Il 13 maggio 1940, parlando alla Camera dei Comuni in qualità di primo ministro, Winston Churchill nel suo celebre discorso su “sudore, fatica, lacrime e sangue” concludeva in questo modo:
“Voi chiederete quale sia ora il nostro compito. Posso rispondere in una parola: vittoria, vittoria ad ogni costo, vittoria a dispetto di ogni paura, vittoria, nonostante la strada possa sembrare lunga e difficile; perché senza vittoria non ci può essere sopravvivenza” (1).
Il concetto, ripetuto variamente e puntualmente dalla macchina della propaganda entrò nella mente della popolazione, divenendo un concetto chiave per tutto il successivo svolgimento del conflitto. In questo clima di forte tensione emotiva, esasperato da una guerra di difficile risoluzione e da uno sforzo bellico estremamente oneroso e pieno di sacrifici, maturò più o meno spontaneamente quella che fu chiamata la V-for-Victory Campaign, una della più famose operazioni di guerra psicologica di tutto il conflitto.
La sua nascita sembra in realtà piuttosto banale. Nel gennaio 1941 Victor de Laveleye, un politico belga rifugiato in Inghilterra e collaboratore della BBC per i programmi riguardanti il Belgio, parlando dai microfoni dell’emittente britannica si rivolse ai suoi compatrioti suggerendo l’utilizzo e la diffusione del segno V, espressione sia del francese victorie che del fiammingo vrijheid (libertà), come atto di resistenza e sfida all’occupante. L’idea sembrò buona e così alcuni mesi dopo, per la precisione il 20 luglio, la BBC decise, con il parere positivo di Churchill, di lanciare la campagna su vasta scala. Forte di impianti radiofonici in grado di arrivare ovunque, la radio inglese diffuse il messaggio propagandistico in tutti i paesi d’Europa. La voce al microfono era quella di Douglas Ritchie, autore radiofonico e poi direttore delle trasmissioni BBC per l’Europa. Parlando con lo pseudonimo di “colonnello Britton” egli teneva discorsi per gli ascoltatori d’oltremanica, spesso incitando al sabotaggio e alla resistenza. La trasmissione veniva aperta da un segnale in codice morse, tre punti e una linea, che traduceva in suoni la lettera V, seguito poi dall’inizio della quinta – V – sinfonia di Beethoven, che iniziava in maniera simile al segnale morse, con tre note corte e una lunga.
Venne poi spiegato come fosse facile riprodurre il ritmo e come con un battito di mani, con il fischio di un treno o con il suono di una campana fosse possibile lanciare un messaggio di partecipazione attiva allo sforzo bellico. Si poteva collaborare anche dipingendo sui muri la lettera, con gesso o con vernice, o naturalmente fare il noto gesto con la mano; lo stesso Churchill da quel momento in avanti, amò farsi rappresentare in quella posa, che diventerà una sorta di icona, un’immagine che si fisserà per molto tempo nell’immaginario collettivo, anche dopo la sospensione della campagna di propaganda, nel 1942.
E anche oggi tale segno, ripetuto, esercita una certa attrattiva. Tale messaggio nella sua semplicità possiede infatti sicuramente doti di comunicativa non comuni, e, testimone il suo successo, dimostra di avere un valore simbolizzatore superiore alle artificiali produzioni propagandistiche. Richiama infatti simboli lontani, significati profondi, valori archetipici essenziali che se opportunamente rievocati manifestano apertamente tutto il loro potere.
La storia di questo segno è intessuta di coincidenze significative e dimostra, in tutti i suoi riferimenti più o meno diretti, di avere qualcosa di magico. La sua stessa origine non è del tutto chiara.
Aleister Crowley pretese di avere fornito l’idea e di averla fatta pervenire a Churchill tramite alcuni suoi contatti nel servizio segreto MI5. A suo dire, dopo aver soppesato la questione e considerato varie alternative, egli avrebbe fatto ricadere la scelta su questo particolare simbolo a causa dei suoi significati e delle sue implicazioni occulte (2). Il simbolo della V sarebbe infatti stato tratto da un rituale, il Lesser Ritual of the Hexagram, che Crowley non aveva inventato ma che aveva per primo divulgato nel 1910 sulla rivista The Equinox (I, n.3, 1910). Rituale che metteva in scena il dramma cosmico della morte e della rinascita e di Osiride e che era caratterizzato dalle tre lettere LVX, ognuna con un significato diverso. In una delle fasi del rituale l’operatore di magia doveva mimare con il corpo le tre lettere, ognuna delle quali aveva un suo particolare significato. La L rappresenta il lutto di Iside, mentre la V rappresenta Apophis o Tifone, e la X la risurrezione di Osiride.
