Riflessioni sul destino della Russia. Parte I

[Il presente testo appare come un mio inedito che si presenta come una continuazione di due piccole opere pubblicate nel testo Jean Thiriart il cavaliere eurasiatico e la Giovane Europa (AGA, 2021) e Quale Russia? (Diana, 2024). Il testo è inedito, quindi; chi volesse farne uso mi contatti via scarabeodilupia@gmail.com. La stesura di tale opera è del 2023-24. (N.d.A.).]

“La Russia non si intende con il senno,

né con il comune metro:

la Russia è fatta a modo suo, in essa si può credere soltanto.”

Fëdor Ivanovič Tjutčev (1803-1873)[1]

Parlare oggi in Europa di Russia è piuttosto complicato: in primo luogo da un punto di vista politico, con l’obiettivo di comprendere la realtà russa nella sua essenza ed i suoi rapporti con il Vecchio Continente; in seconda istanza anche da un punto di vista più “banale” e che “dovrebbe essere scontato”, se si vuole, dell’essenza culturale, geografica e storica nonché filosofica di questo enorme spazio eurasiatico che ha visto nel secolo scorso attraversare ben tre mutamenti geopolitici e che, nel bene o nel male – oppure al di là di questi – ha influenzato dai suoi albori anche la storia della civiltà europea in senso stretto. Come mai attualmente è difficile parlare di Russia se non negativamente e con presunzione, sia nel nostro paese sia nei paesi europei appartenenti a quell’organizzazione sovranazionale chiamata Unione Europea? Semplicemente perché, dal 24 febbraio 2022, l’attuale conformazione dello Stato russo chiamata Federazione Russa e presieduto dal suo Capo,  il Presidente Vladimir Vladimirovič Putin, ha dato via alla così detta Operazione militare speciale ai danni della Repubblica Ucraina per risolvere i soprusi, a suo dire, nei confronti dei “russi etnici” delle regioni del Donbass e della penisola di Crimea in atto dal 2014, anno questo dell’Euro-Maidan; protesta, quest’ultima, che ha visto la sua conclusione con un cambio di regime nello Stato ucraino che sotto la presidenza di Petro Porošenko ha preso una posizione nettamente anti-russa e filo-occidentale supportata da Washington nonché da Bruxelles. L’Operazione militare speciale russa è stata dipinta dalle autorità europee e statunitensi come un atto di grave violazione della sovranità statale dello Stato ucraino nonché come il coronamento di un “sogno malato” del Presidente russo Putin da parte dei mass-media occidentali; ma è proprio così? Prima di dare una risposta a ciò è necessario comprendere le ragioni che hanno portato all’acuirsi del conflitto diventato oramai, nei fatti, “aperto”, fra lo Stato ucraino e la Federazione Russa ed analizzare questi rapporti in una prospettiva metapolitica.

Il conflitto va contestualizzato in un mondo che, dopo la fine della Guerra Fredda e l’inizio del XXI secolo, vide la fine della Presidenza statunitense di George W. Bush (2001-2009) e di Barack Obama (2009-2017), ovvero la fine dell’epoca – per così definirla – “d’oro”, dell’unipolarismo dello Stato nord-americano con la “Guerra al terrorismo” e dell’appoggio mediatico e militare statunitense e NATO alle primavere arabe (dal 2011), si è aperto ad una prospettiva di multipolarismo. Un multipolarismo che sembra tutt’altro che vicino ad un concretizzarsi “positivo”, ma che sembra stia andando verso una formazione di “grandi spazi” nel senso schmittiano e thiriartiano del termine da una parte, mentre dall’altra sembra che si stia assistendo all’ascesa di nazionalismi e di sciovinismi nelle aree dell’ex blocco sovietico. Quindi un mondo in cui si stanno formando dei centri di potere dati dai così detti “grandi spazi” ma anche un mondo sempre più frammentato, senza un centro, come fu in passato: prima con l’“euro-centrismo” precedente al Primo e Secondo Conflitto Mondiale caratterizzante il XIX secolo,  poi con il  bipolarismo della Guerra Fredda, poi con il sistema unipolare post 1989 con al centro gli Stati Uniti che iniziarono a perdere la loro centralità dagli inizi del XXI secolo e soprattutto dalla fine della Presidenza Obama. Il multipolarismo che quindi si sta formando vede gli Stati Uniti con la loro sete di continuare la loro egemonia mondiale (soprattutto sull’Europa), anche se lacerati da problemi interni, una Russia desiderosa di riprendere il suo primato di vecchia super-potenza, una Cina sempre più forte nei mercati globali e sul piano geopolitico e geostrategico del globo e grandi stati come il Brasile, l’India etc. sempre più vicini a ricoprire un ruolo geopolitico rilevante nella propria area di competenza; in questo senso si può parlare di un avvenire vicino all’idea di Stati-civiltà nella prospettiva descritta del “Grande Spazio” da Carl Schmitt ma anche da Aleksandr Dugin nella sua Quarta Teoria Politica[2]. Ma d’altro canto, come accennato, si assiste all’emergere di conflitti locali dati da problemi etnici e nazionali: l’Ucraina ne è un perfetto esempio, così come la Transinistria e la Moldavia, nonché la Georgia nell’area post-sovietica, e inoltre la trentennale tensione fra Armenia e Azerbaigian rappresenta un esempio dell’ascesa di fenomeni “piccolo nazionalistici” opposti a prospettive imperiali e di unità date dai grandi spazi. In questa trattazione, dedicata alla Russia e all’Europa, non possiamo parlare di altri problemi piccolo sciovinisti come quello di Timor-Est nei confronti dello Stato indonesiano, del problema dell’Isola di Taiwan nei confronti dello Stato cinese, dei problemi di Porto Rico nei confronti degli Stati Uniti, degli indipendentismi europeo-occidentali come quello catalano e basco. Ricapitolando; a noi interessa comprendere il perché dell’attuale sconvolgimento politico russo-ucraino in una prospettiva europea nonché delineare i rapporti di civiltà fra Russia e civiltà europea – intesa non come Unione Europea ma come Europa – e si cercherà anche di rispondere alla domanda: la Russia è Europa? Gli europei e i russi devono proseguire, nell’avvenire del possibile multipolarismo, un destino comune? Oltre a ciò, si cercherà di dare una risposta dopo aver descritto una breve sintesi della storia russa dai suoi albori alla fine dell’Impero zarista. Si delineerà anche una parziale storia dello Stato sovietico in base al suo rapporto con il mondo europeo per venire quindi alla risoluzione dei due quesiti principali. Il perché dell’intervento della Federazione Russa nei confronti della Repubblica Ucraina; i rapporti di civiltà fra Europa e Russia. In merito ai rapporti di civiltà fra Europa e Russia non potremo far a meno di trattare la perniciosa problematica delle relazioni fra Unione Europea e Russia; qual è il futuro dei rapporti tra l’organizzazione sovranazionale incarnata nell’Unione Europea e lo Stato federativo russo sorto dalle ceneri dell’Unione Sovietica e del precedente Impero zarista? Le relazioni russo-europee passano attraverso anche questa linea di demarcazione che vede l’ipotizzarsi di un destino storico e geopolitico di queste due realtà, oramai parti integranti della politica contemporanea.

