) articola la sua tesi su una profonda interpretazione filologica delle lettere paoline fino a contemplare passaggi di fonti indirette.
Per queste ultime si parte da Giuseppe Flavio che parla – come fa notare il Detering- di un certo Simone di Cipro, dottore gnostico attivo in Samaria, chiamato “atomo”, che in greco colloquiale significa “piccolo”.
In latino anche “paulus” o “paululus” avrebbero lo stesso significato. In effetti nell’iconografia tradizionale San Paolo è spesso raffigurato basso di statura. Una sorta di Simone Paolo?
Negli Atti viene detto che a Paolo venne imposto il nome di Saulo, cioè Saul, un nome veterotestamentario. Gli Atti non spiegano perché.
Ma ora noi lo sappiamo: erano gli anni in cui dominava la fazione “ebionita” (l’antico cristianesimo dei circoli giudaici) e Paolo dovette assumere un nome ebraico per essere accettato. Ma allora segue che non era ebreo… e dunque poteva venire dalla Samaria come Simon Mago (i Samaritani non erano ritenuti propriamente ebrei), oppure da Cipro. Tutti indizi interessanti ma che, come si sa, non fanno una prova.
Inoltre, sia Simone che Paolo sono antinomiani: Paolo esalta la Grazia contro la Legge “Tutti coloro infatti che si appellano alle opere della Legge stanno sotto maledizione..” Gal. 3,10 (e questo accomuna in effetti la dottrina paolina con la gnosi simoniana); poi, entrambi sarebbero stati colpiti da lebbra, entrambi “presenti” secondo la leggenda a Roma sotto il regno di Claudio (questo però riguarderebbe Simone solo prendendo a riferimento gli Atti di Pietro, apocrifo attribuito a Leucio Carino).
E poi, come mai Marcione non cita mai Simon Mago? Perche lo conosceva sotto altro nome: Paolo, come vogliono i sostenitori di questa teoria. Argomento specioso secondo me: perché, come non si può dedurre la non storicità di Paolo, solo perche Giustino Martire non lo cita, così non si può negare la storicità di Simone in assenza di una sua citazione da parte di Marcione.
La presenza di Marcione è essenziale, perché Detering basa gran parte del suo lavoro, non più sulla base delle pseudo-clementine, come Baur, ma su materiale canonico, le lettere paoline. Da una sinossi molto rigorosa fra le lettere paoline “canoniche” della Chiesa cattolica e quelle marcionite, Detering sostiene che la versione più antica è quella di Marcione. Si tratta di considerazioni filologiche che mostrano come nella versione cattolica – se confrontata con quella marcionita – siano presenti delle aggiunte evidentemente posteriori che suonano, nel testo greco, come delle sgrammaticature e che inoltre denotano incoerenze teologiche con il resto del testo.
Per esempio in Galati 1,1 leggiamo, nel testo cattolico, un “kai theou patros” che manca invece nel testo di Marcione, e “auoton” che presenta lo spirito dolce. Marcione riporta invece “auton” con spirito aspro, che sarebbe la forma contratta di “eauton” (= sé stesso, pronome riflessivo). Anche gli autori antichi come Tertulliano conoscevano queste divergenze nel testo.
Il passo suona così nella versione marcionita:
“Paolo apostolo non da parte di uomini, né per mezzo di uomo, ma per mezzo di Gesù Cristo, che ha resuscitato sé stesso dai morti.”
Il testo canonico dice invece:
“Paolo apostolo non da parte di uomini, né per mezzo di uomo, ma per mezzo di Gesù Cristo e Dio Padre che resuscitò quello dai morti”.
In passato fu sostenuto dall’Harnack, che il rimaneggiamento fosse dovuto a Marcione, che ne avrebbe modificato il testo in favore della sua cristologia modalista (la Trinità esprime solo tre modi diversi dell’Unica persona divina). Cristo non era stato resuscitato da Dio padre, ma da sè stesso, essendo egli stesso Dio.
Tuttavia vi sono altri passi del testo di Marcione in cui viene ribadito (Romani 8,11; Efesini 1, 20) che Gesù fu resuscitato da Dio padre. Ma perché allora Marcione si sarebbe dimenticato di cancellare anche questi passi?
Nel testo greco del passo citato è presente dià + genitivo (in senso di complemento di mezzo). Nel testo “cattolico” questo dià andrebbe coordinato non solo con “Iesou Christou” ma altresì anche con “e Dio Padre” e qui cominciano i problemi. Se cioè ha senso riconoscere a Gesù un ruolo di “mediatore” non ha alcun senso estendere questa funzione a Dio padre. Vi ha così da accogliere che la stessa preposizione deve avere funzione di complemento di mezzo riferita a Gesù e di causa riferita al Padre. Ma questa è davvero una sgrammaticatura: in greco corretto si userebbero due preposizioni distinte, possibilmente diverse per non crear confusione.
