Steiner è conosciuto soprattutto come fondatore dell’Antroposofia, il movimento spirituale che si inserisce nel quadro del fermento neospiritualistico – di reazione al positivismo ed alla fede ottimistica nella scienza – che caratterizza il clima culturale europeo dei primi decenni del Novecento. Steiner è stato anche un filosofo che, nella sua opera principale, La Filosofia della Libertà, ha posto le basi filosofiche di tutto l’orientamento spirituale che svilupperà nelle sue opere successive.
Nato e formatosi nel clima dell’Impero Asburgico di fine ‘800, Steiner nel 1879 si iscrive al Politecnico di Vienna dove segue studi di matematica e di scienze. Negli stessi anni segue studi di filosofia e studia a fondo Goethe. Questa duplice formazione – scientifica ed umanistica – è fondamentale per comprendere le linee di sviluppo del suo successivo orientamento. Gli anni dello studio di Goethe, e poi quelli della collaborazione all’Archivio Goethe a Weimar, sono decisivi nella formazione culturale di Steiner.
Ciò è dimostrato sia dalla sua produzione saggistica precedente alla sua Filosofia della Libertà (l’Introduzione agli scritti scientifici di Goethe, scritti di cui curò la pubblicazione, i Saggi filosofici sulla concezione goethiana del mondo), ma soprattutto dai contenuti stessi della sua opera successiva e, poi, dall’elaborazione dell’Antroposofia. Non è certo, casuale, del resto, che il primo centro europeo dell’Antroposofia sia chiamato Goetheanum.
L’incontro col pensiero di Goethe
Un tratto peculiare di Goethe – che influisce sul pensiero di Steiner – è l’intuizione della “Forma originaria”, l’archetipo, che egli ebbe nell’Orto Botanico di Palermo. Osservando le varie specie vegetali in quell’Orto, Goethe intuì che le varie piante non sono altro che frammenti sensibili, particolari, della forma primordiale, l’archetipo della pianta. Dal dato sensibile particolare – la pianta ora percepita – risale all’idea della pianta-madre come forma originale. Quando Goethe, parlando dell’Idea-madre, della forma originale della pianta, aggiunge audacemente “…poi è affare della natura adattarvisi” conferma e giustifica, d’un colpo solo, il mondo ideale il cui abbagliante fulgore stinge i colori fisici. Su questo apice dell’intuizione goethiana, può fondarsi la visione che Steiner ha dentro di sé: “La forma sensibile-sovrasensibile di cui parla Goethe si pone fra le impressioni ricevute dai sensi e la pura contemplazione dello spirito”.
Goethe ha questo approccio con una intuizione di tipo artistico, unisce la sensibilità artistica con una osservazione di tipo scientifico. Steiner non si ferma al lampeggiamento dell’intuizione artistica – che può essere un’apertura extra ordinem legata alla particolare sensibilità artistica di questa o quella personalità – ma vuole cercare e realizzare un’apertura al mondo spirituale, al sovrasensibile che sia il frutto di un metodo rigoroso. L’intuizione artistica è soltanto a metà strada sul cammino che porta alla pura visione dello spirito. Non è ancora l’esperienza della intellezione spirituale.
“Durante il soggiorno a Weimar, questa domanda mi si era presentata in forma sempre più pressante: come edificare, sulle basi poste da Goethe, una conoscenza contemplativa più elevata? Come risalire col pensiero di ciò che egli ha visto sino ad una concezione che possa inglobare anche l’esperienza spirituale tale quale a me si è rivelata?”
Questa immagine della pianta influirà poi anche sul pensiero di Spengler e sulla sua morfologia della civiltà nonché sulla sua filosofia della storia esposta nel Tramonto dell’Occidente.
La prefazione del 1894 alla Filosofia della Libertà
Nella prefazione alla I edizione del 1894, Steiner cita alcuni versi di Schiller, per avvalorare la sua affermazione secondo cui “il nostro tempo può desiderare la verità solo traendola dalla profondità dell’essere umano”. Schiller scrive:
“La verità cerchiamo entrambi; tu fuor nella vita
io dentro nel cuore; così di certo ognun la trova.
Se l’occhio è sano, incontra fuori il Creatore;
se lo è il cuore, certo in sé rispecchia il mondo”.
Egli commenta osservando che una verità che ci giunga dal di fuori suscita sempre incertezza, perché reca in sé il marchio dell’incertezza. “Vogliamo credere – dice Steiner – solo a ciò che appare come verità a ognuno di noi nel suo intimo”. E, per chiarire meglio il suo pensiero, scrive: “ Non vogliamo più solo credere, vogliamo sapere… Ci soddisfa solo il sapere che non si sottopone ad alcuna norma esteriore, ma che scaturisce dalla vita intima dell’individuo”.
