Giuseppe Conte festeggia i suoi 60 anni pubblicando Ferite e rifioriture, un volume di versi che ripercorre i temi caratteristici di quest’autore che ha dato voce ad una concezione «tradizionale» della poesia che sembrava in via d’estinzione negli anni dell’egemonia culturale marxista, e che ora rappresenta, invece, non solo una via percorribile, ma probabilmente una delle più feconde che la letteratura possa offrire in futuro. In Ferite e rifioriture Conte esibisce uno stile sorvegliato e affinato da una lunga esperienza di pubblicazione, e la versificazione mescola abilmente il verso libero ai versi tradizionali e a spunti di metrica quantitativa. Dal libro emergono i motivi dominanti dell’opera in versi di Conte: il richiamo al mito, il vitalismo neopagano, lo speciale vincolo con la terra d’origine del poeta: la Liguria, il fascino dell’Oriente, e le figure di poeti che Conte sente vicini alla sua sensibilità: Hölderlin, Baudelaire, Ginsberg, Whitman, Kavafis…
Alcuni testi colpiscono per la singolarità dei riferimenti: Conte è particolarmente attratto dalla figura di Ausonio, intellettuale vissuto a Bordeaux alla fine del IV° secolo d.C., nel quale rifulgono gli ultimi bagliori della cultura antica. Così il poeta tratteggia la figura di Ausonio: «quanti libri aveva letto, quante lezioni / nell’Università che grazie a lui / si era fatta famosa nell’Impero. / Divenuto cristiano, al Dio vero / non nascose mai la sua intenerita / debolezza verso gli dèi della vita / del mare e delle maree, della luna / e delle vigne, del sole e del vino». E ancora, Conte richiama la figura di Bissula, la giovane schiava cui Ausonio dedicò raffinati carmi erotici: «…Giocava / la brezza sui tuoi capelli bianchi / e tu rivedevi Bissula, la schiava».
In altri testi tornano temi già toccati in precedenza da Conte: le suggestioni della cultura celtica e dell’Irlanda in particolare: «L’Irlanda di Pàdraig / sa di cinghiali e cromlech / di bevute e fucilate / di fattorie isolate / di clan in tumulto / pronti alla danza e al canto». Ma anche il fascino dell’Islam, che tanta parte aveva avuto in una sua precedente raccolta, Canti d’Oriente e d’Occidente, è un tema forte di Conte: «Potessi amare l’Unico / Dio, il Clemente, il Misericordioso / e pregarlo prosternato / verso dove dice il mirhab». La dicotomia fra Occidente materialista e Oriente sacrale è un motivo che Conte aveva fatto suo ben prima che i media cominciassero a parlare di «scontro di civiltà» col mondo musulmano: questo dimostra come la cultura tradizionalista possa interpretare la realtà contemporanea in modo molto più incisivo e convincente degli evanescenti schemi di ispirazione neoilluminista.
Tuttavia il poeta, pur guardando con rispetto e con ammirazione al mondo islamico, resta sostanzialmente fedele a quella cultura classica che sente come autentica matrice dell’Europa. Il canto del poeta raggiunge vertici lirici davvero notevoli nella sezione Canti del mito. Il Saluto a Persefone è un grandioso inno alla vita risorgente: «E io ti ho visto l’altra mattina lungo un binario / morto della stazione / che uscivi dalla terra intorno all’acciaio-ruggine / della rotaia», e ancora: «Hai conosciuto violenza e tenebre / eppure esci e desideri ancora / figlia di Demetra-terra-anima / sogno di un sogno, risveglio, aurora». Straordinaria, poi, è la poesia Figlio di Venere, un canto civile contro la guerra che l’autore, in una nota esplicativa, dice di aver scritto per stigmatizzare la smisurata arroganza dei neocon americani, che pretendono di imporre al mondo intero le logiche di una sedicente «civiltà superiore». In questo testo Conte descrive una Venere che rifiuta il rapporto con Marte: «Sono stata con Marte, è vero, adultera sono stata, ma ora / non più, non lo amo più, figlio, sono sincera»; il canto prosegue con un grido contro le atrocità di tutte le guerre: «La guerra è Dachau, Buchenwald, Auschwitz, / Dresda, Hiroshima, Sarajevo, Baghdad, / Abu Grahib, Guantanamo». Analoghi temi tornano nel testo conclusivo, Partigiano della pace, che richiama ancora le assurdità della guerra americana in Iraq: «Di pietà non c’è traccia / per la bellezza di ieri / per gli angeli dei Sumeri / per i libri scritti alle origini / su Gilgamesh e su Noè».
Sembra opportuno concludere quest’intervento sul libro di Conte con la citazione di alcuni versi di Salmo 2, che descrivono il deserto spirituale in cui langue l’Occidente moderno, ma che parlano anche di quanto possa essere importante il ruolo della poesia per il risveglio delle coscienze: «Oso invocarti in questa Europa cieca / sfiancata da calura e siccità / corrosa da diluvi e frane / continente di cenere e liquami / dove sono sovrani incontestati / Nulla e Ipermercati. / Oso invocarti e sperare, Poesia».
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Giuseppe Conte, Ferite e Rifioriture, Mondadori, 2006, pp.160, euro 9,40 (L&F) (IBS) (BOL) (LU).
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