Segue che kai theou patròs è stato aggiunto per un rimaneggiamento dei redattori cattolici. Inoltre, mentre il testo originario rimarca che Cristo appartiene a un piano contrapposto a quello umano (“non per mezzo di uomo”), la successiva versione canonica subordina Gesù Cristo al Padre, dal quale solo sarebbe resuscitato: questo per far sparire ogni traccia di modalismo.
Argomenti come questo mi inducono a ritenere, con Detering, che la versione originale fosse quella marcionita, e l’editio princeps delle vere lettere paoline sarebbe quella del vescovo Marcione. Essa è, senza dubbio, la lectio facilior. Del resto Marcione fu il primo a proporre la canonicità delle lettere di Paolo, e parlare di “canone” prima ancora che nascesse un’ortodossia cattolica per opera dei Padri della Chiesa latina.
Va notato che Marcione al suo tempo (80-160 d.C.) non cita né conosceva gli Atti degli apostoli, come noi li intendiamo ma solo un apostolikon che consisteva in sostanza in dieci lettere paoline.
La lettera ai Galati citata sopra mostra senza dubbio come Paolo derivi la sua filiazione apostolica direttamente da Cristo e “non per mezzo di uomini”, e questo sembra voler confutare la posizione degli Atti in cui Paolo non conobbe Cristo e venne ad essere reclutato nel gruppo dei dodici, in dipendenza da essi.
Il Paolo di Marcione sarebbe addirittura depositario unico di una rivelazione sovrannaturale che altri apostoli non ebbero: il “solus Paulus”, citato anche da Ireneo.
Giustamente si rileva come nella versione di Marcione mancano alcune parti della lettera ai Galati (1,18 e 1, 24) facendo intendere che Paolo viaggiasse dall’Arabia verso Damasco senza tappe intermedie per Gerusalemme, riducendo di molto il numero di contatti con il gruppo dei dodici.
Sul piano dottrinale vi sono affinità fra certe vedute di Marcione e quella Gnosi secondo Paolo che scrissi precedentemente.
Passi pro-docetisti sono quelli presenti in Romani 8, 3 e in Filippesi 2,7, in cui si dice che Cristo scese sulla terra in sembianza o somiglianza (homoioma= somiglianza) di uomo. Non si parla affatto della doppia natura di Cristo (concetto imposto dai cattolici diversi secoli dopo) ma di un corpo apparizionale, tipico del docetismo gnostico.
Vi è un aspetto dualistico della divinità in Cor 2,6; Ef 2,2; 6; Cor II 4,4, ove si parla di Theos tou toutou aionos, il dio di Questo Mondo, cioè Satana. Ma lo chiama Theos (dio), perché sa come gli gnostici che il Demiurgo è una potenza intrinseca alla dialettica del Divino, e perché come dio veniva adorato dagli ebrei che seguivano la lettera della religione monoteistica. Anche Marcione contrappone il Dio Buono di Cristo al Dio Giusto (demiurgico creatore, e dio dell’Antico testamento).
In Efesini 3,9 ci scontriamo con un’altra manipolazione: nel testo marcionita Paolo parla di un “mistero nascosto da secoli ad opera del dio che creò tutte le cose” (universo fenomenico), di nuovo riferimento ad un demiurgico “dio di Questo Mondo”, con funzione ostacolatrice: tenere nascosto il mistero del Christo. La versione cattolica modifica il passaggio introducendo un’altra preposizione: parla di un mistero nascosto in Dio, e non da dio. Era evidente che l’originaria idea gnostica fosse incompatibile con la nuova teologia cattolica che poi era quella vecchia: giudaica.
Da notare che il passaggio alla versione canonica compromette l’intelligibilità della frase: cosa vorrebbe dire un mistero nascosto in Dio?
Tutto questo mi trova d’accordo perché io stesso ho sempre sostenuto manipolazioni posteriori da parte dei Padri della Chiesa nascente. Inoltre è comprovata la relazione fra marcionismo e paolinismo.
Tuttavia il Detering cade nell’estremo opposto, inaccettabile a mio avviso, proposto dalla Scuola olandese di Critica Radicale, che attribuisce la paternità delle lettere paoline allo stesso Marcione e/o alla sua scuola.
E’ evidente che si cade quasi nell’assurdo.
