La madre di tutte le iconologie

Della dea arcaica, utero dell’universo, in cui si compiva il ciclo eterno di vita-morte-vita, della triplice dea simboleggiata dalle Tre facce della luna, come recita il titolo di un eccellente saggio di Marina Cepeda Fuentes (Camunia 1996), abbiamo tante testimonianze che risalgono addirittura all’ottavo millennio prima della nostra era e sono documentate nell’opera ormai classica di Marija Gimbutas, Il linguaggio della dea. Mito e culto della dea madre nell’Europa neolitica che, introdotta da Joseph Campbell, fu tradotta da Longanesi neI 1990. Vi sono riprodotte anche molte immagini delle pitture affrescate sull’intonaco di case-tempio nel villaggio neolitico di Çatal Hüyük, in Anatolia, che l’egittologo James Mellaart ritrovò negli ultimi decenni del Novecento, come documenta in vari saggi fra cui Çatal Hüyük. A Neolithic town in Anatolia (Londra, 1967).

Mircea Eliade, Trattato di storia delle religioni Ora Giuseppe Sermonti, il genetista biologo diventato celebre non soltanto per i testi scientifici, ma anche per le critiche alle ipotesi del darwinismo e per le originali interpretazioni delle fiabe da punti di vista diversi, da quello astrologico al minerario e al botanico, ci offre in Il mito della Grande Madre un percorso interpretativo di quelle immagini che hanno fondato l’iconografia e la mitologia della dea nel Mediterraneo, tant’è vero che vi ritroviamo anche in nuce il mito della nascita di Afrodite dalla spuma (afròs) dei genitali di Urano evirato dal falcetto di Kronos. Questo mito rivendica alla dea la dignità di mai generata: “L’evirazione del maschio — scrive Sermonti — fu probabilmente il simbolo dell’abbattimento della potenza maschile e la collocazione del maschio a compagno provvisorio e fungibile. La Grande Madre proclama a questo punto di non avere bisogno del corteggiamento e della violazione maschile per generare. Ella è astratta dal mondo, dolcemente assopita, e attende che le forme che rilascerà nel parto le giungano direttamente dal sacrario eterno delle idee prime, portate in volo da uccelli o da api, o recate da pesci nuotanti nelle acque primordiali”.

Titus Burckhardt, L'arte sacra in Oriente e in Occidente Un ulteriore pregio del libro è nel collegamento della Grande Madre con le costellazioni, dove l’autore dimostra, con un’analisi accurata e con l’aiuto di cartine esplicative, che tutta la sua mitologia era già iscritta nell’arcaico firmamento simbolico. Il lettore non aduso a frequentare geroglifici celesti proverà inizialmente qualche difficoltà a orientarsi in una scrittura talvolta troppo contratta; ma lo sforzo sarà ripagato dalle prospettive nuove che egli apre nel delineare quella estesa e arcaica civiltà matriarcale nel Mediterraneo e nelle aree limitrofe dove l’Uno si manifestava in sembianze femminili, come ci ricorda persino un inno magico della tarda antichità descrivendola: “Principio e fine sei tu e su tutti regni sola: da te è tutto e in te, o Eterna, finisce tutto. Le lettere al tuo scettro le ha incise Kronos stesso, dandotele a portare affinché tutto rimanga come sempre: “Domatrice, Domatrice dell’impeto, Domatrice di uomini, Domatrice della Dominazione””. D’altronde non vi fu anche un acuto Papa che parlò di Dio come di una madre? I nomi degli dei sono immaginazioni umane che tentano ogni volta di penetrare in un mistero che non riusciremo a contemplare se non dopo la morte.

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Tratto da Il Sole 24 Ore del 20 ottobre 2002. Riprodotto, con gentile consenso, dal sito http://art.supereva.it/ilsitodelmistero.

Giuseppe Sermonti, Il mito della Grande Madre. Dalle amigdale a Çatal Hüyük, Mimesis, Milano 2002, pagg. 152, € 13,00.

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