Quest’anno cade il centenario dello scoppio della prima guerra mondiale, avvenuto nel luglio 1914 in conseguenza dell’assassinio di Sarajevo accaduto il 28 giugno, anche se la partecipazione dell’Italia al primo dei due immani carnai del ventesimo secolo iniziò quasi un anno più tardi, a fine maggio 1915.
E’ verosimile che questa ricorrenza sia presto accompagnata da polemiche non diverse da quelle che coincisero nel 2011 con il 150° dell’unità nazionale, e poiché questa guerra ha inciso in maniera determinante sulla storia e sulla vita dei popoli che vivono sulla sponda orientale dell’Adriatico, su quello che per l’Italia è il confine di nord-est, sarà meglio giocare d’anticipo e fissare alcuni punti.
Su cosa si debba pensare di questo conflitto e della nostra partecipazione ad esso, ho già espresso la mia opinione nell’ampio articolo Il grande equivoco pubblicato sul n. 70 de “L’uomo libero”, ma poiché non posso pretendere che ne siate tutti a conoscenza, vi ripeterò la mia tesi in estrema sintesi. Questo articolo lo scrissi in occasione delle polemiche, talvolta roventi, che hanno contrassegnato il 2011, e che hanno visto i nostri ambienti spaccati fra quanti di noi hanno a cuore l’unità nazionale, e quanti avversano l’affermazione riportata dal quel seguito di congiure e insurrezioni del XIX secolo che hanno portato all’affermazione della liberal-democrazia a livello planetario e posto le premesse delle due guerre mondiali che hanno portato alla decadenza dell’Europa dal ruolo egemone a livello planetario per diventare prima un condominio americano-sovietico, e oggi una colonia degli USA.
A mio parere, il grande equivoco è la mancata distinzione fra due cose molto diverse coperte dall’etichetta “risorgimentale”: la naturale insorgenza del nostro popolo contro secoli di oppressione e di dominazioni straniere, e un movimento, il movimento liberal-democratico-massonico che si è impadronito di essa per tutt’altre finalità, e per il quale l’unità italiana era un obiettivo del tutto secondario, o un effetto collaterale.
Ho ricordato ad esempio che quel che possiamo considerare il primo episodio del nostro risorgimento, fu l’insurrezione di Verona contro le truppe napoleoniche, che portò alla sanguinosa repressione nota come “pasque veronesi”, fu la rivolta non contro gli Austriaci, ma contro i Francesi, gli “esportatori di democrazia”. Oppure il fatto che tutte le volte in cui vi era conflitto fra il bene dell’Italia e l’interesse della loggia, i “patrioti” liberal-massoni scegliessero quest’ultimo dimostrando in maniera inequivocabile quale fosse la loro vera “patria”. Ad esempio nel 1870, quando i garibaldini intervennero nel conflitto franco-prussiano per puro odio ideologico contro la Prussia di Bismark a favore della Francia che il quel momento era l’ostacolo all’annessione di Roma e al completamento dell’unità nazionale.
Noi possiamo, era la mia conclusione, essere patrioti italiani ed europei senza contraddizione, amare la nostra nazione e l’Europa, non dobbiamo alcuna gratitudine ai demo-liberal-massoni, la nostra causa nazionale non è un argomento contro l’avversione che spetta a coloro, alle forze politiche, alle ideologie che hanno provocato la decadenza del nostro continente.
Ora però è forse il caso di concentrare la nostra attenzione su di un aspetto specifico le cui ricadute si prolungano fino all’attualità.
La pubblicistica antifascista (ed è strano quanto spesso antifascista viene a significare anti-italiano) ha spesso sostenuto e sostiene che la conflittualità cronica fra Italiani e Sloveni (con cui fanno corpo altri slavi, Croati e via dicendo) sia iniziata con questo conflitto e per colpa dell’Italia che con esso avrebbe invaso terre e annesso popolazioni che etnicamente non le appartenevano.
Il fatto che simili affermazioni siano spesso ripetute anche da fonti cosiddette autorevoli, non le rende per questo meno false. Innanzi tutto dobbiamo considerare che il confine etnico fra Italiani e Slavi nell’alto Adriatico è stato profondamente alterato a favore di questi ultimi in conseguenza degli eventi del 1943-45. Da terre un tempo italianissime, la presenza italiana è stata cancellata costringendo la popolazione alla fuga con la violenza e il terrore. Per settant’anni ci si è ostinati a ignorare la spaventosa mattanza che i comunisti jugoslavi hanno compiuto precisamente allo scopo di costringere la popolazione italiana alla fuga.
L’altra menzogna che ha credito ancora adesso, anzi forse più adesso che in passato, man mano che il tempo allontana il ricordo dei fatti per lasciare il posto alle edulcorazioni e alle falsificazioni, è la leggenda che sotto l’Austria, “Paese ordinato”, vi fosse un’armoniosa convivenza fra gli Italiani del confine orientale e le altre componenti etniche dell’impero. Ciò è totalmente falso: l’Austria incoraggiava la reciproca ostilità fra i gruppi etnici in modo che le rivendicazioni nazionali si neutralizzassero a vicenda, non solo, ma in alto Adriatico tendeva a favorire la componente slava a danno di quella italiana. E’ del tutto falso e fuorviante, perciò, attribuire al “nazionalismo italiano” e al “fascismo” la responsabilità di un malanimo che è sempre stato reciproco e le cui origini si perdono nella notte dei tempi.
Per noi italiani del confine orientale, per noi italiani di Trieste nati dopo la seconda guerra mondiale, la presenza della Jugoslavia comunista a un tiro di fucile dalle nostre case, era una presenza incombente e minacciosa che nei quaranta giorni dell’occupazione della nostra città seguiti all’immediata conclusione del conflitto aveva profondamente infisso i suoi artigli assassini nella carne della nostra gente e che ora, non potendo per la situazione internazionale, ritentare la via dell’aggressione militare, cercava di portarci via quel che era nostro in un altro modo, sostenendo le più sfrenate rivendicazioni della minoranza slovena sempre ben accolte dai partiti democratici e antifascisti. In compenso, noi sapevamo di non avere alle spalle l’Italia, di essere lasciati soli. Difendere l’italianità sui confini o altrove, non è mai stata cosa che abbia preoccupato l’Italia democratica, nata dal tradimento dell’8 settembre 1943 e dai voltafaccia resistenziali. Peggio, sapevamo che questa Italia era contro di noi.
Vorrei citare un episodio che lo dimostra in tutta chiarezza. La città di Pola non fu occupata dagli jugoslavi nell’immediatezza della conclusione del conflitto, ma con il trattato di pace del 10 febbraio 1947 l’antica Pietas Julia, italianissima, romana e veneta fu ceduta alla Jugoslavia. L’unico vantaggio che ebbero i polesani rispetto agli altri istriani, fu che in questo caso lo sgombero della popolazione che non voleva trovarsi sotto il tallone di ferro slavo-comunista si poté organizzare con un certo ordine, invece di essere una fuga disordinata per sottrarsi all’infoibamento. Gli esuli furono trasbordati per nave a Venezia, da dove furono caricati su un convoglio ferroviario diretto a Genova, dove poi la maggior parte si sarebbe imbarcata per le Americhe e per l’Australia, perché nell’Italia democratica e antifascista non c’era posto per loro.
