I temi della geopolitica e dello spazio russo nella vita culturale berlinese dal 1918 al 1945

Karl Haushofer (Munich, 27 août 1869 - Pähl, 10 mars 1946).
Karl Haushofer (Munich, 27 août 1869 – Pähl, 10 mars 1946).

Intervento di Robert Steuckers alla 10 Università d’estate di “Synergies Européennes”, Bassa-Sassonia, agosto 2002.

Analisi di Karl SCHLÖGEL, Berlin Ostbahnhof Europas – Russen und Deutsche in ihrem Jahrhundert, Siedler, Berlin, 368 S., DM 68, 1998.

Nel 1922, dopo l’effervescenza spartachista che ha appena scosso Berlino e Monaco, un anno prima dell’occupazione franco-belga della Ruhr, il Generale di artiglieria bavarese Karl Haushofer, laureato in geografia, è unanimemente e giustamente considerato uno specialista del Giappone e dello spazio oceanico del Pacifico. La sua esperienza di attaché militare nell’Impero del Sol Levante, prima del 1914, e la sua tesi universitaria presentata dopo il 1918, gli consentono di rivendicare questa qualifica. Haushofer entra così in contatto con due personalità sovietiche di primo piano: l’uomo del Komintern a Berlino, Karl Radek, e il Commissario agli Affari Esteri, Georgi Tchitchrin (che siglerà l’Accordo di Rapallo con Rathenau). In quale contesto ha luogo questo incontro? Il Giappone e l’URSS cercano di appianare le loro divergenze intavolando una serie di negoziati in cui i Tedeschi svolgono il ruolo di arbitri. Questi negoziati si basano essenzialmente sul controllo dell’isola di Sakhalin. Il Giappone reclama la presenza di Haushofer, al fine di avere dalla sua parte “una personalità obiettiva ed informata dei fatti”. I Sovietici accettano che questo arbitro sia Karl Haushofer, perché i suoi scritti sullo spazio del Pacifico (trascurati in Germania dopo che questa ha perduto la Micronesia in seguito al Trattato di Versailles) sono letti con grande attenzione dalla giovane scuola diplomatica sovietica. In più, con la mania agiografica dei rivoluzionari bolscevichi, Haushofer ha conosciuto i fratelli Ulianov (Lenin) a Monaco prima della I guerra mondiale; gli piaceva parlarne e riferirà in seguito questo episodio nella sue memorie. L’interesse sovietico per la persona del Generale Haushofer durerà fino al 1938, quando, con un brusco cambio di atteggiamento al tempo dei grandi processi di Mosca, il Procuratore richiederà la condanna di Sergueï Bessonov, che accusa di essere una spia tedesca, in contatto, egli pretende, con Haushofer, Hess e Niedermayer (cf. infra). Le stesse accuse sono portate contro Radek, che finirà giustiziato, nel corso delle grandi purghe staliniane.

Questi tre fatti di storia (la presenza di Haushofer durante i negoziati tra Giapponesi e Sovietici, il contatto, senza dubbio assai breve e perfettamente anodino, tra Haushofer e Lenin, le condanne ed esecuzioni di Radek e di Bessonov indicano che indipendentemente dalle etichette ideologiche di «sinistra» o di «destra», la geopolitica, quella teorizzata da Haushofer a Monaco e a Berlino negli anni 20, non si occupa che dei rapporti esistenti tra la geografia e la storia; essa è dunque considerata come un processo scientifico, come un sapere pratico e non come una speculazione ideologica ed occultistica, che veicola dei fantasmi o degli interessi. All’epoca, si può parlare di un’autentica “Internazionale della geopolitica”, che trascende largamente le etichette ideologiche, come oggi, un sapere di ordine geopolitico, diffuso in una moltitudine di istituti, comincia a profilarsi ovunque in un mondo in cui le grandi poste geopolitiche sono tornare all’ordine del giorno: la questione dei Balcani, quella dell’Afghanistan, riportano in primo piano tutte le grandi tematiche della geopolitica, specialmente quelle che erano state sottolineate da Mackinder e Haushofer.

Un procedimento fattuale e materiale, senza deriva occultistica

A partire dal 1924, Haushofer pubblica la sua Zeitschrift für Geopolitik (ZfG; “Rivista per la geopolitica”), in cui egli mette soprattutto l’accento sullo spazio del Pacifico, come attestano i suoi articoli e i suoi resoconti, redatti specialmente grazie a rapporti inviati da corrispondenti giapponesi. Il tono di questa rivista è dunque essenzialmente politico e geografico, contrariamente alle chiacchiere diffuse per decenni dopo il 1945, e che cominciano per fortuna ad attenuarsi; queste “chiacchiere” evocano una fantasmagorica dimensione “esoterica” della Zeitschrift für Geopolitik (ZfG); si è narrato che Haushofer apparteneva ad ogni specie di setta esoterica ed occulta (ossia occultistica). Queste accuse sono di certo completamente false. Inoltre, l’interesse nei confronti di Haushofer e delle sue tesi sullo spazio del Pacifico da parte della giovane diplomazia sovietica, da Radek e Tchitcherin, è un indice complementare (e consistente) per attestare la natura concreta e materiale dei suoi scritti; essendo le sette, per definizione, irrazionali, come avrebbe potuto un uomo, considerato, immerso in questo universo ai margini di ogni razionalità scientifica, suscitare l’interesse e la collaborazione attiva di marxisti materialisti e storicisti? Di marxisti che tentavano di espungere ogni irrazionalità dai loro processi intellettuali? L’accusa di occultismo nei confronti di Haushofer è dunque una contro-verità propagandistica, diffusa dai servizi e dalle potenze che hanno l’interesse che la sua opera rimanga sconosciuta, non sia più consultata nelle cancellerie e negli stati maggiori. Va da sé che si tratta di potenze interessate a far sì che il grande continente eurasiano non sia organizzato né gestito territorialmente fin nelle sue regioni più lontane dal mare.