L’Autore sottolinea che oggi non si chiede né riconoscimento né adesione se qualcuno non è spinto verso una concezione da una sua speciale e individuale esigenza. Si tratta, in altri termini, di voler comprendere e non di essere obbligati a capire. Pur non illudendosi sulle caratteristiche del suo tempo – e qui si coglie una allusione polemica nei confronti del dogmatismo della scienza – egli dedica il suo scritto a coloro che cercano di indirizzare la loro vita nella direzione indicata in questo libro, ossia il voler sapere, oltre il credere. La via indicata nella Filosofia della Libertà non è l’unica ed esclusiva, ma vuole narrare il cammino percorso da uno a cui sta a cuore la verità. Egli affronta subito un tema, quello del rapporto fra le varie scienze, connesso a quello della direzione e della finalità della vita dell’uomo.
“I campi della vita sono molti. Per ognuno di essi si sviluppano scienze speciali. La vita stessa è però una unità e più le scienze tendono ad approfondire i singoli settori, più esse si allontanano da una visione vivente e complessiva del mondo. Deve esistere un sapere che cerchi nelle singole scienze gli elementi per ricondurre l’uomo alla vita piena”.
In questo pensiero cogliamo il nesso fra concezione integrale dell’uomo e visione unitiva del Sapere, cui ricondurre i saperi delle varie discipline; è posta cioè l’esigenza – ed anche la finalità – di superare l’eccesso di specializzazione, di creare un collegamento fra le varie scienze specialistiche per ritrovare il filo che possa ricondurle ad una visione organica, ad un insieme unitario.
“La scienza deve essa stessa diventare organica e vivente. Le singole scienze sono gradini preparatori della scienza alla quale qui si tende”.
Definita la filosofia come arte e i filosofi come artisti nei concetti, nel senso che per loro le idee divennero materiale artistico, ossia da plasmare per donare ad esso una forma, Steiner identifica il compito del suo libro, ossia “come la filosofia si comporti in quanto arte verso la libertà umana, che cosa sia quest’ultima e se noi ne possiamo divenire partecipi”. Ogni scienza sarebbe infatti solo soddisfacimento di inutile curiosità se non tendesse ad elevare il valore dell’esistenza della persona umana. La scienza quindi deve essere al servizio dell’uomo. Più specificamente il sapere ha valore se contribuisce allo sviluppo complessivo di tutta la natura umana. Pertanto il rapporto fra l’uomo e l’idea occorre che sia un rapporto attivo per l’uomo; non è l’uomo che deve piegarsi all’idea, ma egli si appropria dell’idea per utilizzarla per i propri scopi umani che vanno al di là di quelli solo scientifici.
“Ci si deve – scrive Steiner – poter mettere di fronte all’idea sperimentandola, altrimenti se ne diventa schiavi”. L’uomo concepisce e sperimenta l’idea; non si piega ad essa accogliendola passivamente o essendone psichicamente pervaso. L’idea al servizio dell’uomo e non l’uomo al servizio dell’idea. Questo è un tema che ricorre poi nella produzione di Massimo Scaligero e, più specificamente, nelle sue meditazioni, pubblicate e commentate nei suoi libri, quali Tecniche della Concentrazione Interiore e Manuale pratico di Meditazione.
Struttura della Filosofia della Libertà
La Filosofia della Libertà si divide in due parti: la Scienza della Libertà e la Realtà della Libertà. Nella prima parte l’Autore approfondisce molto il tema del pensiero o meglio, come egli dice spesso, del pensare, quale fondamento della conoscenza intuitiva e unitiva, superatrice del dualismo fra io e mondo. Nella seconda parte approfondisce il tema della Libertà, ne definisce l’origine e il contenuto vivente e pone il concetto vivente di Fantasia Morale.
Giova sottolineare che Steiner, nel suo linguaggio, nella scelta delle locuzioni e dei vocaboli fa riferimento alla coscienza ordinaria nella vita quotidiana, quindi alla vita reale, da cui parte per sviluppare il suo sistema. Vi è quindi, deliberatamente, nel linguaggio dell’Autore, una vocazione empirica.
L’agire umano cosciente
Il tema dell’agire cosciente è ricondotto direttamente al tema dell’origine e del significato del pensiero. “È del tutto evidente che non può essere libera un’azione della quale il suo autore non sa perché egli la compie. Ma che avviene delle azioni di cui si conoscono i motivi? Questo ci porta alla domanda: qual è l’origine e il significato del pensiero? Senza la conoscenza dell’attività pensante dell’anima non è infatti possibile un concetto del conoscere qualcosa e quindi anche del conoscere un’azione. Quando sapessimo che cosa in generale significhi il pensare, sarebbe anche facile comprendere la funzione del pensare nell’agire umano. “Il pensare fa sì che l’anima, di cui anche l’animale è dotato, diventi spirito” dice Hegel con ragione e di conseguenza il pensare darà la sua impronta caratteristica anche all’agire umano”.
Il problema dell’origine dell’essenza dell’agire umano presuppone una risposta a quello dell’origine del pensare.
L’impulso fondamentale alla scienza.
Nell’“Impulso fondamentale alla scienza” – che è l’argomento cui dedica il 2° capitolo del libro – Steiner cita alcuni versi di Goethe:
Il mio sen due diverse anime serra
E quella vuolsi separar da questa;
la prima con tenaci organi afferra il mondo
e stretta con ardor vi resta.
