Nell’articolo precedente si era analizzata la sostanza dell’equivoco di fondo che si annida dietro il concetto del cosiddetto “Stato laico” ed i pericoli che ne derivano. Ci si chiedeva come fosse possibile recuperare una “spiritualità di Stato” senza necessariamente dover configurare uno Stato confessionale; come provare a riproporre nel mondo odierno ciò che nelle comunità organiche era in linea di massima la normalità, e che oggi evidentemente non può più esserlo.
E’ necessario individuare un modello ideale di transizione, una sorta di ponte che apra la via ad un ritorno, quando la situazione cosmica lo consentirà, alla normalità.
I tratti salienti della soluzione li offre Julius Evola. In sintesi (oltre a rimandare all’analisi contenuta ne Gli uomini e le rovine) si possono estrapolare alcuni concetti fondamentali tratti, in particolare, dal suo articolo “Sulle premesse spirituali dell’impero”.
Nell’articolo, risalente agli anni Trenta, Evola proponeva un modello per il nascente Impero Italiano che il Fascismo cercava di organizzare, rifacendosi all’esempio dell’Impero romano, archetipo del tipo di Imperium fondato su una unità a carattere spirituale e trascendente, in contrapposizione al modello decadente, quale ad esempio quello britannico, fondato su un’unità fittizia, non sostanziale ma puramente burocratico-amministrativa, che finiva per costituire una “creatura di violenza – l’”imperialismo”- e una meccanica, disanimata superstruttura”.
I concetti essenziali esposti da Evola con riferimento al rapporto tra Impero e singoli popoli da organizzare (con le relative tradizioni spirituali, religioni, culture ed etnie) possono facilmente essere riportati al rapporto tra Stato e singoli cittadini, o meglio tra Stato e corpi intermedi della comunità interna, comprese le diverse religioni e, vista la situazione odierna, anche le diverse etnie.
Ne emergono osservazioni importanti: ritenendo anacronistico pensare ad un’organizzazione basata sull’affermazione di una particolare idea religiosa, era necessario per Evola “definire il principio, in funzione del quale si può avere, simultaneamente, riconoscimento e superamento di ogni particolare fede religiosa”. L’impero, e quindi, per il nostro discorso, lo Stato, “nel senso vero, può esistere solo se animato da un èmpito spirituale, da una fede, da qualcosa che si rivolge alle stesse profondità spirituali, dalle quali la stessa religione prende vita. (…) È perciò necessario captare- se così si può dire- le stesse forze agenti nelle fedi, senza però che queste fedi ne risultino comunque lese, ma invece, integrate e riportate ad un più alto livello”.
La soluzione, osservava Evola, “ci è dischiusa dalla concezione, secondo la quale ogni tradizione spirituale e ogni particolare religione non rappresenta che l’espressione varia di un contenuto unico, anteriore e superiore a ciascuna di tali espressioni. Saper risalire fino a questo contenuto unico e, per dir così, super-tradizionale, significherebbe anche raggiungere una base atta ad affermare una unità che non distrugge, bensì integra, ogni particolare fede (…). Trascendere, nella sua etimologia latina, significa: ‘superare ascendendo’ ”.
E’ molto interessante ricordare anche quanto osserva Mario Polia ne Il mistero imperiale del Graal, pag. 73: “E’ logico e normale che fra Tradizione e Tradizione possano esistere divergenze e ostilità talvolta irriducibili, se esaminate dal punto di vista del credo religioso. Diremmo anzi che è fondamentale alla conservazione dell’ortodossia che le divergenze siano intese come tali e non confuse in un pericoloso sincretismo – oggi purtroppo diffusissimo – che tenderebbe a svuotare le singole Tradizioni delle loro caratteristiche peculiari, delle forme rituali, rendendole per ultimo inadatte a trasmettere (tradere) il logos che, in quanto Tradizioni, devono appunto tramandare secondo modalità loro proprie … man mano che si risale dalla circonferenza al centro, dalla forma all’essenza, dal verbo detto al Verbo non proferito si accorciano le distanze fra Tradizione e Tradizione così come i raggi di un cerchio si avvicinano progredendo verso l’unico punto della loro origine. Sennonché proprio questo processo di risalire “per li rami” al tronco è reso impossibile qualora non si partecipi in modo vivente alla Tradizione legittima”.
