Julius Evola e l’esperienza del Gruppo di Ur. La storia “occulta” dell’Italia del Novecento

In Italia gli anni fra il 1927 ed il 1929 sono segnati da una vicenda spirituale, esoterica e culturale, sconosciuta al grande pubblico e poco esaminata dagli storici, ma che, nondimeno, è una esperienza importante perché é la più significativa della cultura esoterica italiana (ed anche europea) del Novecento: il Gruppo di Ur, diretto dal filosofo Julius Evola – e l’omonima rivista Ur negli anni 1927-28, poi divenuta Krur nel 1929. Di questo gruppo esoterico facevano parte le personalità più significative dell’esoterismo italiano di quel tempo, quali Arturo Reghini (studioso del pitagorismo e fondatore del Rito Filosofico Italiano), Giulio Parise, Giovanni Colazza (antroposofo, interlocutore diretto e fiduciario di Rudolf Steiner in Italia), insieme ad altri insigni esoteristi quali, ad esempio, Guido De Giorgio, il poeta Girolamo Comi, forse lo psicanalista Emilio Servadio (ma la partecipazione di quest’ultimo è controversa), il kremmerziano Ercole Quadrelli e vari altri altri.

La peculiarità di questo sodalizio stava nell’essere un momento ed un tentativo di sintesi fra varie correnti di spiritualità esoterica, quindi élitaria, selettiva, non accessibile a tutti. Tale sintesi veniva cercata anzitutto sul piano spirituale, “magico-operativo”, poi anche su quello dell’elaborazione culturale, in termini di dottrina esoterica, quale si esprimeva sulla rivista Ur-Krur. Erano infatti presenti nel gruppo una certa corrente massonica (impersonata da Reghini e Parise) che intendeva riportare la massoneria ai suoi significati originari, depurandola delle degenerazioni profane e mondane che l’avrebbero caratterizzata dall’illuminismo francese in poi, insieme alla corrente di ispirazione kremmerziana (impersonata dall’esoterista che sulla rivista Ur si firmava Abraxa), richiamantesi cioè agli insegnamenti di Giuliano Kremmerz (fondatore della Fratellanza Terapeutica di Myriam) alla corrente antroposofica, fino a quella dell’esoterismo cristiano. Evola impersona la linea di un paganesimo integrale distante sia dall’indirizzo massonico (col quale vi fu una rottura nel 1928), sia dall’esoterismo cristiano.

Ciò che noi conosciamo di questa esperienza lo evinciamo dai contenuti della rivista, nonché da quanto lo stesso Evola racconta nel suo libro autobiografico Il Cammino del Cinabro.

Diamo al lettore un sia pur sommario inquadramento storico-culturale per contestualizzare il senso e la funzione di Ur. Siamo nell’Italia del fascismo-regime, per dirla col linguaggio di Renzo De Felice. Le leggi speciali che introducono il regime a partito unico sono del 1926. Gli anni di Ur sono quelli delle trattative fra Stato e Chiesa per risolvere la questione romana, rimasta irrisolta dal 1870 con l’annesso problema del rapporto fra cattolici e Stato unitario.

Sul piano internazionale, il Trattato di Versailles del 1919 ha messo in ginocchio la Germania ed ha lasciato nell’opinione pubblica italiana un profondo e diffuso senso di frustrazione per quella che viene considerata la “vittoria mutilata”. L’economia internazionale è alla vigilia di una crisi – quella di Wall Street del 1929, che influirà profondamente sullo sviluppo delle relazioni fra gli Stati. La nascita del fascismo nel 1919 – ossia di un movimento che si richiama al simbolo romano del fascio littorio – e i primi anni del governo Mussolini dal 1922 in poi segnano un momento importante di apertura di nuovi spazi di influenza della cultura esoterica nei confronti del nuovo indirizzo politico e quindi nei confronti dello Stato.

