Donne e religioni

Uno degli aspetti più interessanti del dibattito ideologico contemporaneo è il rapporto fra pensiero femminista e religioni. Il femminismo, che è ideologia di stato nelle democrazie di mercato, presenta evidenti punti di attrito con la morale religiosa tradizionalmente definita.

A questo tema è dedicato il saggio Man’s Dominion: the Rise of Religion and the Eclipse of Women’s Rights di Sheila Jeffreys. L’autrice insegna scienze politiche all’Università di Melbourne, ed è una delle voci più accreditate del femminismo mondiale, per cui leggendo il suo libro possiamo farci un’idea di cosa bolle in pentola…

La Jeffreys ripercorre alcuni punti chiave della questione nella storia recente. Fra gli anni ‘60 agli anni ‘80 si era formata la convinzione che le religioni fossero entrate in una fase di irrimediabile declino, e le ideologie di sinistra utilizzavano i tradizionali argomenti laicisti e anticlericali nella loro pubblicistica. In quel periodo le femministe ottennero in quasi tutto il mondo occidentale i loro più brillanti successi: il divorzio e l’aborto. Le campagne propagandistiche delle rivendicazioni femministe erano improntate a uno scontro frontale con le Chiese cristiane dal quale queste ultime uscirono praticamente disintegrate.

A partire dagli anni ‘90 le cose cominciarono a cambiare: il massiccio arrivo in Occidente di migranti dai paesi musulmani costrinse le autorità a riconoscere come accettabili e talvolta come riconosciuti dalla legge stili di vita che sarebbero considerati inammissibili per i cittadini delle nazioni occidentali.

Di fatto nelle comunità islamiche che vivono in Occidente la condizione femminile non ha subito un’assimilazione con quella delle donne occidentali, ma è rimasta sostanzialmente legata alle abitudini dei luoghi d’origine. La sinistra, che governa pressoché indisturbata in tutto il mondo occidentale, imponendo a suon di quote rosa l’agenda femminista, si è trovata a dover gestire il rapporto con le comunità di immigrati, in gran parte musulmani, e a dover scegliere fra l’accondiscendenza a queste popolazioni e le rivendicazioni dell’emancipazione femminile. Di fatto si sono create due società parallele: quella degli autoctoni in cui i maschi sono in stato di minorità giuridica, e quella degli immigrati in cui il patriarcato non è stato nemmeno scalfito.

Poiché il tasso di riproduzione delle popolazioni immigrate è soverchiante rispetto a quello delle popolazioni autoctone occidentali, è facile prevedere che il femminismo nell’arco di una o due generazioni finirà nella pattumiera della storia…

La Jeffreys lamenta anche la difficoltà di verificare la condizione femminile all’interno delle famiglie e delle comunità, lasciando intendere che in nome dell’emancipazione femminile vorrebbe fare a pezzi il diritto alla privacy… La stessa Jeffreys riferisce allarmata che la critica alla condizione femminile nell’Islam viene tacciata di razzismo anche in ambito universitario, per cui accade frequentemente di vedere la paludata e pomposa cultura accademica delle tirannie progressiste che diviene vittima della sua stessa ideologia antidiscriminatoria!

A turbare i sogni delle femministe ci sono anche correnti culturali e congregazioni del mondo cristiano che hanno una concezione della donna che ai loro occhi appare inaccettabile. E non è finita qui: anche nella religione ebraica ci sono sette che assegnano alla donna ruoli sociali e famigliari che le neosuffragette considerano retrogradi.

Buona parte del libro è dedicata a un aspetto che accomuna Islam e correnti particolari del Cristianesimo nordamericano e dell’Ebraismo: la poligamia. Questo, a quanto pare, è il boccone più amaro per le pensatrici femministe. La poligamia è considerata intrinsecamente dannosa per la donna e in particolare l’idea che un maschio abbia a disposizione un harem per soddisfare i suoi desideri sessuali è un vero e proprio incubo per la Jeffreys. Negli Stati Uniti e in Canada la poligamia presso i Mormoni, ufficialmente abbandonata dal 1890, è di fatto praticata in alcune comunità e negli ultimi anni ci sono state sentenze dei tribunali che hanno dichiarato legittime situazioni di questo tipo.