Le prime due sono utili ai fini del nostro discorso, poiché il lutto di Iside è causato dalla morte di Osiride operata da Tifone. La V rappresenta Tifone o Apophis, divinità distruttrici, nemiche delle forze solari. Il simbolismo spiega l’uso della V come un contrasto alla svastica, datosi che Tifone uccide Osiride, causando il lutto di Iside.
Il mito narrato da Plutarco viene quindi rielaborato e messo in scena nell’atto magico, e le forze tifoniane vengono utilizzate per contrastare il valore solare della svastica (Osiride è figlio del sole). È da notare anche il valore analogo attribuito ad Apophis, dio serpente che secondo il mito è in perenne lotta con il dio sole Ra (si confronti anche la lotta di Apollo con il serpente Pitone). Gli antichi miti egizi vengono riattualizzati ed usati come strumenti magico-simbolici. La guerra si combatte non solo con le divisioni corazzate, ma anche con segni e simboli, con forze occulte che pur non mostrandosi fanno comunque sentire la loro efficacia.
Non è però detto che sia stato Crowley il vero ispiratore dell’operazione, come non è detto che tale gesto sia stato derivato da un’informazione diretta, essendo a nostro avviso, nato quasi spontaneamente, anche se non casualmente.
Il particolare clima psichico determinatosi nel periodo bellico, e la “saturazione” raggiunta dalle idee distruttrici, possono avere fatto emergere archetipi ed antichi segni?
Oppure sono stati altri ambienti a suggerire determinate scelte?
Sappiamo per certo che Crowley non ha inventato il rituale, che è invece stato ricavato e poi riadattato dalla più datata cerimonia del grado Adeptus Minor, rituale praticato dalla Golden Dawn già da vari decenni, rituale in cui similmente la lettera-glifo V rappresentava Apophis e Tifone e la L il lutto di Iside (3).
Di più non è possibile dire, considerati anche i tenui nessi esistenti in questi casi tra i rapporti causa ed effetto, e soprattutto l’importanza mai abbastanza ricordata della possibilità di produrre stati d’animo e influenze più o meno dirette sulle decisioni e le scelte degli uomini.
Ci basti per concludere un’altra coincidenza significativa: il gesto della V mima in maniera diretta una delle fattezze fisiche di Tifone, così come la tradizione e l’iconografia ce lo hanno presentato. Egli è il dio dalla testa d’asino, che ha inoltre l’asino come cavalcatura privilegiata (cfr. Plutarco, De Iside et Osiride, §§ 30-31). Il gesto della mano richiamerebbe quindi le orecchie d’asino di Tifone e ne riprodurrebbe la caratteristica fisica peculiare, un piccolo atto di magia simpatica, una involontaria evocazione del principio distruttore, principio sovvertitore che libera le forze del caos, quello stesso principio che dopo la sua vittoria nella guerra potrà esplicare pienamente la sua attività nel nuovo mondo “pacificato”.
Note:
(1) May 13, 1940, First Speech as Prime Minister to House of Commons http://www.winstonchurchill.org/learn/speeches/speeches-of-winston-churchill/92-blood-toil-tears-and-sweat
(2) Richard Kaczynski, Perdurabo: The Life of Aleister Crowley. North Atlantic Books, 2010, pp.511-512.
(3) Israel Regardie, The Complete Golden Dawn System of Magic, Falcon Press, 1994, vol.VII, p.53. Si veda anche il “rotolo volante” n.X, istruzione interna all’ordine riguardante il grado (5)=[6] Adeptus Minor, ora pubblicata in Proiezione astrale, magia e alchimia – rituali segreti della Golden Dawn, ed. italiana a cura di G. De Turris e S.Fusco, Mediterranee, 1980, pp.113-121.
Lascia un commento