E’ un tema complesso, inedito fino a pochi anni orsono ed approfondito in modo scientifico, per la prima volta, nel libro Esoterismo e Fascismo (a cura di Gianfranco De Turris, Mediterranee, Roma, 2006), cui hanno contribuito ben 35 studiosi, di diversa provenienza culturale e delle più diverse specializzazioni e che ha rappresentato lo sviluppo elaborativo di una monografia della rivista Hera (al tempo in cui era diretta da Adriano Forgione) sullo stesso tema, pubblicata nel 2003, dallo stesso curatore.

Per entrare meglio in argomento, è bene lasciare la parola allo stesso Evola, in un suo brano significativo nel Cammino del Cinabro: “Già il Reghini, quale direttore della rivista Atanor e poi Ignis… si era proposto di trattare le discipline esoteriche e iniziatiche con serietà e rigore, con riferimenti a fonti autentiche e con uno spirito critico. Il “Gruppo di Ur” riprese la stessa esigenza, però accentuandone maggiormente il lato pratico e sperimentale. Sotto la mia direzione esso fece uscire dei fascicoli mensili di monografie destinate ad essere riunite in volumi epperò coordinate in modo che si avesse, in buona misura, uno sviluppo sistematico e progressivo della materia… Fu adottato il principio dell’anonimia dei collaboratori perché – era detto nell’introduzione – “la loro persona non conta, quel che possono dire di valido non è loro creazione o escogitazione ma riflette un insegnamento superindividuale e oggettivo”… Nell’introduzione, come punto di partenza veniva posto ancora una volta il problema esistenziale dell’Io, la crisi di chi non crede più ai valori correnti e a tutto ciò che dà abitualmente, sul piano sia intellettuale, sia pratico, sia umano, un senso all’esistenza. Il presupposto ulteriore era che di fronte a tale crisi non si scartasse, non si ricorresse a dei lenitivi, ma nemmeno si crollasse, che in base al fatto irreversibile ormai determinatosi si fosse invece decisi assolutamente a “dissipare la nebbia, ad aprirsi una via”, volgendo verso la conoscenza di sè e, in sé , dell’Essere” (J.Evola, Il Cammino del Cinabro, Scheiwiller, Milano, 1972, pp.83-84).

Questa conoscenza ha il carattere di una scienza che, pur non avendo a che fare con cose e con fenomeni esteriori, ma concernendo le forze più profonde dell’interiorità umana, procede in modo sperimentale, con gli stessi criteri di obiettività e di impersonalità delle scienze esatte. Ad essa si lega “una tradizione unica che, in varie forme di espressione, si può ritrovare in tutti i popoli, ora come sapienza di antiche élites regali e sacerdotali, ora come conoscenza adombrata da simboli sacri, miti e riti le cui origini si perdono in tempi primordiali, da Misteri e da iniziazioni”.

Il punto di partenza è quindi il rifiuto dei valori correnti, di tutto ciò che abitualmente dà un senso alla vita; il riferimento è ai valori del mondo cattolico-borghese, verso i quali si avverte una profonda insoddisfazione esistenziale. E’ un tema che già compariva, in forme diverse, nella fase artistica di J. Evola, quella del dadaismo, di cui fu il maggiore esponente italiano; il linguaggio artistico del dadaismo si configura infatti, come una rottura verso i canoni tradizionali dell’arte dell’800 e di tutto il mondo che quell’arte esprimeva.

Tale rifiuto non è però fine a se stesso, ma sfocia in una ricerca costruttiva di diversi e più alti orizzonti,verso una conoscenza di sé e, in sé, dell’Essere, che non è una speculazione astratta, ma una concreta e sperimentale ricerca interiore, secondo una precisa metodica che non è una escogitazione individuale di questo o quell’autore, ma il frutto di una scienza antica, millenaria e universale, al di là delle sue varie forme espressive, secondo le diversità di tempo e di luogo.