Si viene così a sommare le tesi del Baur, secondo cui Simon Mago altri non sarebbe che una caricatura dell’apostolo Paolo fatta dall’autore filopetrino delle pseudo-clementine; che Paolo sarebbe un personaggio letterario, quasi uno pseudonimo di Marcione; che gli Atti degli apostoli sono stati scritti dopo il 160 d.C. Si finisce così per dover ammettere che Paolo, Simon Mago e Marcione sarebbero un’unica persona!
Vero è che mai nessuno cita gli Atti prima del 177 d.C. Tuttavia ormai è ormai abbastanza saldamente accertato che gli Atti sono opera della seconda metà I secolo, sia pur rimaneggiata in senso pro cattolico, o meglio giudeo-cristiano, in seguito al delinearsi di una corrente maggioritaria con una sua proto-ortodossia, o quanto meno che essi si basino su una redazione originaria risalente agli ultimi decenni del I secolo.
Escluderei le conclusioni più estreme di Detering: Paolo a parte, Simon Mago e Marcione sono autori legati entrambi alla Gnosi, ma le loro dottrine, per quanto ci è dato di conoscerle, sono sin troppo distanti, sul piano formale, salvo i punti comuni presenti nello gnosticismo in generale.
Peraltro Marcione da alcuni non è neppure ritenuto uno gnostico in senso stretto.
Paolo è un personaggio che, al netto di ovvie e purtroppo ineliminabili stratificazioni spurie e manipolazioni, presenta una sua storicità, come scrissi anche nei commenti al precedente articolo, e certi fatti narrati negli Atti presentano evidenze addirittura archeologiche. Così la sua predicazione in Grecia, l’incontro con il mondo pagano ellenico o meglio con la cultura ellenistico-scettica e “desacralizzata” di parte della filosofia greca del tempo, presentano una verosimiglianza storica innegabile. I riferimenti cronologici precisissimi a governatori romani sottintendono qualcosa di più che un semplice personaggio letterario. Paolo, fosse davvero ebreo oppure no, è davvero esistito.
Marcione è un autore cristiano, che però comprende molti temi della Gnosi, compreso il Mistero del Demiurgo, dio caduto, e compie un’opera esegetica sull’ispirazione dell’Antico Testamento per mostrare la discontinuità del Cristo rispetto al dio demiurgico dell’ebraismo. Le affinità sono più tra Paolo e Marcione.
Il vangelo di Marcione è simile a quello di Luca, di scuola paolina (Luca era discepolo di Paolo). Se seguiamo i padri della Chiesa (Tertulliano), Marcione aveva espunto i passi che non gli piacevano, forse intorno al 130. D’altra parte, se seguiamo l’altra pista, quei passi “di Luca” sarebbero interpolazioni della corrente patristica e protocattolica.
La cosa è meno controversa per le lettere poiché è piuttosto chiaro ormai che l’edito princeps dovrebbe essere quella marcionita e non certo quella oggi “canonica”.
Simon Mago invece appartiene ad una corrente gnostica storicamente di origine non cristiana, anche se collegata ad essa attraverso una filiazione proveniente da Giovanni Battista, come vuole la tradizione, insieme al suo maestro Dositeo. Nella sua esposizione dottrinale, la Megale Apophasis (citata da Ippolito), Simone parla del Logos e della sua controparte femminile, e della caduta di questa. Temi forse che si possono, in parte, intravedere come “sottintesi” in Marcione o in Paolo, ma non certo esplicitamente dichiarati, sicuramente non parlano dell’eone femminile. Jahvè sarebbe il capo degli angeli invidiosi creatori del Mondo per i simoniani, e su questo può esservi una certa convergenza con Marcione, che tuttavia non è così ardito in termini metafisici.
E’ probabile che nell’appellativo di Mago sia da leggervi – ben oltre i testi canonici, molto pacchiani nel dipingerlo come cialtrone o un fachiro dai poteri psichici- una connessione con le dottrine dei Caldei, dei Medi e dei Persiani, alla cui sapienza attinsero i samaritani più degli altri Ebrei. Caldei e Persiani erano quegli stessi popoli da cui venivano i famosi tre Re della tradizione apocrifa, essi stessi detti, non a caso, Magi. In effetti sappiamo da Ippolito che Simone identificava la Radice Universale con il Fuoco, il che rafforzerebbe l’idea di una qualche ascendenza mazdea o zoroastriana.