La principale opera geopolitica e scientifica di Haushofer è dunque la sua Geopolitik des Pazifischen Raumes (“Geopolitica dello spazio pacifico”), meticoloso libro di riferimento che si trova in permanenza nell’ufficio di Radek a Berlino come a Mosca. Karl Radek svolge un ruolo di diplomatico del PCUS (“Partito Comunista dell’Unione Sovietica”). Egli tuttavia è a favore, quando i francesi condannano a morte e fanno fucilare l’attivista nazionalista tedesco Albert Leo Schlageter, di un fronte comune tra nazionalisti e comunisti contro le potenze occidentali occupanti. In seguito, Radek sarà nominato Rettore dell’Università Sun-Yat-Sen a Mosca, centro nevralgico della nuova cultura politica internazionale che i Sovietici intendono generalizzare su tutto il pianeta. Radek organizzerà, con l’avvio di questa università di nuovo genere, uno scambio permanente tra universitari, il cui sapere è in grado di forgiare questa nuova cultura diplomatica internazionale.

Tre figure emblematiche

Nel quadro di questa Università Sun-Yat-Sen , tre figure emblematiche meritano ancora oggi la nostra attenzione, in quanto il loro procedere può ancora avere una tale incidenza su ogni riflessione attuale circa il destino della Russia, dell’Europa, dell’Asia centrale e per quel che riguarda le teorie generali della geopolitica: Mylius Dostoïevski, Richard Sorge e Alexander Radós. Mylius Dostoïevski è il nipote del grande scrittore russo. Il quale, ricordiamolo, ha gettato le basi di una rivoluzione conservatrice in Russia, al di là dei limiti della slavofilìa degli inizi del XIX secolo e consolidato, di colpo, la dimensione russofila della rivoluzione conservatrice tedesca, per la via indiretta delle sue riflessioni affidate al suo Diario di uno scrittore, opera capitale che sarà tradotta in tedesco da Arthur Moeller van den Bruck. Mylius Dostoïevski è specializzato in storia ed in geografia del Giappone, della Cina e dello spazio marittimo del Pacifico. Egli apparterrà alla giovane avanguardia della diplomazia sovietica e sarà un lettore attento della ZfG; per rendere la cortesia a questo giovane geografo sovietico, secondo la sua abituale signorilità, Karl Haushofer renderà sempre conto con precisione delle diverse evoluzioni della nuova geopolitica sovietica. Egli ritiene che i Tedeschi del suo tempo debbano conoscerne le grandi linee e la dinamica. Richard Sorge, altro lettore della ZfG, è un esponente sovietico in Estremo Oriente. Si conosce il suo ruolo durante la seconda guerra mondiale. Nel 1933, quando Hitler prende il potere in Germania, Sorge è in contatto con la scuola geopolitica di Haushofer. Egli vi rimarrà, nonostante i cambiamenti di regime e le opzioni anticomuniste ufficiali, ad ulteriore prova che la geopolitica è ben al di là degli spartiacque ideologici e politici. Nel corso degli anni susseguenti la Machübernahme di Hitler, egli scrive numerosi importanti articoli nella ZfG. La sua conoscenza del mondo estremo-orientale (e solo essa) giustificano questa collaborazione.

Alexander Radós e “Pressgeo”

Indubbiamente, il principale discepolo sovietico di Karl Haushofer è l’israelita ungherese Alexander Radós, geografo di formazione, in servizio come spia per la giovane URSS, specialmente in Svizzera, centro nevralgico di numerosi contatti ufficiali. Radós è l’uomo che ha formato le nuove concezioni della geografia politica sovietica. Egli è, tra l’altro, colui che ha forgiato la denominazione stessa dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Radós è principalmente un cartografo, che ha iniziato la sua carriera fissando carte del traffico aereo, le quali alle sua epoca costituiscono evidentemente un’innovazione. Egli insegna alla “Scuola marxista di formazione dei Lavoratori” (Marxistische Arbeiterschulung). Fonda in seguito la prima agenzia in assoluto del mondo di stampa cartografica, a cui da il nome di “Pressgeo”, in cu lavorerà in particolare una futura celebrità come Arthur Koestler. La fondazione di questa agenzia corrisponde perfettamente alle aspirazioni di Haushofer, che intende volgarizzare e diffondere al massimo tra la popolazione un sapere programmatico di ordine geografico, storico ed economico, in accordo con lo spirito di difesa. La carta, tracciato sintetico, strumento didattico di prim’ordine, serve all’obiettivo di istruire rapidamente gli spiriti decisionisti degli eserciti e della diplomazia, come gli insegnanti di storia e di scienze politiche che devono comunicare velocemente un sapere essenziale e vitale ai loro allievi.

Haushofer parla anche, in questo senso, di Wehrgeographie, di “geografia difensiva”, cioè di “geografia militare”. L’obiettivo di questa scienza programmatica è di sintetizzare in un semplice colpo d’occhio cartografico tutta una problematica di natura strategica, ricorrente nella storia. Pedagogia e cartografia formano i due pilastri principali della formazione politica delle élites e delle masse. Yves Lacoste, oggi in Francia, segue una stessa logica, facendo riferimento a Elisée Reclus, geografo dinamico, che reclamava una pedagogia dello spazio, in una prospettiva che egli voleva rivoluzionaria e “anarchica”. Lacoste, come Haushofer, ha perfettamente coscienza della dimensione militare della geografia (e, a fortiori, della Wehrgeographie), quando scrive, facendo riferimento ai primi cartografi militari dell’antica Cina “La geografia, serve a fare la guerra!”.