Non potremo fare a meno di ricordare quello che abbiamo appena scritto: il mondo multipolare è inevitabile? Se sì, sarà un contesto di “soli grandi spazi”? Dovremmo porci, relativamente ai rapporti fra Russia ed Europa, nel tentativo di dare delle risposte, il seguente quesito: sarà possibile per quest’ultima sottrarsi dall’egemonia statunitense per perseguire una propria linea geopolitica che tuteli prima di tutto gli interessi dei popoli europei sia dal punto di vista geo-strategico che geo-politico – in una parola dal punto di vista strettamente geografico? Come ultima nota a questa premessa sarà necessario ricordare che un accento speciale sarà posto sul discorso escatologico fatto da certi ideologi russi del presente e del passato – o meglio di certe tendenze russe passate e presenti – e cercando di inserirlo in una prospettiva di analisi dei rapporti fra cultura politica e cultura esoterica che prende come mito il Mito dell’Apocalisse del mondo cristiano. Ma non solo si cercherà, nei limiti di questa trattazione, di analizzare una parte del movimento nazionalista ucraino che ha influenzato e/o sta cercando di influenzare così profondamente la politica del regime ucraino contemporaneo in quest’epoca di conflitto sul suolo eurasiatico; in particolar modo si cercherà anche di comprendere il suo ruolo geopolitico ed una sua possibile fine in caso di successo od insuccesso. Lo stesso spazio eurasiatico, preso nella sua interezza, sembra quindi sospeso fra unità – come progettava Jean Thiriart[3] negli anni ’80 del secolo scorso con la sua stesura dell’Impero Euro-sovietico da Vladivostok a Dublino[4] e come ebbe da dire anche l’ex Capo di Stato ed attuale Vicepresidente del Consiglio di Difesa della Federazione Russa; Dmitrij Medvedev[5] – e l’avvenire del piccolo sciovinismo e della sua frammentazione oppure ancora in entrambe le linee di sviluppo.   

La nascita e la formazione dello Stato e dello Spirito russo: dalle origini al crollo dell’Unione Sovietica.  

Il valente storico russo-statunitense Paul Bushkovitch, autore di un pregevole, anche se alquanto denso, saggio sulla storia della Russia edito in italiano dalla casa editrice Einaudi nel 2013 dal titolo Breve storia della Russia dalle origini a Putin6 fa coincidere la nascita dell’identità russa con la nascita di quell’entità sovrana chiamata Rus’ di Kiev o Rus’ Kieviana che vide la sua crescita di importanza dal secolo VII dell’Era Cristiana. Ma come nacque questa formazione sovrana? Innanzitutto, con lo stanziarsi di popolazioni slave negli attuali territori della Russia occidentale e con l’entrata in scena nel territorio in questione di popolazioni nordiche di origine vichinga, provenienti dalla penisola scandinava. Questi rematori vichinghi provenienti dall’attuale Svezia presero il nome di Variaghi e presto si imposero sulla popolazione slava cercando di assimilarla ma anche sovrapponendosi e assimilandosi ad essa. I Variaghi giunsero dalla penisola scandinava tramite la navigazione fluviale spinti dal trovare nuovi commerci e dallo spirito, per così dire, “di avventura” verso nuove terre da colonizzare. Non sorprende che questa origine vichinga, od anche scandinavo-nordica, del primo nucleo statuale slavo fu frutto di molti miti ed interpretazioni di vario tipo: il mito della “terra leggendaria”, patria del mitico popolo degli Iperborei viene posta a Nord dai più sparuti miti e racconti che la trattano – dall’antica sapienza classica di Erodoto ed Aristotele fino alle interpretazioni su tale mito date dal grande inattuale Friedrich Nietzsche fino ad una visione esoterica del fatto data da studiosi russi come Aleksandr Dugin che, negli anni ’90, descrivevano la Russia delle origini in senso mitico ma sempre con un rapporto con quella a loro attuale e dell’oggi; essa concentrava «in sé le energie sacrali del Nord e i motivi mitici iperboreo-solari[6]». Sempre in merito a questo mito del Nord con riferimento al popolo russo, Claudio Mutti descrive nella postfazione al citato testo L’ultima Thule di Arthur Branwen un importante evento: “Sempre in Russia, nel 1997 Valerij Diomin ha guidato una spedizione scientifica nella Penisola di Kola, dove sono stati scoperti i resti di una civiltà che dovrebbe risalire a ventimila anni fa. Riferendosi ai risultati di quella spedizione, la stampa russa annunciava che l’Iperborea, “culla di tutti i popoli indoeuropei […] non soltanto è esistita, ma si trovava sul territorio del Settentrione russo8. In questo contesto, dal 862 iniziò la dinastia dei Rjurikidi che prende il nome dal suo leggendario fondatore Rjurik; inizialmente queste popolazioni e i loro capi seguivano le fedi native slave che però portarono spesso a faide interne fra clan e, per raggiungere un controllo sulla popolazione, i capi della Rus’ di Kiev decisero di adottare una religione valida per il loro popolo: inizialmente dopo Rjurik altri famosi sovrani della Rus’ oscillavano fra conversioni al cristianesimo, come quella del Principe Igor, e della successiva reggente Olga ed al paganesimo come nel caso di Sviatoslav (figlio di Olga) che continuò ad adorare il Pantheon degli Dèi slavo.

Nel 978 il Principe Vladimir però si accorse del fatto che le faide fra i sudditi della popolazione della Rus’ non avrebbero potuto continuare: ebbene, chiese aiuto ai suoi boiardi (membri dell’alta aristocrazia / funzionari del sovrano) di convocare nella Rus’ alcuni emissari delle tre religioni monoteistiche principali, che erano le più “popolari” negli stati confinati alla Rus’: l’Islam diffuso nella Bulgaria del Volga non entusiasmò il sovrano perché i musulmani non mangiavano né carne di maiale né bevevano alcool (la risposta del sovrano russo fu che “bere è la gioia della Rus’”). Interrogando poi gli emissari ebraici rifiutò di unirsi al loro credo poiché dai loro racconti della perdita di Gerusalemme si rese conto che essi erano stati abbandonati da Dio e che il popolo della Rus’ non poteva fare la loro stessa fine seguendoli. Infine, Vladimir chiese ai boiardi se avessero visitato i territori cristiani ed essi riferirono che nelle cupe chiese tedesche ad ovest della Rus’ non c’era bellezza, ma che alla vista della Basilica di Santa Sofia di Costantinopoli essi non sapevano se si trovassero “in cielo od in terra” a causa della bellezza data dall’arte cristiana e della magnificenza della basilica stessa. Questa storia ovviamente è un mito molto famoso che, nonostante non abbia validità storico-fattuale, comunque ci fa comprendere, senza entrare nell’universo delle interpretazioni storiografiche più o meno tendenziose, la conversione alla cristianità del popolo dell’allora Rus’ di Kiev da Vladimir in poi sia per motivazioni genuinamente di carattere amministrativo e politico (di evitare le faide fra i sudditi) nonché di carattere spirituale: attratti dalle cupole cristiane d’oriente e dalla bellezza armonica in qualche modo opposta a quella delle chiese nord-europee come quelle teutoniche, si convertì alla religione del Cristo. In questo racconto si distingue, oltre che l’ironia del popolo bevitore della vecchia Rus’; il risalto della spiritualità russa soprattutto in merito al carattere visivo – ricordiamo la visita della basilica –  che con l’avvento dell’Ortodossia russa diede rilievo all’Iconostasi, cioè al culto dell’Icona e dell’immagine dei Santi cristiani sul quale anche dopo la caduta del sistema zarista i russi si fermeranno in senso spirituale: i Santi saranno sostituiti dai capi dello Stato Sovietico e spesso, oggi, non è difficile scorgere immagini di capi sia come Putin nonché di generali, amministratori etc. spesso disegnati come delle icone e in qualche modo ritratti in senso pio ed umile ma allo stesso tempo portatore di sicurezza e di forza.