L’altra fugge le tenebre e la vedi
Levarsi altera alle paterne sedi
In questi versi Goethe esprime e descrive la difficoltà e la problematicità dell’essere umano, diviso fra due tendenze diverse e contrastanti. È degno di nota che per Goethe il mondo esteriore afferrato con gli organi fisici, cioè coi nostri sensi, equivale alle “tenebre”, al non vedere, mentre l’altra anima fugge da esse e “si leva altera alle paterne sedi”, ossia si riconnette alla sua vera origine, un ricollegamento descritto come una “elevazione”.
Appena la coscienza riluce in noi, erigiamo un muro divisorio fra noi (l’io) e il mondo, pur avendo, nel contempo, il sentimento di appartenenza al mondo. Da ciò nasce l’aspirazione al superamento del dualismo, sostanza dell’anelito spirituale dell’umanità. Un tema simile si ritrova nel pensiero orientale, in particolare nella filosofia buddhista, ad esempio nei testi di Lama Norbu Rinpoche, laddove spiega la visione della realtà dell’Insegnamento dello Dzogh-Chen (=“Il Grande Compimento”). La tensione unitiva, la visione della realtà incentrata sull’Uno, sia pure nel quadro di una diversa filosofia di tipo emanazionista, si ritrova nel neoplatonismo di Plotino e di Porfirio ed ancora nel neoplatonismo del Cusano e dei neoplatonici del ‘400, quali Marsilio Ficino e Pico della Mirandola.
Il problema è quello di ritrovare il nesso fra l’io e il mondo, fare del contenuto del mondo il contenuto del nostro pensiero. Ciò implica che il compito dello scienziato sia inteso in modo molto più profondo di quanto spesso non avvenga.
L’oscillazione di cui qui si parla ci appare storicamente come contrapposizione fra monismo – o concezione unitaria del mondo – e dualismo, sia esso un dualismo materialista o anche spiritualista.
L’Autore muove anzitutto da una critica del materialismo. “Il materialismo non può fornire una soddisfacente spiegazione del mondo, perché ogni tentativo di spiegazione deve cominciare formando pensieri sui fenomeni del mondo. Il materialismo inizia col pensiero della materia o dei processi materiali e con ciò ha già dinnanzi a sé due diversi gruppi di fatti: il mondo materiale e i pensieri su di esso. Il materialista cerca di comprendere i secondi considerandoli processi puramente materiali. Crede che nel cervello il pensiero si produca press’a poco come la digestione negli organi animali. Come attribuisce alla materia qualità meccaniche o organiche, in determinate condizioni le riconosce anche la facoltà di pensare. Dimentica che così ha solo spostato il problema. Invece che a se stesso, attribuisce alla materia la facoltà di pensare. E con questo è di nuovo al suo punto di partenza. Come arriva la materia a riflettere sul proprio essere? … La concezione materialistica non può risolvere il problema, ma solo spostarlo”.
L’inadeguatezza del dualismo materialista è, per Steiner, simmetrica rispetto a quella del dualismo spiritualista.
“Lo spiritualista puro considera la materia solo come prodotto dello spirito. Ma all’io sta di fronte il mondo sensibile. A questo non sembra aprirsi un accesso spirituale; il mondo deve venir percepito e sperimentato dall’io attraverso processi materiali. L’io non trova in sé tali processi materiali, se vuole venir riguardato come entità spirituale. In ciò che esso elabora spiritualmente, non è mai inserito il mondo dei sensi. Quindi può mettersi in relazione con esso in modo non spirituale”.
Steiner critica Fichte che definisce come “… il pensatore che per il suo idealismo assoluto si presenta come il più strenuo spiritualista” Fichte cerca di derivare dall’io l’intera costruzione del mondo; ha costruito così “un grandioso insieme di pensieri sul mondo, senza alcun contenuto di esperienza”.
Il futuro fondatore dell’antroposofia conclude sostenendo che “come al materialista non è possibile annullare lo spirito, allo spiritualista non è possibile annullare il mondo esterno materiale”.
Resta anzitutto il problema del rapporto io/mondo. L’antitesi fondamentale e originaria sorge nella nostra coscienza. Siamo noi stessi che ci stacchiamo dalla natura e ci consideriamo come entità separate, a sé stanti e ci contrapponiamo come “io” al mondo. Nel suo scritto La natura Goethe esprime questo pensiero nella forma dell’intuizione artistica e non nella forma dell’approccio rigorosamente scientifico. “Noi viviamo in mezzo alla natura e le siamo estranei. Essa parla ininterrottamente con noi e non ci confida il suo segreto”. Ma Goethe conosce anche il lato opposto del problema, quando scrive: “Gli uomini sono tutti in lei, ed essa è in tutti”. Pertanto si tratta di una situazione ambivalente, di estraneità dell’io al mondo e, al tempo stesso, di appartenenza. Il problema è quindi di ritrovare il cammino per ritornare alla natura. Noi ci siamo strappati alla natura ma dobbiamo pure aver portato qualcosa in noi stessi della (e dalla) natura. Pertanto dobbiamo ricercare in noi quell’essere della natura ed allora ritroveremo il nesso.