Sull’utilità pedagogica della cartografia

Michel Foucher, professore a Lione, dirige oggi un istituto geografico e cartografico, le cui cartine, molto didattiche, illustrano la maggior parte degli organi di stampa francesi, quando questi evocano i punti caldi del pianeta. In questo stesso spirito pluri-disciplinare, dalla volontà chiaramente pedagogica che in Francia e in Germania, va da Haushofer a Lacoste e a Foucher, Alexander Radós, loro precursore sovietico, pubblica in URSS e in Germania nel 1930, un Atlas für Politik, Wirtschaft und Arbeiterbewegung (“Atlante della politica, dell’economia e del movimento operaio”). Radós è così il precursore di un modo innovatore ed interessante di praticare la geografia politica, di mescolare in sintesi audaci, un ventaglio di saperi economici, geografici, militari, topografici, geologici, idrografici, storici. Le sintesi, che sono le cartine, devono servire a cogliere in un solo colpo d’occhio, delle problematiche altamente complesse che il semplice testo scritto, troppo lungo da assimilare, non permette di afferrare così velocemente, di esprimere senza inutili divagazioni. È questo un grande passo in avanti nella pedagogia scientifica e politica, nel senso aperto, un secolo prima dal geografo Carl Ritter.

Questa cartografia facilita il lavoro del militare, del geografo e dell’uomo politico; essa permette, come sottolinea Karl August Wittfogel, di uscire da un’impasse della vecchia scienza geografica tradizionale (e “reazionaria” per i marxisti), in cui sistematicamente, si trascuravano i macro-processi scatenati dal lavoro dell’uomo e così, il carattere “storico-plastico” di quelli che si credevano essere dei “fatti eterni di natura”. È in questa fondamentale posizione epistemologica, al di là delle discriminanti ideologiche, frutto di “etiche della convinzione” dalle ripercussioni calamitose, che si ritrovano Elisée Reclus, Haushofer, Radós, Wittfogel, Lacoste e Foucher. Wittfogel, che si pone come rivoluzionario, riconosce questa “plasticità storica” nell’opera del “geopolitologo borghese” Karl Haushofer. Le due scuole, quella di Haushofer e la marxista, vogliono inaugurare una geografia dinamica, in cui lo spazio non viene più posto come un blocco inerte e immobile, ma si apprende come una rete di relazioni, di rapporti, di movimenti in perpetua effervescenza (il pensiero va naturalmente al rhizome di Gilles Deleuze, che ispira gli attuali “geofilosofi” italiani). In seno a questa rete sempre in movimento, il tempo può apportare epoche di sosta, di maggiore calma, come può inserire del dinamismo, della violenza, dei rovesciamenti, che costringono le personalità politiche di valore ad adoperarsi per ridistribuire le carte. Il lavoro dell’uomo, che addomestica certi spazi organizzandoli e creando dei mezzi di comunicazione più rapidi, è un lavoro propriamente “rivoluzionario”; gli uomini politici che rifiutano di gestire lo spazio, in uno spirito di difesa territoriale o nello spirito di assicurare alle future generazioni comunicazioni e risorse, sono dei “reazionari”, dei codardi che preferiscono una lenta decomposizione alla dinamica di trasformazione. Degli arrendevoli che fanno anche il gioco perverso dei talassocratici.

Di conseguenza, rievocare uomini come Mylius Dostoïevski, Richard Sorge, Alexander Radós o Karl August Wittfogel, ci sembra molto utile, intellettualmente e metodologicamente, perché questo prova:

– che l’interesse generale per la geopolitica oggi non può più essere messo alla pari di un interesse malsano per il passato nazional-socialista (contesto in cui dovette operare Haushofer);
– che nessuna morbosità di ordine esoterico od occultista può essere reperita nell’opera di Haushofer e dei suoi discepoli tedeschi o sovietici;
– che queste scuole hanno posto delle pietre miliari nello sviluppo della scienza politica, della geografia e della cartografia;
– che esse hanno lasciato in eredità un bagaglio scientifico della più grande importanza;
– che noi dovremmo interessarci maggiormente degli sviluppi della geopolitica sovietica degli anni 20 e 30 (e analizzare, ad esempio, l’opera di Radós).

Oskar von Niedermayer, il “Lawrence tedesco”

Oskar von Niedermayer, le "Lawrence allemand"
Oskar von Niedermayer, le “Lawrence allemand”