Dai pochi passi citati da Ippolito, si evince che Simone professava un sistema gnostico in linea con tutte le grandi metafisiche tradizionali, in cui dal principio primo, Radice universale (l’Assoluto inconcepibile) si manifestano due poli: maschile e femminile. O meglio da esso stesso, in quanto Potere illimitato, si manifesta Il Grande Pensiero o Concezione (suo aspetto femminile). Questi due poli si dispongono metafisicamente all’alto e al basso (da intendersi in senso analogico, non fisico). Tra di essi il piano intermedio viene generato in quanto Spirito, detto anche Aria incomprensibile; in esso risiede il Secondo Padre, il primo essendo il Potere illimitato cioè l’ aspetto “maschile” della Radice Universale. Questo secondo Padre è il dio personale, un dio minore, diremmo un Demiurgo, in quanto “sostiene tutte le cose che hanno principio e fine”. Mentre una parte della Concezione rimane inseparabile dal Potere illimitato, in quanto Grande Pensiero, una sua parte – detta semplicemente Pensiero – scivola verso il “basso” nel suo posizionarsi in chiave cosmogonica, si posiziona così nell’ultimo gradino del Mondo intermedio, regno del Secondo Padre e da qui opera la generazione degli “angeli e arcangeli” che creano il mondo materiale. Gli angeli, esseri imperfetti, tuttavia imprigionano questo Pensiero (la Sophia decaduta). Sono questi stessi angeli quelli che Paolo nomina come “Principati e Potestà, Arconti sparsi nell’Aria” (Ef 6,12, il corsivo è mio, N.d.A).
Comunque, tornando a richiamare il pensiero di Marcione, sono questi stessi angeli ad aver ispirato gran parte dell’Antico Testamento.
Come si vede il sistema simoniano, perfettamente in linea con tutta la Tradizione, è metafisicamente assai più maturo ed evoluto, in questi pochi passi, di quanto non appaia in tutta l’opera completa delle lettere di Paolo e delle opere di Marcione, in cui i temi gnostici sono appena accennati, né vi è una impalcatura di pensiero così correttamente e chiaramente articolata.
Semmai in Marcione prevale una profonda capacità esegetica nell’indagare l’Antico Testamento e di leggervi l’opera del Demiurgo. In Paolo predominano spesso le note mistiche o morali, tuttavia non mancano cenni di profonde intuizioni di alcune verità della Gnosi e, soprattutto, una strana e misteriosa anticipazione del glossario gnostico.
E’ evidente però che si tratta di tre autori troppo diversi. Soprattutto Paolo (o Marcione se fosse,come vogliono alcuni, il vero autore delle lettere di Paolo) è a culturalmente estraneo al mondo sincretico di Simone, i cui orizzonti culturali sono assai più ampi, estendendo la sua esegesi esoterica non solo alle scritture ebraiche ma anche al mito omerico della Guerra di Troia (fatto questo su cui ritorneremo dopo).
Ultimo punto: è abbastanza incomprensibile la storia canonica riportata dagli Atti degli apostoli (8,10) anche perchè, a dar credito alle stesse leggende anti-simoniane (le già dette pseudo-clementine), acerrime contro Simon Mago, questi sarebbe stato discepolo di Giovanni battista, dunque sarebbe davvero strano che egli chiedesse il Battesimo al diacono Filippo e a Pietro. E’ possibile allora che, nella confusione dei due personaggi (su cui torneremo), si volesse alludere a Paolo, effettivamente battezzato dai giudeo-cristiani, anche se non da Filippo ma da Anania, e non in Samaria ma a Damasco? E’ impossibile dirlo con certezza.
Infine la vicenda, apocrifa, della morte di Simone a Roma nel corso di una gara di miracoli con S. Pietro, non merita interesse rientrando nella mera favolistica oltretutto alimentata da una evidentissima partigianeria cattolica…
Vediamo di trarre le conclusioni di questo excursus.
A mio avviso Simone e Paolo sono personaggi distinti appartenenti al I secolo, Marcione del II, con buona pace di certi fantasisti olandesi della “filologia creativa”, e sono personalità distinte con bagaglio tecnico, forse somigliante su alcuni punti, ma diverso. Tuttavia dobbiamo prendere atto che, nelle pseudo-clementine, gran parte della polemiche anti-simoniane sono in realtà le stesse accuse mosse alle scuole paoline (apertura al mondo pagano, rifiuto della Legge, allontanamento dalla tradizione mosaica), mentre ben poco ritroviamo del Simone dottore gnostico in questo Simon Mago, nemico degli apostoli, della letteratura sia canonica che apocrifa.
Queste osservazioni del Baur sono ineludibili.
Io propendo per quello che propone Mead, traduttore anche della Pistis Sophia, secondo cui in alcuni passaggi vi sarebbe una stratificazione di riferimenti per cui in certi momenti Simon Mago diventa un simbolo per mascherare l’apostolo Paolo e tuttavia “sarebbe imprudente andare all’estremo e credere che ovunque è menzionato Simone si voglia menzionar Paolo”.
Nel tentativo di ricostruire le evoluzioni storiche delle prime fazioni cristiane, possiamo trovare la chiave per sbrogliare questo rebus, o almeno rendere comprensibili queste sovrapposizioni. Vediamo come.
