Il fantascientista che nobilitò la letteratura pop

Il verbo «sdoganare» è più che abusato, quindi non lo userò per riferirmi a Carlo Fruttero. Dirò invece che è stato l’intellettuale che, in seguito con Franco Lucentini, fece accettare alla cultura italiana la «letteratura di genere» (avventura, poliziesco, orrore, fantascienza) sia con la sua (loro) attività di antologisti e direttori di collane, sia come romanzieri.

Sì, esattamente quella intellighenzia impegnatissima e con la puzzetta sotto il naso che non amava la «narrativa di evasione» che distoglieva dal «sociale». E invece proprio lui, il torinese Fruttero, a 33 anni pubblicò quella che ancora è una pietra miliare della fantascienza in Italia, l’antologia Le meraviglie del possibile (Einaudi, 1959). A sette anni dall’approdo ufficiale della science fiction in Italia con Urania (1952), Fruttero effettuò una straordinaria operazione editoriale con l’etichetta più sofisticata e, appunto, «impegnata» dell’epoca facendosi approvare una scelta di racconti americani accompagnati da un saggio del grande critico Sergio Solmi, a tutt’oggi una delle cose più originali e profonde scritte in merito (a parte gli entusiasmi «astronautici»). In tal modo un genere considerato di serie B venne proposto alla nostra cultura che snobbava per principio certe cose, abbinandole nel suo disprezzo ai fumetti. Tre anni dopo, con Lucentini, rinnovò il successo con Il secondo libro della fantascienza (Einaudi, ’61) che, se pur non raggiungeva l’eccellenza dell’altra, restava su un livello ragguardevole. E non dimentichiamo che un anno prima con Storie di fantasmi (Einaudi) F&L avevano dato dignità ai racconti dell’orrore, sia o classici all’inglese, sia presentando in Italia, praticamente per la prima volta, insieme a Bruno Tasso curatore di Un secolo di terrore (Sugar, ’60), H.P. Lovecraft.

È stato questo suo specifico interesse che lo portò all’attenzione della Mondadori che nel maggio ’62 lo scelse come curatore di Urania succedendo a Giorgio Monicelli che se ne era occupato dall’inizio al ’61. Nel giugno ’64 venne affiancato dall’inseparabile Lucentini e insieme ne hanno effettuato le scelte sino al novembre ’85. Sempre insieme e sempre per Mondadori hanno poi curato varie antologie: Universo a sette incognite (’63), L’ombra del 2000 (’65), Il dio del 36° piano (’68), ma è da citare anche I mostri all’angolo della strada (’66), con una strepitosa copertina di Karel Thole, l’illustratore di Urania, che fu, pur con pecche organizzative e di traduzione, il primo tentativo di offrire in Italia una lettura organica nella narrativa di Lovecraft.

Fruttero aveva una visione della narrativa «di genere» non del tutto condivisibile, e non ha mai pensato che i nostri autori potessero scriverne con originalità e dignità, specie la fantascienza, ma fu proprio lui insieme a Lucentini a dimostrare il contrario con due gialli tipicamente italiani: La donna della domenica (’72) e A che punto è la notte (’79)!

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Tratto da Il Giornale del 16 gennaio 2012.

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Giornalista, vicedirettore della cultura per il giornale radio RAI, saggista ed esperto di letteratura fantastica, curatore di libri, collane editoriali, riviste, case editrici. E' stato per molti anni presidente, e successivamente segretario, della Fondazione Julius Evola.

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