Da circa la metà del XIII secolo (1230 circa) iniziò la frammentazione e la fine della Rus’ di Kiev data dall’invasione di popoli turchi ma soprattutto dall’invasione mongola dell’Orda d’Oro. I territori della Rus’ diventarono khanati, cioè territori dipendenti dal Gran Khan – il signore locale – che dipendeva dall’Orda d’Oro, fino alla sua conseguente frammentazione, viste anche le dimensioni dell’entità statale dell’Orda, nei decenni successivi. Parti della Rus’, come la Galizia, vennero inoltre inglobate nel neonato stato cristiano che prese il nome di Confederazione Lituano-Polacca dall’unione della corona polacca e lituana sotto l’egida cristiana. I territori da dove riprenderà il via, per così dire, il nuovo Stato russo saranno dai principati di Vladimir dipendente dai mongoli e dalla Repubblica – città stato di Novgorod. L’invasione mongola è uno degli aspetti più dibattuti a livello di identità fra i russi da quasi tre secoli e vista l’estensione – attuale – dello stato che prende il nome di Russia che arriva a toccare l’attuale Mongolia, la Cina e l’Oceano pacifico, è abbastanza chiaro perché certi ideologi, chiamati eurasiatisti come Nikolaj Trubeckoj[7] oppure profondamente anti-occidentali come Konstantin Leontiev[8], abbiano cercato di vedere in ciò un’ eredità grandiosa per l’anima russa nella sua tendenza influenzata, in particolar modo, dal mondo slavo e vichingo nelle sue origini. Idee simili – di eredità ideale ed identitaria fra il mondo nordico e slavo e quello mongolo – verranno ereditate nel nostro secolo dal XIX-XX secolo da parte di Aleksandr Dugin con il suo neo-eurasiatismo[9]. Nello stesso periodo si venne affermando la supremazia dei principi di Mosca, area geografica in qualche modo “nuova” rispetto al precedente centro di Kiev. Essi ampliarono i territori sottoposti al loro dominio approfittando della loro posizione di esattori dei tributi che le diverse regioni russe dovevano versare all’Orda d’Oro pian piano fino all’indipendenza formale dai territori dell’Orda. Dal punto di vista religioso nel 1328 il metropolita grecoortodosso di Kiev abbandonò la sua sede, ormai decaduta per via dei continui mutamenti geopolitici del territorio della vecchia Rus’ di Kiev, e si trasferì a Mosca, che divenne il nuovo centro religioso del Paese. Nel 1277 Daniele, figlio di Alessandro Nevskij (il quale viene considerato ancor oggi un eroe russo per aver respinto l’invasione dei Cavalieri dell’ordine monastico-cavalleresco teutonico nella battaglia sul lago ghiacciato dei Ciudi – chiamato anche Lago Peipus, attualmente si trova al confine fra l’Estonia e la Russia – il 5 aprile 1242) fondò la dinastia dei principi di Mosca (sempre partendo dalle radici della Dinastia Rjurikide) e nel 1380 il principe di Mosca Dimitrij (1350-1389) era ormai abbastanza potente per affrontare i tartari, che sconfisse a Kulikovo.  Da questo momento lo Stato moscovita divenne il Granducato di Mosca e si trasformò, espandendosi dal XV secolo sempre più a est verso l’Asia, fino a divenire prima un regno e poi un impero.

Il principe di Mosca Ivan III Vasil’evič detto “il Grande” (1462-1505) ampliò notevolmente i propri domini e, sposando nel 1472 la nipote dell’ultimo imperatore bizantino, Sofia, diede inizio al mito della “Terza Roma”, secondo il quale la Russia sarebbe stata l’erede della civiltà romano-bizantina. Questo mito sarà una costante nella storia russa; infatti a partire dal XV secolo, Mosca (nuova capitale dello Stato Slavo sorto dalle conquiste di Ivan III e dei suoi predecessori), iniziò a presentarsi come “Terza e ultima Roma”; ciò era dovuto al fatto che, secondo l’ottica russa, la prima Roma di Pietro, incarnatasi poi nel Papato di Roma, fosse fallita a causa dello scisma e quindi dell’eresia e la seconda, Bisanzio, fosse caduta nelle mani degli “infedeli musulmani” nel 1453, cedendo alle pressioni del Papato della prima Roma nel 1439 esercitate durante il Concilio di Firenze[10][11]. Anche il matrimonio con la nipote dell’ultimo imperatore dell’Impero romano d’Oriente, Sofia, con Ivan il Grande, come sopra descritto, contribuì alla ricezione del nuovo Mito. Mosca, da questo momento, iniziò a rappresentare quindi la capitale di un principato che, sentendosi il successore storico della Rus’ di Kiev ed essendosi liberato dai mongoli provenienti dall’Asia, poteva ambire a rappresentare la cristianità nella sua universalità. Mosca, in sintesi, ambiva a scardinare i due vecchi poli della cristianità, cercando di portare il centro del mondo cristiano verso Nord; in questo spostamento verso Nord si può intravedere lo scorcio del mito iperboreo delle origini vichinghe del popolo russo, come sopra citato. L’ideologia di “Mosca come Terza Roma” venne però formulata esplicitamente dal monaco Filofei di Pskov (XV secolo) all’inizio del ‘500 in una famosa lettera al Gran Principe di Mosca, Vasilij III (1479-1533): “La prima Roma fu distrutta a causa delle sue eresie, la seconda Roma cadde vittima dei Turchi. La prima e la seconda Roma hanno fallito, ma la terza durerà fino alla fine della storia, perché l’ultima Roma, Mosca, non avrà successori. Una quarta Roma è impensabile[12]”.

Sempre secondo Filofei: “il grande Impero Russo del Pio Sovrano, la terza Roma, supera in pietà tutti i pii regni che saranno uniti sotto la sovranità del monarca che solo sotto il cielo sarà chiamato Zar cristiano in tutto il mondo da tutti i cristiani[13]”. Il nuovo patriarca di Mosca iniziò ad intitolarsi come “lov, patriarca di Mosca, città dello Zar, e di tutta la Russia, la nuova Roma”. Successivamente, due secoli più tardi, con Pietro Il Grande, il concetto di “Mosca come Terza Roma” sembra scomparire; il nuovo Zar muoverà la capitale a San Pietroburgo ed abolirà il Patriarcato di Mosca nel 1721. Nonostante questo tentativo di secolarizzazione, il concetto di Mosca come terza ed ultima Roma continuava ad essere vitale. Nel corso del XIX secolo questo concetto riacquisterà simpatie, grazie all’operato dello Zar Alessandro II: nel suo regno infatti venne pubblicata in massiccia tiratura di copie la lettera di Filofei a Vasilij III. Sempre nell’Ottocento l’idea venne ripresa dai movimenti panslavisti che si proponevano l’unione di tutti i popoli di etnia slava sotto l’egida dell’Impero Russo[14], e da altri intellettuali già citati come Konstantin Leont’ev e Nikolaj Trubeckoj che riprendevano, anche se non spesso, il concetto, per indicare un’unità spirituale della Santa Russia incarnata in Mosca che era in qualche modo tollerante anche con gli altri popoli componenti il territorio dello Stato eurasiatico, sottolineando anche il contributo islamico e dell’Orda d’Oro all’identità russa in funzione anti-occidentalistica. Attualmente questo lavoro di recupero dell’identità eurasiatica viene fatto in Russia da Aleksandr Dugin, da Leonid Savin e dal così detto Movimento Eurasiatista Internazionale, come precedentemente menzionato. Con la Rivoluzione bolscevica del 1917 e lo stabilirsi dell’Unione Sovietica nel 1922 s’è perso il concetto, almeno nella sua concezione teologico-ortodossa, di Terza Roma, ma il primo stato socialista nella storia farà propria una concezione ideologica che, mischiata all’ideologia ufficiale del marxismo-leninismo, forgerà  una concezione escatologica più grande, quella di vedere in Mosca non più il faro dell’Ortodossia ma quello del comunismo internazionale (La Terza Internazionale in qualche modo sarà un Mito politico di pari forza a quello della Terza Roma). Ciò è stato sottolineato dallo storico russo-israeliano, Mikhail Agursky, nel suo La Terza Roma. Il nazionalbolscevismo in Unione Sovietica[15] nonché da Aleksandr Dugin in un libro edito nel 1997 ed uscito in Italia quasi tre decenni dopo nel 2021 dal titolo I Templari del Proletariato[16]. Attualmente, con la caduta dell’Unione Sovietica nel 1991 e l’avvento dell’attuale Federazione Russa, si assiste ad un riemergere, forse in chiave sia politica che religiosa, del concetto del monaco Filofei, cioè di Mosca come centro dell’universalità cristiana, la Terza Roma; ma di questo si proverà ad indagare più tardi.