Oltre ad Haushofer, un approccio al sapere geopolitico quale si manifesterà nella Berlino degli anni 20, 30 e 40, non può esimersi dallo studiare la figura del Cavaliere Oskar von Niedermayer, soprannominato il “Lawrence d’Arabia” tedesco. Nato nel 1885, Oskar von Niedermayer intraprende la carriera di ufficiale, ma non si accontenta del semplice servizio militare. Egli studia all’università le scienze naturali fisiche, la geografia e le lingue iraniane (il che gli permetterà di avere contatti successivi con la Comunità religiosa Ba’hai che, all’epoca, è quasi la sola porta aperta dell’Iran sull’Occidente). Dal 1912 al 1914, egli compie un lungo viaggio in Persia ed in India. Egli sarà così il primo Europeo ad attraversare da parte a parte il deserto di sabbia del Lout (Dacht-i-Lout). Nel 1914, quando scoppia la prima guerra mondiale, Oskar von Niedermayer, accompagnato da Werner Otto von Henting, percorre le montagne dell’Afghanistan per incitare le tribù afghane a sollevarsi contro gli Inglesi e i Russi, al fine di creare un “accesso di attacco”, che obblighi le due potenze nemiche della Germania a sguarnire parzialmente i loro fronti in Europa, nel Caucaso e in Mesopotamia. Questa missione sarà un fiasco. Nel 1919, Niedermayer si ritrova nei ranghi del Corpo Franco del colonnello Cavalier Franz von Epp che schiaccia la Repubblica dei Consigli di Monaco. Nonostante il suo ruolo nell’avventura di questo Corpo Franco anticomunista, Niedermayer viene nominato in seguito ufficiale di collegamento della Reichswehr presso la nuova Armata Rossa a Mosca. In questo contesto, è interessante notare che egli è, innanzi tutto, un esperto dell’Afghanistan, delle lingue persiane di tutta questa zona chiave della geostrategia mondiale che va dalla riva sud del Caspio all’Indo. È dunque Niedermayer che negozierà con Trotski e che visiterà, per conto della Reichswehr, nella prospettiva della futura cooperazione militare tra i due paesi, le fabbriche di armi e i cantieri navali di Pietrogrado (divenuta “Leningrado”). Oskar von Niedermayer è dunque stato uno dei tasselli operativi della cooperazione militare e militar-industriale germano-russa degli anni 20. Nel 1930, egli diviene professore di Wehrgeographie a Berlino.

La “palude” e le sue etiche di convinzione

La principale lezione che egli trae dalle sue attività politiche e diplomatiche è una sfiducia nei confronti dei politici del centro”, della “palude”, incapaci di comprendere le grandi implicazioni internazionali del “Grande Gioco”. Le sue critiche si rivolgono soprattutto ai social-democratici e ai centristi di ogni sfumatura ideologica: con tali personaggi è impossibile, constata von Niedermayer in un rapporto in cui non nasconde il suo disappunto, articolare a lungo termine una politica estera durevole, razionale e costante. Egli li accusa di criticare tutto pubblicamente attraverso la stampa; in questo modo, nessuna diplomazia segreta è ancora possibile. Peggio, egli ritiene che, a causa del comportamento deleterio di questi saltimbanchi senza una solida spina dorsale politica, nessuna delle abituali risorse della diplomazia tra stati funziona ancora in maniera ottimale. Perché le etiche della convinzione (terminologia di Max Weber: Gesinnungsethik) che animano tutte le vane agitazioni politiche di quella gente, alterano lo spirito di ritegno, di serietà e di servizio che sono necessari per far funzionare una tale diplomazia tradizionale. La priorità accordata alle convinzioni giunge a tradire gli interessi fondamentali dello Stato e della nazione. Il risentimento di Niedermayer nasce in seguito ad un incidente al Reichstag, in cui il socialista Scheidemann, animato da un pacifismo irrealistico e di bassa lega, denuncia un accordo militare segreto tra l’URSS e il Reich, con il pretesto che il commercio e lo scambio di armamenti non sono “morali”. L’indomani, come per caso, la stampa londinese all’unisono, riprende l’informazione e innesca una propaganda contro le due potenze continentali che hanno aggirato le clausole di Versailles relative agli embarghi. Questo incidente mostra anche che un buon numero di giornalisti sono al servizio di interessi estranei al loro paese. In questo oggi nulla è cambiato: gli Stati Uniti beneficiano dell’appoggio incondizionato della maggior parte delle penne della stampa parigina.

Youri Semionov, specialista della Siberia

storia-della-siberiaNegli anni 30, Niedermayer incontra Yuri Semionov, un russo bianco in esilio e specialista di economia, di geografia, di geologia e di idrografia siberiane. Semionov è autore di un lavoro, sempre attuale, sempre consultato ad alto livello, sui tesori della geologia siberiana. Pure specialista dell’impero coloniale francese, Semionov compila le sue riflessioni successive in un volume la cui ultima edizione tedesca è del 1975 (cf. Juri Semjonow, Erdöl aus dem Osten – Die Geschichte der Erdöl- und Erdgasindustrie in der UdSSR, Econ Verlag, Wien/Düsseldorf, 1973 e Sibirien – Schatzkammer des Ostens, Econ Verlag, Wien/Düsseldorf, 1975). Nato nel 1894 à Vladikavkaz nel Caucaso, Yuri Semionov studia all’Università di Mosca, prima di emigrare nel 1922 a Berlino, dove insegnerà storia e geografia della Russia e, più in particolare, dei territori siberiani. Dopo la caduta del III Reich, emigra nel 1947 in Svezia, dove insegnerà a Uppsala e vi concluderà la sua vita. In Sibirien – Schatzkammer des Ostens, egli traccia tutte le tappe della storia della conquista russa dei territori situati al di là dell’ex capitale dei Tatari, Kazan. Egli dimostra che la conquista di tutto il corso del Volga, da Kazan ad Astrakhan, permette alla Russia di speculare su un’eventuale conquista delle Indie. Semionov ricolloca tutti questi fatti di storia in una prospettiva geopolitica, quella dell’organizzazione del Grande Continente, dal Mar Bianco al Pacifico. I capitoli sul XIX secolo sono particolarmente interessanti, specialmente quando descrive la situazione globale dopo la decisione dello zar Alessandro III di far finanziare la costruzione di una ferrovia transiberiana.