Da notare che la Jeffreys prende in considerazione solo le religioni monoteiste, sebbene tutte le altre religioni rappresentino la maggioranza del genere umano, soprattutto se si considera che il Cristianesimo come religione praticata è ormai una minoranza. Ovviamente questa attenzione ai monoteismi dipende dal fatto che la concezione biblica di Dio ha segnato in modo decisivo la storia occidentale, ma si tratta di un atteggiamento a dir poco sorprendente per chi afferma quotidianamente di voler mettere sotto processo la cultura…occidentale! Il fatto poi che l’Occidente sia stato pagano prima di essere cristiano, non viene nemmeno preso in considerazione…

Tuttavia il punto di vista femminista è in evidente imbarazzo nel dover assumere un atteggiamento di fronte alla religione. Vediamo di sintetizzare i termini della questione:

Ebraismo

Gli ebrei ortodossi sostengono una rigida distinzione dei ruoli sessuali e talvolta in alcune sette praticano la poligamia se non addirittura il concubinaggio sull’esempio del patriarca Abramo che si unisce alla schiava Agar.

Cristianesimo

Sebbene in passato la morale cristiana si opponesse decisamente a femminismo e omosessualismo, oggi le Chiese cristiane, dopo aver perso rovinosamente quelle battaglie, sono prevalentemente passate al campo avversario. Tuttavia restano consistenti fette di dissenso nel mondo cristiano e il tema della poligamia dei Mormoni viene visto dalle femministe come una mina vagante.

Islam

È la religione tradizionalmente più “maschilista”, ammette regolarmente la poligamia e l’utilizzo del velo per coprire il volto femminile.

Inoltre tutte le religioni hanno tradizionalmente condannato l’aborto e l’omosessualità, seppur con sfumature differenti.

La conclusione della Jeffreys è che occorrerebbe una vigorosa offensiva laicista contro tutte le religioni, poiché secondo lei le religioni avrebbero ripreso forza in quanto paravento dei “privilegi maschili” perduti (per farsi un’idea di quali siano i “privilegi maschili” si raccomanda la lettura del libro di Warren Farrell Il mito del potere maschile).

La domanda è: le ideologie di sinistra possono permettersi una strategia di questo tipo?

È ben noto che cosa significhi l’Ebraismo per la sinistra; le masse musulmane in Europa, finanziate da un’alluvione di petroldollari, portano milioni di voti ai progressisti; le Chiese cristiane sono ormai ridotte al ruolo di vivaio della classe politica progressista. Del resto anche dal punto di vista concettuale il Dio della Bibbia non è altro che la mentalità femminea e piagnucolosa che genera l’ideologia del vittimismo…

Insomma, un attacco alla religioni del Libro per le femministe significa mordere la mano che le nutre! Non solo: la Jeffreys lamenta anche il fatto che i più influenti intellettuali atei e agnostici dell’attuale panorama culturale hanno il difetto…di essere maschi (!?!). Questioni di non facile soluzione per le pensatrici femministe saldamente insediate nelle università e nelle istituzioni occidentali…

La lettura di libri di questo genere è particolarmente disturbante e lascia l’amaro in bocca perché ci si rende conto di quale livello di paranoia ideologica sia stato instaurato dall’autoritarismo politicamente corretto. Ma la buona notizia è costituita dalle contraddizioni macroscopiche generate dallo stesso sistema, contraddizioni sulle quali gli oppositori del regime mondialista possono svolgere un proficuo lavoro per costruire un’alternativa e infondere speranza in un mondo nuovo.

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Sheila Jeffreys,  Man’s Dominion: the Rise of Religion and the Eclipse of Women’s Rights, Routledge 2011, p.232

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Michele Fabbri ha scritto il libro di poesie Apocalisse 23 (Società Editrice Il Ponte Vecchio, 2003). Quella singolare raccolta di versi è stata ristampata più volte ed è stata tradotta in inglese, francese, spagnolo e portoghese. Dell’autore, tuttavia, si sono perse le tracce… www.michelefabbri.wordpress.com
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