Il fine di Ur, sul piano operativo-spirituale, è dunque quello di evocare una forza metafisica, attirandola col magnete psichico costituito dalla “catena” di Ur e dalle correlative operazioni di catena sulle quali, nella rivista omonima, si leggono precise istruzioni. Questa “forza” doveva poi trovare un suo sbocco, una sua estrinsecazione sul piano dell’azione culturale ed anche su quello politico.

Le monografie della rivista furono poi raccolte in volume col titolo della rivista e poi, nella loro prima riedizione (1955, a cura dell’editore Bocca di Milano, poi per le Edizioni Mediterranee di Roma nel 1971) presero il titolo di Introduzione alla Magia, aggiungendo come sottotitolo “quale Scienza dell’Io”.

Nell’introduzione del testo si precisava che il termine “Magia” non era adoperato nel senso popolare e nemmeno in quello adoperato nell’antichità, perché non si trattava di certe pratiche, reali o superstiziose, volte a produrre fenomeni extra-normali. Il Gruppo di Ur si riferiva essenzialmente al senso etimologico del termine (nella lingua iranica la radice “Mag” vuol dire sapiente), ossia ci si riferiva al sapere iniziatico in una sua speciale formulazione, ispirata ad un atteggiamento “solare”, ossia attivo e affermativo rispetto alla sfera del sacro. A tal riguardo si può ricordare una celebre frase di Plotino “Sono gli Déi che devono venire a me, non io agli Déi”, per rendere l’idea di questo peculiare orientamento spirituale. Peraltro la radice Ur in caldaico significa fuoco, ma vi era anche un senso aggiuntivo, quello di “primordiale, di “originario” che esso ha come prefisso in tedesco.

I contributi del Gruppo di Ur davano dunque orientamenti, spunti, sollecitazioni con l’esposizione di metodi, di discipline, di tecniche, insieme ad una chiarificazione del simbolismo tradizionale; inoltre con relazioni di esperienze effettivamente vissute e infine con la traduzione e la ripubblicazione di testi delle tradizioni occidentali e orientali integrati da opportuni commenti, quali, ad esempio, il Rituale Mithriaco del Gran Papiro Magico di Parigi, i Versi aurei di Pitagora, testi ermetici come la Turba Philosophorum, alcuni canti del mistico tibetano Milarepa, passi del canone Buddhista, brani scelti di Kremmerz, di Gustav Meyrink, di Crowley. Un quarto profilo di Ur riguardava i contributi di inquadramento dottrinario sintetico nonché puntualizzazioni critiche.

Evola scrive al riguardo “Indirizzi molteplici di scuole varie venivano presentati, a che il lettore avesse modo di scegliere in base alle sue particolari predisposizioni o inclinazioni”.

Ur si presenta quindi come una elaborazione critica della spiritualità esoterica tradizionale e, correlativamente, della cultura esoterica sia sul piano tecnico-operativo che su quello dell’esegesi testuale e dell’inquadramento dottrinario. Esso è, al tempo stesso, un momento di confronto pluralistico fra vari indirizzi iniziatici, in modo che il lettore possa scegliere avendo una panoramica generale, una visione d’insieme dei molteplici indirizzi operativi presenti nella spiritualità esoterica della prima metà del Novecento.

Va peraltro evidenziato che Ur fu il primo sodalizio a pubblicare il Rituale Mithriaco, fuori da ogni consorteria accademica e fu la prima rivista a pubblicare in Italia alcune pratiche del Buddhismo Vajrayana sotto il titolo La Via del diamante-folgore (si tratta della pratica di Vajrasattva – il Buddha della purificazione – e della sua “Sposa”, cioé la sua Shakti), dimostrando una apertura mentale ed una lucidità che ne facevano una vera e propria avanguardia sia sul piano spirituale-operativo, che su quello dell’elaborazione culturale che anticipava di gran lunga, cioè di molti decenni, la diffusione in Italia delle religioni orientali…