Scrive Steiner: “Possiamo trovare la natura fuori di noi, solo se prima la conosciamo in noi. Quanto le è simile nella nostra interiorità ci sarà di guida. Così la nostra strada è già tracciata. Non vogliamo fare speculazioni sulla reciproca azione fra natura e spirito. Vogliamo invece scendere nelle profondità del nostro essere per trovarvi gli elementi che abbiamo portato con noi nella nostra fuga dalla natura. Lo studio del nostro essere ci deve portare la soluzione dell’enigma”.
Giungere ad un punto in cui potremo dire: qui non siamo più solo “io”, ma vi è qualcosa che è più che “io”, ossia qualcosa che va oltre noi stessi e di cui siamo partecipi.
Nel capitolo III (“Il pensare al servizio della comprensione del mondo”) Steiner evidenzia che l’osservazione e il pensiero sono i due punti di partenza per ogni aspirazione spirituale dell’uomo, in quanto egli ne sia cosciente. Tutte le antitesi da cui partono i filosofi (soggetto/oggetto, idea e realtà, fenomeno e noùmeno) devono essere precedute da quella di osservazione e pensiero, la più importante per l’uomo.
Qualsiasi principio noi vogliamo stabilire, dobbiamo indicarlo come da noi osservato, oppure esporlo in forme di un chiaro pensiero che altri possa ripensare. Ogni filosofo che cominci a parlare dei suoi princìpi, deve servirsi della forma concettuale e quindi del pensare; egli ammette così di dover premettere il pensiero alla sua attività. L’oggetto ci è accessibile solo attraverso l’osservazione, la quale è un carattere della nostra organizzazione. Il nostro pensare un cavallo e l’oggetto “cavallo” osservato sono due cose che ci appaiono separate ma che, poi, in realtà, vanno a comporre unitariamente il processo conoscitivo.
Il pensare si sottrae all’osservazione ordinaria.
A questo punto Steiner introduce un tema peculiare e fondamentale del suo pensiero. Se osservo un tavolo o un albero, nella mia condizione ordinaria non osservo contemporaneamente il pensare su quegli oggetti. Io osservo la tavola e penso sulla tavola, eseguo il pensare sulla tavola ma non osservo quest’ultimo nello stesso istante.
Mentre l’osservare gli oggetti e i processi e il pensare su di essi sono condizioni usuali che riempiono la mia vita nel suo svolgersi, l’osservazione del pensare è una specie di condizione eccezionale e non a caso egli dice “eccezionale” ma non impossibile.
Il pensare sui dati percepiti e osservati è la condizione normale per lo studio di tutto il contenuto del mondo, ma non si applica mai al pensare stesso nel corso delle condizioni normali.
“E’ proprio della speciale natura del pensare il fatto di essere un’attività che si rivolge solo all’oggetto osservato e non alla persona che pensa. Ciò si manifesta nel modo in cui esprimiamo i nostri pensieri su di una cosa, in confronto a come manifestiamo i nostri sentimenti e i nostri atti volitivi. Quando vedo un oggetto e lo riconosco per una tavola, in genere non dirò: “Io penso riguardo a una tavola” ma “ Questa è una tavola”. Dirò invece “mi piace questa tavola”. Nel primo caso non mi importa affatto di dire che io entro in relazione con la tavola; nel secondo caso mi interessa proprio quella relazione”.
La peculiarità del pensare ordinario è che chi pensa dimentica il pensare mentre lo esercita; egli non è occupato dal pensare ma dall’oggetto del pensare, ciò che egli osserva. La prima osservazione che può formularsi sul pensare è che esso è l’elemento inosservato della nostra ordinaria vita dello spirito “…mentre io penso – scrive Steiner – non vedo il mio pensare che io stesso produco, ma l’oggetto del pensare che io non produco”. Il pensare, per Steiner, ha un’altra peculiarità, quella d’essere indipendente dalla nostra conoscenza delle basi fisiologiche del pensare stesso, nel senso che nel mentre io eseguo una operazione di pensiero non considero affatto come un processo materiale ne influenzi un altro. “….la mia osservazione mostra che per le mie connessioni di pensiero mi baso solo sul contenuto dei miei pensieri, che non mi baso sui processi materiali del mio cervello”.
Ciò che osservo nel pensare non è quale processo nel mio cervello colleghi il concetto del lampo a quello del tuono, ma che cosa mi spinga a porre i due concetti in una certa relazione fra loro. Poiché il pensare si sottrae, ordinariamente, all’osservazione nell’atto in cui si pensa, non si può trovarlo attraverso un semplice processo di osservazione, come facciamo per gli altri oggetti del mondo. Per questa via non si può trovarlo, perché esso si sottrae alla normale osservazione. Ciò apre la strada ad un diverso tipo di osservazione, svincolata da una prospettiva materialistica.
“Chi non può superare il materialismo manca della capacità di mettersi nel ricordato stato eccezionale che gli porta a coscienza quel che rimane incosciente in ogni altra attività dello spirito”.