Questo estratto del libro di Semionov (pp. 356-357) riassume perfettamente questa situazione: “Noi sappiamo che ogni politica di “concentrazione delle forze sul continente”, come quella che aveva in vista la Russia, provocava un’inquietudine fatta di gelosia in Inghilterra. Ogni movimento della Russia in Asia era considerato come una minaccia che pesava sull’India. L’Ammiraglio Sterling vide questa minaccia diventare concreta dopo l’installazione della presenza russa lungo il fiume Amur. Lo scrittore inglese, oggi dimenticato, ma ben noto all’epoca, Th. T. Meadows, evocò nel 1856, nei suoi scritti, un “futuro Alessandro il Grande russo, che sarebbe andato a conquistare la Cina, poi, senza alcuna difficoltà, avrebbe distrutto l’impero britannico e sottomesso il mondo intero. Questo grido d’allarme patetico, rilanciato dalla stampa inglese, appariva spesso molto idealista, mentre begli anni 80 del XIX secolo i Russi avanzavano in Asia Centrale e si avvicinavano alla frontiera afgana. Nel 1884, accadde il famoso «incidente afghano»; un distaccamento russo s’impadronì di un punto contestato sulla frontiera; in seguito, gli Afghani, che agivano su ordine degli Inglesi, attaccarono questa postazione, ma vennero battuti e dispersi dai Russi. Il primo ministro britannico Gladstone dichiarò, di fronte al Parlamento di Londra, che la guerra con la Russia era ormai inevitabile. Solo il rifiuto di Bismarck, di sostenere gli Inglesi, impedì all’epoca, lo scoppio di una guerra anglo-russa”. Tutta la recente attualità sembra riassunta in questo breve estratto..

I capitoli dedicati all’opera di Witte, padre della Transiberiana, sono anch’essi illuminanti. Semionov ricorda che Witte è un discepolo dell’economista Friedrich List, teorico dell’organizzazione dei grandi spazi. Esisteva, prima della I guerra mondiale e prima della guerra russo-giapponese, una vera idea gran-continentale. Essa era condivisa in Francia (Henri de Grossouvre ci ha richiamato l’opera di Gabriel Hanotaux), in Germania (con il ricordo di Bismarck) ed in Cina, con Li Hung-Tchang, che negozierà con Witte. L’Inghilterra riuscirà a frantumare questa unità, il che comporterà la sanguinosa processione di tutte le guerre del XX secolo. Oskar von Niedermayer incontra anche il Professor Otto Hoetzsch, di cui tracceremo l’itinerario nel prosieguo di questo intervento. Nonostante i loro percorsi ben diversi e le loro opzioni ideologiche divergenti, Haushofer, Niedermayer, Semionov e Hoetzsch si completano utilmente e la lettura simultanea delle loro opere ci permette di cogliere tutta la problematica europea, senza mutilarla, senza nulla omettere della sua complessità.

Dall’insegnamento alla 162^ Divisione

Nel 1937, Hitler ordina la fondazione di un Institut für allgemeine Wehrlehre (“Istituto per le dottrine generali di difesa”). Niedermayer, sia pure scettico, servirà lealmente questa nuova istituzione di Stato, il cui obiettivo, incentrato sull’etnologia visto l’interesse dei nazional-socialisti per le questioni razziali, è quello di studiare i mutui rapporti tra popolo/i e spazio/i. Ostile alla Gesinnungsethik dei nazional-socialisti, come lo era stato a quelle dei socialdemocratici o dei centristi, Niedermayer protesta contro le campagne di diffamazione orchestrate contro dei professori che sono descritti come degli «intellettuali apolitici», comportamento hitleriano che trova perfettamente il suo pendant nelle campagne di diffamazione orchestrate da un certo giornalismo contemporaneo contro coloro che rimangono scettici di fronte ai progetti di sradicare l’Iraq, la Libia o la Serbia e di appoggiare le bande mafiose come quelle dell’UÇK o del complesso militare-mafioso turco. Oggi, non si tratta più di accusare coloro che non intendono ragioni, di essere “intellettuali apolitici”, bensì di essere “antidemocratici”.

Dal carcere di Torgau alla Lubianka

Come la maggior parte degli esperti in questioni russe del suo tempo, Niedermayer deplora la guerra germano-sovietica, scatenata nel giugno 1941. Nel 1942, su suggerimento di Claus von Stauffenberg, futuro autore dell’attentato del 20 luglio 1944 contro Hitler, Niedermayer viene nominato capo della 162^ Divisione di Fanteria della Wehrmacht, dove prestano servizio dei volontari e dei legionari di ceppo turco (provenienti dai popoli turcofoni dell’Asia centrale). Questa unità conosce delle alterne fortune, ma il fiasco della politica nazional-socialista a Est, accentua in modo considerevole lo scetticismo di Niedermayer. Di stanza in Italia con i resti della sua divisione, egli critica apertamente la politica condotta da Hitler sul territorio dell’Unione Sovietica. Cosa che conduce al suo arresto: egli viene internato a Torgau sull’Elba. Quando le truppe americane entrano nella città, egli lascia il carcere e viene arrestato dai soldati sovietici che lo fanno condurre immediatamente a Mosca, dopo egli è ospite nella famosa prigione della Lubianka. Vi morrà di tubercolosi nel 1948.

La morte di Niedermayer non chiude il suo “dossier”, nell’ex-URSS. Nel 1964, le autorità sovietiche utilizzano i testi delle sue deposizioni di Mosca del 1945 per riabilitare il Maresciallo Tukhatchevski. Si dovrà attendere il 1997 perché anche lo stesso Niedermayer sia totalmente riabilitato. Dunque emendato da tutte le accuse incongrue di cui era stato gravato.