A Bologna era previsto un punto di ristoro organizzato dalla Caritas, ma uno sciopero organizzato ad hoc dalla CGIL lo fece saltare. Il treno dovette proseguire in tutta fretta coi suoi passeggeri affamati e assetati per evitare l’aggressione da parte dei ferrovieri comunisti.
Capite quello che significa? Gli Italiani del confine orientale stavano pagando per tutti la guerra perduta, ma invece di trovare la solidarietà dei loro connazionali, trovavano solo l’ostilità e l’odio di chi riconosceva nella loro tragedia la bruciante smentita dell’utopia con la falce e martello.
Dopo di allora, sei decenni di silenzio omertoso dove chi osava solo ricordare le tragedie delle foibe e dell’esodo, le sofferenze patite dai nostri connazionali perché italiani era subito bollato come fascista. I “compagni” non sopportano la verità.
Grazie all’acquiescenza dei “democratici” il rivendicazionismo sloveno ha spesso assunto una dimensione grottesca. La minoranza slovena, ad esempio, ha sempre avuto la massima cura nell’impedire che si conoscesse la sua effettiva consistenza numerica, con ogni probabilità talmente esigua da far cadere nel ridicolo, se adeguatamente conosciuta, le sue pretese.
Anni fa, gli Sloveni avevano chiesto al comune di Trieste l’introduzione di carte d’identità bilingui. Qualcuno avanzò una controproposta: carte bilingui o in sola lingua italiana a scelta dell’utente. Questa proposta fu respinta con sdegno dagli Sloveni perché sarebbe equivalsa a un censimento!
Non abbiamo avuto scelta, siamo – si può dire – nati schierati. Voler difendere un futuro per noi e per i nostri figli voleva e vuole dire essere “fascisti”.
Oggi a un quarto di secolo dalla dissoluzione dell’impero sovietico e della Jugoslavia comunista, dopo che la Slovenia e la Croazia sono entrate nell’Unione Europea, cosa rimane di tutto ciò? Sarebbe bello pensare che si possa semplicemente voltare pagina e dimenticare i veleni del passato, ma le cose non stanno esattamente così. La situazione è simile a quella di scorie velenose interrate: non sono visibili ma sono sempre lì, e continuano a diffondere tutt’attorno il loro veleno.
Occorre ricordare che la disintegrazione della ex Jugoslavia ha seguito modalità del tutto diverse da quelle che hanno portato alla caduta dei regimi comunisti nel resto dell’Europa orientale nel 1989, quando Michail Gorbacev decise di togliere ad essi il sostegno sovietico che era l’unica cosa che tenesse in piedi questi protettorati odiati dai popoli che li subivano. Per evitare di fare la stessa fine, i vertici dell’“Alleanza dei socialisti”, così si chiamava eufemisticamente il partito comunista jugoslavo, scatenarono le componenti etnico-religiose della ex Jugoslavia in una guerra o in una serie concatenata di guerre fratricide che in realtà avevano soprattutto uno scopo: quello di nascondere al popolo gabbato il fatto che al potere erano sempre gli stessi, gli eredi della covata malefica del maresciallo Tito.
Che in questa ondata di sciovinismo etnico provocata e manipolata, le superstiti posizioni degli Italiani ridotti a esigua minoranza nelle terre che ci erano state sottratte, siano diventate sempre più deboli, e i diritti degli esuli sulle terre e sulle proprietà che furono costretti ad abbandonare per salvarsi la vita, sempre più aleatori, non è purtroppo cosa che possa sorprendere.
Per motivi arbitrari che non hanno nulla a che vedere con la situazione della ex Jugoslavia, la NATO (cioè gli Stati Uniti, perché la NATO non è che un pupazzo in mano a Washington) ha deciso che nella crisi dello stato balcanico “i cattivi” dovevano essere i Serbi. L’organizzazione atlantica si è mobilitata prima a sostegno di Croati e mussulmani bosniaci, poi degli Albanesi del Kossovo.
Una guerra le cui finalità erano ben diverse da quelle dichiarate, per un accordo probabilmente intervenuto tra USA e Arabia Saudita per la creazione di una vasta area islamica in Europa stabilendo una continuità tra Bosnia e Albania-Kossovo, riducendo la Serbia ai minimi termini, in cambio dell’isolamento internazionale dell’Irak di Saddam Hussein, oltre al controllo di un’area strategica per il traffico di armi e droga, e oggi anche di esseri umani.
A prescindere dagli “apporti” dell’immigrazione, nell’Europa balcanica ci sono due aree islamiche: quella bosniaca e quella albanese. A tenerle separate, a frammentare questa scimitarra islamica puntata contro il cuore dell’Europa, c’era e c’è la Serbia, che nei disegni della sconcia alleanza fra Rijad e Washington doveva essere annientata, spazzata via. Ecco il motivo per cui i Serbi sono stati indicati alla pecoresca opinione pubblica internazionale come i responsabili della crisi della ex Jugoslavia, i “cattivi” della situazione.
L’Italia è non solo per sua disgrazia un Paese membro della NATO ma, insieme alla Grecia, il più vicino all’area della ex Jugoslavia, da cui la separa solo lo sputo d’acqua dell’Adriatico. Il governo italiano – allora paradossalmente ma nemmeno tanto, era presidente del Consiglio l’ex comunista Massimo D’Alema – non trovò nulla da ridire e prestò prontamente le basi da cui far partire gli aerei con cui bombardare la Serbia.
Durante e nel periodo seguente la seconda guerra mondiale, i responsabili degli infoibamenti furono gli slavi che vivevano prossimi ai nostri confini: sloveni e croati, e ora l’Italia si muoveva in difesa dei figli e nipoti di questi assassini contro i Serbi i cui padri verosimilmente non avevano avuto responsabilità nel massacro della nostra gente. Chi fu forse più rapido a capire l’antifona, fu il rais croato Frane Tudjman che, proprio mentre la NATO bombardava Belgrado, fece approvare una legge che retrocedeva gli italiani di Fiume da “minoranza” a “immigrati”, cancellando di fatto il vero ceppo autoctono della città, ma aveva capito una cosa di importanza fondamentale: l’Italia democratica e antifascista ha una politica estera e addirittura militare al solo scopo di farsi ancora meglio pisciare in testa.
Come dicevo, non solo la dissoluzione della ex Jugoslavia non ha portato alcun beneficio agli Italiani rimasti nelle terre che ci furono sottratte con il secondo conflitto mondiale ma, se possibile, ha ancora peggiorato la loro situazione, e non soltanto perché nel momento in cui il confine sul fiume Dragogna che divide la parte di Istria toccata alla Slovenia da quella toccata alla Croazia, nel momento in cui si è trasformato da confine amministrativo a frontiera politica, ha tagliato la minoranza italiana in due tronconi, ma perché il rinfocolarsi di odio etnico che ha caratterizzato la frammentazione della ex Jugoslavia non favorisce certo la tutela delle minoranze, soprattutto quando in Italia si affermano governi di centrosinistra, che tutti dediti ad aiutare extracomunitari e rom, se ne fregano degli Italiani che vivono entro i nostri confini, figurarsi di quelli al di fuori di essi.