Peraltro la pubblicazione del Rituale Mithriaco si inseriva in un disegno – cui lo stesso Evola accenna espressamente nel Cammino del Cinabro – volto ad esercitare una influenza sul regime politico allora vigente, per svilupparne le potenzialità legate all’assunzione del fascio littorio come simbolo. In altri termini, una influenza volta a radicalizzare e potenziare l’anima “pagana” del fascismo, con ripercussioni concrete in termini politici e di orientamento culturale. Il commento di Ur al Rituale Mithriaco non sembra lasciare dubbi al riguardo, visto che si parla di un conflitto fra paganesimo e cristianesimo tuttora attuale e non confinato nella lontana antichità del IV secolo d.C. E’ un tema che, in altra sede, ho già ampiamente approfondito, poiché il disegno spirituale e di sistematizzazione dottrinaria aveva anche un suo profilo politico preciso, forse contando anche sul sostegno di alcune componenti interne al Partito nazionale fascista, sull’anticlericalismo di una certa area liberal-risorgimentale e, come ho già dimostrato altrove, sul tacito sostegno – quantomeno in termini di tolleranza – dello stesso Mussolini, poiché altrimenti non si spiega la libertà di movimento di questa rivista che, in un momento delicatissimo del rapporto diplomatico fra Stato e Chiesa, interviene con una affermazione di antagonismo nei confronti della religione cristiana. Le confidenze del Duce al suo biografo Yvon De Begnac sono eloquenti al riguardo (Y. De Begnac, Taccuini Mussoliniani (con prefazione di Renzo De Felice), Il Mulino, Bologna, 1990). Negli stessi anni – e precisamente nel 1928 – Evola pubblica Imperialismo Pagano, col significativo sottotitolo Il fascismo dinnanzi al pericolo eurocristiano. Le tesi del libro – ossia la necessità per il fascismo di attuare una rivoluzione spirituale in senso “pagano” – suscitarono le proteste dell’Osservatore Romano e contrasti anche nell’area della pubblicistica fascista.

Ur e Imperialismo Pagano si collocano quindi nell’ambito del medesimo disegno – poi storicamente fallito – volto a influire sulla direzione spirituale e politica del regime fascista (cfr. J. Evola, La Via della realizzazione di sé secondo i Misteri di Mithra (a cura di Stefano Arcella), Fondazione J.Evola-Controcorrente, Napoli, 2007).

Al di là di questo profilo esoterico-politico, intendo soffermarmi sui contributi di Giovanni Colazza (che si firmava Leo) e sull’influenza che il suo orientamento ebbe sulla formazione di Evola.

I contributi di questo esoterista si distinguono per una impostazione tutta concentrata sulla interiorizzazione personale di una visione animata e attiva della realtà, del mondo e della vita. Il primo contributo, dal titolo “Barriere”, è molto eloquente in questo senso. Non vi sono riferimenti a rituali magici, né a cerimoniali, ma tutto è imperniato sulla elaborazione cosciente di una visione e percezione più sottile e profonda delle cose. Si insiste quindi sulla responsabilità personale, sullo sviluppo di un percorso di consapevolezza in cui l’uomo opera su sé stesso per trasformarsi.

Nella prospettiva di Colazza, gioca quindi un ruolo fondamentale la volontà unita all’autoosservazione con la calma interiore di un critico. E’ una via dell’anima cosciente in cui ci si osserva come se si stesse osservando un altro. E’ evidente che sulla formazione di Colazza gioca un ruolo fondamentale l’influenza di Steiner e delle sue opere nelle quali viene tramandata la “scienza dello spirito”, che l’esoterista austriaco definisce antichissima e millenaria, non confondibile quindi con una escogitazione intellettuale soggettiva.

I contributi successivi di Leo vanno nella stessa direzione e sono un ulteriore approfondimento della medesima impostazione. Peraltro egli contribuisce all’introduzione ed al commento del Rituale Mithriaco insieme a Pietro Negri (Reghini), a Luce (Parise) e ad EA (Evola), come in Ur è esplicitamente attestato.