Il perno indiano della storia e la necessità del “Kontinentalblock”

Abbiamo enumerato un buon numero di fatti biografici di Niedermayer, per far meglio capire il nucleo essenziale del suo cammino di iranologo, di esploratore del Dacht-i-Lout, di agitatore tedesco in Afghanistan e di comandante della Divisione turcofona della Wehrmacht. Due idee di base animano l’azione di Niedermayer: 1) l’idea che l’India sia il perno della storia mondiale; 2) la coscienza dell’imperiosa necessità di costruire un blocco continentale (eurasiano), il famoso “Kontinentalblock” di Karl Haushofer (progetto che egli molto probabilmente riprese dagli uomini di Stato giapponesi degli inizi del XX secolo, come il Principe Ito, il Conte Goto e il Primo Ministro Katsura, sostenitori di un’alleanza gran continentale germano-russo-giapponese). Se Niedermayer riprende senza dubbio questa idea di “blocco continentale” direttamente dall’opera di Haushofer, senza risalire alle fonti giapponesi (che egli deve certamente ignorare) l’idea dell’India come “perno della storia” gli giunge molto probabilmente dal Generale Andreï Snessarev, ufficiale zarista passato agli ordini di Trotski, per divenire il capo di stato maggiore dell’Armata Rossa. Questo generale, avverso ai talassocrati anglosassoni, rappresentante di un ideale geopolitico grancontinentale, trascendente lo spartiacque bianchi/rossi, si compiaceva nel ripetere: “Se noi vogliamo abbattere la tirannia capitalista che pesa sul mondo, allora dobbiamo cacciare gli Inglesi dall’India”.

Principi talassocratici, liberalismo all’occidentale, permissività politica e morale, capitalismo le cui implicazioni annullano sistematicamente le tradizioni storiche e culturali (cf. Dostoïevski e Moeller van den Bruck), logica mercantile, sono sinonimo di abiezione per questo ufficiale tradizionale: poco importa che egli li combatta sotto un’etichetta bianca/tradizionalista o sotto un’etichetta rossa/rivoluzionaria. Le etichette sono delle «convinzioni» senza sostanza: importa solo un’azione costante che tenda a ridurre e a distruggere le forze dissolutive della modernità mercantile, perché esse conducono il mondo al caos ed i popoli ad una miseria senza via di uscita. Come oggi ancor più constatiamo rispetto ad allora, l’industriale, il negoziante e il banchiere, con la loro logica di accumulazione mostruosa, appaiono come degli esseri sia abietti che inferiori, fondamentalmente nocivi, per questo ufficiale superiore russo e sovietico il quale non rispetta che gli uomini di qualità – gli storici, i religiosi, i soldati e i rivoluzionari. Gli imperativi della geopolitica sono delle costanti della storia cui l’uomo di lunga memoria, il solo uomo di valore, il solo uomo provvisto di qualità permanenti, deve obbedire. Sulla scia di questo Snessarev, che egli senza dubbio ha incontrato al tempo in cui fungeva da ufficiale di collegamento presso l’Armata Rossa, Niedermayer, forte anche delle sue esperienze di iranologo, di esploratore del Dacht-i-Lout e specialista dell’Afghanistan, chiave di accesso all’India dai tempi di Alessandro il Grande, sa che il destino dell’Europa in generale e della Germania, suo cuore geografico, in particolare, si decide in India (e, pertanto, in Persia e in Afghanistan). Una lezione che l’attualità rende quanto mai veritiera.

Esportare la rivoluzione e assorbire il “rimland”

Per Niedermayer, ufficiale tedesco, questo ruolo essenziale del territorio indiano pone un problema perché il suo paese non possiede alcun punto di appoggio nella regione né nei suoi immediati dintorni. La Russia zarista, sì e, dopo di lei, anche l’URSS. Di conseguenza, le posizioni militari sovietiche in Tadjikistan e lungo la frontiera afghana, sono delle risorse assolutamente necessarie all’Europa nel suo insieme, a tutta la comunità dei popoli di stirpe europea. È il possesso di queste carte strategiche in Asia centrale che deve giustificare, agli occhi di Niedermayer, l’indefettibile alleanza germano-russa, sola garante della sopravvivenza della cultura europea nel suo insieme. Per i sostenitori del bolscevismo rivoluzionario attorno a Trotski e Lenin, la soluzione, per far cadere il capitalismo, vale a dire la potenza planetaria delle talassocrazie liberali, risiede nella politica di “esportare la rivoluzione”, di agitare le popolazioni colonizzate e assoggettate attraverso un buon dosaggio di nazionalismo e di rivoluzione sociale. Così, le potenze continentali della “Terra del Mezzo” potranno portare le loro energie in direzione del “rimland” indiano, persiano e arabo, realizzando in un solo colpo i timori formulati da Mackinder nel suo discorso del 1904 sul “perno” siberiano e centro-asiatico della storia. Argomentazione che egli ribadirà nel suo libro Ideali democratici e realtà del 1919. Tuttavia, per poter liberare l’India ed esportarvi la rivoluzione, è già necessario un blocco continentale ben consolidato dall’alleanza germano-sovietica, preludio alla liberazione di tutta la massa continentale eurasiatica.