Ivan III può essere considerato il fondatore dello Stato russo; a lui si deve la conclusione vittoriosa della conquista dell’indipendenza nel 1480, malgrado la perdita della Bielorussia, assorbita dalla PoloniaLituania. Il figlio di Ivan III, Basilio III (1503-1533), adottò questo “schema universalista che rifiutava l’autorità del papa, rendendo Mosca la terza Roma: a livello politico lo zar ne riceve un’autorità derivata direttamente da Dio”. Si trattava di un elemento fondamentale della costruzione dell’assolutismo in Russia, soprattutto in un momento di crisi per l’Ortodossia dato dall’autocefalia della Chiesa Ortodossa russa da quella greca. L’espansione territoriale continuò con Ivan IV detto “il Terribile” o “il Severo” (1533-1584), che per primo assunse il titolo di Zar (cioè di Cesare) e conquistò Kazan’ e Astrachan’. Ivan IV fu un sovrano dispotico: combatté una dura lotta ai boiardi – i signori feudali – e trasformò il principato in una autocrazia; la sua politica vide inoltre l’introduzione delle basi giuridiche che diedero poi il via alla servitù della gleba e la subordinazione della Chiesa ortodossa russa all’autorità legislativa del sovrano (giurisdizionalismo). Il periodo che va dalla morte del figlio di Ivan IV e suo successore, Fëdor (ultimo rappresentante della Dinastia Rjurikide) fino all’incoronazione del primo rappresentante della Dinastia Romanov, Michele di Russia (1613), viene chiamato “Periodo dei Torbidi[17]”, caratterizzato da un’epoca di profonda instabilità e di quasi guerra civile che vide i tentativi, da parte di alcuni paesi dell’Europa cattolica come la Svezia e la Polonia-Lituania, di annettersi “pezzi” di Stato russo; da questo periodo e dall’incoronazione di Michele iniziò un atteggiamento diffidenza e di progressiva chiusura da parte della Russia rispetto a ciò che stava ad Occidente .

Dopo gli anni di caos che caratterizzarono il cosiddetto periodo dei torbidi, come già detto, il potere in Russia passò alla dinastia dei Romanov, fondata nel 1613 da Michele I, che dominò la Russia sino alla rivoluzione di febbraio del 1917[18]. Dopo la sconfitta della Polonia nella prima guerra del Nord (1654-1667), l’Impero russo si estese sino a comprendere tutta l’area dell’attuale Ucraina, che corrispondeva  ai territori dell’antica Rus’ di Kiev[19].Sotto il regno degli zar la Russia imperiale divenne uno degli Stati europei più potenti dell’epoca, i cui confini in Asia giunsero fino all’oceano Pacifico e anche in America, dove si ebbe l’America russa, ovvero la colonizzazione dell’Alaska, che  fu poi venduta agli Stati Uniti nel 1867.

Fra gli zar succedutisi si ricorda Pietro il Grande che, salito al trono nel 1682, riorganizzò lo Stato russo secondo il modello occidentale dello Stato moderno, cioè delle allora monarchie europee, con una burocrazia gerarchizzata e con tribunali centrali (considerati comunque come facenti parte dell’amministrazione statale). Abolirà anche il Patriarcato. Due studiosi della Russia come il già citato Paul Bushkovitch[20] e la studiosa britannica Lindsey Hughes[21] descrivono la “rivoluzione” apportata da Pietro Il Grande come interna al potere zarista ove si vedranno degli apporti di modernizzazione, per così dire presi a “prestito” dall’Europa monarchica dell’epoca: il taglio della barba degli uomini russi, il vestiario di origine tedesca nonché misure amministrative, militari, come quelle della flotta russa, e burocratiche. Il ruolo di Pietro Il Grande viene riconosciuto dalla totalità dei russi come quello di un eroe di spicco della storia russa, nonostante le critiche a livello storico per la sua progressiva occidentalizzazione di alcune parti del paese – che rimase comunque relativa: infatti la sopracitata “rivoluzione petrina” rimase interna al sistema zarista e non fu totale: anzi ne fu un rafforzamento che riuscì in qualche modo a portare la Russia alla pari dei suoi vicini europei[22]. Un ruolo importante fu svolto anche da Caterina II e successivamente da Nicola I e da Alessandro III.

Tra il XIX secolo e l’inizio del XX secolo il sistema di governo autocratico si presentava come estremamente conservatore, avendo rifiutato praticamente ogni tentativo di ammodernamento nel corso del secolo precedente. In questo contesto nacquero le ideologie slavofile ed eurasiatiste come sopra specificato: le prime auspicavano l’unione dei popoli slavi sotto l’egida della Russia, mentre le seconde rivalutavano l’apporto dell’Orda d’Oro mongola all’identità imperiale. Nacquero anche le ideologie socialiste ed occidentaliste e dello sciovinismo russo che, nonostante fossero importate da Occidente ed alcune di esse promettessero un avvicinamento graduale ad esso, non erano antirusse in toto; anzi spesso riconoscevano lo spirito russo a differenza dell’occidentalizzazione post-sovietica, come ha ben notato lo storico Roy Medvedev nel suo La Russia post-sovietica. Un viaggio nell’era Eltsin[23]. Ma queste condizioni di tensione interna verso l’Autocrazia zarista da parte di molti strati della popolazione, soprattutto dei suoi strati più bassi ed umili, contribuirono a portare la Russia ad un passo da una pericolosa crisi, che sfociò nella rivoluzione prima di febbraio e poi d’ottobre del 1917.

L’Impero russo tra la fine del XIX e l’inizio XX secolo era una nazione fra le più arretrate d’Europa, nonostante le eccezionali dimensioni territoriali; i segnali di malcontento della popolazione verso un regime zarista retrogrado e chiuso a difesa del suo carattere autocratico (che aveva assunto fin dai tempi della Dinastia Rjurikide) si moltiplicarono a partire dai primi anni del secolo, sotto forma di vaste rivolte di operai e contadini; il tempo per la monarchia zarista stava volgendo al termine: come ogni entità statale stava avendo il suo periodo di decadenza. Nel 1905 la così detta “Domenica di sangue”, una manifestazione di massa svoltasi il 22 gennaio davanti al Palazzo d’Inverno di Pietrogrado, alla quale parteciparono decine di migliaia di persone, culminò in un massacro da parte delle forze di polizia. Questa manifestazione dovuta al crescente prezzo del pane a causa della guerra che la Russia stava combattendo contro il nascente Impero Giapponese e la sua conseguente repressione portarono ad ulteriore crescente malcontento verso il potere Zarista.