Noi non dobbiamo dimenticare che la dissoluzione della ex Jugoslavia è stata pianificata a tavolino. Sicuramente non a caso, l’ultima legge varata dalla repubblica federativa prossima a venire meno, è stata una riforma della scuola superiore che ha moltiplicato gli indirizzi di studio al punto da rendere impossibile la costituzione di scuole superiori di lingua italiana, un deciso passo avanti verso l’assimilazione e l’eliminazione degli Italiani dell’Istria.
Faceva certo specie, durante il conflitto croato-serbo-bosniaco, sentire i Croati rivolgere appelli alla comunità internazionale per tutelare gli edifici, le chiese, i campanili della costa dalmata, a parer loro esempi di “arte croata”, “arte croata” a cui i loro antenati non hanno mai dato il contributo nemmeno di una pietra, espressione del genio artistico dei Dalmati di ceppo veneto e di etnia italiana che hanno popolato la regione per secoli, prima che la Jugoslavia comunista se ne impadronisse, cacciasse col terrore la popolazione nativa, e poi la regione stessa toccasse loro in immeritata eredità. Questa mistificazione, tuttavia, era solo il primo passo. Il secondo, l’ho ricordato più sopra, è stato cancellare legalmente gli Italiani di Fiume come minoranza, ma ne sono seguiti altri in un crescendo allucinante: si è arrivati a scalpellare il leone di san Marco dalle facciate delle chiese e dei campanili, poi addirittura ad alterare le lapidi dei cimiteri, in un crescendo di orwelliana riscrittura della storia, tesa a negare che una presenza italiana sulla sponda orientale dell’Adriatico sia mai neppure esistita.
Una sfacciata manipolazione della verità storica molto vicina ai metodi segnalati da George Orwell in 1984 e che dimostra in maniera lampante che sotto la casacca del nuovo nazionalismo, gli eredi dell’ “Alleanza dei Socialisti” titina sono sempre gli stessi.
Dall’altra parte, in risposta a questo furore sciovinistico, da parte italiana cosa c’è? Nulla!, il vuoto!
Quel senso di appartenenza a una comunità nazionale che altrove è uno dei sentimenti più normali e diffusi, in Italia sembra non esistere o essere solo una prerogativa di taluni individui chiamati “fascisti”.
Io già altre volte mi sono posto il problema se sono le ferite non sanate del nostro animo nazionale, conseguenza di quindici secoli di divisione e sottomissione allo straniero ad aver creato le condizioni per la mancanza di coesione nazionale, mancanza di coesione in cui prosperano ideologie internazionaliste come il comunismo e il cristianesimo cattolico, o se sono marxismo e cristianesimo ad aver prodotto e continuare a produrre questo scollamento fra l’Italia e gli Italiani, ma credo che sia un discorso che si morde la coda e i due fenomeni si alimentano a vicenda. Oggi come forse mai in passato, gli Italiani vorrebbero essere o pretenderebbero di essere tutto meno che italiani. Guardate la massa di nomi stranieri che c’è fra i ragazzi delle nuove generazioni, o la massa di barbarismi, soprattutto anglicismi, che impesta il nostro linguaggio e lo rende sempre più dissimile dalla lingua di Dante e di Manzoni.
D’altra parte, i comunisti, dalla caduta dell’Unione Sovietica a oggi, hanno cambiato almeno una mezza dozzina di volte denominazioni e sigle, ma sono sempre gli stessi. Da quando, a parziale e tardiva ammenda del lungo e ingiustificabile oblio in cui sono state lasciate le vittime delle stragi slavo-comuniste e la tragedia di quanti hanno dovuto fuggire dalla loro terra e dalla loro casa per non fare la stessa fine, è stata istituita la giornata del ricordo del 10 febbraio, non è passata una volta senza che questa celebrazione, tutt’altro che corale, non sia stata accompagnata da contromanifestazioni dei “compagni” e da profanazioni ai monumenti e simboli che ricordano quelle vittime massacrate solo perché italiane. Ricordiamo tra gli altri i casi dell’attore Leo Gullotta che per la sua partecipazione allo sceneggiato Il cuore nel pozzo che dopo sessant’anni di silenzio è stato il primo a far conoscere al grosso pubblico italiano la tragedia delle foibe, a un congresso del PD è stato vittima di una contestazione sfociata nell’aggressione fisica (e stiamo parlando del PD, NON dei Centri Sociali o dei No Global) e di Simone Cristicchi, la cui opera teatrale Magazzino 18, dedicata all’esodo che, dopo ripetute pressioni e minacce, ha dovuto essere rappresentata in edizione censurata. Orwellianamente, per i “compagni” la verità storica è il nemico peggiore da combattere con ogni mezzo, con l’intimidazione e con la violenza perché non possa essere conosciuta soprattutto dalle generazioni più giovani.
Ma il vero punto è un altro. Provatevi solo a immaginare quale putiferio si scatenerebbe se qualcuno nei nostri ambienti decidesse di organizzare una contromanifestazione al corale piagnisteo del 27 gennaio, mentre le contestazioni alla giornata del ricordo che cade nell’anniversario della firma del funesto trattato di pace, rientrano in una squallida “normalità”. Eppure i morti nelle foibe sono i nostri morti, la gente costretta a scappare dall’Istria è la nostra gente, vittime della bestiale furia comunista per la colpa di essere italiani. Il vero problema è che moltissimi, anche di coloro che si dichiarano anticomunisti, continuano a considerare il comunismo un’ideologia rispettabile invece della mistura di menzogna e violenza, di sterco e sangue che è.
Con rammarico e disgusto, tocca segnalare che la recente affermazione del PD a livello amministrativo nella nostra regione come in tutta Italia, con Debora Serracchiani alla guida regionale e Roberto Cosolini sindaco di Trieste, significa soprattutto una cosa: l’avvenuto passaggio del testimone dalla generazione dei figli di coloro che la seconda guerra mondiale la vissero, a quella dei nipoti. Mentre noi abbiamo potuto apprendere dalle labbra dei nostri genitori la testimonianza viva di questi fatti, anche e soprattutto là dove essa discorda dalla storia ufficialmente accreditata, la stessa trasmissione di seconda mano non funziona altrettanto bene, e i nostri figli sono più facilmente vittime del plagio mediatico per cui gli sconfitti hanno sempre torto, e i vincitori hanno ragione per il solo fatto di aver prevalso con la forza bruta.
Anche sulla “democrazia occidentale” importata in Italia come nel resto dell’Europa dagli angloamericani attraverso bombardamenti terroristici contro le popolazioni civili che hanno fatto milioni di morti, ci sarebbe moltissimo da dire, ma è particolarmente grave che si dia a intendere che il comunismo sia o possa essere altro che brutalità assassina.
Nel 2006, quando fu inaugurato il monumento della foiba di Basovizza, a oltre sessant’anni dai tragici giorni che avevano visto migliaia di triestini sparire in quell’anfratto carsico (Questa foiba ha la particolarità di trovarsi un un territorio che per caso è tornato a essere italiano, ma ce ne sono centinaia riempite dalle ossa dei nostri connazionali trucidati nelle terre che ci sono state sottratte. Un calcolo esatto degli assassinati non è mai stato fatto, ma sono decine di migliaia, mentre gli esuli, costretti col terrore ad abbandonare le loro terre ammontarono a quasi mezzo milione), l’allora sindaco di Trieste Roberto Dipiazza fece un discorso talmente vago, che i giornalisti del “Piccolo”, il quotidiano triestino presenti alla cerimonia, chiesero ai ragazzi intervenuti se avessero capito o sapessero chi fossero stati gli autori dell’eccidio. Alcuni ammisero di non saperlo e non averlo capito, altri risposero “i nazisti”. Nessuno aveva capito o sapeva che gli autori del massacro che aveva colpito così crudelmente la nostra gente erano i comunisti jugoslavi.