Si può parlare del pensiero e conoscere il pensiero prescindendo dalla fisiologia del cervello, posizione ardita per l’epoca della fine dell’Ottocento, in cui per molti era difficile afferrare il concetto del pensiero nella sua purezza. L’uomo ha la facoltà potenziale, normalmente non adoperata, di osservare il pensare e questa facoltà è posseduta da ognuno che sia normalmente organizzato se è dotato di buona volontà.
“Tale osservazione del pensare è la più importante che l’uomo possa fare, perché così osserva qualcosa che egli stesso produce; non si trova di fronte ad un oggetto in un primo tempo estraneo, ma alla propria attività. Sa come nasce quel che osserva. Vede i nessi e i rapporti. È cosi acquisito un punto fermo del quale egli può cercare con fondata speranza la spiegazione dei rimanenti fenomeni del mondo”.
Il pensare osserva il pensare
Osservare il proprio pensare è, dunque, per Steiner, una condizione eccezionale rispetto a quella ordinaria in cui il pensare si sottrae all’osservazione.
“Mentre osserviamo le altre cose, al divenire del mondo al quale ora aggiungo anche l’osservare, si mescola un processo che viene trascurato. Esiste qualcosa, diverso da ogni altro divenire, di cui non si tiene conto. Quando, però, considero il mio pensare, non esiste più tale elemento trascurato, poiché quel che ora rimane sullo sfondo è, di nuovo, solo il pensare stesso. L’oggetto osservato è qualitativamente uguale all’attività che ad esso si indirizza. Questa è di nuovo un’altra caratteristica del pensare. Quando lo rendiamo oggetto dell’osservazione non ci vediamo obbligati a farlo con l’aiuto di qualcosa di qualitativamente diverso, ma possiamo rimanere nello stesso elemento”.
A differenza degli altri processi che mi riguardano (come il respirare, il digerire) il pensare può essere oggetto del pensare.
“Nel pensare abbiamo un principio che esiste per sé stesso. Si cerchi dunque da qui di comprendere il mondo. Possiamo afferrare il pensare attraverso il pensare stesso. Il problema è ora se attraverso di esso possiamo afferrare qualcosa d’altro”.
Steiner sviluppa inoltre una ulteriore riflessione. Poiché il pensare può essere oggetto del pensare, prima di comprendere ogni altra cosa, si deve comprendere il pensare.
“Dobbiamo prima studiare il pensare in modo del tutto neutrale, senza relazione con un soggetto pensante o un oggetto pensato perché nel soggetto e nell’oggetto abbiamo già concetti che sono formati mediante il pensare”.
Nell’Aggiunta alla seconda edizione (1918) l’Autore osserva che “la difficoltà di comprendere con l’osservazione il pensare nella sua essenza consiste nel fatto che facilmente essa è già sfuggita all’anima che osserva, quando questa vuole sottoporla alla propria attenzione”. Le rimane allora soltanto la mera astrazione, il cadavere del pensare vivente. “Si troverà strano – dice Steiner – che qualcuno voglia afferrare l’essenza della realtà in meri pensieri, ma chi veramente si impadronisce della vita nel pensare, arriva a vedere che, nell’ambito di questa, il tessere in soli sentimenti o il considerare l’elemento della volontà non può neppure venire paragonato e tanto meno anteposto alla ricchezza interiore ed all’esperienza che riposa in se stessa, pur essendo in sé mossa”.
In tale Aggiunta – come in altre collocate alla fine dei capitoli nella seconda edizione – l’Autore interviene a chiarire il contenuto del suo orientamento filosofico. Egli parla di “realtà intessuta di luce del pensiero” la quale “si immerge con calore nelle manifestazioni del mondo” poiché “nel pensare essenziale si colgono sia il sentire che il volere anche nel profondo della loro realtà”.
Questa immagine vivente del pensiero, questo suo carattere non arido, questo suo essere intessuto di sensibilità d’animo e di volontà, tutto ciò è tipico della filosofia di Steiner.
Egli insiste nel sostenere che l’osservazione imparziale – cioè spassionata – mostra che all’essere del pensare nulla si può attribuire che non si trovi nel pensare stesso. Non si può arrivare a qualcosa che produce il pensare, uscendo dalla sfera del pensare.
Considerazioni critiche.
Questa “realtà intessuta di luce del pensiero”, questo pensare quale forza originaria che si pone da sé, che è quindi autonoma, è un punto cruciale della filosofia di Steiner, che verrà poi ripreso, approfondito e sviluppato nelle sue opere successive, dal contenuto non più strettamente filosofico ma di orientamento spirituale. Tale tema cruciale sarà ripreso anche da un altro eminente esoterista, Massimo Scaligero, nelle sue opere di orientamento sulla scienza dello spirito e di “ascesi del pensiero”.
L’uomo, mediante la scienza e la tecnica – che sono frutto del pensiero analitico, dialettico, logico-discorsivo – domina la materia ma non domina, non padroneggia né conosce il pensare. Questa è la contraddizione di fondo della società moderna, contraddizione focalizzata da Steiner – il quale notava che a molti uomini è difficile comprendere la forza del pensiero nella sua purezza – e posta in risalto da Scaligero che riprende il tema del pensiero che si pone da sé.
