Guerrieri e Sacerdoti

Le tesi di Ananda K. Coomaraswamy

La profondità della crisi della rappresentanza politica non è facilmente comprensibile. Non sono sufficienti, per individuarne i tratti di fondo, le categorie politologiche. E’ necessario avere contezza dei limiti della visione del mondo moderna e post-moderna. Solo il pensiero di Tradizione e perennialista è in grado di fornirci gli strumenti atti a diagnosticare il male che travolge la politica ai nostri giorni e di fornire, altresì, i contravveleni necessari al superamento dell’attuale contingenza. In molti conoscono le proposte speculative e spirituali di cui si sono fatti latori  Julius Evola e René Guénon. Al contrario, i lettori di  Ananda K. Coomaraswamy, terzo insigne esegeta del tradizionalismo integrale, rappresentano uno sparuto drappello. La sua notorietà, inoltre, è legata agli studi di estetica o a quelli di orientalistica, ambiti nei quali, prevalentemente, si è mossa la ricerca di questo saggio indù. Lo studioso italiano ha ora l’opportunità di apprezzare un suo lavoro, per la prima volta tradotto nella nostra lingua, grazie alla meritoria iniziativa delle Edizioni Mediterranee. Si tratta di Autorità spirituale e potere temporale nella teoria indiana del governo, volume curato da Giovanni Monastra (per ordini: 06/3235433; ordinipvd@edizionimediterranee.net, euro 18,50).

Nell’introduzione e nella postfazione, il curatore fornisce elementi essenziali per contestualizzare storicamente l’opera di Coomaraswamy e, soprattutto, presenta organicamente e con persuasività di accenti, il percorso spirituale dello studioso. Questi, nato a Colombo nel 1877 da padre Tamil e madre inglese, assorbì l’essenziale dalle culture dei due genitori, avendo vissuto sia in India che in Gran Bretagna. Il suo Sé rimase, però, fortemente ancorato nella Tradizione indù, pur avendo condotto studi universitari in ambito geologico-botanico a Londra. Fin dalla giovinezza, prese coscienza del livello di devastazione spirituale e materiale che il colonialismo inglese stava imponendo all’India. Parteggiò, quindi, con i movimenti indipendentisti, nella ferma convinzione che l’indipendenza politica del paese a poco sarebbe servita, senza il recupero della Tradizione. Fu vicino al socialismo utopistico di William Morris, prima di incontrare, per prenderne celermente le distanze, la mistificazione del Sanathana Dharma propria del movimento teosofico. Subì l’influenza dei trascendentalisti americani, attraverso i quali recuperò il senso della sacralità della natura e diresse, per diversi anni, il Museo di Belle Arti di Boston.

Nell’espletamento di tale funzione arricchì ulteriormente il proprio patrimonio erudito. In questo periodo avvenne l’incontro con l’opera di Guénon, cui dedicò un saggio nel 1935 “la Tradizione, con i suoi aspetti esoterici ed exoterici, era diventata centrale nel suo pensiero” (p. 150). Intrattenne relazioni con l’ambiente tradizionalista internazionale: fu in contatto epistolare con Evola, come confermato dal figlio Rama allo stesso Monastra, con Schuon, Guénon ed Eliade. Questi “dimenticò” di citare il libro di Coomaraswamy, Angeli e demoni, nel suo Mito della reintegrazione: eppure queste pagine erano fortemente debitrici nei confronti dello studioso indù. Il libro che qui presentiamo, uscito in prima edizione nel 1942, risente dei dibattiti che, in quegli anni, animavano gli ambienti tradizionalisti “L’approccio è di tipo essenzialista ed esemplarista, volto ad affermare la primarietà dell’essenza, ossia di archetipi […] indipendenti dalle contingenze di tempo e di luogo” (p. 11).

Il testo è costruito su un vasto apparato di note. Infatti, in nome di un ecumenismo aristocratico, Coomaraswamy in esse, vero libro nel libro, si rivolge a quanti siano in grado di “capire”, pur appartenendo a fedi e culture diverse dalla propria. Era convinto che solo parlando ai detentori del sapere, fosse possibile sperare di rettificare lo stato delle cose. Egli era certo, inoltre, che i valori della Tradizione potessero essere espressi con strumenti accademici. La struttura politico-sociale che viene descritta, muove dalla critica radicale dell’individualismo, vero sigillo della modernità. Nessuna retta politica può esistere senza la “preminenza della intuizione intellettuale, sovra individuale, sulla sfera psico-emotiva e di quest’ultima sulla dimensione vegetativa e fisica” (p. 12).

Per questo, all’apice della società tradizionale, per Coomaraswamy, va posta la casta sacerdotale. Il rapporto che questa intrattiene con la casta guerriera-regale è letto dal pensatore in modo più organico ed articolato, rispetto a Guénon. E’ possibile rilevare come lo studioso indù sostenga una posizione intermedia tra quella brahmanica dell’esoterista francese e quella ghibellina di Evola. Egli dedica alcune pagine al matrimonio simbolico tra sacerdote e re, proponendo una esegesi dell’autorità primordiale fondata sull’integrazione della componente sacerdotale con quella regale. Al contrario, il tradizionalista di Blois, tende a mantenere la separazione dei due poli. Nonostante ciò, Coomaraswamy prende le distanze anche da Evola, nel momento in cui sottolinea il tratto secondario e “femminile” della regalità”, di contro a quello “maschile” attribuito alla sacerdotalità.

Coglie nel segno Monastra nel sostenere come la posizione del tradizionalista indù possa essere proficuamente contestualizzata, attraverso gli studi di Dumézil, Benveniste ed Haudry. Da essi si evince come la figura del rex indoeuropeo sia connotata in senso religioso e sacrale: rex è colui che pone le norme. Sotto tale riguardo, la posizione evoliana torna ad assumere un ruolo dirimente “la scissione dell’autorità spirituale e del potere temporale in due persone è essa stessa un fenomeno di decadenza, al quale il “matrimonio” tra sacerdote e re voleva porre rimedio” (p. 19). In ogni caso, l’Autorità politica tradizionale, il Re-Sacerdote, era a sua volta suddito del Dharma-Logos. E’ solo il fondamento trascendente dell’autorità di governo a poter garantire, la giustezza della sua azione. Essa si esplicitava nel sistema della caste, ritenuto da Coomaraswamy, la cosa non scandalizzi, “democratico” (in senso classico, organicista), in quanto tutore della vocazione individuale fondata sull’eredità.

Un sistema sociale così strutturato favorisce, nell’uomo ‘platonico’ dall’animo ordinato attorno al nous, per dirla alla greca, la possibilità del ritorno. Dalla vita cosmica, esemplarmente simbolizzata nella sua metamorfosi spazio-temporale dalla circonferenza, attraverso il raggio verso il punto-Centro. Nell’istante dell’Illuminazione avviene la riconquista dell’origine. Per Coomaraswamy, quindi, “l’eternità non è distante da noi, ma più vicina del tempo”.

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Giovanni Sessa è nato a Milano nel 1957 e insegna filosofia e storia nei licei. Suoi scritti sono comparsi su riviste e quotidiani, nonché in volumi collettanei ed Atti di Convegni di studio. Ha pubblicato le monografie Oltre la persuasione. Saggio su Carlo Michelstaedter (Roma 2008) e La meraviglia del nulla. Vita e filosofia di Andrea Emo (Milano 2014). E' segretario della Scuola Romana di Filosofia Politica, collaboratore della Fondazione Evola e portavoce del movimento di pensiero "Per una nuova oggettività".

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