Ho avuto modo, già in altra sede, di evidenziare come la lettura evoliana dei Misteri di Mithra risenta dei contenuti della Filosofia della Libertà di Rudolf Steiner soprattutto nel punto in cui parla di questa volontà individuale che afferma la centralità di una coscienza calma ed autosufficiente e rifiuta la dimensione dell’agitazione e della perenne insoddisfazione della vita profana e ordinaria. E l’incontro con Colazza contribuì sicuramente a questo ampliamento di orizzonti del giovane filosofo romano.

E’ degno di attenzione che, nel III volume di Introduzione alla Magia (che corrisponde alla raccolta della rivista Krur del 1929) venga pubblicato un contributo non firmato – e quindi riferibile al direttore di Ur, ossia ad Evola – che si intitola “Liberazione delle facoltà”; si tratta di una sequenza metodica di esercizi personali, che riguardano il dominio del pensiero, il dominio dell’azione, l’equanimità, la positività come nuovo stile di pensiero, l’apertura mentale o spregiudicatezza e, infine, il riepilogo contestuale dei 6 esercizi.

Ognuno di questi esercizi dura 1 mese e vanno praticati nell’ordine in cui li abbiamo menzionati. Il primo riguarda la fortificazione del principio cosciente rispetto al flusso dei pensieri e consiste nella “concentrazione sull’oggetto insignificante”. Il secondo concerne la fortificazione della volontà cosciente rispetto al proprio agire che da agire abitudinario deve trasformarsi in agire consapevole. Il terzo riguarda lo sviluppo di un calmo distacco rispetto agli eventi, piacevoli o spiacevoli che siano, della propria vita, senza che ciò implichi insensibilità o indifferenza, ma la capacità di non lasciarsi trascinare né dalla gioia né dal dolore. Il quarto esercizio attiene allo sviluppo del pensiero positivo, ossia la capacità di saper cogliere gli aspetti positivi, benefici, di ogni cosa e di ogni evento, senza che ciò significhi scadere in un ingenuo ottimismo o non vedere gli aspetti negativi della realtà, ma sapendo valorizzare ciò che, in ogni cosa, può aiutare la nostra evoluzione di coscienza. Il quinto concerne l’apertura mentale, la capacità di saper uscire fuori dagli schemi ordinari, ammettendo la possibilità che della realtà facciano parte altri aspetti non ordinari. Il sesto è un momento di sintesi e di coordinamento dei 5 esercizi precedenti. Ognuno di questi esercizi è integrato da una precisa pratica di visualizzazione di una corrente eterica allo scopo di mettere in movimento le nostre energie che, nella fisiologia occulta, sono quelle del cosiddetto “corpo eterico” e dei “centri energetici”(i “chakra” della tradizione esoterica indiana).

Orbene tali esercizi di liberazione delle facoltà del pensiero, dell’agire, della calma e della solarità nel modo di affrontare la vita, sono esattamente, con un sola variante tecnica nel 1° esercizio, i sei esercizi fondamentali insegnati da Rudolf Steiner e ripubblicati in Italia dall’editrice Antroposofica di Milano. Steiner muore nel 1925 mentre il Gruppo di Ur si colloca negli anni fra il 1927 ed il 1929, per cui l’influenza di Steiner su Ur, sotto questo particolare aspetto, è storicamente documentata.

Eppure lo stesso Evola, nel suo libro Maschera e Volto dello spiritualismo contemporaneo (ora: Mediterranee, Roma, 2008), critica chiaramente e duramente la visione storica e cosmologica di Steiner che giudica come una visione evoluzionista e quindi antitradizionale (Evola si richiamava infatti alla dottrina dei cicli e della “regressione delle caste”, la storia venendo vista come un processo regressivo) ma in Krur riprende un preciso insegnamento operativo steineriano, anche se non cita Steiner.