Coma abbiamo visto già nel 50 circa si è creata una linea di frattura tra la fazione giudeo-cristiana (proto-ebionita) e i gruppi di quel cristianesimo ellenistico-gnostico che seguono Paolo. Gli Atti degli apostoli non sono ancora stati scritti né lo saranno prima che la disputa non venga sanata. Tuttavia è lecito supporre che la joint venture tra Pietro e Giacomo salta: le prospettive dei due gruppi sono troppo distanti, Giacomo rimane episcopus della sua comunità essena originaria, verrà martirizzato come vuole la leggenda patristica oppure, verosimilmente, si defila proseguendo in segreto la sua attività di capo di una comunità iniziatica. Pietro è semplicemente il capo di una fazione exoterica senza alcun intendimento della Gnosi (come ricorda l’antico Vangelo di Tommaso, l’unico ad essere scritto a quell’epoca). Tommaso si reca in India probabilmente (secondo le fonti) e con lui questo filone si allontana per sempre dal mondo mediterraneo.
Giovanni si ritira ad Efeso, e sembra essere l’ultimo sopravvissuto dei Dodici e l’ultimo a scrivere un vangelo. Forse per questo ci si aspetta da lui l’ultima parola.
Il Vangelo che porta il suo nome è in realtà un centone comprendente molte cose che non stanno insieme: un prologo di natura gnostica o gnostico-ellenistica, con tratti dualistici (luce/tenebra) e una vistosa dipendenza da Filone, l’ebreo platonico.
I primi dodici capitoli che seguono fanno parte di un “vangelo dei segni” attualmente scomparso. Il restante è opera di collage piena di duplicazioni, non sequitur e dissonanze. E’ opera evidentemente posteriore, frutto di manipolazioni vistose e marchiane, per metterlo in linea con gli altri sinottici o introdurre spunti anti-adozionisti. Ad esempio, esso è pieno di vistose contraddizioni teologiche, segni evidenti di sovrapposizioni, con passaggi anti-adozionisti quali “Io e il padre mio siamo una sola cosa” (Gv 10,30), ed altri che sono invece adozionisti: “Il Padre mio è più grande di me” (Gv14, 28), fino ad altri che negherebbero la natura divina di Gesù: “Cercate di uccidere me che sono un uomo, che vi ha riportato la verità che ha appresa da Dio”(13,40).
Il suo pensiero – ammessa l’identità che si vuol far passare fra l’autore di questo vangelo e quello dell’Apocalisse – è assai difficile da ricostruire, ed è un rebus nel rebus. Sembra evincersi peraltro una polemica antidocetista con la comunità cristiana di Tommaso. L’Apocrifo di Giovanni è invece docetista, ma la Lettera di Giovanni, un apocrifo filo-cattolico è di nuovo antidocetista. Ci sono troppe mani dietro il nome di Giovanni, come del resto dietro il suo vangelo.
Sembra che Giovanni, evangelista con idee teologiche già più strutturate, sia stato terreno di scontro e di stratificazione di polemiche appartenenti già al II secolo inoltrato. Per fortuna ora lo teniamo fuori.
Veniamo a Paolo: egli è estraneo al nucleo dei Dodici, forse non è nemmeno ebreo, ha una cultura greca, e sa relazionarsi con il mondo dei gentili. Alla lunga, nell’estendersi delle comunità la sua linea è quella che conta più “iscritti” e non si può prescindere da lui. Pietro comanda una fazione ebionita che esclude i non giudei dalla nuovo fede; gli ebioniti dileggiano Paolo come il Nemico, tuttavia alla lunga Pietro deve scendere a patti. Si crea una riconciliazione fra i due partiti.
Vengono così scritti gli Atti degli Apostoli (forse nel 80-90 d.C. col margine qualche decennio prima), per stendere una storia accettabile di quegli anni. Lo scontro fra paolini ed ebioniti sembra essere sanato nel 50 d.C. a Gerusalemme ma in realtà deve essere durato assai di più. Paolo viene presentato come un nemico dei cristiani in generale che si converte, anche se in realtà doveva essere nemico solo della fazione ebionita.
A riconciliazione avvenuta, la pubblicistica antipaolina viene riscritta cancellando il nome di Paolo, come abbiamo visto, e scaricando le ostilità rivolte a questi su Simone Mago. In effetti questi si prestava bene all’operazione perché nelle sue esegesi dimostrava un forte influsso ellenistico (come accennavo sopra) e pertanto il parallelismo tra i due non doveva neanche essere troppo forzato.