Con l’entrata della Russia a sostegno della Triplice Intesa durante la Grande Guerra, la nazione si trovò presto stremata; dopo tre anni di guerra, nel 1917, aveva una popolazione provata e il suo apparato militare era tendente al collasso nonché le truppe al fronte apparivano per lo più demotivate dalla mancanza di rifornimenti e dalle pessime condizioni che stava dando l’immane conflitto. La rivoluzione che ebbe luogo quell’anno, in un lungo periodo compreso fra il febbraio/marzo (rivoluzione di febbraio), che portò al potere il Governo repubblicano e borghese di Aleksandr Kerenskij, e il novembre (la più famosa rivoluzione d’ottobre, per via della differenza fra i calendari giuliano e gregoriano), ebbe come effetto immediato la distruzione del regime di Kerenskij instauratosi da pochi mesi e di tutti gli ultimi residui della Monarchia Zarista e la costituzione del primo stato socialista: l’Unione Sovietica (ufficialmente nel 1922 con la Rivoluzione consolidata), sotto la guida del Capo bolscevico Vladimir Il’ič Ul’janov, meglio conosciuto come Lenin. Dopo la vittoria dei bolscevichi in una rivoluzione relativamente incruenta il 14 dicembre 1917 il War Cabinet britannico (organo collegiale presso il Ministero della guerra) prese la decisione di concedere a qualunque organizzazione antisovietica i fondi necessari per impedire che la Russia uscisse dalla Prima guerra mondiale: infatti il 3 marzo 1918 la neonata Russia sovietica aveva firmato il trattato di pace di Brest-Litovsk con la Germania e pertanto uscì dal conflitto. Gli inglesi, presto coadiuvati da statunitensi, francesi e dall’Intesa nonché da altre forze controrivoluzionarie, cercarono di riportare la vecchia monarchia zarista al potere; o più semplicemente armare i controrivoluzionari e fomentare la divisione dello spazio russo sperando di salvaguardare ed espandere i loro interessi nel paese oramai distrutto e, contemporaneamente, assicurare la continuità del potere capitalisticoborghese nei loro Paesi, infliggendo una sonora sconfitta al movimento operaio internazionale. A causa dell’intervento incendiario delle potenze straniere nella neonata e ancora instabile repubblica si innescò una sanguinosa guerra civile che perdurò fino al 1921 e provocò milioni di vittime.

L’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche nacque – un anno dopo il 1921 – dalle ceneri della Prima Guerra Mondiale e del precedente Stato monarchico russo, con la morte della famiglia reale Romanov nel 1918, l’espulsione dei controrivoluzionari e di Kerenskij e il recupero delle zone perse durante la guerra civile russa soprattutto l’Ucraina e la Bielorussia dove si erano installate delle Repubbliche popolari[24], queste repubbliche nacquero anche grazie agli ultimi sostegni dati dall’Impero Tedesco prima della sua imminente sconfitta: significativo è l’esempio della Repubblica Popolare Ucraina di Symon Petljura (1879-1926) che combatté contro l’esercito bolscevico la cui storia è documentata anche nel famoso romanzo popolare sovietico di Nikolaj Ostrovskij Come fu temprato l’acciaio[25] dove si racconta la sua ascesa e caduta.

Con la morte di Vladimir Lenin nel gennaio del 1924 e la conseguente ascesa di Iosif Stalin si assiste alla chiusura dell’Unione Sovietica rispetto all’Europa questo per cercare di risolvere tutti i problemi lasciati dalla Grande Guerra nonché di difendere e potenziare l’instaurarsi del potere sovietico: ciò avrebbe portato anche a dure sofferenze e morti per molti che si rivoltavano contro il nuovo potere, come d’altronde ogni cambiamento d’ordine porta.

Stalin si prometteva di mettere la neonata Russia sovietica alla pari, sul campo economico ed industriale, dei paesi progrediti dell’Europa e del Nord-America; questo fu effettivamente fatto ma con il pugno di ferro e, per far ciò, anche il marxismo, ideologia nata in Europa e nel mondo dell’Anglosfera, si adattò al carattere nazionale russo isolandosi dalle premesse internazionalistiche precedenti: questa tendenza, oltre che essere documentata dalle vedute di Stalin che si promettevano di sviluppare il “socialismo in un solo paese” rispetto a quelle opposte del rivale Lev Trotskij di un espandere la rivoluzione a livello globale, è chiarita da due studiosi politicamente ambivalenti: Ludo Martens e Kerry Bolton. Entrambi gli autori in due testi diversi (il primo nel suo Stalin un altro punto di vista[26] e il secondo in Stalin il Napoleone russo[27]) rivalutarono in base alla teoria dell’edificazione del socialismo in un solo paese l’operato del capo di Stato sovietico vedendo in esso, Martens da un punto di vista marxista e Bolton da un punto di vista della destra radicale, il tentativo di edificare un modello alternativo puntando su tutte le forze nazionali e combattendo il capitalismo internazionale. La visione alternativa dei due studiosi, anche se opposta nelle loro premesse. dà un’interpretazione comune, opposta alle altre tre tendenze storiografiche ed ideologiche su Stalin: la prima, liberale, volta a discutere degli orrori dello stalinismo ed ad accomunare Stalin ad Hitler; la seconda, della sinistra libertaria e sessantottina, volta a vedere in Stalin l’artefice del capitalismo di stato sovietico e l’autocrate che aveva tradito la rivoluzione; l’ultima, quella della destra radicale e conservatrice, che comprendeva sia  pregiudizi anti-russi in toto, sia una visione di Stalin unicamente come nemico dell’Europa o come l’incarnazione di teorie razzistiche del secolo scorso come quella del “giudeo-bolscevismo[28]”.Tralasciando tutti i problemi di ordine politico e storico dati dal contesto degli anni ’30 fino agli anni ’50, cioè dal periodo precedente all’ascesa dei fascismi e del nazionalsocialismo, alla Seconda Guerra Mondiale fino agli inizi della Guerra Fredda ed alla morte di Stalin, si può valutare la politica staliniana come effettivamente “dal pugno di ferro” e cruenta verso i nemici del nuovo ordine che si era costituito in Russia, ma effettivamente avente l’intento di mettersi alla pari con l’Occidente, di isolarsi dal resto del mondo e di cercare di migliorare le condizioni vitali dei russi.

L’isolamento della Russia finì con l’Operazione Barbarossa e la conseguente fine e non rispetto del Trattato di Non Aggressione da parte la Germania Nazionalsocialista, per concludersi con la conquista dei territori dell’Europa orientale caduti sotto l’area di influenza di Stalin dopo la fine del Secondo conflitto. Come valutare tutto ciò in poche righe? Questa non è la sede adatta ma vale la pena spendere due parole: come ebbe da scrivere negli anni ’80 Jean Thiriart, se l’Europa era morta ciò era dovuto anche all’ avventura ipernazionalistica germanica come quella hitleriana che ha saputo sfruttare poco le leggi della Geopolitica e gli scritti degli studiosi tedeschi più avveduti come Karl Haushofer ed altri. La Russia ha semplicemente agito di conseguenza, rompendo l’isolazionismo post-morte di Lenin dato da Stalin. La conseguenza per la Germania fu la Guerra su due fronti – alcuni storici e politologi come Giorgio Galli hanno pensato al perché di questa scelta da parte tedesca: si presume che la Germania volesse amicarsi l’Inghilterra che stava combattendo sul fronte occidentale con la scusa di una crociata anti-bolscevica; rappresentativo di ciò, secondo Galli, fu il famoso viaggio di Rudolf Hess in Inghilterra, ancora dibattuto a livello storiografico da alcuni, ma che vale sicuramente la pena sottolineare[29].