Per strutturare l’Europa: una ferrovia a larghi scartamenti

Per perfezionare l’organizzazione di questa gigantesca massa continentale, bisogna ricordare ed applicare le ricette preconizzate dal Ministro dello Zar Sergueï Witte, padre della Transiberiana. Nella Berlino degli anni 20, circola già un progetto e prende corpo durante la seconda guerra mondiale: quello di realizzare una ferrovia a largo scartamento (“Breitspurbahn”), che permetta di trasportare un massimo di persone e merci in un minimo di tempo. Questa idea, giuntaci da Witte, non è del tutto tramontata, costituisce sempre un imperativo principale per chi vuole veramente lavorare alla costruzione europea: il Piano Delors, tracciato tra le quinte dell’UE, raccomandava grandi lavori pubblici di organizzazione territoriale, compreso un sistema ferroviario rapido, d’ora in avanti ispirato al TGV francese. Nel 1942, Hitler, rievocando la transiberiana di Witte, dà ordine a Fritz Todt di studiare la possibilità di costruire una “Breitspurbahn”, con dei treni a velocità tra i 150 e i 180 km/h per il trasporto merci e tra i 200 e i 250 km/h per il trasporto di persone. Il progetto affidato a Todt, non riguarda solamente l’Europa, nel senso ristretto del termine, non intende solo collegare tra di loro le grandi metropoli europee, ma anche, attraverso l’Ukraina ed il Caucaso, le città dell’Europa con quelle della Persia. Questi progetti, che sembravano all’epoca un po’ fantastici, non sono per niente una mania del solo Hitler (e del suo ingegnere Todt); anche in Unione Sovietica, per mezzo di romanzi popolari, come quelli d’Ilf e di Petrov, si ha in vista la creazione di ferrovie ultra-rapide, che colleghino la Russia all’Estremo Oriente.

Il tragico destino del Professor Otto Hoetzsch

L’elemento puramente scientifico di questa fissazione per il Grande Est sarà incarnato a Berlino dal 1933 al 1946 da un professore tanto geniale quanto modesto: Otto Hoetzsch. Egli conosce un destino particolarmente tragico. Dopo aver accumulato per decenni nel suo istituto personale una massa di documenti e di lavori sulla Russia, i bombardamenti del 1945 su Berlino alla vigilia dell’ingresso delle truppe sovietiche nella capitale tedesca, riducono a nulla la sua colossale biblioteca. Questa tragedia spiega parzialmente la sorte miserabile di tutto il sapere sulla Russia e sull’Unione Sovietica in Occidente. La maggior parte dei documenti più interessanti era stata accumulata a Berlino. La miseria della sovietologia occidentale è parzialmente il risultato della distruzione della biblioteca del Prof. Hoetzsch. Nel 1945 e nel 1946, questi, settantenne, erra da solo per Berlino, privato della sua documentazione; quest’uomo, distrutto, trova tuttavia il coraggio finale per redigere una conferenza, l’ultima che terrà, in cui ci lascia un autentico testamento politico (titolo di questa conferenza: Die Eingliederung des osteuropäischen Geschichte in die Gesamtgeschichte; = L’inclusione della storia est-europea nella storia generale).

Slavista e storico della Russia, Otto Hoetzsch si accorge ben presto che gli Europei dell’Occidente, gli Occidentali in generale, non comprendono nulla della dinamica della storia e dello spazio russi; cosa che Russi avvertono subito, che li rattrista e li irrita. Questa ignoranza, mista ad una pretenziosità fuori luogo e ad una irresistibile e fastidiosa propensione a dare delle lezioni, vale anche nei confronti dello spazio balcanico (con esclusione dell’Austria, dove gli istituti specializzati nel Sud-Est europeo hanno realizzato dei notevoli lavori, di cui le cancellerie occidentali non tengono mai conto). Hoetzsch constata, fin dall’inizio della sua brillante carriera, che la stampa non produce che articoli pietosi, quando si tratta di commentare o di descrivere le situazioni esistenti in Russia o in Siberia. Egli vorrà rimediare a questa lacuna. A partire dal 1913, egli si mette a raccogliere una documentazione, a studiare e a leggere i grandi classici del pensiero politico russo, a leggere gli storici russi, cosa che lo condurrà a fondare nel 1925, alcuni mesi dopo l’uscita del primo numero della ZfG di Haushofer, una rivista specializzata nelle questioni russe e centro-asiatiche, Osteuropa. Attratto dalla figura dello Zar Alessandro II, sul quale redigerà un’opera fondamentale, il cui manoscritto sarà salvato in extremis dalla distruzione a Berlino nel 1945; Hoetzsch lo trasporta nella sua valigia fuggendo da Berlino in fiamme. Perché Alessandro II? Questo Zar è un riformatore sociale, egli lancia la Russia sulla via dell’industrializzazione e della modernizzazione, cosa che le talassocrazie non possono tollerare. Egli d’altronde morirà assassinato. Nonostante il riflusso della Russia sotto Nicola II, nonostante la pesante sconfitta subita nel 1905 di fronte al Giappone, armato dall’Inghilterra e dagli Stati Uniti, nonostante la terribile risacca costituita dalla presa del potere da parte dei Bolscevichi, l’opera di Alessandro II deve, agli occhi di Hoetzsch, rimanere il modello per ogni uomo di Stato russo degno di questo nome.

Amico dei Russi bianchi e “Repubblicano di Ragione”