Negli Atti, l’“anima nera” di Paolo viene scaricata tutta su Simone, che ora diventa lui nemico degli apostoli, il persecutore.
Questa letteratura apocrifa si rafforzò nei decenni successivi via via che lo scontro con altre scuole o correnti gnostiche si affacciava all’orizzonte dei Padri. In effetti Simone divenne il proto-gnostico per eccellenza, degno di varie calunnie anche se inizialmente su di lui fu scaricata la polemica antipaolina anziché quella contro lo gnosticismo.
Rimaniamo però nel I sec. La fazione giudaica assorbe quella paolina, o meglio si crea una fusione, tuttavia anche la corrente di Pietro deve cedere: in effetti prevale la visione universalistica della nuova religione come vogliono le chiese paoline. Ovviamente le frange della fazione giudaico-cristiana che non accettano questo nuovo accordo vengono espulse e i Padri del secolo successivo parlano degli ebioniti come eretici impenitenti che si ostinano a seguire le consuetudine ebraiche.
Ma anche il paolinismo viene ridimensionato. L’unità politica raggiunta è troppo preziosa e non si può metterla in crisi con una teologia troppo complessa o impegnativa: serve soprattutto qualcosa di facilmente digeribile dalle masse, ed in ogni caso non possiamo sapere quasi nulla su dottrine segrete eventualmente ancora presenti e in quali comunità. Di sicuro è che si sta creando una religione di massa, in rapida espansione. La corrente paolina deve cedere su un punto essenziale per la Gnosi: il mistero del Demiurgo, il dio di Questo Mondo, non può essere più insegnato. Il grande numero di ebrei convertiti non poteva accettare che la tradizione veterotestamentaria fosse ispirata da un dio demiurgico. Si poteva rinunciare a seguire alcuni precetti mosaici, ma si doveva mantenere la continuità con la tradizione biblico-ebraica, in parte anche per ragioni di orgoglio nazionale. In fondo ben pochi ebrei erano disposti a rinunciare alla visione teologica di fondo di un dio dai tratti personali quale era trasmesso dalla cultura religiosa ebraica popolare del tempo. A perderne fu quindi questo aspetto della “teologia” gnostica, tanto più che per gli gnostici il prototipo perfetto del Demiurgo era proprio il dio biblico. Questo potrebbe essere stato uno dei motivi scatenanti la frattura fra il paolinismo e l’ebionismo nel I secolo. Così la stessa concezione gnostica di Paolo dovette essere abbandonata in funzione di una sua rivisitazione in chiave teologica semplificata, non gnostica, e si riafferma il culto dello stesso dio monoteistico. Così il cristianesimo nascente pur perdendo la forma del vecchio ebraismo si ri-giudaizza nell’essenza. Le leggende dell’origine davidica di Gesù fanno da collante a questa nuova versione, che tende ad assorbire le aspettative del vecchio messianismo nazionalista ebraico nella nuova religione. E si inseriscono nei vangeli che si andavano elaborando in quegli anni (dal 60 al 90-100, più eventuali modifiche successive) dei passi sull’infanzia che parlano di Bethlemme (fatto non impossibile, ma certo non dimostrato) per saldare la vita di Gesù col profetismo dell’Antico Testamento e il mito dell’“acciocchè fosse adempiuta la profezia”. Tutto questo servì a tacitare le esigenze di conservazione giudaica della corrente “ebionita”, ma ebbe la conseguenza nefasta e paradossale di innestare una religione universalistica nell’alveo di un culto nazionale, peraltro il più settario di tutti: l’antico ebraismo!
A ben guardare però fu proprio la protervia e l’intransigentismo dei fanatici ebrei a imporre questo pendant alla nascente nuova fede.
L’operazione non è ovviamente accolta da tutti. Il vescovo Marcione continua a non accettare l’omologazione delle dottrine del Cristo con l’ebraismo e il culto del dio veterotestamentario. Introno al 130 Marcione, di scuola paolina, si lancia in una profonda e coraggiosa esegesi biblica per provare l’inconsistenza di una qualche continuità fra il Dio supremo di Cristo e il Demiurgo ebraico. Costruisce un suo Canone, bruciando sul tempo i Padri della Chiesa. Già abbiamo detto che il suo testo delle lettere di Paolo è da ritenersi più antico di quello proposto dal canone cattolico. Anche il suo vangelo (detto “del Signore”), come accennato sopra, è una versione alternativa del vangelo di Luca. Anche qui, sebbene alcuni autori, come Blackmann, sulla scia di Harnack, hanno sostenuto in passato la priorità del Luca “canonico” supponendo omissioni marcioniane, attualmente la critica (da Knox a Detering) è dell’opinione che il testo di Marcione sia più antico del Luca canonico, e le divergenze sarebbero della aggiunte cattoliche. Marcione denuncia l’interpolazione di tutti i passi evangelici che affermano la continuità fra ebraismo e cristianesimo: egli nega che il Cristo fosse il Messia delle profezie ebraiche, poiché quel “messia” era un capo politico-militare atteso dalla religione nazionalista ebraica e nulla aveva a che vedere con il Cristo, un maestro spirituale dell’intera umanità. Per l’analisi marcioniana dei testi, tutti i passaggi che si richiamano alle profezie dell’Antico Testamento, hanno il marchio di interpolazioni spurie volute dalla fazione ebionita e petrina.