Roberto Dipiazza non è un uomo di sinistra, del PD o simili, ma del PDL, allora alla guida di una giunta di centrodestra. E’ la paura di essere bollati come “fascisti” che impedisce di dire la verità a chiare lettere.
Perché il male trionfi, non sono necessarie molte complicità attive, sono sufficienti l’acquiescenza e la pavidità dei “buoni”.
Noi non abbiamo molte armi in questa lotta, solo quella della parola, ma siamo qui a testimoniare le verità “scomode”, quelle che è importante che soprattutto i più giovani conoscano, e continueremo a farlo senza timore, finché non avremo la bocca piena di terra, sul fondo di una foiba o altrove.
Testimonianza
BOLOGNA DAL 1945 – AL 1947 HA ACCOLTO GLI ESULI CON SPUTI ED INSULTI, GETTANDO A TERRA IL LATTE CALDO PER I BAMBINI CHE SI TROVAVANO NEI CARRI BESTIAME DEGLI ESULI
FRANCESCO AVALLONE: DALLE FOIBE ALL’ESODO
Sono nato a Fiume da genitori salernitani: mio padre prestava servizio presso la Questura dove collaborava con il Commissario Giovanni Palatucci, proseguendo un rapporto che era già iniziato a Genova, prima del loro trasferimento.
La mia testimonianza intende rendere onore, innanzi tutto, proprio al Dr. Palatucci: un vero e proprio Eroe, le cui straordinarie benemerenze si vorrebbero mettere in dubbio, se non addirittura distruggere. In proposito, mi ha negativamente sorpreso un articolo sul “Corriere della Sera” del 21 giugno 2013, successivo di pochi giorni all’incontro mondiale dei fiumani tenutosi nella città liburnica. Ebbi modo di parlare con la redazione, ponendo in evidenza che sarebbe bastato intervenire a detta assise per reperire notizie vere e sicure su Palatucci, anziché riportare informazioni di seconda mano, e quindi opinabili.
A seguito della mia protesta e di quelle altrui, dopo due giorni venne pubblicata una rettifica, ma soltanto parziale. Pertanto, sento il dovere di restituire alla figura del Commissario Palatucci tutti gli onori che gli sono dovuti.
Ho vissuto a Fiume per sette anni, fra il 1938 ed il 1945: sostanzialmente, lo stesso periodo in cui vi prestò la propria opera il “Giusto fra le Nazioni” che risponde al Nome di Giovanni Palatucci. Ricordo che tante volte, alla sera, mio padre usciva con lui per organizzare il salvataggio di molte persone, in larga maggioranza di fede ebraica, destinandole ad altre città italiane dove poteva contare su riferimenti sicuri, e talvolta anche all’estero.
L’episodio che ha cambiato radicalmente la mia vita e le sorti della mia famiglia ebbe luogo nel 1943; Palatucci aveva già disposto che mio padre accompagnasse due famiglie di Ebrei da Fiume a Salerno. Forse, pensava di salvarlo, ma un collega chiese di sostituirlo in questa missione, in quanto aveva la famiglia a Salerno: episodio ovviamente privo di qualsiasi responsabilità singola, confermato in tempi successivi dai congiunti del collega medesimo.
Mio padre rimase a Fiume con Palatucci e con noi, Vittima di una sorte iniqua, che si sarebbe compiuta nel maggio 1945, non appena la città venne invasa dai partigiani di Tito: sorte atroce oltre che imprevedibile, al pari di quella subita dal Commissario.
Mio padre fu gettato in una foiba carsica, forse ancora vivo, quando aveva 45 anni e la guerra era già finita, mentre Palatucci sarebbe scomparso in età ancora più giovane, a soli 36 anni, nel campo di sterminio tedesco di Dachau, ucciso dal tifo dopo incredibili stenti, privazioni ed angherie. L’Olocausto del Commissario porta la data del 10 febbraio 1945: una data che sarà sempre ricordata perché con la legge 30 marzo 2004 n. 92, la Repubblica italiana l’ha riconosciuta quale “Giorno del Ricordo” al fine di non dimenticare la tragedia delle Foibe e dell’Esodo, e la triste vicenda dei confini orientali; entrambe sconosciute alla maggior parte degli italiani. Ciò, senza dire che il 10 febbraio 1947 la firma del “diktat” coincise col gesto di estrema protesta compiuto da Maria Pasquinelli.
Le Foibe sono cavità naturali che si aprono nel terreno e sprofondano nella roccia anche per cento metri ed oltre, dove sono scomparsi, Vittime dei titini, tanti Italiani innocenti, la cui cifra, comprensiva di quelli fucilati, deportati senza ritorno od altrimenti massacrati sale ad almeno 30 mila persone, fra cui parecchie centinaia di donne ed alcune decine di minori.
L’Esodo istriano, fiumano e dalmata, invece, riguarda 350 mila italiani, cacciati dalle loro case e costretti ad abbandonare affetti, focolari e sepolcri degli Avi, pur di rimanere liberi e fedeli alla patria. Una piccola riflessione: si parla tanto dell’immigrazione extra-comunitaria, ma sul nostro dramma è scesa per troppo tempo una cortina di pervicace silenzio. Il Presidente della Repubblica, che ringraziamo, ha conferito una Medaglia ai Congiunti degli Infoibati e delle altre Vittime di una vera e propria pulizia etnica (il “genocidio programmato” di cui allo studio del prof. Italo Gabrielli), ma gli Esuli sono stati oggetto di strumentalizzazioni politiche sempre in agguato, che non dovranno più avvenire.
A volte si può credere di “seppellire” un passato di tristezze e di sofferenze custodito gelosamente, ma spesso torna a prorompere dalla coscienza, ed allora si avverte il bisogno di farlo conoscere e di attualizzare una tragedia la cui memoria storica è giusto diffondere.
Questa mia testimonianza è una storia vera, vissuta da me, dalla mia famiglia e da tanti italiani in un contesto storico volutamente dimenticato. E’ una storia scolpita nel mio animo e nella mia mente, che non potrà essere mai cancellata. In tutti questi anni, le più alte Autorità Istituzionali hanno chiesto scusa a tutti. Noi, per fare un esempio significativo, pretendiamo le scuse dalla città di Bologna, dai Sindacalisti e dai Ferrovieri di Bologna; perché pretendiamo le scuse? Lo vedremo fra poco.
Ora, ritorniamo all’epoca di quei tragici avvenimenti; vivevamo bene a Fiume; mio fratello aveva dieci anni, mia sorella sette ed io tre. Ma alla fine della guerra, col ritiro degli ultimi reparti tedeschi (2 maggio 1945) la città venne occupata dalle truppe del Maresciallo Tito, come quasi tutta la Venezia Giulia, in una sorta di silenzio tombale.
Senza nulla far trapelare, l’ordine di questa gente malvagia e crudele era quello di estirpare radicalmente ogni traccia di italianità eliminando in senso fisico uomini e donne, ricchi e poveri, militari e civili; confiscando e sequestrando i nostri beni ed infine, cacciando dalle proprie case chi era riuscito a rimanere vivo. I partigiani procedevano a retate improvvise, talvolta uccidendo per un nonnulla. I primi ad essere prelevati furono i servitori dello Stato, ed in particolare, gli appartenenti alle Forze dell’Ordine quali Pubblica Sicurezza, Guardia di Finanza, Esercito e Carabinieri. Portati sul ciglio delle foibe, legati fra di loro con un filo di ferro ai polsi, il primo del gruppo era il più fortunato perché veniva ucciso con un colpo di pistola alla nuca, ma precipitando trascinava tutti gli altri nel baratro: questi italiani hanno subito una morte atroce dopo sofferenze inumane; chissà dopo quanti giorni sarà arrivata per molti di loro, una morte liberatrice?
Fra questi Italiani gettati nelle foibe c’era anche mio padre, con la sola colpa di avere onorato il proprio dovere. I superstiti venivano sequestrati nelle abitazioni: sotto i palazzi bivaccavano famiglie slave in attesa che “liberassimo” le nostre case. Mia madre, donna di un coraggio e di una forza d’animo non comuni, venne informata in un primo momento che il marito era stato fucilato, ed ebbe modo di cercarlo nei magazzini del porto dove erano state poste le salme di parecchie Vittime in attesa di riconoscimento, ma la ricerca fu vana; da altre indiscrezioni, si seppe che era stato infoibato. Rimase sola con tre bambini, tentando di salvare qualcosa e chiedendo l’autorizzazione a partire e portare fuori città cinque casse contenenti le cose più care, quali indumenti e documenti: ebbene, il comando partigiano diede l’autorizzazione ben sapendo che sarebbe stato impossibile trasportare quelle casse, senza dire che pervennero diversi avvertimenti da chi bivaccava sotto casa: “Signora, pensi a salvare i bambini, lasci stare tutto il resto”.
Venimmo caricati su camion vecchi e sgangherati, ed un solo borsone conteneva tutto ciò che possedevamo: tra l’altro, un documento (ora depositato nel Museo fiumano di Roma) comprovante che quanto sto scrivendo è la pura verità. Con questi mezzi di fortuna su cui campeggiava la famosa stella rossa a cinque punte che incuteva terrore solo a guardarla, attraversammo Fiume caricando altri infelici come noi e viaggiando fino a Trieste, dove fummo scaricati alla stazione ferroviaria, mentre altri furono ammassati nella Risiera di San Sabba o nei tristemente famosi Silos.
La pulizia etnica avvenne in silenzio, dovuto in buona misura all’acquiescenza dei pubblici poteri, ed in primo luogo del Partito Comunista Italiano e dei suoi alleati, coinvolti in responsabilità governative: un silenzio che talvolta è più straziante del dissenso e di qualsiasi indignazione ululata, di qualsiasi verità dichiarata.
Dall’Italia avremmo atteso un’accoglienza normale, che invece fu pessima: nonostante la morte dei nostri Cari, e la perdita di tutto ciò che avevamo, fummo etichettati come i profughi istriani, fiumani e dalmati che avevano abbandonato il “paradiso” di Tito, e quindi da ignorare e dimenticare. L’Esodo dei 350 mila venne oscurato per il lungo decennio in cui si sarebbe protratto (fino al 1954); l’Italia ci accoglieva, ed avrebbe continuato a farlo anche in seguito, come relitti scomodi, e non come concittadini degnissimi che avevano sacrificato tutto alla patria.
Da quel momento fummo cancellati. Restammo diversi giorni accampati nella stazione di Trieste; poi, grazie alla Croce Rossa Internazionale ed alla Pontificia Opera di Assistenza, vennero predisposti alcuni carri merci con qualche giaciglio in paglia che scendevano lentamente verso il Sud, fra mille difficoltà dovute ai disastri bellici. Chi aveva qualche punto di riferimento scendeva nella stazione più vicina; quanto a noi, per giungere a Salerno impiegammo dieci giorni.
La maggior parte dei profughi venne stipata nei 114 campi profughi dislocati su tutto il territorio nazionale, dove angherie e prevaricazioni erano all’ordine del giorno, subite con dignità e con tanta pazienza cristiana. Molti ebbero la possibilità di espatriare, soprattutto oltremare, come negli Stati Uniti d’America, in Canada, in America Latina, in Australia, dove furono accolti con maggiore disponibilità e se non altro, con quel rispetto che l’Italia non ha mai avuto nei nostri confronti, né sul piano morale né su quello materiale. I profughi emigrati non furono meno di 80 mila!
Tornando al caso di Bologna, giova porre in luce che, sempre grazie alla Croce Rossa Internazionale ed alla Pontificia Opera di Assistenza, erano stati preparati alcuni punti di ristoro nelle stazioni ferroviarie, dove venivano distribuite vivande per gli adulti e latte caldo per i bambini; a volte i treni giungevano con forte ritardo e noi piccoli davamo segni di insofferenza e nervosismo, o piangevamo per la fame, quella vera, quella che attanaglia lo stomaco: chi non l’ha sofferta non può immaginarla. Con impazienza attendevamo l’arrivo a Bologna, dove era annunciato un punto di ristoro, ma un’amara sorpresa ci aspettava: il comitato centrale e gli alti gerarchi del PCI avevano ordinato che non bisognava rifocillarci: avvenne così che, con la stessa crudeltà dei partigiani slavi, le vivande ed il latte furono gettati sulle rotaie, mentre noi fummo oggetto di contumelie e di sputi. Apostrofandoci con l’accusa di essere fascisti, i ferrovieri chiusero i portelloni e ci dirottarono verso Rimini: a distanza di 70 anni, mi sto ancora chiedendo come sia stato umanamente possibile dare un ordine di quel genere.
Personalmente non ricordo l’episodio (ottobre 1945), data la mia tenerissima età, ma lo ricordano perfettamente mia sorella Concetta e mio fratello Pasquale, che aveva dieci anni. Si tenga presente che non fu un episodio isolato, come avrebbe dimostrato, addirittura sedici mesi dopo, l’accoglienza non dissimile che il treno dei profughi polesi, in viaggio da Ancona (dove erano sbarcati dal “Toscana” fra gli insulti dei portuali) e diretto al campo di raccolta della Spezia, ebbe proprio a Bologna, senza nemmeno la possibilità di sostare!
Arrivati a questo punto debbo chiarire che né il Commissario Palatucci né mio padre erano iscritti al Partito Nazionale Fascista: quindi, l’accusa di Bologna era a più forte ragione infondata. Il Dr. Palatucci ed i suoi uomini salvarono un alto numero di Ebrei da morte sicura, perché altrimenti sarebbero stati destinati ai campi di sterminio nazisti, sebbene si tenda spesso a dimenticarlo. Ciò accadde quando in Italia gli antifascisti ed i partigiani, nella migliore delle ipotesi, erano ancora “in sonno” se non addirittura fascisti tutti d’un pezzo.
La sola risposta ai fatti di Bologna, ripetuti per almeno due anni – come dicevo prima – fra il 1945 ed il 1947, sta nel fatto che i mandanti erano privi di coscienza. Eppure, il massimo della beffa doveva avvenire parecchio più tardi: esattamente nel 2007, quando la città di Bologna decise di dedicare agli Esuli una lapide dal testo inaccettabile, collocata in stazione, sotto la pensilina del primo binario; infatti, vi è scritto che dopo “un’iniziale incomprensione” Bologna seppe accogliere con calore gli Esuli istriani, giuliani e dalmati. L’ostracismo, al contrario, durò a lungo, cosa che evidenzia a più forte ragione, se per caso ve ne fosse bisogno, la vile menzogna di quella targa. Evidentemente, la verità è dura da ammettere, tanto che un’interrogazione parlamentare presentata dall’On. Roberto Menia per chiedere la rimozione di quell’offesa non ebbe alcun seguito concreto: motivo di più per rinnovare (anche all’Associazione Venezia Giulia e Dalmazia, autrice di quel “memorial” assieme al Comune) l’appello a rispettare la verità storica, e prima ancora, noi profughi, viaggiatori sugli allucinanti carri bestiame.
I campi di raccolta, come si diceva, erano più di cento; noi riuscimmo ad evitare quel triste destino perché la mia famiglia era proprietaria di alcuni immobili sulla costa amalfitana che abbiamo venduto per poter sopravvivere; poi, arrivati alla maggiore età, ognuno di noi ha preso la sua strada, ed io mi sono impiegato presso un importante Istituto bancario dove, grazie a Dio, ho svolto le mie mansioni per 40 anni con impegno e con successo.
Uno di questi campi si trovava all’estrema periferia di Salerno, dove alloggiavano due famiglie di amici che a Fiume avevano abitato vicino a noi: si trattava di persone un tempo ricchissime, e vederle in quelle condizioni ci rattristava sempre di più. Cercammo di portare loro un po’ di cibo, sia pure fra difficoltà quasi insormontabili: per rendere l’idea di come si sopravviveva in quel campo, basti pensare che gli Esuli dovevano convivere con nomadi e con persone di etnia Rom, tanto che la popolazione locale, a sua volta povera ed ignorante, aveva ribattezzato quell’inferno come “campo degli zingari”.
Queste pagine tristi della nostra storia, o meglio della storia d’Italia, non sono mai state scritte compiutamente, né tanto meno metabolizzate da parte di una Nazione e di uno Stato che hanno preferito dimenticare.
Nondimeno, bisogna pur dire che le persone per bene esistono su tutti i versanti dello schieramento politico, anche se si tratta pur sempre di eccezioni. A questo riguardo, voglio ricordare l’esempio di qualche Sindaco comunista ligure o piemontese, e delle loro Amministrazioni, che accolsero i profughi con esemplare disponibilità anche attraverso l’invito, prontamente accolto, di mettere a disposizione quanto potesse alleviare il loro dramma, almeno sul piano della sistemazione logistica. Tutto ciò, mentre in altre grandi città come Ancona, Venezia e la stessa Bologna l’ostracismo nei confronti degli Esuli, tanto gratuito quanto immotivato, raggiunse livelli parossistici.
° ° °
Il Trattato di pace del 10 febbraio1947, non a caso definito “diktat” nella nostra memoria e nella stessa storiografia, venne letteralmente imposto all’Italia, che nonostante la sua condizione di Stato cobelligerante fu costretta ad affrontare enormi sacrifici finanziari, onerose riparazioni di guerra ed umilianti amputazioni territoriali. Tuttavia, pur nella sua iniquità, almeno sulla carta concedeva agli italiani di Venezia Giulia, Istria e Dalmazia, nonostante la condizione irreversibile di Esuli, l’opportunità di rimanere proprietari di immobili ed altri beni. La Jugoslavia sottoscrisse tali clausole in perfetta malafede, essendo ben consapevole che non avevano alcuna consistenza sostanziale, in quanto il suo Governo aveva già provveduto a definire il programma di nazionalizzazione.
Peggio ancora fu quanto accadde con il Trattato di Osimo del 10 novembre 1975 tra Italia e Jugoslavia, ratificato da Camera e Senato dopo oltre un anno, tra forti contrasti nella stessa maggioranza governativa. In effetti, con quell’atto (un alto tradimento perseguibile con la pena dell’ergastolo) l’Italia volle rinunciare alla sovranità sulla Zona “B” del mai costituito Territorio Libero di Trieste, senza alcuna contropartita: non era mai accaduto nella storia del diritto internazionale. Fu un accordo vile, ed oltre tutto inutile, tanto che lo stesso Tito avrebbe detto di non essersi mai aspettato simili concessioni.
La politica estera italiana basata sulla rinuncia ebbe a ripetersi all’inizio degli anni novanta, quando lo sfascio della Repubblica federativa diede luogo alla creazione dei nuovi Stati sovrani di Croazia e Slovenia, prontamente riconosciuti dal Governo di Roma a titolo parimenti gratuito, senza che l’ipotesi di denunziare Osimo venisse presa nemmeno in considerazione. Lo stesso è avvenuto, infine, con l’ingresso sloveno e croato in Europa, rispettivamente del 2004 e 2013: ultimo esempio della pervicace “cupidigia di servilismo” che Benedetto Croce e Vittorio Emanuele Orlando avevano nobilmente denunciato all’Assemblea Costituente sin dal 1947, quando l’Italia, dopo avere subito il trattato di pace, volle ratificarlo senza riserve.
Francesco Avallone
Nebel
Ma santo cielo. Quello che questo signore rivela dovrebbe essere come minimo oggetto di un romanzo, di un documentario, di un film. Perchè giace solo nei suoi ricordi? Oh, la vigliaccheria, la miserabilità, la pavidità dell’italiano è leggendaria, miei cari. Quando milioni di connazionali avallarono l’entrata in guerra del paese, quando altrettanti gioivano del voltafaccia all’alleato tedesco, quando tutti, come adesso, aprirono gli occhi su quello che davvero stava accadendo, quale migliore sfogo poteva esserci se non quello di prendersela con donne, bamnini, civili innocenti? Quello che questo signore racconta dovrebbe essere nei libri di scuola. E’ STORIA, come lo sono i massacri di due milioni di civili tedeschi (ho letto particolari raccapriccianti sulle torture e sulle esecuzioni e naturalmente le vittime sacrificali predilette furono donne e bambini) sparsi nei territori europei occupati e IMMOLATI NEL NOME DELLA VENDETTA ANCORA NEL 1946!!
Con la speranza che tutto ciò che è accaduto di orribile, sia da una parte che dall’altra, venga alla luce e con il penseiro a TUTTI GLI INNOCENTI vittime delle guerre, un saluto.
Italiano
Caro Nebel, non è di moda purtorppo piangere i proprio morti della prima e della seconda guerra mondiale ed anche quelli infoibati come il povero Avallone a guerra finita, unitamente ad altri 20 mila disgraziati, morti perchè onoravano e difendevano la Patria.
L’Italia è senza valori e senza dignità.
Vergogna!
Nebel
Mio caro amico, sono d’accordo. E non dimentichiamo il male più diffuso tra i nostri connazionali, LA PROFONDA IGNORANZA E L’ORGOGLIO DI ESSERLO!! basterebbe leggere, ascoltare, informarsi di più per poter avere una visione ampia e obbiettiva del mondo.
Esuli costretti a scappare dalla propria terra
La testimonianza di Avallone è stata letta il 10 febbraio c.a. – al Campidoglio in occasione delle commemorazioni del GIORNO DEL RICORDO.
In marzo c.a. alla commemorazione della strage di Vergarolla (84 Vittime di cui 22 bambini) in onore e ricordo dei Caduti, la Testimonianza di Avallone è stata distribuita a tutti gli oratori, Onorevole Sereni, Onorevole Rosato, Onorevole Garavini ed agli altri partecipanti.
L’Onorevole Sereni ha voluto iniziare la commemorazione con un minuto di silenzio:
http://www.youtube.com/watch?v=QWZ7fYIKeCI
Esuli costretti a scappare dalla propria terra
QUESTIONARIO DI SINTESI STORICA
1 L’Istria era Italiana? Da quando?
E la Dalmazia? L’Istria è stata italiana dal 1919, data del Trattato di pace a seguito della prima guerra mondiale. In precedenza, al pari della Dalmazia, era stata romana, veneta ed austriaca, mai slava. La Dalmazia venne assegnata al nuovo Regno di Jugoslavia nello stesso 1919, ad eccezione di Zara, Cherso ed altre Isole minori destinate all’Italia.
2 Quando è iniziata la seconda guerra mondiale? Il 1° settembre 1939, con l’invasione della Polonia da parte della Germania e dell’Unione Sovietica, all’epoca alleata del Reich tedesco. L’Italia sarebbe entrata in guerra il 10 giugno 1940, ed il Giappone nel dicembre 1941.
3 Perchè ebbe inizio la seconda guerra mondiale? La Germania voleva la continuità territoriale con Danzica, a spese della Polonia, e l’Unione Sovietica aspirava a potenziare il suo controllo del Baltico orientale, sempre a spese della Polonia.
4 Quali Stati facevano parte dell’Asse? Germania, Italia, Giappone che avevano firmato il Patto d’Acciaio, ed altri minori, fra cui Bulgaria, Ungheria e la stessa Jugoslavia.
5 L’Italia ha dichiarato guerra alla Jugoslavia? Sì, nell’aprile 1941, a seguito del colpo di Stato di Belgrado che fece cambiare campo alla Jugoslavia.
6 Quando si concluse la seconda guerra mondiale? Sul fronte europeo, nel maggio 1945, e su quello asiatico nel successivo agosto, dopo l’attacco atomico statunitense al Giappone (Hiroshima e Nagasaki).
7 Quali territori furono perduti dall’Italia a seguito della seconda guerra mondiale?
Tutta la Dalmazia, quasi tutta l’Istria, parte della Venezia Giulia, Briga e Tenda, le Colonie africane ed il Dodecaneso (Rodi con altre isole
dell’Egeo).
8 Con quali Stati belligeranti venne perduta la guerra? Coi 21 Stati firmatari del Trattato di pace di Versailles, ovvero il “diktat” del 10 febbraio 1947: primi fra tutti, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Unione Sovietica, Jugoslavia, Albania, Grecia, Etiopia.
9 Quali furono le richieste degli Stati vincitori?
In sede di armistizio, la resa incondizionata. Successivamente, in sede di trattative per la pace definitiva, si differenziarono da uno Stato all’altro. Le più dure furono quelle del blocco orientale.
10 Quali richieste vennero avanzate dalla Jugoslavia?
Danni di guerra, estensione della sovranità territoriale fino all’Isonzo, estradizione di oltre 700 criminali di guerra o presunti tali, smilitarizzazione della fascia di confine.
11 Quali richieste furono formulate dalla Francia, l’altro Stato vincitore contiguo all’Italia?
Sovranità su Briga, Tenda e Moncenisio; smilitarizzazione della fascia di confine.
12 Quali le richieste degli altri Stati vincitori?
Danni di guerra, indipendenza delle ex-colonie, ripristino della piena sovranità etiope, indipendenza dell’Albania, trasferimento del Dodecaneso alla Grecia. All’Italia sarebbe rimasta l’amministrazione della Somalia per 10 anni.
13 Chi sottoscrisse l’Armistizio?
Il Regno del Sud (3 settembre 1943) e per esso il Governo del Maresciallo Badoglio, tramite il Gen. Castellano.
14 Con quali Stati? Con i plenipotenziari americani (Gen. Bedell Smith) che firmarono anche per gli altri Alleati ed in primo luogo per Gran Bretagna, Francia e Unione Sovietica.
15 In quale data gli Alleati giunsero a Trieste?
Il 2 maggio 1945, a poche ore di distanza dall’arrivo dei partigiani di Tito.
16 Quando fu occupata dai partigiani di Tito?
Il primo maggio 1945.
17 Chi erano i partigiani di Tito?
Le forze dell’Armata Popolare comandata dal Maresciallo Tito, che nel 1944 era riuscito a farsi riconoscere dagli Alleati come espressione ufficiale della Jugoslavia escludendo il Re e le altre forze politiche e militari slave.
18 Quando fu liberata Trieste?
Dall’occupazione slava, come Pola
(dove i partigiani erano entrati il 5 maggio), il 9 giugno 1945, a seguito degli accordi di Belgrado fra Tito e gli Alleati.
19 Quando è tornata definitivamente all’Italia?
Il 26 ottobre 1954. I bersaglieri ne presero possesso il 4 novembre quando il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi decorò il Gonfalone cittadino con la Medaglia d’Oro al Valor Militare.
20 Con quali trattati l’Italia ha perduto l’Istria e la Dalmazia?
Col Trattato di pace del 10 febbraio 1947, la Dalmazia e gran parte dell’Istria; col Trattato di Osimo fra Italia e la Jugoslavia del 10 novembre 1975, la Zona B, ovvero il comprensorio istriano nord-occidentale.
21 Quale differenza storica intercorre fra Zona A e Zona B? La Zona A (Trieste), istituita con il Trattato di pace del 1947 al pari della Zona B, venne affidata al Governo Militare anglo-americano e restituita all’Italia nel 1954. La Zona B (Capodistria, Buie, Pirano, Umago), invece, venne affidata all’Amministrazione prima militare e poi civile della Jugoslavia che la annesse definitivamente nel 1975.
22 Con quale trattato l’Italia ha rinunciato alla propria sovranità sulla Zona B?
Col Trattato di Osimo del 10 novembre 1975, che prevedeva, in aggiunta, pesanti impegni di natura economica. E’ da notare che la cessione avvenne senza alcuna contropartita.
23 Chi provvide a stipularlo?
Italia e Jugoslavia nelle persone dei Ministri degli Esteri Mariano Rumor e Milos Minic.
25 Cosa sono le foibe?
Cavità del sottosuolo carsico, talvolta molto profonde. Nella sola Istria se ne contano circa 1700.
26 Si sono sempre chiamate foibe? Sì, il nome deriva dal latino “fovea” che significa fossa; infatti sono voragini rocciose a forma di imbuto.
27 Quali sono le differenze fra foibe e doline?
La dolina (termine sloveno che significa valle) può avere vari aspetti: quello ad imbuto è la foiba.
28 Perchè le persone venivano gettate nelle foibe?
Per portare a compimento il disegno di pulizia etnica voluto da Tito, ma anche per eliminare ogni opposizione. Non a caso, furono uccisi, oltre agli italiani, moltissimi slavi dissidenti.
29 Chi eseguiva materialmente gli infoibamenti? Di solito, i partigiani di Tito, ma talvolta, anche i loro collaborazionisti italiani.