Se è vero, come era tipico affermare soprattutto negli ambienti della destra radicale, che la Russia fu, con gli Stati Uniti, il “nemico dell’Europa” che ha messo fine all’ultimo tentativo di politica autenticamente europea dato dai fascismi, è pur vero che la Russia, fra i due vincitori principali della Seconda Guerra Mondiale e dei contendenti nella Guerra Fredda, fu l’unico stato aggredito sul suo territorio e l’unico autenticamente definibile Stato – sotto il profilo geografico e geopolitico – europeo, sia da una prospettiva di continuità, sia dal punto di vista storico; di ciò l’unico che si accorse effettivamente fu Jean Thiriart che nel suo L’Impero eurosovietico vide una sola insufficienza del carattere russo dell’epoca: la dogmatica marxista-leninista. Per Thiriart bisognava andare oltre il dogma marxista oppure cercare di coniugare l’ideologia ufficiale con qualcos’altro.  Nel periodo della storia sovietica che va dalla morte di Stalin nel marzo del 1953 fino alla fine dell’Unione Sovietica nell’agosto 1991 si verificarono alcuni fatti che sono degni di nota e per cui spenderemo le giuste parole per focalizzare meglio il substrato culturale dell’attuale Russia. Tre anni dopo la morte di Iosif Stalin si assistette da parte del suo successore, Nikita Chruščëv, alla denuncia dei suoi crimini, in particolare del sistema di lavoro forzato dei Gulag (letteralmente dal russo: ГУЛаг – Главное управление исправительно-трудовых лагерей: Direzione generale dei campi di lavoro correttivi), al XX Congresso del PCUS; questo creò una frattura nel mondo comunista: nel giro di pochi anni l’Albania di Enver Hoxha ruppe i rapporti con l’URSS, così come  la Cina di Mao Tse Tung ed iniziò il così detto “anti-revisionismo” portato avanti da quei marxisti o quei paesi socialisti che non accettavano la messa in discussione del ruolo di Stalin nella così detta edificazione del socialismo in URSS.

La Jugoslavia di Josip Broz Tito che aveva rotto con Stalin nel 1948 per motivi di carattere nazionalistico riallacciò i rapporti, anche se solo diplomaci, con l’URSS dopo il XX Congresso. In questo clima si assistette ad un’apertura dell’URSS all’estero e, sia con Chruščëv prima sia con Bréžnev poi, ad un mantenimento dei principii marxisti in URSS ed in Europa orientale, sebbene in maniera sempre meno entusiasmante, e si cercò di competere con i paesi occidentali dal punto di vista economico e materialistico dei beni di consumo – nonostante l’URSS, sia per le devastazioni subite dopo il Secondo Conflitto Mondiale che per il suo sistema economico, non potesse primeggiare rispetto al mondo capitalistico.  Altro elemento che va sottolineato, anche se solo marginalmente, sono le controverse questioni date dall’intervento sovietico in Ungheria nel 1956 per soffocare la rivolta di Budapest e il soffocamento, sempre da parte dell’esercito sovietico, a Praga durante la così detta “Primavera di Praga” del 1968. Vale la pena spendere due parole su questi fenomeni storici che divisero le anime di tutta Europa anche di quella socialista. La rivolta di Budapest rimase essenzialmente una rivolta che si accompagnò – insieme ad una precedente manifestazione operaia a Berlino Est svoltasi nel periodo immediatamente successivo alla morte di Stalin cui obbiettivo era essenzialmente di contestare un certo rincaro dei prezzi dei beni alimentari – a reali motivi; infatti la politica sovietica apparse soffocante ai regimi orientali che aveva contribuito ad instaurare dopo la guerra e rimase in qualche modo refrattaria per alcune motivazioni che non vanno trascurate: se da una parte l’Unione Sovietica fin dagli albori della sua storia coniugò il pressante centralismo tipico del potere zarista con il principio di “autodeterminazione dei popoli” auspicato sia da Lenin ed in parte mai rimosso né da Stalin, né da Chruščëv e né da Bréžnev, questo principio politico provocò disagi nella questione delle nazionalità in URSS e nei suoi “stati satellite”; se da una parte fu giusto e corretto riconoscere l’autonomia e la specificità di certi territori dell’Unione e quindi il centralismo rimase o cercava di essere pressante per controllare il decentramento, è pur vero che nelle zone dell’immenso Stato controllato dal Cremlino nonché dei suoi territori europei tutto andò nella direzione opposta al controllo totalitario: ci fu un clima che auspicava il ritorno della frammentazione, cosa che è effettivamente successa. Thiriart imputava questo errore alla gestione statale data dai sovietici. Sempre sulla scorta di questo errore Thiriart, sulla scia del pensiero di Carl Schmitt, comprese la mancanza di volontà dell’URSS di unificare i territori europei orientali al suo territorio cercando di darsi una forma paneuropea: ciò non venne mai né pensato né attuato. L’URSS era interessata a porre sotto controllo politico “virtuale” i vari stati orientali: Romania, Bulgaria, Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia e Germania Orientale. Ciò creò una situazione di nazionalismo che potremmo definire  “indipendentistico”, come nel caso romeno dove si coniugò il fattore nazionale con quello socialista, ma che in qualche modo si allontanò da qualsiasi premessa di un possibile grande spazio fra Europa e Russia, cosa che ebbe a scrivere pure Jean Thiriart nell’Impero euro-sovietico[30] in relazione al capo romeno Ceaușescu33 ed a quello jugoslavo Tito (quest’ultimo non aveva nulla a che fare con la questione degli Stati sotto il controllo sovietico, visto che la Jugoslavia ruppe i rapporti con l’URSS staliniana nel 1948); essi per il teorico belga non avevano giovato né all’unificazione europea né ad una possibilità di una politica euro-sovietica; la Romania e la Jugoslavia badavano semplicemente ai propri interessi piccolo-nazionali. Per quanto riguarda la questione di altri stati, basti ricordare che in Polonia non è mai esistita una concreta collettivizzazione della terra[31], e in regimi come la Germania Orientale si instaurarono elementi piuttosto ostili anche al centro moscovita; basti pensare che Erich Honecker capo della Repubblica Democratica Tedesca si rifiutò di applicare le riforme date dalla Perestrojka[32]. Ritornando alla questione ungherese, essa, come si diceva, partì da motivi reali: da errori della politica sovietica in questioni relative al rapporto con le nazionalità dei paesi sotto la sua area di influenza, ma anche da progressive tendenze a sabotare la politica sovietica all’interno della sua area prima a Budapest e poi a Praga da parte dei suoi nemici. Il problema di Praga è diverso da quello ungherese che si basava per lo più sul problema della nazionalità e del rapporto fra la nazione magiara e lo stato sovietico: era infatti in corso una lotta interna fra l’area riformista del Partito comunista cecoslovacco e l’area appoggiata da Mosca e dall’allora capo sovietico Leonid Bréžnev. Come evidenziano sia Jean Thiriart[33] che Claudio Mutti basti pensare al supporto dato alla così detta “Primavera di Praga” da parte degli Stati Uniti e d’Israele; senonché vale la pena sottolineare, come ricorda Mutti, che Il noto teorico dell’anticomunismo, Zbignew Brzezinsky, per ben tre anni era venuto all’Istituto di Politica ed Economia Internazionali di Praga per parlare della Fine del leninismo e di argomenti affini[34].