Rispetto alle epoche in cui scrissero – Steiner alla fine dell’Ottocento e nel primo quarto del Novecento, Scaligero nella seconda metà del Novecento, fino al 1980 – possiamo notare una ulteriore degenerazione nel rapporto dell’uomo rispetto al suo pensare. Lo stesso pensiero analitico, dialettico, logico-discorsivo si è frammentato nella molteplicità dei dati e delle impressioni, dovute allo sviluppo della tecnica e delle comunicazioni. A fronte di una accresciuta possibilità di informazione e di flussi informativi – la telematica, l’informatica, i telefoni cellulari come opportunità di enorme intensificazione delle comunicazioni telefoniche – si coglie la frammentazione dei colloqui, il carattere sincopato degli scambi di contenuti. La frammentarietà del linguaggio tradisce e riflette la frammentarietà del pensiero e, a sua volta, alimenta il pensiero frammentato, in un circuito vizioso che non è agevole spezzare ma che può essere superato. Ciò significa un acuirsi del disordine mentale, della passività della nostra coscienza rispetto al flusso casuale, caotico e disordinato dei pensieri, a sua volta effetto della velocità e della caoticità delle impressioni sensoriali, in particolare quelle uditive e visive.
Peraltro tale passività è alimentata, sul piano subliminale, dal flusso delle immagini televisive e telematiche che l’uomo, nella sua condizione ordinaria, tende ad accogliere, inconsciamente, come “realtà”, senza osservare che si tratta, in realtà, di una selezione manipolata di immagini della realtà e quindi di una visione filtrata e fuorviante della realtà medesima.
Passività della coscienza indotta dai media, caoticità e velocità delle impressioni sensoriali che nutre il flusso disordinato dei pensieri: tutto ciò rende l’orientamento filosofico di Steiner ancora più valido ed ancora più attuale.
Il pensare che osserva il pensare, la forza del pensare come realtà intessuta di luce che si pone da sé: tutto ciò costituisce, non solo e non tanto in termini teorici, quanto in termini di concreto orientamento esistenziale, una via valida oggi ancora più che all’inizio del ‘900, proprio perché oggi le condizioni e i segnali, i sintomi del disordine mentale sono molto più accentuati rispetto all’epoca in cui visse Steiner. Giova osservare che Steiner non parla quasi mai del pensiero ma del “pensare”; la scelta del verbo all’infinito esprime in modo più adeguato l’idea della forza fluente del pensare, come forza originaria, intuitiva che, nel lampeggiamento dell’intuizione, concepisce l’idea alla quale risale come essenza della realtà.
Il mondo come percezione
Steiner distingue il pensare dai concetti e dalle idee e qui si differenzia da Hegel. Come punto di partenza ha indicato infatti il pensare e non concetti o idee che possono essere conquistati soltanto mediante il pensare. Non si può quindi trasporre sui concetti ciò che ha sostenuto sulla natura del pensare “poggiante su se stesso e da nulla determinato”.
E qui Steiner aggiunge una cosa importante “Egli (Hegel) pone il concetto come elemento primo e originario”. E qui coglie la differenza del suo pensiero con quello di Hegel.
Il concetto non può essere ricavato dall’osservazione. Questo risulta già dalla circostanza che il bambino forma lentamente e gradatamente i concetti degli oggetti che lo circondano. L’osservazione suscita il pensare e soltanto questo mi indica la via per collegare la singola esperienza con un’altra.
Egli introduce quindi un tema caratteristico e innovativo del suo pensiero. Il pensare forma i concetti di soggetto e oggetto, per cui è al di là di essi. Il soggetto non pensa perché è soggetto, ma appare a se stesso come soggetto perché è capace di pensare. E’ il pensare che lo pone come soggetto.
“Non posso mai dire che il mio soggetto individuale pensa; esso vive piuttosto grazie al pensare. Il pensare è così un elemento che mi porta oltre me stesso e mi collega con gli oggetti. Al tempo stesso mi divide da essi, mi contrappone ad essi”.
La natura dell’uomo è duplice; egli pensa e abbraccia se stesso e il resto del mondo; ma mediante il pensare si determina come individuo.
Steiner sviluppa poi la concezione della duplice polarità dell’uomo; la percezione e il pensare quali capisaldi del processo conoscitivo. Per percezioni intende gli oggetti diretti della sensazione di cui il soggetto prende coscienza mediante l’osservazione e non solo.
“La nostra entità complessiva funziona in modo che, per ogni cosa della realtà, gli elementi relativi le fluiscano da due parti: da parte del percepire e da parte del pensare”.
Il pensare è universale; esso non è individuale come il percepire e il sentire. Esso assume un’impronta individuale in ogni singolo, solo perché riferito al suo individuale sentire e percepire.
L’esempio è quello del triangolo che ha un solo concetto uguale per tutti. Vi è un pregiudizio, secondo l’Autore, difficile da superare, che non permette di vedere che il concetto del triangolo, da me afferrato, è uguale a quello afferrato dal mio prossimo. L’individuo crede quindi di essere il creatore dei suoi concetti.