Orbene, è evidente, a questo punto che, sotto alcuni specifici aspetti operativi, Evola risentì dell’influenza di Steiner attraverso la mediazione e l’insegnamento di Colazza che partecipava ad Ur con precisi insegnamenti di carattere operativo. A volte, i rapporti fra gli studiosi di esoterismo e fra i ricercatori spirituali sono più complessi di quanto possa apparire a prima vista.

* * *

Articolo originariamente pubblicato su Hera di settembre 2012.

Condividi:

14 Responses

  1. Dottor Mistero
    | Rispondi

    Salve a tutti,

    mi permetto di aggiungere, a margine ed a completamento di quanto esposto, alcuni particolari che derivano dalle mie conversazioni, a proposito di Evola, con Massimo Scaligero:

    E’ vero, Evola teneva in considerazione Colazza fino al punto da chiamarlo “Maestro”; inoltre Massimo Scaligero, negli anni ’70, ebbe la ventura di giungere in possesso della copia de “La Filosofia della Libertà” appartenuta ad Evola e ritrovata in una bancarella di libri usati, fitta di note entusiastiche a margine.

    Mi sembra però doveroso segnalare il falso storico compiuto in età più tarda, aggiungendo all’edizione di “Ur” della Mediterranee, scritti di Crowley che mai sarebbero stati ospitati sulle pagine originarie della pubblicazione, com’è facile constatare attingendo all’edizione di Tilopa in copia anastatica.

    Il quadro che ne deriva è quello di una personalità tutt’altro che unitaria, certamente in cerca di una dimensione spirituale, come conflittuale fu, negli ultimi tempi, il suo rapporto con Massimo Scaligero; non tanto però da impedirgli di accettare esperienze spirituali, laddove Massimo -parole sue- gliene mascherasse il “nome” per lasciare emergere solo la “forza”.

    Non lasciò indicazioni ai discepoli, ma -come si sa- volle morire in piedi affacciato alla finestra del suo studio sul Gianicolo, e spirò col nome di Massimo Scaligero sulle labbra. Ciò fu la ragione, mi raccontava Massimo, dell’avvicinarsi di tanti “evoliani” alla sua opera.

  2. Francesco
    | Rispondi

    Mi scusi, in che senso "spirò col nome di Massimo Scaligero sulle labbra"? Mi pare asserzione interessante.
    Cordialità.

    • Sigfrido
      | Rispondi

      Non è assolutamente vero che Evola ” spirò col nome di Scaligero sulle labbra ” ,. Non so da dove nascano queste leggende che sembrano battute di avanspettacolo..Siate seri. Su. Scaligero è un sopravvalutato mito locale ( romano ), malvisto dall’ambiente steineriano italiano, il quale ambiente è malvisto da coloro che seguono le tradizioni VERE e non inventate di sana pianta.

  3. ekaros
    | Rispondi

    E' un testo fondamentale per la pratica esoterica. E che aiuta a superare certi punti morti,dove l'io rimane fermo…bloccato…senza uno sbocco effettivo…e purtroppo non va oltre quell'oscuro punto….
    Immobilismo e silenzio e oltre? Forse un nuovo mondo? Ma senza più spazio né tempo,senza più barriere psichiche limitate da enti,senza più forze del composto umano…oltre quel punto oscuro al limitar dell'infinito mare l'innomonabile moto, dove l'uman rimane un lontano ricordo….

    ekaros

  4. Dottor Mistero
    | Rispondi

    Buonasera Francesco,

    cito testualmente, seppure a memoria, le parole in proposito di Massimo Scaligero:

    “dopo la morte di Evola, notai che mi venivano chiesti incontri da un discreto numero di suoi discepoli; un giorno uno dei più intimi mi svelò le modalità della morte; non volle lasciare, nonostante le insistenti richieste, alcun riferimento, ma in punto di morte fece il mio nome. Questo mi ha chiarito il senso delle esperienze…”

    Qui Massimo Scaligero mi disse molto della personalità di Julius Evola, di una sua importante incarnazione e del senso delle esperienze che, al momento del trapasso, Massimo aveva attraversato. Non ne parlo in pubblico solo per non urtare la suscettibilità di alcuno, eventualmente si può dire qualcosa in privato.