La corrente marcionita rischiava di assorbire in toto il Cristianesimo stesso, nel senso di poter divenire essa la dottrina della “chiesa ufficiale”, tanta la sua diffusione, almeno nell’area orientale, ma essa cozzava contrava la fazione che aveva operato il compromesso petro-paolino, di cui anzi il marcionismo denunciava le manipolazioni e le falsificazioni testuali sui vangeli.
In ogni caso, una volta creata una corrente maggioritaria dalla riconciliazione “petro-paolina”, il dissenso viene prontamente messo a tacere. I Padri della chiesa nascente, già con Giustino Martire, denunciano l’eresia marcionita – che poi potrebbe essere stata, con una certa probabilità, il pensiero originario della corrente paolina – tanto più grave in quanto rischiava di mostrare una vena di dottrina originaria, non manipolata dal compromesso che aveva portato a creare una corrente protocattolica, con pretese di ufficialità.
Arriviamo così nella fase critica, la metà del II secolo, già accennata nel mio primo articolo su Paolo e la Gnosi.
Bibliografia:
H. Detering, Der gefalschte Paulus: Das Urchristentum im Zwielicht, ed. Patmos, 1995.
B. Ehrman, I Cristianesimi perduti, ed. Carocci, Roma, 2003.
Adolf von Harnack, Marcione. Il Vangelo del Dio straniero. Una monografia sulla storia dei fondamenti della Chiesa cattolica, Genova – Milano, ed. Marietti, 2007.
J. Knox, Marcion and the New Testament: An Essay on the Early History of the Canon, Chicago, 1942.
E.C. Blackmann, Marcion and his Influence, London, 1948
G.R.S. Mead, Marcion and the Higher Gnostic Gospel – Pamphlet, Kessinger Publishing, 2006
F. Bianchi, Atti degli Apostoli, ed.Città Nuova, 2003.
Primadellesabbie
Avrò bisogno di tempo per ripensarci ma, questo saggio, pare risolvere diversi problemi sospesi. Grazie.
paolo
Musashi, permettimi una domanda provocatoria. Tu continui ad affermare che i Vangeli sinottici sono documenti assai precoci ( 60-70 d.C.) e così gli Atti canonizzati. Spiegami allora perchè Giustino di Neapoli – in arte 'Giustino martire' – che asseriva di scrivere di teologia al tempo degli Antonini – circa 155 d.C. – non cita, poichè non li conosce, nè alcuno dei Vangeli nè gli Atti nè le lettere di Paolo. Che distratto! Cita invece frasi – che lui etichetta come 'Memorie degli Apostoli – tratte dagli apocrifi Atti di Pilato. Ma allora, se nel 150-155 erano noti gli Atti di Pilato e non i Vangeli canonici, qualcosa non quadra.Come la spieghi questa discrepanza?
Musashi
1) non ho scritto che i vangeli sono stati scritti tra il 60-70. Quella data fa riferimento a dei fatti che non erano accaduti prima del 70 ed è un terminus ante quem che si usa in filologia. Mi riferisco alla distruzione di alcuni monumenti che nei vangeli vengono dati come esistenti (Tempio, piscina di Betsaeta ecc.).
Quanto alle date, io dato il vangelo copto di Tommaso intono al 50,
Marco e Matteo più o meno 65-80. il fatto è che essi si basavano su materiale pre-70, la cosiddetta fonte Q…. Poi possono essere stati elaborati più tardi. ma parte del materiale è piu antico del 70.
Luca tra 80-90.
Giovanni tra 90-110.
Questa è la "mia" datazione, o meglio quella seguita dal 95% della comunità scientifica internazionale (che è fatta da laici!).
2) Giustino non nomina direttamente i sinottici ma questo non è un dato da cui si possa concludere alcunche.!!! Io ad esempio non sto parlando di Berlusconi. ma se uno storico marziano del 3000 dovesse leggere i miei scritti dovrebbe forse dedurre che Berlusconi non sia esistito perche io, suo ipotetico contemporaneo, non lo cito???
Ovvio che si sta commettendo un errore logico.