Infine non si deve dimenticare il ruolo in qualche modo “sovversivo”, sia per l’Europa orientale e il movimento marxista, sia per lo spettro politico e socio-economico dell’Europa occidentale, dato dal movimento scaturito del maggio del 1968 nato in quell’anno – quello della Primavera praghese – da parte dei francesi di sinistra; questi ultimi protestavano contro Charles De Gaulle, presidente della Repubblica Francese, e la protesta si diffuse in tutta l’Europa sotto influenza americana, coll’unico obbiettivo di distogliere la gioventù dai reali problemi per farla affondare nel consumismo e nella “Weltanschauung statunitense”; in Europa orientale, tramite l’agitazione di parte dei partiti comunisti locali, Washington tentò lo stesso. Come ultimo dato sul Sessantotto vale la pena sottolineare le affermazione che fece il saggista serbo Dragoš Kalajić nel suo Serbia ultima trincea d’Europa[35] sul ruolo del capo di Stato francese, Charles De Gaulle che fece uscire il suo paese dalla NATO e che aveva un’idea “illuminata” di continentalità europea: “De Gaulle, […] citato giustamente come un uomo illuminato che aveva capito questa strategia anti-europea [data dalle politiche statunitense] con la propria idea dell’Europa dall’Atlantico agli Urali, con l’apertura verso l’Unione Sovietica e il mondo socialista, è stato il precursore di una nuova politica che ancora è valida nelle sue linee essenziali, e per questo è stato ostacolato dagli Stati Uniti. Penso che uno degli scopi del progetto della contestazione del ’68 mirasse in Francia ad abbattere il suo governo. Mentre negli altri Paesi europei mirava soprattutto a distruggere, come anche in Francia, l’ordinamento della educazione pubblica, sistema educativo che offriva agli Europei la possibilità di pensare in maniera autonoma, come uomini liberi. Una distruzione del sistema scolastico verticale per far posto ad un inefficiente sistema orizzontale. Il sistema orizzontale produce degli invalidi intellettuali e morali, dunque degli schiavi[36]Questo ruolo sovversivo del movimento del ’68 ha visto l’implodere del sistema sovietico nel dopo-Bréžnev: infatti con la morte dei Segretari Generali del Partito Comunista dell’Unione Sovietica: Černenko e poi Andropov inaugurarono l’ascesa di Mikhail Sergeevic Gorbaciov.

Nel periodo della così detta Perestrojka (letteralmente dal russo перестройка: rinnovamento / ristrutturazione del sistema) e Glasnost (letteralmente dal russo гла́сность: trasparenza) inaugurata dal Segretario Generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, Gorbaciov, si assistette ad un cambiamento interno sul piano socio-economico nonché geopolitico dell’Unione: da una parte un’apertura verso i paesi NATO ed una liberalizzazione del mercato interno nonché un attenuarsi della censura; ma nei fatti queste riforme non sono state fatte con “intelligenza” come quelle, che all’epoca erano in atto, nella Repubblica Popolare Cinese dove l’allora Capo di Stato Deng Xiaoping stava mettendo in atto un coraggioso piano di riforma per slegarsi dal passato della Rivoluzione Culturale Maoista mantenendo salda l’autorità statale. In URSS ciò non fu fatto. Ci sono molti ipotesi intorno al ruolo di Gorbaciov all’interno dell’Unione Sovietica e del sistema socialista; nei fatti il suo “nuovo corso sovietico” è stato osteggiato da pochi capi di Stato dell’ex. Europa orientale socialista come Honecker e Ceaușescu ma approvato pienamente dalle classi dirigenti più inclini ad una liberalizzazione progressiva nonché dagli Stati Uniti, che hanno visto di buon occhio il Capo sovietico, “santificato” dalla stampa occidentale. Il ruolo di Gorbaciov non è stato quello di un riformatore statale come ad esempio Deng Xiaoping, ma di un liquidatore dello Stato sovietico: che ciò sia stato fatto ingenuamente o consciamente è ancora dibattuto da molti; ad esempio storici di stampo dichiaratamente filo-sovietico come Kurt Gossweiler40 affermano il ruolo in qualche modo conscio nella dissoluzione operata da Gorbaciov, mentre altri si limitano semplicemente a riconoscere in lui un ruolo “patriottico”, per così dire, nonché quasi decisionistico nel tentativo di riformare l’URSS, come ad esempio lo storico Roy Medvedev[37], ma miopia e debolezza nell’attuarle che hanno portato infine al disfacimento dell’Unione. Sul piano geopolitico, soprattutto dopo il 1989 con la liquidazione dei regimi “duri” come quello di Ceaușescu ove si vide la cooperazione fra il KGB gorbacioviano, la CIA e parte della Securitate romena, si può vedere un ruolo miope e volto alla rovina degli interessi del suo stesso paese da parte di Gorbaciov. Un dato è certo: la caduta del blocco socialista ad Est nel triennio 1989-1991 ha determinato diverse conseguenze: la nascita del nazionalismo in Europa Orientale e nei paesi ex. sovietici, la nascita di gruppi patriottici in Russia e nell’ex. URSS con la fine della stessa Unione nonché l’ascesa di Eltsin e poi di Vladimir Putin e, infine, il tentativo, da parte dell’Occidente con il beneplacito statunitense, di creare un’unità Europea sotto l’ala NATO.

[1] Trad. T. Landolfi citato in Introduzione da Maria Morini, La Russia di Putin, Il Mulino, Bologna, 2020 cit. p. 7.

[2] Aleksandr Dugin, La Quarta Teoria Politica, NovaEuropa, Milano, 2017.

[3] Sul politico e teorico belga Jean Thiriart (1922-1992) oltre ai lavori presi in considerazione per questa trattazione rimandiamo anche al nostro saggio AA.VV. (a cura di Pietro Missiaggia), Jean Thiriart il cavaliere eurasiatico e la Giovane Europa, Aga, Milano, 2021.

[4] Jean Thiriart, L’Impero Euro-sovietico da Vladivostok a Dublino, All’Insegna del Veltro, Parma, 2018.

[5] <https://www.infobae.com/en/2022/04/05/former-russian-president-dmitri-medvedev-said-putins-goal-is-to-build-anopen-eurasia-from-lisbon-to-vladivostok/> Former Russian President Dmitri Medvedev said Putin’s goal is to “build an open Eurasia, from Lisbon to Vladivostok” (consultato in data 14 luglio 2023 dal sito Infobae.com). 6 Paul Bushkovitch, Breve storia della Russia dalle origini a Putin, Einaudi, Torino pp. 3-69.

[6] Aleksandr Dugin, Rusia. El misterio de Eurasia, Grupo Libro 88, Madrid, 1992 pp. 67-72 citato dall’appendice di Claudio Mutti, Hyperborea al saggio di Arthur Branwen, Ultima Thule. Julius Evola e Herman Wirth, All’insegna del Veltro, Parma, 2007 cit. p.106. 8 Mutti, Ibidem.

[7] Su Trubeckoj si vedano i suoi testi disponibili in lingua italiana: Cfr. Nikolaj Trubeckoj, L’Europa e l’umanità, Aspis, Milano,2021 e L’eredità di Gengis Khan, Barbarossa, Milano, 2006.

[8] Cfr. Konstantin Leontiev, Bizantinismo e mondo slavo, All’Insegna del Veltro, Parma, 1987 su Leontiev si veda anche il testo di Aldo Ferrari, La Terza Roma, All’Insegna del Veltro, Parma, 1986.

[9] Cfr. Aleksandr Dugin, Eurasia. La rivoluzione conservatrice in Russia, Pagine, Roma, 2015.

[10] Cfr. Emmanuel Lanne, The Three Romes in “The Holy Church and Western Christianity”, in Concilium 6/1996 cit. p.

[11] .

[12] Ivi. pp. 16-17.

[13] Ibidem.

[14] Cfr. Marshall Poe, Moscow the Third Rome: The Origins and Transformations of a “Pivotal Moment” in Jahrbücher für Geschichte Osteuropas Neue Folge, Bd. 49, H.3 (2001), cit. pp. 412-429.

[15] Mikhail Agursky, La terza Roma. Il nazionalbolscevismo in Unione Sovietica, Il Mulino, Bologna, 1989.

[16] Aleksandrd Dugin, I Templari del Proletariato. Metafisica del Nazional-bolscevismo, Aga, Milano, 2021.  18 Tra il 1431-1445 si tenne il Concilio di Firenze che vide la riunificazione sotto l’egida della Chiesa di Roma dell’Ortodossia greca; ma con la caduta di Costantinopoli il trattato dato dal Concilio non venne rettificato; fu un nulla “di fatto”. Di ciò ovviamente si rimanda al libro di Paul Bushkovitch, Breve storia della Russia, Einaudi, Torino, 2013 pp. 3-23.