    • paolo 2
      | Rispondi

      Salve Dottor Mistero,
      volevo sapere come potremmo contattarla in privato per sapere qualcosa in più su questi argomenti: le esperienze avute da Scaligero al momento del trapasso di Evola, la personalità del barone e l’importante incarnazione che avrebbe avuto. Sul blog collegato al suo nickname non ci sono contatti, ci faccia sapere come eventualmente dovremmo procedere. Cordiali saluti

  5. Pietro
    | Rispondi

    "spirò col nome di Scaligero sulle labbra"…Queste sono le solite leggende metropolitane che qualcuno alimenta per dare lustro a ciò che di lustro non ne ha affatto. Finchè ci si basa su queste sciocchezze da cortile studiate a tavolino ( per accalappiare i soliti gonzi ) non si va da nessuna parte. Compresa la teoria del quadernetto steineriano sul suo tavolo ( magari voleva metterlo sotto una gamba del tavolo perchè ballava un po', effettivamente…)

    Ma ci pensate ? Evola che anzichè avere sulle labbra il nome del Buddha o chessò di Giuliano Imperatore…ripete il nome di…"scaligero". Ci vorrebbe un pochino di decenza.

    Il gruppo di Ur è stato un sopravvalutato assieme di steineriani ( quindi poco più che teosofi), neo-pitagorici reghiniani e kremmerziani.

    Affascinanti di primo acchito,poi quando si vuole fare sul serio ci rivolge decisamente ad altro…

  6. Vetriolo Romano
    | Rispondi

    @Pietro:

    Come mai questo disprezzo per Scaligero?

    Mi domando cosa intendi per “decisamemte altro”…!?

    Avresti la compiacenza di qualche briociola della tua Saggezza, a questi poveri sciocchi che leggono il sito?

    A chi ci dovremmo rivolgere??

  7. Opera Rossa
    | Rispondi

    Sì incuriosisce anche me..il quando si vuole fare sul serio ci si rivolge decisamente ad altro.. Ovvero? Grazie.

  8. Lambano
    | Rispondi

    Salve a tutti,
    sono arrivato per caso in questo sito ed ho letto i vari commenti, alcuni molto interessanti. Volevo solo dire per esperienza personale ovviamente, che non è importante rivolgersi ad altro come scrive il Signor. Pietro, ma ciò che veramente è importante è fare ciò che si fa, anche un semplice esercizio o altro, con fermezza ed entusiasmo e senza aspettarci nulla, perchè il fine ed il bello del cammino è il cammino stesso. Credere in se stessi prima che negli altri, perchè nessuno può darci ciò che da soli non sappiamo realizzare. Privi di volontà, di fermezza interiore e amore per ciò che si fa, ogni indicazione anche se ci viene data dal più grande maestro è vana.
    Saluti,
    Lambano.

  9. Lucio.Bottazzi
    | Rispondi

    ” volontà, fermezza interiore e amore per ciò che si fa ” vanno bene per un curriculum da sottoporre ad un’azienda che ci deve assumere. In certi domini queste cose potrebbero non bastare affatto….

  10. Lambano
    | Rispondi

    Salve,
    concordo con lei, certamente ci vogliono diversi ingredienti per fare una torta ma spesso ci preoccupiamo di tante cose mentre, come recita il vangelo, solo una è necessaria. Comunque mi interesserebbe sapere secondo la sua esperienza cosa serve in sostanza per accedere in certi domini? Forse che da ciò nasca un proficuo scambio di esperienze. Grazie.

  11. Pino Petruccelli
    | Rispondi

    Buongiorno Dottor Mistero, mi interesserebbe sapere qualcosa di più circa quello da Lei riportato. Grazie. Pino Petruccelli (pino.petruccelli@libero.it )

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *