“Mendace veritas”
Motto del Barone di Münchhausen
Ignoto [lat. ignotum, da in + (g)notu(m); 1321]:
non conosciuto; ignorato, oscuro.
Mistero [lat. mysteriu(m), dal gr. mysterion; sec.XIV]:
fatto o fenomeno inspiegabile razionalmente.
Occulto [lat. occultu(m), da occulere; 1308]:
nascosto; segreto; arcano, non conoscibile.
Tre parole il cui significato, come ci spiega il vocabolario, è più o meno simile. Potrebbero essere quasi sinonimi, ma col tempo e con l’uso, anzi l’abuso che oggi se ne fa, hanno assunto differenze, a volte sottili, a volte sostanziali. Infatti, la ricerca a tutti i costi del sensazionalistico e della dimensione “altra” nei libri, nei fumetti, nei film, nella televisione e nella realtà virtuale, ha portato ad una vera e propria inflazione di ignoto, mistero e occulto. Più la scienza tende a spiegare minutamente ogni cosa, e più si sente la necessità di (e si è attratti da) una dimensione che respinge i fari accecanti della razionalità, una dimensione oscura ancora da esplorare e non sempre da riuscire a spiegare. Trent’anni fa lo chiamai “il fascino del mistero”, che ancora oggi perdura.
Come ben si sa, il capostipite di questi “investigatori psichici” è il dottor Martin Hesselius, protagonista di vari racconti di J.Sheridan Le Fanu (In a Glass, Darkly, 1872), investigatore tipicamente razionalista, che risolveva fenomeni apparentemente paranormali sulla scorta delle deduzioni che avevano reso famoso trent’anni prima l’Auguste Dupin di Edgar Allan Poe (I delitti della rue Morgue era apparso nel 1841); giunge poi il van Helsing di Bram Stoker, co-protagonista di Dracula (1894). Nel frattempo, però, era nato (A Study in Scarlet, 1888) lo Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle, che diede un’impronta, tipica e praticamente indelebile, al metodo investigativo al limite della razionalità pura, quasi al limite del fantastico. Non poteva non influenzare, anche solo indirettamente il citato John Silence phisician extraordinary di Algernon Blackwood (1907) e, in tono assai minore, Carnacki, il ghost-finder, il “cacciatore di spettri” di William Hope Hodgson (1913).
Negli Anni Venti e Trenta si assistette ad una vera inflazione di questi “investigatori dell’occulto” sulle pagine dei pulp magazines, soprattutto su quelle di Weird Tales dove imperversò un personaggio assai sopravvalutato, Jules de Grandin di Seabury Quinn (in 31 anni, dal 1919 al 1950, pubblicò 91 avventure di questo occult detective e del suo assistente Dottor Trowbridge, che evidentemente si ispiravano alla coppia Holmes-Watson). La definizione, però, era intesa anche in senso “serio” e concreto: infatti nel 1936 apparvero le Confessions of a Ghost-Hunter di Harry Price (1881-1948), fondatore a Londra di un Laboratorio di Ricerche Psichiche che indagava sui vari fenomeni occulti adoperando tutti gli armamentari tecnologici della scienza del tempo, precursore sia dei personaggi cinematografici di Ivan Reitman, sia di quelli in carne ed ossa del nostrano CICAP, senza però alcuna prevenzione e pregiudizio come questi ultimi. E poichè Price, ed altri come lui, erano personalità pubbliche e noti attraverso la stampa popolare dell’epoca, non è improbabile che alcuni degli “investigatori dell’occulto” letterari siano stati modellati su di loro. Considerato che la Society for Psychical Research, che riuniva illustri scienziati del tempo, venne fondata a Londra nel 1882 e che i trent’anni successivi furono i più fiorenti dal punto di vista “spiritico” in Gran Bretagna, l’ipotesi della fantasia ispirata dalla realtà è abbastanza verosimile.
Ritenuto morto e sepolto grazie alla fantascienza e all’atmosfera di scientificità in cui viviamo, inaspettatamente il personaggio è ritornato a mietere lettori e spettatori grazie al fumetto italiano (Martin Mystère, “detective dell’impossibile”, di Alfredo Castelli, 1982; e Dylan Dog, “l’indagatore dell’incubo”, di Tiziano Sclavi, 1986; con le loro numerosissime imitazioni), ma soprattutto grazie al cinema con la saga degli Acchiappafantasmi (Ghostbuster, 1984, e Ghostbuster 2, 1989, entrambi di Ivan Reitman) e con – volendo, dato che è sulla stessa falsariga grottesca e demenziale – anche quella degli “Uomini in Nero” (Men in Black, 1997, e Back in Black, 2002, entrambi di Barry Sonnenfeld), nonché alla televisione con la serie di culto degli X-files (1993-2001) di Chris Carter, il cui enorme successo ha portato i due protagonisti, Fox Mulder e Dana Scully, anche sul grande schermo (1998).
Un personaggio-tipo, quasi un archetipo del fantastico, quello dell’“investigatore dell’occulto”, che non è stato travolto dalle nuove mode, ma si è adeguato ad esse ed alla costante richiesta di “mistero”, che si è evoluto nel tempo e fornito di nuovi strumenti di indagine a metà fra scienza ed esoterismo, teorie di confine e sapienza occulta, mediante i quali deve affrontare e risolvere nuovi problemi: con ironia o con angoscia, non ha poi molta importanza. Rimane il fascino di questo incontro/scontro con l’Ignoto.
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Estratto dall’antologia “Investigare l’Ignoto”, ed. Addictions, 2003.
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