[17] Bushkovitch, cit. pp. 64-92.

[18] Bushkovitch, Ibidem. cit. pp. 71-92.

[19] A tal proposito si veda: Robert Nisbet Bain, Slavonic Europe: A Political History of Poland and Russia from 1447 to 1796, Cambridge University Press, Cambridge-New York, 2013 [1^edz. 1908].

[20] Bushkovitch, Storia della Russia, cit. p. 93

[21] Cfr. Lindsey Hughes, Pietro il Grande, Einaudi, Torino, 2012 cit. pp. 277-300.

[22] sulla ricezione della figura di Pietro Il Grande nella storia della Russia si veda il nostro articolo Pietro Missiaggia,

L’eredità di Pietro I “il Grande” nella storia della Russia, sul sito del G.R.E.C.E Italia datato 9 febbraio 2023

<https://www.grece-it.com/2023/02/09/leredita-di-pietro-i-il-grande-nella-storia-dellarussia/?fbclid=IwAR0WNlmz8wgtxavbL-z1MFhoSXYL1Icjw_Jinl8gf8nooCc52A0RAlsgsyg> (consultato in data 25 maggio 2023).

[23] Roy Medvedev, La Russia post-sovietica. Un viaggio nell’era Eltsin, Einaudi, Torino, 2002.

[24] il termine “popolare” in questi due casi non c’entra con il termine popolare inteso come “democrazia popolare” di stampo marxista; veniva utilizzato da questi regimi perché cercavano di coniugare il loro nazionalismo elementi di estrazione socialista e “social-populista”.

[25] Nikolaj Ostrovskij, Come fu temprato l’acciaio, Pgreco, Milano, 2019.

[26] Ludo Martens, Stalin un altro punto di vista, Zambon Editore, Verona-Francoforte sul Meno, 2005 analoga riflessione dal punto di vista di Martens su Stalin viene operata da Domenico Losurdo, Stalin. Storia e critica di una leggenda nera, Carocci, Roma, 2015 e da Grover Furr, Krusciov mentì, La Città del Sole, Napoli, 2016. Altri testi di Furr sono stati editi come auto-pubblicati Amazon in traduzione italiana.

[27] Kerry Bolton, Stalin il Napoleone russo, Gingko Edizioni, Verona, 2019; sempre sulla figura di Stalin da un punto di vista analogo a Bolton si rimanda al testo di Silvano Lorenzoni, Stalin e Napoleone, Associazione Culturale Identità e Tradizione, Rende, 2018 recensito, con buone osservazioni, anche da Fabio Calabrese sul sito Ereticamente.net del 18 maggio 2018 <https://www.ereticamente.net/2018/05/silvano-lorenzoni-stalin-e-napoleone-recensione-di-fabiocalabrese.html> (consultato in data 24 maggio 2023).

[28] Sull’apporto ebraico e sionista alla rivoluzione d’Ottobre tanto è stato scritto e questa non è la sede adatta per una riflessione su tale argomento; ci si limiterà a dire che se l’apporto ebraico era presente e fu in qualche modo

“sovversivo”, come sottolineato ad esempio in un testo divenuto importante per i cattolici tradizionalisti come quello di Emmanuel Malynski nel suo La Guerra Occulta (Ar, Padova, 1989), per i tempi in cui la rivoluzione avvenne tale elemento venne eliminato sotto il periodo staliniano che vide un ritorno all’ordine propriamente russo. C’è da dire anche che un apporto positivo, in qualche modo escatologico ed esoterico, di alcuni membri ebraici era più russo e nazionale che sovversivo e cosmopolita come sottolineato da Aleksandr Dugin negli anni ’90 nel suo I Templari del Proletariato (Aga, Milano, 2021). A distanza di un secolo dai fatti dell’Ottobre bolscevico si può dire che, se certi elementi ebraici avevano in qualche modo un carattere sovversivo, essi non ebbero successo e trionfò il carattere russo anche per certi elementi dell’ethnos ebraico; anche se non si può non considerare l’elemento sovversivo ebraico come caratteristico e presente nei movimenti soprattutto sionistici che, anche se non nella loro totalità, ebbero a che fare con la Rivoluzione d’Ottobre; ma, come accennato si è dell’idea che il carattere positivo e nazionale trionfò su quello cosmopolita anche per quanto riguardava l’ebraismo presente in URSS; inoltre, va sottolineata di nuovo la tesi secondo la quale il periodo staliniano fu quello di ristrutturazione anche in senso anti-sionista dell’identità nazionale sovietica; ciò viene esplicato dai già citati Kerry Bolton e Silvano Lorenzoni. Da un punto di vista critico e di revisione storica su tale fenomeno si veda: Gianantonio Valli, Giudeobolscevismo. Il massacro del popolo russo, Ritter, Milano, 2014, il testo del famoso dissidente sovietico Aleksandr Solzenicyn, Due secoli assieme. Ebrei e russi prima della rivoluzione ed Ebrei e russi durante il periodo sovietico, Controcorrente, Napoli, 2007 [opera in 2 volumi] nonché il testo di Ernst Nolte, Nazionalsocialismo e bolscevismo. La guerra civile europea 1917-1945, Sansoni, Firenze, 1989.

[29] Sul viaggio di Hess in Inghilterra e delle teorie del politologo Galli a tal proposito si veda: Giorgio Galli, Hitler e il nazismo magico, Rizzoli, Milano, 2005 cit. pp. 205-232 (Capitolo VIII Volo in Inghilterra).

[30] Jean Thiriart, L’Impero euro-sovietico da Vladivostok a Dublino, All’Insegna del Veltro, Parma, 2018, cit. p. 32 33 Sempre Thiriart scriverà nel testo citato a p. 207 che “Nicolae Ceaușescu e la sua ingombrante signora trescano da un bel po’ con gli Stati Uniti”.

[31] Nonché sempre Thiriart parla e sottolinea a riguardo della Polonia il fatto che “i servizi americani sono molto potenti in Polonia” Ibidem p. 207.

[32] A tal proposito si rimanda al pamphlet di memorie del Capo della Repubblica Democratica Tedesca: Erich Honecker, Appunti dal carcere, Anteo, Reggio Emilia, 2021. Noi possiamo aggiungere che col senno di poi l’opposizione di Honecker alle riforme gorbacioviane fu tutt’altro che di cattivo auspicio per il suo regime. Ciò si potrebbe considerare come l’ultimo tentativo di resistere alle pressioni nefaste portate avanti dal nuovo corso della Perestrojka.

[33] Thiriart ricorderà nel suo testo L’Impero euro-sovietico da Vladivostok a Dublino, All’Insegna del Veltro, Parma, 2018 cit. p. 207 la seguente considerazione “La famosa “Primavera di Praga” non era altro che un’influenza di Tel Aviv [nonché di Washington – aggiungiamo noi] sulla Repubblica Cecoslovacca”.

[34] Cfr. Claudio Mutti, Budapest, Praga, Bucarest in Eurasia Rivista di Studi Geopolitici 2/2005 disponibile in rete all’indirizzo: <https://www.eurasia-rivista.com/budapest-praga-bucarest/> (consultato in data 14 maggio 2023).

[35] Dragoš Kalajić, Serbia ultima trincea d’Europa, All’Insegna del Veltro, Parma, 1999.

[36] Cfr. Dragoš Kalajić, Serbia ultima trincea d’Europa, All’Insegna del Veltro, 1999 cit. p. 91.

40 Kurt Gossweiler, Contro il revisionismo, Zambon, Verona-Francoforte Sul Meno, 2009.

[37] Roy Medvedev, La Russia postsovietica, cit., Einaudi, Torino,2002.

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