Applicando questi princìpi al nostro discorso, si individua facilmente la soluzione in grado di garantire allo Stato e, in ordine successivo, alle organizzazioni sovranazionali – quale potrebbe essere una vera Unione Europea – una base organizzatrice, unificante e plasmante, di natura spirituale. Si tratterebbe di individuare una sorta di minimo comun denominatore spirituale ricavato dai principi fondanti delle varie tradizioni regolari presenti all’interno di un contesto comunitario, statale o sovrastatale, e più in generale dai principi fondamentali della Tradizione, nelle sue varie forme, trascendenti o immanenti. Ciò tenendo eventualmente in considerazione, all’interno di un unico spazio geografico-territoriale (elemento spaziale), le varie forme spirituali che si siano susseguite nel tempo (elemento temporale).
Su questo nocciolo duro costituito da dottrina, principi, regole, riferimenti spirituali, patrimonio comune dell’ethos europeo, in grado di garantire una solida difesa contro qualsiasi attacco sovversivo e contro qualsiasi deriva materialistica, si dovrebbe fondare l’attività dello Stato e delle entità sovranazionali in ogni ambito (amministrativo, economico, sociale, ecc.)[1].
Ciò permetterebbe di superare l’empasse rappresentata dallo Stato laico, spiritualmente agnostico – quindi strumento perfetto per l’affermazione di principi materialistici, sovversivi e contro-tradizionali – senza per questo creare uno stato confessionale, orientato cioè solo e unicamente sui principi di un’unica confessione religiosa e non in grado di riconnettersi alla dimensione unitaria dell’Essere.
Ovviamente questa, alla luce della configurazione del mondo odierno, è una soluzione al momento inattuabile per ovvii motivi non solo storico-culturali e geopolitici, ma anche e soprattutto antropologici. Infatti, il baricentro dell’uomo contemporaneo è evidentemente spostato nell’elemento corporeo, o al massimo nei livelli più inferiori (per lo più subcoscienti e irrazionali) dell’elemento animico: l’uno e gli altri assumono pertanto oggi il ruolo direttivo nell’individuo, riducendo a loro strumento, e quindi alterandolo o svuotandolo completamente, l’elemento spirituale.
Nel frattempo, le risposte alle derive laicistiche possono essere date solo su un piano più circoscritto, ma ugualmente importante, e cioè mediante la formazione interiore di uomini e donne con solide basi spirituali, nel contesto di piccole ma operose comunità militanti, snelle unità operative che, coordinandosi tra loro sul territorio, potrebbero, col tempo, costituire una rete organica ed articolata, in grado da una parte di tramandare e mantenere vivi e tangibili i principi del mondo Tradizionale e, dall’altra, di costituire un primo embrione su cui costruire le fondamenta di una nuova comunità organica, che potrà venire concretamente alla luce soltanto in un futuro al momento molto lontano. Questa comunità rappresenterà a sua volta, allo stesso tempo, tanto la materia prima da forgiare e raffinare ulteriormente quanto, nelle sue élites, l’avanguardia di uno Stato finalmente liberato dalle soffocanti catene del laicismo materialistico. Uno Stato come nuova entelechia, manifestazione, emanazione del sacro in terra: si sarà allora realizzato quel modello-ponte prefigurato, in grado di traghettare l’umanità verso una nuova età aurea.
Note
[1] Evola stesso, nel descrivere lo Stato ideale come forza organizzatrice in senso superiore, come forza differenziatrice di tipo spirituale, citò la concezione mussoliniana dello Stato come una delle migliori elaborate, perlomeno sul piano teorico, nel periodo tra le due guerre: “Quando Mussolini dichiarava liquidato il mito democratico della nazione ‘che agguaglia il popolo al maggior numero abbassandolo al livello dei più’, e sosteneva esser, la nazione, ‘né razza, né regione geograficamente individuata, ma schiatta storicamente perpetuantesi, moltitudine unificata da una idea’; quando egli concepiva lo Stato quasi come una ‘entelechia’ che forma dall’interno la nazione; forza sì, ma ‘spirituale’; non ‘semplice meccanismo che limiti la sfera delle presunte libertà individuali’, ma quasi ‘anima più profonda di ogni anima’, ‘forma e norma interiore, e disciplina di tutta la persona’ – quando, su tale base, il mito socialistico veniva respinto, la subordinazione, come il corpo ad anima, dell’economia all’idea trascendente che viene a costituire la nazione, veniva affermata, e si giungeva a quella superiore concezione, nella quale il servizio si giustifica essenzialmente come una via di partecipazione ad una ‘vita superiore libera da limiti di tempo e spazio’ – in tutto ciò gli elementi fondamentali per un nazionalismo positivo, via per una ricostruzione e riorganizzazione antigiacobina, anticollettivistica, spirituale, erano dati”.
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