30 Chi veniva gettato nelle foibe?
Anzi tutto, chi aveva avuto responsabilità istituzionali o pubbliche nel Ventennio; poi, persone delle classi superiori, intellettuali, professionisti, ma anche semplici cittadini, militari, docenti, studenti, operai, donne.
31 Quando ebbero termine gli infoibamenti?
La persecuzione è durata a lungo.
Uccisioni sia pure episodiche si sono protratte anche negli anni cinquanta.
32 Perchè gli istriani, fiumani e dalmati furono costretti a fuggire?
Per rimanere italiani e per effettuare una scelta di civiltà condivisa dal 90 per cento delle persone, ma nello stesso tempo, per la propria salvezza fisica.
33 E’ vero che gli infoibati venivano uccisi perchè erano fascisti?
No, gli esponenti maggiori del fascismo locale si erano già salvati con la fuga. Quasi tutti gli infoibati italiani non avevano avuto incarichi salienti durante il vecchio regime.
34 La morte in foiba era immediata?
Non sempre. A volte, l’agonia in fondo all’abisso si protraeva a lungo, e si udivano grida strazianti, senza alcuna possibilità di portare aiuto alle Vittime.
35 Le persone venivano gettate in foiba da vive, oppure già uccise?
Spesso, le Vittime erano legate: la prima veniva uccisa (con un colpo di fucile o rivoltella) e precipitata in foiba in modo da trascinare nella caduta anche i compagni vivi.
36 In fondo alle foibe c’è l’acqua? Sì, in molti casi, ma non sempre.
Questa è una delle ragioni per cui è stato impossibile, quasi sempre, recuperare le spoglie delle Vittime (ne vennero esumate alcune centinaia).
37 Era possibile salvarsi dalle foibe?
No, sia per la profondità dell’abisso, sia per le sporgenze di roccia dalle pareti. Sono riuscite a salvarsi casualmente due persone, cadute su un arbusto a breve distanza dall’inghiottitoio, e miracolosamente risalite dopo atroci attese e sofferenze.
38 Le foibe vennero utilizzate come strumento di morte in periodo di pace o di guerra? Dopo la fine della guerra gli slavi, ancora per parecchio tempo, continuarono a servirsi delle foibe per il loro disegno di pulizia etnica e classista.
39 E’ vero che gli slavi gettavano un cane nero sulla catasta di cadaveri e perchè?
Non era prassi corrente ma poteva accadere, come rituale macabro. Veniva gettato nella foiba, sopra i cadaveri, un cane nero vivo, il quale, secondo la leggenda popolare, latrando in eterno avrebbe tolto alle Vittime anche la pace dell’aldilà.
40 Perché il popolo fiumano, istriano e dalmata non ebbe la possibilità di rimanere nella sua terra? I pochi che restarono (10%), abbracciando la fede comunista, dovettero assumere la cittadinanza jugoslava ed accettare la collettivizzazione. Chi non lo avesse fatto rischiava la foiba.
41 Quando la Jugoslavia si dissolse, sarebbe stato possibile ripristinare la sovranità italiana, almeno sull’Istria?
All’inizio degli anni novanta, dopo la caduta del Muro di Berlino e la dissoluzione della Jugoslavia, sarebbe stato possibile, al pari di quanto accadde in Germania con l’unificazione della BRD e della DDR, ma l’Italia non seppe cogliere l’occasione.
42 Quale simbolo ha la Bandiera dell’Istria? La capra, sin dall’epoca romana, poi ripresa in età austriaca, quale espressione di pazienza e di sicurezza.
43 Quali simboli ha la bandiera dalmata? Scudo con tre teste di leone o leopardo maculato in campo blu.
44 Quale simbolo ha la bandiera di Fiume?
Aquila sul motto latino “indeficienter” (senza fine), quale attestazione di fede e perseveranza.
45 Quali sono i libri più importanti sulle Foibe e l’Esodo?
Esiste una bibliografia larghissima. Le opere più importanti sono quelle di Luigi Papo per il numero delle Vittime (16.500) e di Padre Flaminio Rocchi per quello degli Esuli (350 mila).
46 I libri di scuola parlano di Foibe ed Esodo? Sinora, in misura assai ridotta e talvolta deviante. E’ stata costituita un’apposita Commissione ministeriale preposta ad affrontare criticamente il problema.
47 Qualcuno afferma che le foibe sono un’invenzione, al pari di quanto accade per la Shoah?
Sì, sono i cosiddetti negazionisti, soprattutto sloveni e croati (e qualche italiano), che costituiscono una ristretta minoranza.
48 Cos’è il Giorno del Ricordo? Il 10 febbraio (anniversario del Trattato di pace) è il giorno che l’Italia ha dedicato alle Vittime delle Foibe ed all’Esodo degli Istriani, Fiumani e Dalmati.
49 Quando è stato istituito il Giorno del Ricordo?
Con Legge 30 marzo 2004, approvata dal Parlamento italiano quasi all’unanimità, con lo scopo di celebrare la ricorrenza, in primo luogo nelle scuole. La legge in parola venne approvata con una maggioranza del 98 per cento.
50 E’ vero, come recita una vulgata, che sono stati infoibati gli italiani d’Istria, di Fiume e della Dalmazia in quanto fascisti? Non è vero. La posizione politica delle Vittime non era la causa degli infoibamenti.
Sono stati infoibati tutti coloro che parlavano italiano, dallo spazzacamino all’industriale; uomini, donne, bambini, comunisti non allineati al regime di Tito.
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Esuli costretti a scappare dalla propria terra
Quest’anno, le cerimonie per il “Giorno del Ricordo” relative ai conferimenti delle Medaglie d’onore in suffragio degli Italiani infoibati o diversamente massacrati dai partigiani di Tito, hanno raggiunto livelli particolarmente significativi.
Infatti, le Medaglie consegnate sono state 194, di cui 64 durante la manifestazione nazionale tenutasi alla Camera, e 130 nelle varie Prefetture.
Alla scadenza del decennio, i conferimenti hanno superato quota mille: una cifra ragguardevole, ma tuttora modesta rispetto al numero dei potenziali aventi causa, cosa che sottolinea la validità delle iniziative di Ettore Rosato (Partito Democratico) e di Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia) per una proroga decennale della normativa in parola.
La cerimonia svoltasi presso il Commissariato del Governo di Trento è stata particolarmente toccante: nella fattispecie, sono stati insigniti i Congiunti di Isaia Apolloni e di Adelina Crosilla, ed è stata data lettura, davanti ad un pubblico commosso, di un’invocazione sempre attuale e pertinente, come la “Preghiera dell’Infoibato” a suo tempo composta da Mons. Antonio Santin, l’eroico Vescovo di Trieste e Capodistria, nel segno di una fede e di una speranza che sono patrimonio inesauribile del popolo istriano, fiumano e dalmata, e nella certezza che gli spiriti del male debbano necessariamente soccombere. Per l’austera semplicità della commemorazione trentina, cui hanno partecipato esponenti delle Istituzioni e del mondo esule, e che diventa un valido punto di riferimento, si vuole esprimere al Commissario di Governo ed agli Organi competenti un ringraziamento particolarmente sentito.
Nebel
Meglio tardi che mai. Ciò che conta è che le testmonianze possano essere raccolte e rese note prima che giacciano nell’oblìo, quando ogni testimone vivente avrà concluso il proprio tempo sulla Terra. Il mio pensiero va alle vittime di qualunque ingiustizia. Un saluto.