Vedi paolo, I vangeli all'epoca di Giustino non erano arrivati ancora ad essere canone, nè essi avevano assunto la forma definitiva. Il concetto di Canone, se hai letto il mio articolo, venne sugerito da Marcione in quegli anni. All'epoca molti cristiani non avevano mai letto i vangeli, probabilmente avevano letto al massimo il diatessaeron (riassunto dei sinottici o altre narrazioni affini).
Comunque Giustino cita quelle che dice "memorie degli apostoli" che sono gli stessi vangeli (che in effetti sono proprio delle memorie degli apostoli).. Giustino di Nablus non da riferimenti testuali precisi (non li distingue direttamente nè indica i passi), ma questa sua distrazione è veniale: all'epoca il concetto di rigore filologico che abbiamo noi era pressochè inesistente, e la stessa leggerezza era diffuso presso molti autori antichi…
Egli scrisse due "Apologie" dirette non ai cristiani, ma agli imperatori romani (Antonini): non era certo indispensabile indicare con dovizia e acribìa filologica i passi esatti. Non era opera teologia -non era rivolta ad altri cristiani- era una esortazione agli imperatori pagani, che non avevano sottomano nè i vangeli nè altri scritti cristiani. il fine di Giustino non era dare riferimenti bibliografici (che forse non avrebbe neppure saputo dare: la divisione in capitoli poteva non esserci).
Tuttavia queste "memorie degli apostoli" che dici tu……. analizziamole.
in Apologia I e II egli cita per ben DIECI VOLTE passi tratti dalle "memorie degli apostoli" e queste dieci citazioni hanno tutte riscontro in altrettanti passi evangelici soprattutto Matteo ( o Marco) e Luca. Sembra invece ignorare Giovanni.
Teniamo presente poi che le attribuzioni ai quattro evangelisti sono in realtà puramente ipotetiche (ad es. al massimo si può dire che "Giovanni"sia stato scritto da una Chiesa orientale forse efesina o da un circolo di seguaci di Giovanni). In generale le attribuzioni dei nomi sono molto "convenzionali" e abbastanza posteriori (in effetti possono essere addirittura pseudoepigrafiche). E' anzi ben probabile, come si pensa, che nel I secolo questa nomenclatura per i sinottici non fosse universalmente seguita e questo accresce i motivi per cui gli evangelisti non vengano esplicitamente nominati da Giustino.
Tuttavia egli cita una decina di passi evangelici di Matteo e Luca facilmente individuabili.
Quindi in realtà le sue sono le prime citazioni dei vangeli.
3) In ogni caso Marcione – e questo elimina ogni discussione- nomina gli evangelisti, o almeno alcuni.
e con Marcione siamo nella stessa generazione di Giustino (erano coetanei si può dire).
Riferisce infatti Tertulliano ( Adversus Marcionem, IV,) che che Marcione accusava le manipolazioni a cui furono sottoposti i vangeli "sinottici". In effetti Marcione, riteneva come ho scritto nell'articolo, che essi contenessero delle AGGIUNTE rispetto a quello che lui riteneva essere il "vangelo del Signore"- l'unico autentico a suo dire- che poi era "Luca" ma senza le aggiunte che sarebbero state volute dai cattolici.
Anzi egli rigettava perfino Luca, che era di tutti il più vicino al suo,
Quindi ecco la citazione probante.Vi è un autore del periodo di Giustino (100- 160 circa) che cita vangeli sinottici e li critica, e nomina persino degli evangelisti.
Da notare che stavolta, e questo conferma la mia argomentazione, si tratta non di opera esterna, apologetica, rivolta ai pagani, ma di una discussione tutta interna alla Chiesa. e quindi teologica e filologica. E in effetti Marcione è un po' più circostanziato di Giustino proprio per questo.
..una prova del genere è sufficiente ad asserire l'esistenza di quelle narrazioni evangeliche nel II secolo (epoca di Marcione e Giustino).
Veritas
“Simon Mago era in realtà l’apostolo Paolo?”
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Ho più volte affermato che se non si cerca prima di far emergere il VERO profilo storico di Gesù di Nazareth, nessuna ipotesi sensata si può avanzare circa la sua vera vicenda umana. Un discorso del tutto speculare va fatto per il Paolo di Tarso del Nuovo Testamento: un personaggio di SINTESI, frutto della sovrapposizione sincretica di due personaggi realmente storici..
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Che Paolo possa essere stato Simon Mago, come sostenuto da Detering e da R. Price, non è da escludere a priori. Tuttavia, è assolutamente necessario procedere per gradi, analizzando tutti i possibili risvolti della questione: ne potrebbero derivare scenari assolutamente imprevedibili…
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Veritas
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