“…L’unico concetto del triangolo non diviene una pluralità per il fatto di essere pensato da molti, perché il pensare dei molti è esso stesso una unità”.
“…Nel pensare ci è dato l’elemento che riunisce in un tutto la nostra particolare individualità con il cosmo. In quanto abbiamo sensazioni e sentimenti (e anche percezioni) siamo esseri singoli, in quanto pensiamo siamo l’essere uno e universale che tutto pervade ”.
Il pensare è pieno di contenuto che va incontro alle percezioni. La forma in cui il contenuto appare in un primo tempo, è chiamata da Steiner “intuizione”. Osservazione e intuizione sono le fonti della nostra conoscenza. Ma nell’osservazione le cose si presentano nella loro singolarità; esse si ricompongono mediante il mondo coordinato e unitario delle nostre intuizioni. E mediante il pensare ricomponiamo in unità ciò che avevamo separato attraverso le percezioni.
Il pensare, quindi, non è solo capace di osservare se stesso (il pensare osserva il pensare), non solo è originario poiché non è posto da null’altro; il pensare trascende soggetto e oggetto, è al di là di essi, perché li pone entrambi come concetti ed è inoltre universale nei suoi contenuti (concetti e idee; esempio del triangolo). Col pensare siamo riuniti all’universalità. Steiner sta dicendo, in realtà, che il pensare è una Forza Cosmica sovrasensibile (ossia non si percepisce coi sensi fisici) di cui siamo partecipi e grazie alla quale siamo riuniti al tutto cosmico. Egli sta dicendo che mediante il pensare siamo connessi ad un piano metafisico che è tutt’uno con questa realtà, nel senso di una trascendenza immanente. E’ la visione del pensare che lo conduce ad accogliere e sostenere una precisa concezione filosofica, quella del monismo – trattata nella seconda parte della Filosofia della Libertà – sulla quale mi riprometto di tornare in un successivo intervento.
Osservazioni conclusive
Ci si può chiedere, legittimamente, come si possa sperimentare e conoscere in se stessi il “pensare che osserva il pensare”, questo pensiero che poggia solo su se stesso e non poggia su altro, non è posto da nient’altro.
Se, infatti, nella prefazione alla II edizione del 1918, l’Autore parla di “un campo di esperienze dell’anima” al quale fa riferimento; se le risposte date nella Filosofia della Libertà non sono risposte chiuse e rigide ma sono “risposte viventi” nel senso che si ricavano dal contenuto vivo delle esperienze dell’anima, allora possiamo dedurre che il pensare che osserva il pensare – questo pensare essenziale e intuitivo – vada sperimentato nel campo delle esperienze dell’anima. “Non verrà dato – egli scrive – una risposta compiuta, finita, ma si indicherà un campo di esperienze dell’anima nel quale, in ogni momento in cui lo si desideri, attraverso l’attività interiore dell’anima il problema riceva di nuovo una risposta vivente”.
Alla domanda posta – tanto più giustificata ove si consideri che nella condizione ordinaria dell’uomo il pensiero sfugge all’osservazione tutta centrata sui dati sensibili – Steiner non fornisce, in questo libro, una risposta chiusa e definita, ma apre una prospettiva che verrà poi approfondita e sviluppata nelle sue opere successive.
Nel corso delle sue numerosissime conferenze e nella sua produzione – che è letteratura esoterica – la risposta di Steiner sarà chiara e semplice e, al tempo stesso, aperta alla continua verifica sperimentale.
Questo “pensare che osserva il pensare” si sperimenta nelle discipline interiori della Concentrazione, della Meditazione e della Contemplazione: è una ricerca che può essere rinnovata e vivificata di continuo, attingendo alla freschezza dell’elemento sorgivo, la freschezza sorgiva dell’esperienza interiore. Massimo Scaligero ha sostenuto, fra molti altri, questo tema di meditazione, ossia che tutto – dal dato sensibile più minuscolo all’idea di energia – è relazione di pensiero, ma non il pensiero astratto della filosofia idealistica, ma “l’elemento di Vita non veduto di tale pensiero”, ossia quella forza originaria, autonomamente attiva del pensare che ordinariamente sfugge all’osservazione e la cui conoscenza richiede disciplina interiore, richiede ascesi nel senso greco di àskesis, ossia esercizio, applicazione, che richiede raccoglimento interiore. Il punto centrale da comprendere è che non si tratta di dare all’uomo forze a lui esterne – come nel caso delle vie che ricorrono a piante allucinogene – ma di destare e realizzare le forze che sono già presenti in lui, sebbene allo stato latente. Non è questione di “stati alterati di coscienza”, ma di realizzare uno stato superiore di coscienza attraverso una via di autodisciplina, di autodominio e di riscoperta delle proprie potenzialità.