Hoetzsch è un liberale di sinistra, prossimo alla socialdemocrazia, ma detesta i Bolscevichi, perché secondo lui essi sono degli agenti del capitalismo inglese, nella misura in cui distruggono l’opera degli Zar emancipatori e modernisti; essi hanno complottato contro questi eccellenti uomini di Stato come Witte e Stolypine (che sarà pure assassinato). Hoetzsch frequenta l’emigrazione bianca di Berlino, consolida il suo istituto grazie alle collaborazioni delle persone colte cacciate dai Bolscevichi, ma resta quello che allora, nella Germania di Weimar, veniva chiamato “Repubblicano di Ragione” (Vernunftrepublikaner), il che lo differenzia evidentemente da un Oskar von Niedermayer. Il suo istituto e la sua rivista conoscono uno sviluppo ben meritato nel corso degli anni ’20; essi sono delle oasi di sapere e d’intelligenza, in cui cooperano Russi e Tedeschi in piena fraternità. Nel 1933, con l’avvento al potere dei nazional-socialisti, Hoetzsch va in disgrazia. Per il nuovo potere, i Vernunftrepublikaner sono delle emanazioni della “palude centrista” o, peggio, dei “traditori di novembre” (Novemberverräter) o dei “bolscevichi da salotto” (Salonbolschewisten). L’istituto di Hoetzsch è sciolto. Hoetzsch è “invitato” ad andare anticipatamente in pensione. La chiusura di questo istituto è una tragedia di prim’ordine. Il destino di Hoetzsch è peggiore di quello dell’attivista politico ed editore di riviste nazionali rivoluzionarie, Ernst Niekisch. Perché si può evidentemente, con il senno di poi, rimproverare a Niekisch di essere stato un appassionato ed un polemista ad oltranza. Questo non è certamente il caso di Hoetzsch, rimasto uno scientifico serioso.

Per un approccio grand’europeo della storia

Nella conferenza che prepara dall’agosto 1945 e che pronuncerà prima di morire nel 1946, nella sua cara città di Berlino in rovine, Otto Hoetzsch ci lascia un messaggio che resta perfettamente attuale. L’obiettivo di questa conferenza-testamento è di far comprendere la necessità imperiosa, dopo due disastrose guerre mondiali, di sviluppare una visione della storia, valida per l’Europa intera, quella dell’Ovest, quella dell’Est e la Russia (gesamteuropäische Geschichte). Personalmente, noi riteniamo che le premesse pratiche di una tale visione grand’europea della storia si trovino già tutte in germe nell’opera politica e militare del Principe Eugenio di Savoia, che giunse a mobilitare e ad unire le potenze europee davanti al pericolo ottomano e a far arretrare la Sublime Porta su tutti i fronti, al punto che essa perderà il controllo di 400.000 kmq. di terre europee e russe. Il Principe Eugenio eliminò definitivamente il pericolo turco dall’Europa centrale e preparò la riconquista della Crimea da parte di Caterina la Grande. Mai più, dopo i colpi portati da Eugenio di Savoia, gli Ottomani ottennero vittorie in Europa ed i loro alleati francesi non furono più realmente in grado di erodere il territorio imperiale dei Paesi Bassi spagnoli e poi austriaci; gli Ottomani non furono più capaci di servire da sostegno a quell’altra potenza anti-imperiale ed anti-europea che era la Francia prima di Luigi XVI.

Il testamento di Hoetzsch ci chiama in causa!

Ma l’argomentazione di Hoetzsch, nella sua ultima conferenza, non consiste nell’evocare la figura del Principe Eugenio, ma di gettare le basi di una metodologia storica e sociologica per l’avvenire; essa si deve basare sulle acquisizioni teoriche di Karl Lamprecht, di Gustav Schmoller (ispiratore del gaullismo negli anni 60 del XX secolo) e di Otto Hintze. Bisogna, dice Hoetzsch, sviluppare una storia integrante e comparativa per i decenni a venire. Nell’affermare ciò, egli non ha alcuna chance di vedersi esaudito nel 1946, e meno ancora nel 1948 quando, dopo il Colpo di Praga, la Cortina di Ferro si abbatte sull’Europa per quattro decenni. Nel 1989, immediatamente dopo l’eliminazione del Muro di Berlino e l’apertura delle frontiere austro-ungheresi e inter-tedesche, l’Europa e la Russia avranno interesse a rimettere sul tappeto le argomentazioni di Hoetzsch. A livello scientifico, sono stati in effetti realizzati degli studi notevoli, ma nulla sembra trasparire sulla stampa, priva di giornalisti professionali in grado di applicare le lezioni pedagogiche di Haushofer e di Radós. I giornalisti non sono più degli uomini e delle donne alla ricerca di argomenti interessanti, innovativi, ma sono in tutto e per tutto quelli che Serge Halimi chiama con grande pertinenza i “cani da guardia” del sistema. I giornali e le riviste costituivano la via di penetrazione verso il grande pubblico di cui un tempo disponevano gli istituti di scienze umane e le università; per tutto ciò che è veramente innovativo, per tutto quello che va contro delle ripetute e nauseanti banalità, questa via è ormai sbarrata, nella misura in cui i giornalisti non sono più degli uomini liberi, animati dalla volontà di consolidare il Bene pubblico, ma degli ignobili e spregevoli mercenari al soldo del sistema delle potenze dominanti. Tuttavia, la sfida che ci ha lanciato Brzezinski nel 1996, pubblicando il suo famoso libro, La Grande Scacchiera, in cui sono messe in mostra senza vergogna tutte le ricette talassocratiche per neutralizzare l’Europa e la Russia con l’aiuto di quello strumento che è il complesso militare-mafioso turco (potenzialmente esteso a tutta la turcofonia dell’Asia centrale) mostra ancora una volta che una risposta europea e russa deve necessariamente passare per una visione chiara della storia, volgarizzabile per le masse. Il tragico destino di Hoetzsch, il suo coraggio tenace che impone l’ammirazione, la sua modestia di grande scienziato, ci chiamano direttamente in causa: la nostra associazione paneuropea ha il dovere di lavorare, modestamente, nel suo ambito, per l’avvento di questa storiografia grand’europea voluta da Hoetzsch. Al lavoro!

(Forest-Flotzenberg, Vlotho im Weserbergland, agosto 2002).

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Tratto dal sito voxnr.com ››› résistance au nouvel ordre mondial
Traduzione dal francese a cura di Belgicus

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