BIBLIOGRAFIA COMMENTATA
Per l’approfondimento della biografia di Rudolf Steiner si rinvia il lettore a R. Steiner, La mia vita, Editrice Antroposofica, Milano, 2012; S. Rihouet-Coroze, Rudolf Steiner: la vita e l’opera del fondatore dell’Antroposofia, Convivio, Firenze, 1989; P. Giovetti, Rudolf Steiner: la vita e l’opera del fondatore dell’Antroposofia, Mediterranee, Roma, 2006. La presente relazione è stata articolata, oltre che sui testi di Steiner, anche sul testo citato di S.Rihouet-Coroze, molto approfondito per quanto riguarda il rapporto fra Steiner ed il pensiero di Goethe, soprattutto negli anni della collaborazione all’Archivio di Goethe a Weimar ed anche per quanto concerne l’influenza di Schiller sul pensiero di Steiner. Su questo tema sono fondamentali due opere di Rudolf Steiner, Introduzione agli scritti scientifici di Goethe: per una fondazione della scienza dello spirito, Editrice Antroposofica, Milano, 2008; Saggi filosofici: linee fondamentali di una gnoseologia della concezione goethiana del mondo, Editrice Antroposfica, Milano, 1990.
L’edizione di riferimento della Filosofia della Libertà è stata quella del 2011, pubblicata dalla Editrice Antroposofica di Milano e comprendente sia la prefazione alla I edizione del 1894 sia quella alla II edizione del 1918. Tutte le citazioni di Steiner contenute nella presente relazione sono ricavate dalla prima parte dell’opera, che si intitola La Scienza della Libertà e della quale, nel corso del testo, sono stati indicati gli argomenti affrontati nei vari capitoli (pp. 11-104).
L’influenza di Goethe su Spengler si ravvisa laddove Spengler, richiamandosi espressamente a Goethe, paragona l’anima di una civiltà ad una pianta e l’andamento ascendente (“Kultur”) e poi discendente di una civiltà (“Zivilisation”) al crescere, alla culminazione feconda e poi all’appassire di una pianta. L’edizione del Tramonto dell’Occidente di Oswald Spengler che si è avuta come riferimento è quella pubblicata dalle edizioni Guanda di Parma nel 2002, con introduzione di Stefano Zecchi e traduzione di Julius Evola (già pubblicata dall’editore Longanesi nella sua edizione del Tramonto dell’Occidente del 1957). Per il pensiero orientale, si consiglia la lettura di Namkhai Norbu, Il cristallo e la via della luce. Sutra, tantra e Dzogh-Chen, Ubaldini, Roma, 1987.
Sul neoplatonismo è ovviamente fondamentale Plotino, Enneadi, traduzione di Roberto Radice, saggio introduttivo, prefazione e note di commento di Giovanni Reale, Rusconi, Milano, 1992; 1996; Mondadori, Milano, 2006. Per il pensiero di Massimo Scaligero si rinvia, in particolare, a M. Scaligero, Manuale pratico di Meditazione, Tilopa, Roma, 2005; Tecniche della Concentrazione interiore, Mediterranee, Roma, 2012. Per un approfondimento del pensiero di Rudolf Steiner, in particolare per quel che concerne “il pensare che osserva il pensare” si rinvia a R. Steiner, L’Iniziazione. Come si consegue la conoscenza dei mondi superiori, Editore Fratelli Bocca, Milano, 1946 (ora: Editrice Antroposofica, Milano, 2009), in relazione al quale è consigliabile anche la lettura di Giovanni Colazza, Dell’Iniziazione. Commento a l’Iniziazione di Rudolf Steiner, Tilopa, Roma, 2006.
Nereo
Ma quale pensiero vivente? Quello fichtiano? L’antroposofia è una bufala. È solo un business sedicente “spirituale” e massimamente contraddittorio. Sveglia!
http://la-percezione-di-archiagottlieb.webnode.it/news/lintelletto-di-gottlieb-e-degli-antroposofi-di-stato/
Marco
Ci sono tante cretinate, ma non è tutto da buttare. E’ nullo sul piano esoterico-spirituale iniziatico e tradizionale, ma altre cose ( biodinamica, medicina ecc.) sono quasi interessanti. Con Scaligero si va molto peggio, perchè manca quel pochissimo di interessante che Steiner ancora conserva …
Sabio Ramblano
” La Tradizione è ciò che deve essere tradito ” la via spirituale non deve essere interessante o carina e simpatica ma solo adatta all’uomo del presente e alle sue esigenze interiori…una via va conosciuta e praticata seriamente per poterne parlare adeguatamente altrimenti occorre praticare il nobile silenzio…!!! direi che una espressione di un esoterista italiano di altissimo rango può essere di grande monito, circa la cosiddetta “regolarità tradizionale” : ” ….la regolarità tradizionale non è altro che la codificazione del gia avvenuto e che tale appare ad un pensiero paralizzato nella sua funzione riflessa, cerebrale. Il nostro compito è, al contrario, di trarlo da tale ipnosi cerbrale per ricondurlo alla sua sorgente fatta di “volontà” in cui si attua l’identità tra io e cosmo, nel cuore di ogni uomo. Il resto sono chiacchiere…” e la via antroposofica offre una strada per uscire dal dialettismo e dal pensiero legato esclusivamente al regno della quantità…